Archivio News 2020
Torna all'Archivio generale
31-12-2020
L'ultimo aggiornamento dell'anno di Lucasdelirium arriva al photo finish, proprio come le cene di San Silvestro intime a lume di candela, organizzate dopo spese al cardiopalma, cercando di non essere costretti a compilare autocertificazioni per comprare quello che si è dimenticato (alla Vigilia mi è successo sul serio). Non vedo l'ora che quest'anno finisca, pur sapendo bene che è una liberazione simbolica e che la nostra guerra continuerà nel 2021. Sforzandosi di sorridere, nel 2020 sono successe comunque cose piacevoli da queste parti: Lucasdelirium ventenne e rinnovato, The Secret of Monkey Island trentenne e celebrato... e nemmeno a questo giro siamo a secco di bombe, perché abbiamo saputo la sinossi completa del cancellato Sam & Max Freelance Police, dopo sedici anni. È il caso di dirlo: tutto arriva a chi sa aspettare!
Back to the Future - The Game compie 10 anni
Nel mio ripercorrere le avventure dei fu-Telltale comincio ora a entrare nella "zona d'ombra", quel momento in cui il team fondato da Dan Connors e Kevin Bruner visse una crisi d'identità, una progressiva rottura con le avventure grafiche classiche punta & clicca, alla ricerca di un nuovo modo immediato di intendere la narrazione interattiva. Back to the Future - The Game, concepito come effettivo prosieguo della trilogia cinematografica di Ritorno al futuro, cercava ancora di dare un colpo al cerchio degli avventurieri e un altro alla botte di un fandom allargato, interessato solo a una storia e non troppo avvezzo agli enigmi. Cosa ne venne fuori? All'epoca pensai che non funzionasse troppo bene, oggi dopo dieci anni... continuo a pensarla alla stessa maniera, purtroppo. Credo che fosse comunque il caso di rigiocare e rivedere la scheda come ho fatto, sempre nell'ottica di inquadrare nel modo migliore possibile questo esperimento: i difetti rimangono, ma rimangono anche un paio di elementi narrativi preziosi che spingono a completare l'esperienza, insieme al doppiaggio secondo me davvero notevole.
Ho colto l'occasione per sbobinare i commenti audio degli sviluppatori per ciascuna puntata, arricchendo la scheda con una nuova sezione "extra" di curiosità.
Psychonauts 2: da gennaio comincia il rush finale!
Sì, questa volta è vero: Psychonauts 2 uscirà davvero l'anno prossimo, nel 2021. Nell'ultimo aggiornamento sul progetto, il buon Tim Schafer, altrove pure protagonista di un documentario riassuntivo sui 20 anni della Double Fine, ci informa che il gioco al momento è giocabile dall'inizio alla fine: per i backer e per la Microsoft, ora bisogna chiudere. Il rush finale sarà delicato, perché spetta a lui decidere le "ultime battaglie", dove collocare le risorse in questa fase finale per rifinire ciò che vale la pena sia rifinito e dove lasciar perdere e tagliare. A questo scopo il team della Double Fine è stato suddiviso in una ventina di squadre, ciascuna destinata a supervisionare la finalizzazione di un elemento del grosso titolo (gameplay, inquadrature, luci, IU, etc. etc.). Se guardate il video che embeddo, potrete avere piccoli assaggi di nuove scene, seppur di sfuggita: nessuno spoiler, solo scintille che accendono la curiosità!
Oltre al reinserimento delle battaglie con i boss, che Tim stava per cancellare con dolore prima dell'acquisizione Microsoft nel 2019, c'è un'altra novità: un "post-game state", cioè la possibilità di continuare a vivere il mondo di gioco anche ad avventura finita, modalità assente nel primo titolo e per la quale Schafer sta scrivendo testi aggiuntivi appositi. Tim ha particolare paura di spingere il team al temuto "crunch mode", cioè alla fase di massacro finale di 12 ore lavorative giornaliere, una pratica diffusa e ultimamente sempre più condannata nel settore: si dichiara colpevole di questa pratica sin dai tempi della LucasArts fino al primo Psychonauts. "Questo è il momento in cui ti viene la tentazione, perché se non puoi alzare il flusso di soldi, non puoi allungare le tempistiche e non puoi cedere sulla qualità del gioco, puoi abbassare la qualità della vita di tutti, facendoli lavorare un sacco. Ora è diverso perché lavoriamo da casa, però è importante non trattare la cosa come una manopola che vuoi girare quando ti pare. Per questo è importante avere giudizio ora e soppesare bene i contenuti."
Per portare a termine questa valutazione, Tim sta giocando come un normale streamer per il resto della squadra, indicando in tempo reale le cose prioritarie su cui concentrarsi. In un'altra intervista con IGN First, Schafer arriva a pensare che, pure a pandemia terminata, potrebbe mantenere l'usanza, perché coinvolge più membri del team rispetto ai playtest in sede.
La possibilità finalmente di poter giocare fisicamente sui devkit ricevuti sta contribuendo comunque a motivare un po' tutti, perché seduti sul divano si assume uno sguardo più fresco e rilassato su Psychonauts 2, abbandonando per un po' le postazioni alle quali si è rimasti inchiodati per mesi e anni.
Sam & Max Freelance Police: la commuovente fine di un'epoca
Lo storico fansite americano di LucasArts e dintorni, Mixnmojo, che coi suoi 23 anni di vita ne ha tre in più di Lucasdelirium, ha pubblicato una monumentale retrospettiva sul cancellato Sam and Max Freelance Police: considerando quanto loro siano vicinissimi a molti sviluppatori della fu-Lucas e anche dei fu-Telltale (basti pensare che Jake Rodkin era stato tra i cofondatori del sito!), sono rimasto comunque felice di essere giunto alle loro stesse conclusioni "filosofiche" nel mio analogo pezzo di tre anni fa: ora l'ho aggiornato con alcune delle novità che lo staff di Mixnmojo è riuscito a scovare, interpellando tanti di quei protagonisti di quel difficile e frustrante periodo, un vero spartiacque tra un mondo che finiva e un altro che iniziava. Non è solo il racconto triste di un gioco fatto col cuore e cancellato per ristrettezza di vedute, non è solo la narrazione dell'inizio della fine della LucasArts. È anche il modo perfetto di inquadrare il momento in cui i fan fecero sentire la propria voce, avvicinandosi alla maturità che l'autore Jason sintetizza col motto "Love the band, not the brand", cioè "ama la banda, non il brand", gli autori che fecero grande la LucasArts, non il marchio "LucasArts" (svuotato in quel momento di senso).
Per l'occasione, il team di Mixnmojo è riuscito persino a farsi creare un header originale da Bill Eaken! Di fronte a una tale magnificenza, vi invito se sapete l'inglese a leggere tutto con calma. Non ho bisogno di realizzarne un riassunto, perché il mio pezzo di cui sopra già di fatto lo è (con una prospettiva leggermente diversa e con in più un focus sul cancellato Sam & Max Plunge Through Space, solo sfiorato da Mixnmojo). Nelle settimane in cui è stato pubblicato il remaster della Sam & Max Season One, conseguenza diretta di ciò che accadde, fermarsi a ripensare su quegli avvenimenti è più che mai appropriato...
Magistrale la chiusa del loro pezzo: "La LucasArts come creatrice di avventure grafiche magari era destinata a morire, ma poteva non essere assassinata". Perfetto.
Sam & Max Save the World, il dramma dove non te l'aspetti
Nelle ultime due settimane mi sono chiesto più volte se e come toccare un argomento che mi ha immalinconito parecchio. Avendo collaborato con la Skunkape Games per limare la traduzione italiana di Sam & Max Save the World, sentivo però di dover dire qualcosa su una shitstorm tuttora in atto. Certo non è paragonabile a quella che ha travolto la pubblicazione di Cyberpunk 2077, però basta andare sulla pagina GOG della remaster della Season One per osservare una media voto deprimente. Un giro tra le recensioni e i commenti su Steam riecheggia le stesse tensioni. Per me questa pubblicazione era stata una piccola festa... e l'impatto di tutto questo, pur capendolo, mi ha buttato giù. Ero poi imbarazzato per un mio conflitto di interessi che si era venuto a creare, pur solo emotivo, avendo lavorato gratis di mia sponte.
Ricapitolando: molti utenti non hanno gradito il cambio di voce di Bosco (con un doppiatore nero come il personaggio e un alleggerimento del suo slang) e la modifica/taglio di sei battute nelle quali gli autori non si riconoscevano più. Lo spettro della censura e del politicamente corretto militante ha attivato una ribellione sonora. Non è mia intenzione discutere di tali questioni in senso lato: senza un dialogo rapido con chi mi legge sfocerei in un monologo impositivo, e l'argomento per me è troppo serio. Vorrei però, se avete un attimo di pazienza, concentrarmi sul legame tra queste considerazioni e il gioco in sé. Prima di iniziare, due precisazioni doverose. Sapevo dei tagli? No, ho ricorretto la traduzione giocando una beta, ed essendo i tagli pochissimi, erano e sono molto difficili da notare. Sono d'accordo con le modifiche? No: sostengo che, qualora si creino situazioni in cui si vogliano prendere le distanze da una sensibilità avvertita come più arretrata in merito a certi argomenti, la strategia di un disclaimer sia preferibile alla modifica di ciò che si era fatto in passato in buona fede. Procedo per punti.
- Sulle "bugie" e la "trappola" del politicamente corretto. Sin dal giorno dell'annuncio della remaster, nei primi di novembre, la sostituzione del doppiatore di Bosco è stata da subito dichiarata (in un'intervista e in uno stream), tanto che ne avevo parlato nella scheda. Sicuramente la FAQ sul sito ufficiale era ed è meno esplicativa del tardivo successivo approfondimento delle modifiche pubblicato su Steam una settimana fa, però sulla sua posizione ideologica generale il team non è stato affatto reticente. Diverso il discorso nello specifico sulle battute modificate, in effetti mai citate inizialmente, però non ho motivo di credere che chi ha assicurato gli utenti su un copione intatto stesse mentendo, in effetti non lo sapeva. C'è stata un'interruzione della catena tra sviluppatore e pr, ne ignoro le cause: un errore di cui la Skunkape si è resa conto e che (utopisticamente) spero sia rimediabile.
- Capisco bene che, quando si è indignati per qualcosa, si tenda a calcare la mano perché si cerca di fare proseliti. È un gesto naturale quando si crede e si sostiene un punto di vista su questioni importanti. Però scrivere che il gioco è "massacrato", suggerendo "molte" modifiche che pare lo rendano quasi irriconoscibile, è in questo caso oggettivamente un'esagerazione. E non è nemmeno necessaria. Se ci si indigna per la censura, anche una modifica è sufficiente per girare al largo, chi è sulla stessa lunghezza d'onda capirà. Non è però molto corretto confondere chi è indeciso indicando un'inesistente inondazione di censure, che andrebbe per lo meno verificata prima di scatenare l'apocalisse. "Se la sono cercata?" Beh, fino a un certo punto: un errore degli sviluppatori non dovrebbe giustificare un atteggiamento iniquo dell'utenza. Lo scrivo sognando, come sempre, la sopravvivenza di un confronto civile.
- Censurare Sam & Max significa insultarli, tradirli e annullarli? Non voglio mettere in dubbio la buona fede di chi lo sostiene, però posso dire che è una semplificazione? Sicuramente i primissimi Sam & Max dei fumetti, alla fine degli anni Ottanta, erano violenti e scorretti, ma il cane e il coniglio in trent'anni hanno visto più interpretazioni. Sam & Max Hit the Road (1993), l'avventura LucasArts con cui la maggior parte di noi li ha conosciuti, era già edulcorata, parecchio di più delle serie Telltale, con o senza gli ultimi tagli, basti pensare al fatto che i due non usavano alcun'arma da fuoco! La serie animata del 1997 addirittura era commissionata dalla Fox Kids (!!!), sotto un controllo ferreo del network: compromessi come le armi sostituite con assurdi bazooka e la presenza di una bambina come "aiutante" dei due protagonisti non hanno impedito, nemmeno in quel caso, che il risultato fosse fedele all'essenza di Sam & Max. Che è tante cose: satira, surrealismo, demenzialità, humor cartoon, grottesco, parodia, sfondamento della quarta parete e anche scorrettezza politica, certo, ma ciò non rende Sam & Max uguali a South Park, che fa invece della provocazione sotto la cintura la sua stessa identità.
- Riflettendo su tutta la polemica, mi è venuto in mente di integrare con una considerazione finale il mio articolo "Chi me l'ha fatto rifare?" sulle riproposte. In ambito lucasiano e para-lucasiano, Sam & Max Save the World rappresenta (amara ironia della sorte) forse l'esempio migliore della magica "terza via" propria dei videogiochi, illustrata da me nell'articolo. Questa peculiare via di mezzo tra remake e restauro forse però si porta dietro anche una certa ambiguità nel modo in cui sviluppatori e utenti vi si rapportano. Utile notarlo.
- Le versioni originali degli episodi della Sam & Max Season One non spariranno, com'era stato detto. Saranno incluse come DLC su Steam (una volta superati alcuni problemi tecnici) e sono già disponibili come download extra su GOG, se si è comprata lì la remaster. Peccato che quest'ultima versione abbia mantenuto gli spiacevoli bug che aveva e di cui avevo parlato nella scheda... ma questa è un'altra storia che spero si riesca a risolvere.
Non ho altro da aggiungere. Mi dispiace anche appesantire l'ultimo aggiornamento di un anno non allegro con questi discorsi, però si tratta di argomenti che infuocano le discussioni ed è meglio provare comunque a parlare dosando le parole, sperando di intercettare orecchie serene. C'è chi, per placare gli animi, sta lavorando su una mod di ripristino per la voce originale di Bosco e i tagli.
Per chi ancora non ha smesso di leggere, segnalo che l'ultima patch 1.03 di Sam & Max Save the World contiene numerosi bugfix, la possibilità di disattivare il v-sync (utilissima per non andare in conflitto con i monitor a refresh adattivo), un opzionale sfondo scuro per i sottotitoli onde migliorarne la leggibilità e – addirittura – alcune battute di Bosco ri-registrate appositamente da Ogie Banks, con maggiore enfasi. Rimasterizzati a qualità più alta, sono ricomparsi su YouTube anche tutti gli extra della Season One un tempo presenti sul dvd-rom che i Telltale inviavano su richiesta.
La Skunkape è già al lavoro sul remaster della Season Two, come s'intuisce da questo ammiccamento visivo: che la Pazienza ci assista tutti.
Sam & Max - This Time It's Virtual, un nuovo filmato di gameplay
Sam & Max - This Time It's Virtual, prima avventura in realtà virtuale dei nostri eroi, si è mostrata con un altro video di gameplay e altri bozzetti del grande Peter Chan. Io sto provando con tutte le mie forze a farmi piacere quel che vedo, ma c'è da dire che i filmati tratti da un gioco in VR sono quasi sempre inguardabili per l'oscillazione della camera e l'ovvia assenza di inquadrature: nonostante tutto, continuo ad avere dubbi specialmente sul modello di Sam e la sua animazione, per me troppo robotici.
Nel frattempo, l'Oculus Quest 2 è uscito, sembra affidabile e non costa nemmeno troppo: per ora, complice la promessa di una versione del gioco anche slegata dalla VR, disponibile tempo dopo l'uscita principale, mi trattengo. O almeno faccio finta che a trattenermi sia quello e non la scarsa volontà di rischiare 350 euro (di questi tempi, poi!) su una forma di tortura per la mia chinetosi...
Tornano in vendita Wallace & Gromit, Strong Bad e TelltalÈs Texas Hold'em
Ormai i titoli della fu-Telltale sono sparpagliati per vari proprietari: il principale rimane l'LCG Entertainment, che con l'aiuto del publisher Athlon Games ha riavviato il brand generale e ogni tanto batte un colpo, firmando nuovi accordi di licenza e rimettendo in vendita altre parti del catalogo. Via Facebook ho già dato la notizia del ritorno di Wallace & Gromit's Grand Adventures su Steam e GOG, in perfetto tempismo con l'arrivo di un gioco in augmented reality, Wallace & Gromit: The Big Fix Up dei Fictioneers. A riapparire però su quegli store sono state anche altre vecchie glorie telltaliche, come il demenziale Strong Bad's Cool Game for Attractive People e TelltalÈs Texas Hold'em, il casual game primo titolo in assoluto realizzato dai Telltale nel lontanissimo marzo 2005! Un pezzo da museo, ma ancora oggi irresistibile per una partita veloce e un po' di relax senza impegno. Ottimo, c'è ancora della strada da fare per riproporre tutto, ma lento pede si arriva ovunque... coraggio.
Già che ci sono, vi segnalo che sono approdati su Good Old Games anche A Vampyre Story (per la prima volta senza DRM e a quanto pare anche in versione piuttosto stabile, seppur solo in inglese) e la megacollezione The Walking Dead - The Telltale Definitive Series.
Assortiti lucasdeliri italiani
Per chi fosse interessato alla Monkey Island 30th Anniversary Anthology della Limited Run Games, preordinabile fino al 31 gennaio 2021: è stato confermato che i giochi offriranno tutti la lingua italiana, tranne Tales of Monkey Island, che potrete però tranquillamente tradurre con le solite patch amatoriali.
Un lucasdelirante mio conterraneo, Giuseppe Domenico Torre, mi ha spedito una disamina di The Secret of Monkey Island: era troppo lunga per essere inserita nell'articolo celebrativo e non era solo un ricordo, quindi ho deciso di renderla sempre disponibile nella pagina stessa del gioco, raggiungibile dal menu generale della scheda di Monkey 1. In particolare ho apprezzato la sua riflessione sui colori. Un salutone e un abbraccio!
Mi ero già occupato del fangame Indiana Jones and the Relic of the Viking: la sua ultima versione comprende una traduzione in italiano, così anche gli appassionati italiani non anglofoni potranno giocarci! Un saluto ad Alessio Scanderebech, uno dei curatori della traduzione. Ricordo che si tratta di un minigioco a sé stante, non è più un demo del progetto Raiders of the Seven Cities, che è in corso di rielaborazione con un protagonista diverso, onde evitare blocchi legali da parte della Lucasfilm / Disney.
Se poi siete in vena di totali follie, Daniele Spadoni ha partorito uno dei suoi mix arditi, l'arcade The Fan Game - Loom and the Secret of Monkey Island!
Rescue on Fractalus ha un remake incredibile
Qui su Lucasdelirium è normale identificare David Fox con la sua avventura per eccellenza, Zak McKracken and the Alien Mindbenders. Non bisogna dimenticare però che il simpatico David considera il suo secondo miglior gioco realizzato alla Lucasfilm Games l'action Rescue on Fractalus! (1984), essenziale ma tecnicamente all'avanguardia sugli 8bit dell'epoca. Al comando di una navicella spaziale, seduti nel suo abitacolo, dobbiamo perlustrare la superficie di un pianeta per salvare piloti abbattuti da una razza aliena, difendendoci dagli attacchi del nemico: una sorta di Choplifter riletto però in 3D... nel 1984!!! L'engine muoveva le montagne di Fractalus in tempo reale, tramite routine che gestivano appunto frattali, magistralmente programmate da Loren Carpenter e Charlie Kellner.
David, Loren e Charlie, che avevano già sognato una decina d'anni fa un remake, hanno con entusiasmo fatto da consulenti per il progetto di Fractalus, rifacimento non autorizzato a cura di un folle fan programmatore, Luke Arnold, che lo ha rivisitato in Unity sgobbando per dieci anni! Potete scaricare liberamente il frutto del suo lavoro, giunto alla versione 1.0 e compatibile persino con i visori di Virtual Reality. Fox, commosso, ha commentato: "È esattamente come il gioco doveva essere, e com'era nella mia immaginazione (e forse anche nella vostra)!" Che bella frase e che bella storia.
#RescueOnFractalus fans! This is a brilliant work of passion over the past decade+. This is exactly how the game was supposed to be if, and how it was in my imagination (and probably yours too). VR version too! Congratulations @lsdwa! https://t.co/HAK7kVvtvv
— David Fox #CongratulationsJoeBiden (@DavidBFox) December 19, 2020
Okay, fine dell'aggiornamento e fine dell'anno.
Mi verrebbe di augurarvi Buon Anno, ma all'ultimo giro non ha funzionato molto. Facciamo così, uso le parole di un sommo indimenticato, immagino tirato in ballo da molti altri in queste ore: "L'anno che sta arrivando, tra un anno passerà, io mi sto preparando... è questa la novità!"
Un abbraccione,
Dom
2-12-2020
Mentre riempiamo le nostre borse dell'acqua calda e attiviamo eventuali gatti a ulteriore supporto termico, giunge a riscaldare gli animi questo nuovo aggiornamento, che devo dire sarebbe stato già fin troppo ricco senza una felice sorpresa, con la quale sono lieto d'andare a cominciare...
Sam & Max salvano il mondo... ancora una volta!
Nessuno se l'aspettava, ma la Skunkape Games di Dan Connors non si era limitata, come immaginavamo, a rilevare i diritti delle stagioni di Sam & Max, per mantenere in vendita quelle avventure episodiche dopo la morte della Telltale Games. Sorprendendoci come non fa di certo male in questo annus horribilis 2020, ha annunciato dei veri e propri remaster delle tre serie, a partire proprio dal remake della prima, che si ripresenta da oggi come Sam & Max Save the World per Windows su Steam e GOG (qui senza DRM), e sullo store Nintendo per Switch (con un'edizione fisica per questa console ventilata ma non ancora annunciata). Nel caso siate acquirenti su quegli store della prima versione, avrete uno sconto del 50% sul remaster. Se avevate acquistato invece dallo store Telltale, potete richiedere un apposito buono. Occhio, perché lo sconto non vale per la versione Switch. Gradita la disponibilità inoltre della monumentale colonna sonora di Jared Emerson-Johnson su Bandcamp, Steam e GOG (sugli ultimi due scontata del 15% per chi possiede la remaster): 82 tracce comprensive dei cinque brani nuovi.
Sono felicissimo di mostrarvi la scheda nuova di zecca di Sam & Max Save the World, che naturalmente non va a cancellare quella della Season One originale, così come, stando a una specifica risposta nelle FAQ della Skunkape, gli episodi originali saranno in futuro in qualche modo preservati: "Solo un maniaco farebbe una special edition e distruggerebbe gli originali!" (testuale). Il mio impegno tuttavia questa volta è andato oltre la semplice analisi della conversione grafica e sonora per il remake. Sono sicuro che qualcuno ricorderà le patch correttive che preparai per la traduzione italiana JoWood (e Steam) della Season One. I Telltale le avevano, ma erano state ufficialmente implementate solo nel primo episodio della versione Wii. Temendo che per la remaster la Skunkape stesse utilizzando quest'ultimo master confuso, li ho contattati tramite la pr Emily Morganti (risentirci dopo 12-13 anni sulla stessa cosa è stato surreale!), avendone la ferale conferma. A quel punto, col tramite di Emily, non solo il programmatore Randy Tudor è riuscito a ripristinare tutte le mie correzioni (saltate all'epoca per un bug), ma dal momento che dovevo comunque rigiocare gli episodi per la scheda, ho corretto altre cose che mi erano sfuggite la prima volta! Insomma, la versione italiana di Sam & Max Save the World rimasterizzato ora penso fili sul serio, però vi prego di non scrivere in giro che la traduzione è mia. Il discorso è più complesso di così e lo spiego meglio nella scheda nella sezione "SONORO".
Dimenticavo: bentornati Sam & Max!
The Secret of Monkey Island, un dietro le quinte coi fiocchi grazie alla Video Game History Foundation
Siamo ormai a novembre, così la celebrazione dei 30 anni di The Secret of Monkey Island volge ormai al termine (non dimenticate, se non l'avete fatto, di leggere l'articolo con i ricordi dei fan!). A fine ottobre tuttavia si è tenuta la diretta/chat con Ron Gilbert organizzata dalla Video Game History Foundation, dove il giornalista Frank Cifaldi ci ha fatto attraversare contenuti sul serio inediti dei sorgenti del gioco (e anche in parte di Monkey Island 2, come spiegherò). L'incontro era a pagamento, e devo dire che mai 10$ furono meglio spesi! Cifaldi ha comunque da pochi giorni messo a disposizione il video in differita per tutti, insieme a materiale extra, quindi quei dieci dollari erano di fatto una donazione per la fondazione che si promette di "spiare" con autorizzazione nei materiali di lavorazione di grandi classici videoludici. Durante la diretta eravamo in 700, ma altri hanno contribuito nei giorni seguenti, così Frank ha raccolto circa 13.000 dollari di cui "sarà fatto buon uso". Tenete aperta la pagina del loro blog mentre leggete i miei commenti o le mie integrazioni, perché avrete bisogno di un supporto visivo. ;-)
- Dopo un'introduzione con Ron, Cifaldi ha davanti ai nostri occhi riprogrammato una scena di Monkey 1, l'incontro coi "Pirati dall'aspetto importante": la sorpresa non è stata tanto nel vedere il codice SCUMM, dato che negli anni era stato fatto reverse-engineering per spiare nella sua sintassi, quanto nel vedere il processo naturale, senza alcun hack. Frank ha aperto il file in chiaro dello script SCUMM, ha operato le modifiche, ha ricompilato gli archivi con i veri tool di allora (!) e ha lanciato il gioco. Nella divertente dimostrazione, Cifaldi ha aggiunto una battuta in più nelle scelte di dialogo di Guybrush, "Voglio diventare un venditore!": a quel punto i pirati hanno trasformato Guy in Stan, dando al giocatore la possibilità di controllare proprio Stan! Tutto questo per dimostrare quanto fosse semplice e veloce improvvisare con lo SCUMM, e per spiegarci la differenza nel codice tra "actor" (il personaggio) e "costume" (l'aspetto che in effetti ha in grafica). Lo Stan controllabile insomma per il programma era sempre Guybrush, ma solo rappresentato dallo sprite di Stan.
- La tappa successiva è stata il tool FLEM, per manipolare e impostare gli ambienti. Frank ha aperto la location dello SCUMM Bar: non sapevo che le animazioni e gli elementi rimuovibili della scena erano in effetti contenuti nello stesso file di Deluxe Paint, alla destra dell'immagine principale. FLEM permetteva con un click dai menu di visualizzare la combinazione del fondale con questi elementi. BYLE era invece il tool per le animazioni: presentava comandi per l'orientamento nello spazio del personaggio (sinistra, destra, fronte, retro), combinava frammenti di "costume" per comporre i personaggi (per risparmiare spazio, ricordo che la testa e il corpo di Guybrush erano elementi diversi) e consentiva di testare anche le animazioni "speciali" per alcune sequenze. SPIT era invece il font editor. È stato molto bello vedere questi tool in azione, dopo averne sentito parlare negli anni, anche se Ron non rimpiange quell'epoca in cui dovevi crearti software per compiti così semplici: fortunatamente oggi si trovano molti prodotti di terze parti che alleggeriscono il lavoro. "Mi piace ancora programmare gli engine, ma di certo non programmo più editor di font!"
- Una cartina a matita di Mêlée Island disegnata da Ron mostrava già l'isola di Doppio Gancio e la rivendita di Stan, ma anche location scomparse di cui l'interessato stesso non ricorda affatto la natura: un "mining camp" e un folle "geek point"?!?! "Punta Geek non me la ricordo proprio, ma ora la voglio mettere nel prossimo gioco!" L'idea della rivendita di navi usate nacque perché Gilbert aveva da poco acquistato un'auto e si era sorbito venditori petulanti. Un'altra mappa mostra addirittura un arcipelago, con una "Forbidden Reef" tra Mêlée Island e Monkey Island: arrivava dal periodo in cui Ron aveva pensato il gioco come una sorta di rpg, che prevedeva viaggi per mare, azioni da corsari e non era del tutto lontano dallo spirito del celeberrimo Pirates! di Sid Meyer. Una sequenza di design abbozzata comprendeva la necessità di razziare per guadagnare risorse ("Perché tutti sappiamo quanto sia divertente il grinding!"), e s'intuisce che il protagonista del gioco avrebbe persino dovuto salvare la sua ciurma rapita! Si trattava proprio di brainstorming: come vi sarà evidente, molte di queste idee furono abbandonate. Forse è per quello che la Parte 2 di Monkey 1 è così breve...
- Sempre stando agli appunti, il reclutamento della ciurma consisteva nello scegliere tre persone in una rosa di cinque o sei: il pirata chiamato "Hanimal" avrebbe accettato di seguirci solo se gli avessimo dimostrato che il fratello di cui era in perenne attesa era già partito (nella chat il fan filologico ATMachine, un'altra vecchia conoscenza, faceva giustamente notare che l'enigma ricorda quello di Celso e sua moglie nel primo atto di Grim Fandango). Da ridere un misterioso gioco di parole scribacchiato su questa pagina, "Sails and Marketing". In un altro schema, s'intuisce che ci fosse una sequenza in cui avremmo abbordato la nave fantasma (ma c'era già la birra di radice come arma). Una delle idee preliminari immaginava che Doppio Gancio sarebbe stato rapito da un pappagallo nel terzo atto (dopotutto, i pennuti sono le sue nemesi!).
- Si passa quindi a parlare della "Scumm University", le lezioni che Ron Gilbert teneva ai nuovi programmatori arrivati, per mostrare loro come programmare in SCUMM. La prima classe, a memoria, fu composta da Tim Schafer, Dave Grossman, Tami Borowick e Jenny Sward. Per la prima volta, dopo averne sentito parlare negli anni, abbiamo visto gli sprite EGA di Sam & Max che Steve Purcell aveva preparato per i test di questi neofiti (pare che fossero associati alla location del loro ufficio, ora purtroppo forse perduta per sempre). Per animazioni e design sono molto più insicuri di quelli che avremmo visto rifiniti in Sam & Max Hit the Road.
- Ancora più emozionanti i ritrovamenti di grafica scartata nei sorgenti: un abbozzo di Fat (nella prima stesura Mutiny on Monkey Island era il governatore di Mêlée), un inspiegabile avvoltoio col bavaglino e una ballerina sexy con gamba di legno esibita (attribuiti a deliri di Purcell, al 90%) e soprattutto il primo Guybrush! Meno capelli, un po' più basso, con stivali marroni stile Monkey 2 e una fascia rossa alla vita, evidentemente ripresa nel suo look di Curse! Cifaldi poi ha scoperto che questo design è rimasto nello sprite rimpicciolito di 4 pixel, nelle schermate delle mappe, nella sola versione EGA. Ha ragione! Ho scattato e ingrandito uno screenshot come prova, i colori sono quelli (Ron: "Hai scoperto un errore di continuity! Qualcuno sarà licenziato!"). Segue un pirata ubriaco che si sarebbe incontrato nella sezione dei duelli: Gilbert rammenta di averlo scartato perché si supponeva fornisse insulti inservibili come depistaggio, ma avrebbe reso la sezione un po' troppo frustrante. Seguono un'animazione col crollo del ponte del troll (forse legata a una prima versione dell'enigma?), primi piani alternativi di Smirk ed Elaine, della quale viene mostrato anche uno sprite diverso. Ron dice che la scelta di scambiare Fat con una donna come Governatore fu suggerita dalla sua ragazza dell'epoca. A un certo punto era previsto un duello di spada con Shinetop, di cui è rimasta un'animazione schermistica.
- Sono sopravvissute due immagini con la prima versione della casa del Governatore, evidentemente ispirate alla villa Edison di Maniac Mansion (tanto che nel codice ci sono rimandi a una chiave sotto lo zerbino, un auto-omaggio totale!). Sapevate poi che il circo dei Fettuccini continuava sulla sinistra con un altro spalto? O che il ponte della nave nella Parte 2 proseguiva un po' sulla destra? Sapevatelo. Queste scoperte sono state possibili grazie al ritrovamento dei cosiddetti file "z-plane", quelli contenenti le aree in cui gli sprite dei personaggi non sarebbero stati visualizzati, per dare l'idea che passassero dietro ad alcuni elementi dello scenario. Gilbert ha spiegato che era l'unica maniera di far funzionare l'effetto con le CPU e le schede grafiche di allora, perché disegnare sullo schermo ambedue gli elementi per poi nasconderne uno sotto l'altro pesava troppo in termini di performance (naturalmente oggigiorno con Thimbleweed Park ha potuto farlo tranquillamente).
- Difficile spiegare il senso della carrucola nella prima versione del molo di Mêlée, però apprezzo molto che nella versione definitiva qualcuno abbia aggiunto il manifesto di Elaine, ma soprattutto il tocco di classe dei riflessi di luce dalle finestre dello Scumm Bar! Gustosa la versione preliminare del corso principale di Mêlée, con dei z-plane collocati in parapetti che Guybrush nel gioco finale non può raggiungere (ma li raggiunge randomicamente nel demo Passport to Adventure, dove peraltro ci sono pure i pirati che entrano ed escono dallo Scumm Bar sul molo, eliminati perché il giocatore avrebbe giudicato incoerente non trovarli poi nella locanda, una volta entrato). È veramente istruttivo vedere i passaggi preliminari su queste location storiche, come per il caso della strada con la chiesa e della prevendita di Stan: qui si notano alcuni elementi ancora solo delineati ma privi di colore o dettagli. Spettacolare per me una foto di una versione alternativa della location con la vedetta, con la prospettiva ruotata e il fuoco che suggestivamente colora di rosso tutto il muro sbrecciato. Mark Ferrari in piena forma sul serio.
- Dopo che Cifaldi manda in play un antidiluviano affascinante spot del 1990 per Monkey 1, è il turno delle location inedite! La stanza dell'idolo nella Casa del Governatore doveva in effetti esistere, prima che l'enigma fosse trasformato da Grossman in una delle sequenze più visionarie e spiazzanti del gioco: ne abbiamo visto una versione solo abbozzata e non colorata, di autore ignoto. Nel primo piano finale, Guybrush voltava la testa per guardare Elaine: un paio di fotogrammi molto grandi, tagliati per salvaguardare lo spazio sui dischi e i caricamenti (Frank ci mostra la scena completa al volo, reimplementandola, ma sono al 100% d'accordo con Ron: il movimento del solo occhio è più divertente). Giustamente scartata una versione alternativa dello Scumm Bar, dove la cucina e il molo erano parte della location, realizzati peraltro peggio, e non erano caricati a parte, probabilmente perché si voleva spingere il Cuoco a inseguire Guybrush in tempo reale. Visivamente spettacolare una location che anticipava il villaggio dei Cannibali: fu eliminata perché il suo peso non era giustificato dato che non vi accadeva nulla, e perché il suo tono sinistro e gore collideva con la successiva caratterizzazione più simpatica dei cannibali (c'era anche della paccottiglia assortita nel villaggio, persino un "divano" di una sala d'aspetto e una "rivista": era previso forse un medico dei cannibali?). La location è sopravvissuta nei file del porting VGA, sensibilmente alterata perché manca la visuale sul villaggio e... sensibilmente meno affascinante, devo ammettere.
- Nemmeno l'iconica schermata dei titoli di testa si è salvata da svariate iterazioni: Cifaldi è riuscito a ripristinare il fumo del falò acceso in cima, ma scopriamo pure che le luci del villaggio non sono state sempre così fioche, e che qualcuno aveva proposto un'inquadratura del tutto diversa, col villaggio al centro! Parere personale: la decisione di decentrarlo è più elegante, saggia correzione. Curiosa la scoperta di un codice che divideva la mappa di Mêlée in quattro parti, come succede con la mappa di Monkey nella Parte III, ricostruita per intero da Cifaldi! L'ideale presenza di porzioni di mare aperto suggerisce l'idea che lì Guybrush potesse spingersi a remare al largo.
- Scene tagliate! I cannibali (sicuramente Lemonhead, stando allo sprite sopravvissuto) affondavano nelle sabbie mobili e Guybrush li aiutava. Il giocatore avrebbe visto una sequenza in cui i cannibali entravano nella Testa di Scimmia, capendo così come fare: Cifaldi ha ripristinato parte dello script, ma le animazioni del cotton-fioc non erano state ancora realizzate quando poi la cutscene è stata cestinata. Il codice conferma una voce passata: in effetti ci sono tracce delle tre prove che Meathook / Doppio Gancio avrebbe richiesto al nostro eroe per entrare nella sua ciurma. Non che si capisca in cosa consistessero, ma i tag di alcune porzioni di fondali ne lasciano intuire l'esistenza. Dagli appunti di Gilbert sembra proprio che tra la vedetta e il molo ci fosse una location "scogliera", che in effetti Ferrari ricorda di aver disegnato e di aver purtroppo dovuto buttare per "ordini dall'alto".
- Ho trovato piuttosto comico che il famoso primo piano di Spiffy il cane dello Scumm Bar, presente sul retro della confezione, non sia stato rinvenuto nemmeno nei sorgenti. In effetti Ron dice di ricordare solo di aver riso molto in quel momento per lo sberleffo di un'immagine promessa ma inesistente nel gioco, però non ricorda per niente se la cosa fosse stata dovuta a un effettivo alleggerimento dei dischi, oppure fosse stata pensata proprio appositamente come scherzo. Se questo fosse il caso, mi spiegherei l'assenza del file perché forse il grafico responsabile dell'immagine lo passò direttamente al marketing. In compenso tra i sorgenti c'era lo sprite di tale Layla Thomas, protagonista di un'avventura persa nella notte dei tempi, "Top Secret", una storia spionistica. Cerchi l'aspettato, trovi l'inaspettato!
- Tagli per ragioni di spazio hanno anche spinto a eliminare da Monkey Island 2 cinque sequenze a tutto schermo (in realtà tre, perché due riciclavano la stessa grafica), con inquadrature creative e personaggi dettagliati, in cui Largo comunica a LeChuck che Guybrush ha trovato i pezzi di mappa: sono state tra le rivelazioni più entusiasmanti e spettacolari dell'incontro. Ovviamente le sequenze nel gioco pubblicato, come sicuramente ricordate, furono finalizzate invece con i classici sprite per guadagnare spazio, tranne una, tagliata in toto per ragioni assai sospette, ma preferisco parlarne nella news successiva. Non lo dico per fare proprio l'avvocato del diavolo a tutti i costi, ma queste inquadrature appaiono più affascinanti come screenshot che in movimento: le animazioni sono un po' legnose e di lì a poco con Day of the Tentacle si sarebbe fatto di meglio. Curiosa anche la location di una "cucina voodoo" nella Fortezza di LeChuck, presente nei sorgenti solo scannerizzata a matita ma non colorata, con probabili incantesimi da evocare a voce. Cancellata per ragioni perse nella notte dei tempi. Fortissima la prima versione dell'enigma "Se questo è X, questo cos'è?" su Phatt Island, basata invece sull'indovinare i colori delle bandiere dai nomi di alcune ridicole associazioni o gilde: gli acronimi delle loro sigle diventavano "BLUE", "GREEN" e via così. Non è stato discusso nello streaming, quindi non sappiamo perché sia stato modificato (ammesso che Ron ne ricordi il motivo). A parte queste differenze tutto sommato minimali, Cifaldi scrive che i sorgenti di Monkey 2 sono sorprendentemente uguali al titolo finito e pubblicato, suggerendo davvero che Gilbert, come lui stesso aveva dichiarato il mese scorso, fosse diventato un designer e capo-progetto più metodico, meno aperto all'improvvisazione.
class="col-12 first-paragraph-title titolonews">Ron Gilbert svela mezzo segreto di Monkey Island
Non è un mio perfido scherzo. Durante la diretta streaming del Video Game Source Project di cui sopra, al timecode 4:26:00-4:27:20, a bruciapelo e con nonchalance, Ron Gilbert ha sul serio rivelato quale ambientazione avesse all'epoca pensato per il "suo Monkey Island 3", nonché il modo in cui si sarebbe presentato l'arcinemico LeChuck. Curiosamente, non ho letto in giro articoli o pezzi su una simile bomba nucleare, a parte un ammiccamento goliardico di Mixnmojo, forse scambiato dai più come classica trollata. Eh no, questa volta Gilbert ha parlato sul serio. Forse la reticenza nel discuterne in giro è la stessa che ho provato io: è un mese che sono a conoscenza della faccenda, ma ancora non so valutare quanto i fan siano pronti a una rivelazione del genere. Ron non ha di certo rivelato il segreto, anzi come aveva detto il mese scorso ha aggiunto che, siccome gli altri giochi non suoi avevano già toccato elementi di trama su cui aveva meditato, dovrebbe realizzare un terzo capitolo alternativo non solo a Curse ma anche alla sua stessa idea d'allora, pur mantenendone lo "spirito". Stavolta però è entrato nel dettaglio della questione con un discorso di appena un minuto e mezzo. Ve lo riassumo in una frase, che però potrete leggere solo evidenziandola. Scegliete saggiamente (cito Indiana Jones and the Last Crusade - The Graphic Adventure): come Indy, in caso di errore potreste andare incontro a un veloce invecchiamento, se avete basato la sopravvivenza della vostra infanzia sul mantenimento del mistero! Scherzo. Scherzo?
Guybrush sarebbe finito all'inferno e avrebbe trovato LeChuck lì, tramutato in un demone/dio.
Okay. Se avete voluto leggere comunque, avete un atteggiamento filosofico come il mio sulla questione. La saga di Monkey Island è andata avanti come doveva andare, è stimolante anche per gli smottamenti autoriali che ha avuto nel corso degli anni, e se non altro questa notizia legittima uno dei Monkey non-gilbertiani molto più di quanto non fosse già legittimato (a mio parere). Come se non bastasse, nell'articolo seguente alla diretta di cui sopra, la Video Game History Foundation ha rivelato un'ulteriore sequenza a tutto schermo tra le cancellate di Monkey Island 2, nella quale LeChuck spiegava a Largo perché fosse importante che Guybrush non raggiungesse il Big Whoop. Se vi interessa approfondire tali questioni, ho a questo punto doverosamente aggiornato l'articolo sul segreto di Monkey Island e, in misura minore, anche quello sul Monkey Island 3 mai fatto di Ron Gilbert. Eh già, almeno il 2020 non sarà ricordato come un anno epocale solo per... quell'altra maledetta cosa.
Monkey Island Anthology: Ciak 2
Come ho comunicato su Facebook, la Limited Run Games ha annunciato una nuova versione della Monkey Island Anthology, in preordine dal 4 dicembre fino al 31 gennaio (il numero di copie prodotte dipende dal numero dei preorder). Cancellando la contestata precedente versione, il team ha rivisto i gadget concentrandosi (giustamente) più su The Curse of Monkey Island, e scegliendo come copertina della scatola un bozzetto alternativo di Steve Purcell per la cover di Monkey Island 2: è l'idea migliore del nuovo pacchetto, a parer mio, migliorato ma venduto a una cifra persino maggiore, ben 175 dollari. A grande richiesta, i giochi saranno anche presenti sui dischi (oltre che sull'a questo punto piuttosto inutile pendrive), in italiano ove già supportato: leggasi, per Tales of Monkey Island dovrete sempre usare le patch di traduzione amatoriali. Tutto il resto che ci sarebbe da scrivere... l'ho già scritto il mese scorso, quindi passiamo oltre!
Mike Stemmle "celebra" i 20 anni di Fuga da Monkey Island e ripercorre la sua carriera
Non mi sono dimenticato che Fuga da Monkey Island ha compiuto 20 anni questo novembre. Avevo già rivisto la scheda l'anno scorso in anticipo, considerandolo importante per giudicare al meglio il decennale del successivo Tales of Monkey Island dei fu-Telltale. Non mi sono dato a celebrazioni particolari perché so che il gioco è tutt'altro che amato, anche se negli ultimi tempi sta subendo una parziale rivalutazione: è un po' come accade ora ai prequel di Star Wars, all'uscita quasi sinonimo di porcheria, ma oggi trovi fan di una-due generazioni più giovani che t'insultano pure se ricordi quanto quei film fossero odiati, trattandoti come se avessi le traveggole. La verità è che conta anche l'imprinting: se qualcuno ha cominciato per caso Star Wars o Monkey Island dai prequel o dal quarto capitolo - ed è assai probabile che accada per chi ha meno di quarant'anni - non li potrà mai disprezzare, apprezzandoli per quello che hanno da dare in sé e non nel confronto col passato (e per la cronaca, forse perché non sono stato mai un fan sfegatato di Star Wars, non ho mai odiato i prequel). Ad ogni modo non c'era una vera necessità per me di ricalibrare la scheda di Monkey 4, perché spero di avere sempre mantenuto un giudizio equo ed equilibrato su quell'esperimento.
Chiudendo il lungo preambolo, Mike Stemmle, che fu co-responsabile sia di Monkey 4 sia di Tales, è stato ospite di un let's play sul canale di Cressup, occasione per una lunga intervista, che è andata ben oltre la quarta avventura del signor Threepwood. Riassumo le sue considerazioni fondamentali, stralciando tuttavia le informazioni riguardanti il nuovo Sam & Max: This Time It's Virtual, di cui parlo in una news apposita qui in basso.
- Guardando Cressup giocare, Mike rimugina sulla lunghezza della sequenza introduttiva di Monkey 4: in quel periodo andavano molto, anche perché erano un'occasione per realizzare scene con movimenti di macchina e più personaggi, precalcolate, troppo pesanti da fare col motore in-game. Si dispiace ancora che, sempre per evitare il carico sulle CPU e le schede di allora, Mêlée Island risulti così deserta nel primo atto.
- Il sistema di controllo era un tentativo di far evolvere quello di Grim Fandango, ma non era comunque comodo: Mike fu molto felice quando alla Telltale gli dissero di tornare sul punta & clicca.
- Conferma che Monkey 4 fu una commissione dei capi, anche se lui e Sean Clark avevano voglia di lavorarci, dopo aver sfiorato solo i porting del primo. Il 3D all'epoca veniva percepito come una soluzione più economica al 2D del livello di Curse, senza contare che ci si aspettava in quegli anni che tutti i giochi fossero in 3D per principio. Purtroppo Stemmle ammette che il team dei grafici stava ancora muovendo i primi passi nel 3D, e l'aver abbandonato l'uso dello SCUMM come engine fuse la complessità dell'apprendistato grafico con la creazione simultanea dei tool (iniziata ma non terminata con Grim Fandango). Morale? "Mai mettere la barca di un progetto in mare senza la tecnologia pronta a sostenerlo e mai fare due grosse cose nello stesso progetto". Per esempio si sarebbe potuto provare a usare il 3D ma all'interno dello SCUMM. Così com'è, Fuga rende purtroppo difficile anche un miglioramento semiautomatico delle remaster più economiche...
- L'approccio alla continuity fu molto lasso, si vedano le libertà con la scimmia robot e Herman Toothrot, però Mike sottolinea che alla Lucas non c'era un vero rigore verso un marchio, non esistevano "bibbie" da rispettare, c'era proprio una sensibilità diversa rispetto a quella attuale, giustamente più attenta a porsi domande sulla natura dei personaggi, del mondo e della storia.
- In Monkey 4 va molto fiero del cattivo Ozzie Mandrill, un'occasione per non riproporre per l'ennesima volta LeChuck. Adora l'idea dell'isola piratesca travolta dal merchandising, una trovata che per lui funziona (e condivido). Monkey Kombat? Se ne attribuisce la responsabilità: l'idea era quella di aggiornare il combattimento a insulti, già reso in rima in Curse e da loro stessi trasformato in braccio di ferro nel primo atto di Fuga. Voleva crearne una versione più veloce e stringata col Monkey Kombat, anche se rimpiange di non aver registrato più versi di scimmia per renderlo meno ossessivo: in ogni caso, il minigioco regge lo scontro finale, che si risolve con un "pensiero laterale" molto da avventura grafica, questo lo rivendica. È contentissimo del puzzle delle Paludi del Tempo, ma ammette di averlo quasi "scopiazzato" da un punta & clicca testuale di quel periodo, il secondo o terzo capitolo di Spellcasting: Sorcerers Get All the Girls di Steve Meretzky (Legend).
Ma obiettivamente come giudica il suo lavoro su Monkey 4, dopo vent'anni? Il 3D è primitivo, il terzo atto ha problemi di ritmo e una rivelazione sul trascorso di Herman Toothrot è davvero sballata: "Forse avevamo troppa urgenza di lasciare il segno sul marchio, sentitevi liberi di estraporarlo dal canone, a testate". In generale per lui "Monkey 4 è la scheggia impazzita tra Curse e il gioco dei Telltale, mettiamola così". - Mi ha fatto molto piacere che Mike sottolinei come il tema della commercializzazione sfrenata di qualsiasi cosa riflettesse nella storia il mercato e l'atmosfera di quegli anni, cosa che mi era venuto spontaneo notare nell'ultima revisione della scheda. Si sapeva già che le avventure grafiche avevano i giorni contati, che i giochi di Star Wars e di altro genere costavano generalmente meno da creare e rendevano di più. Persino alla Telltale, confessa, solo un paio di licenze portarono un reale forte profitto all'azienda (ma preferisce non dire quali). Fa anche un mea culpa: nel 2000 si accettavano come leciti molti enigmi in cui adesso non si riconosce più, pieni di backtracking e anche con troppi elementi randomizzati e deliberatamente frustranti, ripetitivi.
- Tagli sensibili alle idee originali? Molto pochi, che Mike ricordi: il puzzle stile pachinko su Monkey Island (quello delle rocce e delle bombe) era stato pensato da Clark più complicato, e c'erano più idee su come sfruttare le lezioni di pirateria di Miss Rivers. Ricorda i capricci viziati assurdi per ottenere voci celebri: fu loro negato per esempio addirittura Jeffrey Jones per il ruolo del direttore di banca ("Ma ha solo sei battute di dialogo! Lo facciamo venire per sei battute?"), ma vinsero su Edie McClurg per Miss Rivers. In generale non rammenta grossi impedimenti produttivi: "Segno che forse la LucasArts non ci sorvegliava come avrebbe dovuto!" Era più difficile calibrare nel budget il tempo necessario a creare un'altra inquadratura sulla stessa location, cosa che imponeva dei rerender dei fondali e nuovo codice per i movimenti di Guybrush.
- L'esperienza degli ultimi anni nel mobile e nel casual gaming lo ha fatto riflettere, perché lo ha sollevato dalle complessità di questi progetti titanici (include anche Fate of Atlantis), dove devi conciliare narrazione e gameplay. "In effetti una storia non è un gioco: puoi al contrario raccontare la storia di un gioco, come quando racconti a un amico com'è andata una partita di basket. C'è la narrativa emergente che vien fuori dal gameplay. Oppure puoi partire dalla storia, come alla fine fecero i Telltale: ho una storia con qualcosa, ma non è un gioco. A un certo punto diventarono interactive fiction, pure molto fighe, grandi esperienze interattive, ma smisero di essere effettivi giochi, non come li intendo io." Non che Stemmle ci veda niente di male, anzi conferma di aver fatto da consulente per questo tipo di produzione di recente, per l'ora chiusa Fogbank Interactive, poi prosegue con un'altra opzione: "Puoi avere una storia in un puzzle game, ma è giusto una cornice, anzi faresti meglio quando progetti il gioco a non farti intralciare dalla storia".
- Mike suggerisce di non sottovalutare quanto sia diventato complesso proporre le dinamiche del classico punta & clicca in un contesto più cinematografico e doppiato: più diventi sofisticato nella coreografia, più è difficile garantire l'appagamento interattivo del giocatore (non a caso nei giochi Telltale dell'ultimo periodo le conversazioni erano a tempo e dovevi intercettarle). Alla fine forse il mantenimento dell'essenza dell'adventure antico è inversamente proporzionale alla coreografia, magari anche per questo gli indie in pixel-art o addirittura le nuove avventure testuali la garantiscono meglio.
- Ora sente di essere diventato un game designer migliore, per lo meno più in grado di calibrare storia e azioni richieste al giocatore in quell'ambito: forse oggi in un contesto piratesco non darebbe la precedenza al manomettere una catapulta e al parlare con avvocati! A dir il vero il passo avanti sente di averlo fatto già alla Telltale (concordo, il suo quarto episodio di Tales per me è un gioiello vero): rivendica il grande studio che lì fecero lui e i colleghi sul sistema di aiuti intelligenti e regolabili, che per la cronaca fu introdotto con la Sam & Max Season Two a fine 2007.
- Qualcosa sul suo primo gioco da autore, Sam & Max Hit the Road. L'idea del bigfoot da salvare fu di Steve Purcell, basandosi molto liberamente sulla storia "Sam & Max On the Road" di qualche anno prima: la difficoltà era nel trovare la giusta chiave per i dialoghi dei personaggi. Purcell è duro da imitare, ci spiega Mike: "Mette sempre l'aggettivo sbagliato nel posto giusto! Non cade nella mia trappola di compiacersi per quello che scrive, sa quando essere semplice ma con la giusta dose di stranezza". Il pitch del progetto fu di appena tre pagine, tanto era sufficiente alla LucasArts in quel periodo per sottoporre un gioco all'approvazione (magari oggi fosse così facile!). Come al solito il team divenne una famiglia: durante la lavorazione Steve si sposò con la codesigner e grafico Collette Michaud e tutti furono invitati al matrimonio, che come sposini sulla torta aveva guardacaso Sam e Max (il secondo in candido abito da sposa). Anche se nel corso degli anni il gusto di Purcell è cambiato, perché ha ridotto la violenza che c'era nei primi fumetti di Sam & Max, ha sempre amato il kitsch retrò (come i pupazzi dei ventriloqui) e le follie surreali, quindi parte del design di Hit the Road consisteva nell'espandere cose che al massimo lui avrebbe messo sullo sfondo in una vignetta, come per esempio il bungee-jumping dalle narici dei Presidenti. Sforarono di poco il budget, forse anche per le derive sperimentali sue di Clark con lo SCUMM nei minigiochi (va molto fiero del Car Bomb!), però il risultato valse lo sforzo in più.
- Capitolo Sam & Max Freelance Police, dolorosissimo: "Sembrava che l'atmosfera in azienda fosse la stessa di Hit the Road, ma non lo era. Sono sempre stato bravo a isolarmi dai piani alti, ma mi ha fatto male: rimasi sotto shock quando ce lo cancellarono". Era un progetto molto ambizioso, episodico ma con le puntate confezionate insieme, pieno di minigiochi che sarebbe anche stato possibile riaffrontare per migliorare i propri record. C'era un episodio su una stazione spaziale costruita dai paesi del terzo mondo, dove Sam e Max avrebbero affrontato un'intelligenza artificiale basata sui Nacho, in uno scontro alla Tron con una specie di Master Control Program. "Forse avremmo potuto limitarci al design dell'avventura, ma continuavamo ad aggiungere gameplay". Aggiungo che nell'intervista che riassumo nella notizia successiva, Mike e Dan hanno rivelato che tra i minigiochi previsti c'erano anche una simulazione di biglie, un clone di Dance Dance Revolution e addirittura un proto-Rocket League! Stemmle rivela inoltre che l'avventura ricordata da Sam nel casual Poker Night at the Inventory 2 era di fatto gran parte della trama di Freelance Police! Cressup non si trattiene: ma sarà mai possibile recuperarlo, visto che Mike stesso stima fosse completo al 70%? È difficilissimo, perché avevano commesso di nuovo l'errore di costruire un engine apposta, quindi oggi salterebbe ogni automatismo nel tentare di riavviare quel codice. Lui possiede tutte le sequenze precalcolate, mentre fa capire che "altri" (sorride) hanno il materiale completo. La sensazione è che però sia da considerarsi una pratica chiusa. Hmmm...
- Ci sono state diverse idee mai concretizzate negli anni alla Telltale: un gioco di Venture Bros, un altro dedicato ai Gorillaz ("Mi sa però che il Mike Stemmle quarantenne non era hip abbastanza, ne sarebbe venuto fuori un assurdo Scooby-Doo"), un altro ancora, quando la LucasArts aveva rapporti con loro, era un approccio umoristico-lovecraftiano a Maniac Mansion (con Tentacoli "cthulhiani"). Parlando del mondo lucasiano alla Telltale, Mike ritiene che si debba riconoscere quanto abbiano dato rispettivamente Jake Rodkin per i suoi contributi "finalizzanti" a Tales of Monkey Island e Chuck Jordan a Sam & Max (specialmente nell'ultima stagione).
- Altre avventure grafiche che abbia amato, a parte quelle della LucasArts? Gradiva parecchio i giochi Sierra, trova che i punta & clicca di Star Trek siano stati ottimi nel cogliere lo spirito della licenza e nella qualità della scrittura, apprezza molto la saga di The Walking Dead dei Telltale (era ancora lì quando partì ma non ci ha mai lavorato). Aggiunge inoltre un potente (per l'epoca) tool per creare avventure grafiche su Mac, World Builder. In questo periodo gioca con i suoi figli a The Sims, divertendosi parecchio, e anche diversi casual game, ma quando i pargoli giocano a Fortnite non partecipa, però lo affascina il suo funzionamento economico: "Non dovrebbe teoricamente fare soldi, ma li fa perché ci giocano milioni di persone". In famiglia attendono anche il nuovo Zelda, mentre s'intrattengono con Among Us, che apprezza molto. I suoi figli hanno giocato le sue cose? Qualcosa, ma a loro risultano esperienze molto lente ("Come paragonare i vecchi film di Superman ai cinecomic di oggi").
- Se qualcuno ora vuole lanciarsi ed entrare nel mondo dei videogiochi? "Cominciate facendo il vostro, buttatevi, oggi non c'è molto lavoro tecnico da fare con tutti gli engine che ci sono in giro! Buttatevi, anche se pensate che quello che avete non sia un granché, cercare di dare vita al gioco sarà già un buon modo per iniziare ad imparare".
Sam & Max: This Time It's Virtual, nuove informazioni
Abbiamo già avuto modo di parlare di Sam & Max: This Time It's Virtual, il nuovo titolo in VR dedicato ai personaggi creati da Steve Purcell, visti per l'ultima volta all'opera una decina d'anni fa appunto dalle parti dei Telltale. Oltre ad aver presentato un nuovo video di gameplay (in previsione di un'uscita nella primavera del 2021), lo sviluppatore Happy Giant, nelle persone del capo-progetto Mike Levine e di Mike Stemmle, ha partecipato a un'intervista congiunta tenuta da The Escapist in compagnia di Dan Connors della Skunkape: i due gruppi si stanno coordinando tramite Purcell stesso, anche se artefici del primo contatto pare siano stati Jared Emerson-Johnson & Julian Kwasneski, naturalmente al lavoro con la Bay Area Sound su musiche, sound design e doppiaggi. Il mito di Sam & Max è in questo modo alimentato con coerenza. La cosa ha più di un valore simbolico, dato che dello storico Sam & Max Hit the Road Stemmle fu co-capo-progetto, Levine tecnico grafico e Connors capo-tester! Salto qui le informazioni che vi ho già fornito sul remaster della Season One, mi concentro sulle nuove informazioni riguardanti This Time It's Virtual, stralciandone altre da quanto dice Stemmle sul gioco, nell'intervista riassunta da me nel paragrafo precedente.
- Mike Stemmle non è stato coinvolto nel progetto VR di This Time It's Virtual sin dall'inizio: quando il suo lavoro presso la Fogbank Entertainment si è concluso all'improvviso, è stato contattato dalla Happy Giant per lavorare sul gioco già avviato, dietro licenza di Steve Purcell. Il problema con la RV e Sam & Max è che, narrativamente, non avrebbe senso far diventare il giocatore Sam o Max. In un gioco normale li controlli, ma impersonarli letteralmente gli suonava sbagliato, quindi è stata recuperata una vecchia idea, quella di un'accademia "Freelance Police" in cui l'utente diventava una recluta di Sam & Max, superando prove "iniziatiche" per dimostrare di essere all'altezza del loro delirio.
Detto questo, il gioco avrà una trama e un cattivo, non sarà solo una sequenza di minigiochi. Anticipazioni? Il cattivo si rifarà al "kitsch anni Cinquanta" e una delle giostre del luna park misterioso e abbandonato dove si svolge la vicenda ricorda un'attrazione ormai chiusa di Disneyland che a Stemmle piaceva molto. Per avere un'idea della vr, nonostante Stemmle avesse già lavorato in chiave minore su titoli del genere presso la MunkyFun, ha comprato un Oculus. Ci saranno sezioni adventure, non soltanto minigiochi, persino una randomizzata in stile "escape room": è uno dei modi di trasferire la logica delle avventure grafiche nella RV.
Tuttora Mike pensa che scrivere per Sam sia una maggiore sfida che inventare battute per Max, perché è facile sottovalutare quanto possa essere spassoso il cane, e usarlo solo per comunicare informazioni. Un gioco in VR tra l'altro alleggerisce la scrittura più meccanica, perché la possibilità di osservare nel dettaglio gli elementi dell'ambiente sostituisce i classici commenti descrittivi, lasciando spazio alla creatività per dialoghi più divertenti degli altri personaggi, in questo caso Sam & Max, i cui botta e risposta servono anche a riempire i momenti morti in cui l'utente si sta orientando nello spazio e non dev'essere abbandonato a se stesso (dopotutto non stanno mica realizzando un Myst).
- Con Purcell hanno pensato di fare qualcosa di diverso con la licenza di Sam & Max: la realtà virtuale, per la quale l'Happy Giant ha già creato giochi, si prestava a questa volontà di spiazzare le aspettative, oltre a chiamarsi fuori dai generi codificati, potendo oscillare tra minigiochi d'azione e prove più da avventura grafica. Finora è stato mostrato solo materiale relativo alla fase d'addestramento in questa "accademia", insieme a qualcuno dei percorsi ideati da Sam e Max per portarci al loro livello, però il clou del gioco è proprio il luna park abbandonato, progettato interamente da Peter Chan: lo storico illustratore lucasiano stava già negli ultimi tempi collaborando a produzioni pensate per la realtà virtuale e per Levine è stato fondamentale anche al di là del suo contributo grafico, proprio per le idee di ambientazione e design che ha suggerito. Per Levine e tutti i mebri del team, che hanno lavorato sui personaggi quasi trent'anni fa, condividere uno spazio col cane e col lagomorfo è un'esperienza davvero surreale (e ha frastornato persino lo stesso Purcell). Stemmle dice: "Nella prima scena del nuovo gioco, esci da un cassonetto in fiamme e ti ritrovi a parlare con Sam lì davanti a te. È pazzesco l'effetto che fa, davvero."
- Sam & Max: This Time It's Virtual, che prevedono lungo tra le quattro e le sei ore, non sarà esclusiva di una sola piattaforma VR, a tempo debito le annunceranno tutte. Levine rassicura chi non è attrezzato per la Realtà Virtuale: è già nei piani una versione del gioco slegata dalla VR, ma non sarà disponibile da subito. Al momento si stanno focalizzando su dare il meglio in funzione dell'esperienza virtuale, sulla fruzione alternativa del titolo preferiscono concentrarsi a posteriori.
- Il gioco, grazie alla collaborazione creativa e di marketing con la Skunkape, potrà citare musiche o elementi delle stagioni Telltale (ma senza esagerare): purtroppo è legalmente più difficile citare Hit the Road, però gli in-joke sono più semplici delle citazioni esplicite... e comunque già ambientare la storia in un luna park ammicca alla logica delle attrazioni nella prima avventura grafica. Obbligatoria a questo punto la citazione della finta-VR in una scena di Hit the Road.
- Spoiler per i VERI appassionati dei fumetti di Sam & Max: in This Time It's Virtual ci sarà il passatempo preferito dei due, il Fizzball! Per chi non lo sapesse, è una specie di baseball in cui bisogna colpire lattine di bibite gassate con una mazza (ovviamente bagnandosi, quindi meglio dotarsi d'impermeabile!).
Dave Grossman per i 30 anni di The Secret of Monkey Island
L'intervista a Dave Grossman sui 30 anni di The Secret of Monkey Island, tagliata e inserita nel bel documentario del fan Onaretrotip, è stata resa disponibile nella sua interezza. Insieme a Stemmle di cui ci mi sono occupato prima, è uno degli autori lucasiani più sottovalutati: ci si concentra molto sui capolavori di Gilbert e Schafer, ma si sorvola su quanto Grossman abbia dato in termini puramente quantitativi e umili al genere dell'avventura grafica, dalla LucasArts ai Telltale passando per la Humongous. Giusto dargli voce. Estrapolo e traduco.
- Dopo un master all'Università di Berkeley alla fine degli anni Ottanta in intelligenza artificiale, capì che la carriera del professore universitario che aveva accarezzato poco tempo prima non lo convinceva più. Dave aveva voglia di divertirsi.
- Proprio a Berkeley in un centro di collocamento notò un avviso per un posto alla Lucasfilm Games: non pensava si potesse vivere di videogiochi, ma era incuriosito. Da ragazzino aveva smanettato su Colossal Cave tramite un terminale di sua madre programmatrice, e si era divertito a riprogrammare in linguaggio APL Hunt the Wumpus, così mando il curriculum. David Fox lo chiamò per un colloquio, perché alla voce "interessi" aveva scritto "succo di mela". L'incontro andò male: il colloquio era di mattina (quando Dave non rende affatto), e sembrava un'interrogazione, con David, Ron e altri che a poco a poco abbandonarono la stanza mentre lui parlava. "Sono meglio nel pomeriggio, magari dopo un caffè", Grossman disse a Fox, imbarazzatissimo e sicuro di non aver convinto nessuno. Anche per questo, quando diverse settimane dopo lo chiamarono per un secondo colloquio, rimase sinceramente stupito: stava già cercando un altro lavoro!
- Nonostante si fosse preparato sulle avventure col primo Leisure Suit Larry, quando lui e Tim Schafer arrivarono alla Lucasfilm Games partirono dalla gavetta del testing, sul non esaltante Indiana Jones and the Last Crusade - The Action Game e Their Finest Hour - The Battle of Britain, quest'ultimo una vera tragedia, per lui negato nei simulatori di volo arcade: ricorda che comunicava solo bug relativi a situazioni da pura schiappa, come "cosa succede se ti schianti dieci volte di fila in picchiata". Per fortuna aveva fatto colpo nella "Scumm University", dove si scatenò e creò un minigioco più esteso con Sam & Max, facendosi passare dai grafici un fondale di Maniac Mansion e ipotizzando una scena in cui i due investigatori venivano teletrasportati e Max diventava una mezza mosca, in stile cronenberghiano.
- Finalmente giunse il giorno in cui Ron Gilbert chiamò in disparte lui e Tim Schafer, con la fatidica domanda: "Sto preparando un gioco sui pirati, volete farlo con me?" L'apporto di Tim e Dave non comprendeva il lavoro sull'engine SCUMM vero e proprio, ma la finalizzazione degli enigmi che venivano discussi giornalmente con Ron in sessioni di una-due ore, dopo le quali andavano alle loro scrivanie a compilare lo script delle stanze, con le "direttive di scena" per oggetti e personaggi, scrivendo via via i dialoghi.
- Grossman ricorda distintamente il giorno in cui capirono che Monkey Island era qualcosa che funzionava davvero per qualcuno al di fuori del team: lui stava allestendo la scena dei Fratelli Fettuccini, mentre all'altra scrivania Schafer creava la contrattazione con Stan. Vari colleghi guardarono le sequenze e risero di gusto.
- All'epoca era troppo giovane per apprezzare la libertà creativa di cui godevano. L'unica pressione era finire il gioco per settembre, onde intercettare le vendite natalizie. Ma d'altronde era più bello andare in ufficio a lavorare, allo Skywalker Ranch, che passare il tempo nell'appartamento medio dei ventenni che erano allora. Non si doveva nemmeno uscire per mangiare, il cibo alla mensa era così buono che Dave a volte si portava gli avanzi a casa per la cena! Ed era uno spasso scherzare con tipi come Steve Purcell, che ancora maneggiava la frusta di Indiana Jones con la scusa di doverla animare per Indy 3 (in realtà già uscito da mesi!). Significativo dell'atmosfera di quegli anni è vedere Dave nel video seguente, con bandana piratesca indossata per questo servizio di un telegiornale sulla Lucasfilm Games. Coincidenza, la schermata di Monkey 1 mostrata nel video è proprio quella riaffiorata col lavoro della Video Game History Foundation!
- Consigli pratici per progettare un'avventura grafica da Dave: 1) Creare la storia, dividerla in atti, assegnare un obiettivo a ogni atto, creare dei sotto-obiettivi per quell'obiettivo, scomporre i sotto-obiettivi in azioni; 2) Assicurarsi che in giro per le location non ci siano potenziali ma non previsti modi per risolvere un enigma, alternativi a quello che avete pensato e che il giocatore dovrebbe seguire. In soldoni, se volete che il giocatore s'industri in modo creativo per raggiungere un posto in alto, assicuratevi che in giro non ci siano scale in bella mostra appoggiate su un muro, magari a scopo decorativo e non utilizzabili. 3) Morire in un'avventura grafica? Non è un tabù, l'importante è che accada in un modo logico e non disonesto, come sgambetto: accettabili le morti in un Indiana Jones perché un nazista ci ha atterrato, ma non gradisce una morte improvvisa (nello stile di alcuni giochi Sierra), in cui siamo puniti senza un ragionevole preavviso, per un'azione rischiosa che non pareva tale. Se n'è preso gioco personalmente, creando la celebre gag contro la Sierra con l' "albero di gomma" proprio in Monkey 1, organizzando di persona persino la grafica dello sketch. 4) La non-linearità degli enigmi è importantissima, ma non da subito. Alla gente non piace che le sia detto esattamente cosa fare, però non le piace nemmeno sentirsi del tutto persa. Tutto sta nel centrare l'equilibrio. 5) Prima di tagliare un enigma per il feedback negativo di un playtest, si può valutare se inserire qualche indizio in più per risolverlo. Onaretrotip suggerisce, col mio pieno accordo, che con Day of the Tentacle lui e Tim abbiano raggiunto l'apice di questi equilibri. Se poi vi interessa toccare con mano le capacità di analisi di Dave quando si parla di adventure, vi consiglio il suo articolo "Viaggio nel mainstream - Giochi per mia suocera", che ebbi anni fa l'onore di tradurre qui su Lucasdelirium dopo avergli chiesto il permesso.
- Le cose che gli piacciono di più di Monkey 1, col senno di poi? L'enigma delle tazze, gli insulti, inseguire il negoziante: tutto quello che spezza la routine dei soliti enigmi delle avventure.
- "Non mi stupisce tanto il fatto che all'epoca avessimo creato qualcosa di buono e divertente, ma il fatto che ancora oggi sia considerato buono e divertente."
- Lavorerebbe su un ipotetico terzo Monkey Island di Gilbert, visto e considerato che ha preso parte alla lavorazione di Tales of Monkey Island alla Telltale? Dave spiega che, quando i Telltale ottennero la licenza, era terrorizzato dalla responsabilità e assolutamente stranito dal fatto che, per ragioni legali, non potesse sulle prime nemmeno parlarne con Ron e Tim, cosa che per lui, nel contesto monkeyislandiano, era del tutto istintiva. Alla fine ottennero la breve consulenza di Ron per qualche giorno. Grossman considera intrigante il risultato finale di Tales, più cupo e maturo rispetto ai primi giochi, in un certo senso perché forse riflette la sensibilità di quarantenni, mentre i primi due capitoli erano riflesso di ventenni in preda alla goliardìa. In effetti, fare insieme un altro Monkey Island raggiungendo la sessantina potrebbe essere un altro interessante esperimento: cosa mai ne verrebbe fuori?
Mark Ferrari sulla pixel art e The Secret of Monkey Island
Il fan Onaretrotip ha caricato online anche l'intervista sfusa a Mark Ferrari per il suddetto documentario, negli stessi giorni in cui uno dei re della pixel art anni 90 ha parlato anche ai microfoni del podcast Retro Tea Break. Estrapolo e fondo i concetti (simili) di entrambe le conversazioni.
- Mark scherza dicendo che la sua carriera è partita trovandosi nel posto sbagliato, con la cosa sbagliata ma al momento giusto: ha deciso tardi di dedicarsi all'illustrazione, dopo averne capito le capacità evocative e narrative, a quasi 30 anni. Poche settimane dopo aver pubblicato i primi lavori per la Chaosium, capitò nel 1987 in una convention di fantascienza con un suo primo portfolio. Quando si capì che aveva eseguito le piccole illustrazioni con i pastelli e non dipingendole (una sua specialità, copertina di Loom inclusa), diversi professionisti affermati come Tom Kidd iniziarono a parlare di lui in quel fatidico weekend. Nella stessa convention, dove vinse peraltro inaspettatamente un premio, a quel punto intercettò Gary Winnick, reduce da Maniac Mansion: gli chiese se gli interessasse lavorare per la Lucasfilm Games. "Ma io non so niente di giochi, io e la tecnologia non ci siamo nemmeno presentati. Per quanto voglia lavorare per la Lucasfilm, davvero hai sbagliato persona!" - "Non fa niente, meglio spiegare la tecnologia a un artista vero, che cercare di trasformare un programmatore in un artista!". Non ci credeva: alla fine del primo weekend di lavoro, aveva già un colloquio per un potenziale ingaggio. Come allineamento dei pianeti, chiamò suo padre per dargli la notizia, e scoprì che aveva appena comprato un computer Atari (forse un ST?). Si precipitò a casa dei suoi e quella sera stessa fece delle prove per capire "cosa fossero i pixel". Il colloquio e la prova alla Lucasfilm Games anche per questo colpo di fortuna andarono meglio del previsto. Ripensandoci, in un solo fine settimana ebbe l'occasione di lavorare per la Lucasfilm e un invito da Tom Kidd a incontrare degli editori per le sue illustrazioni: "Treni che passavano, non ero pronto, ma dovevo farmi trasportare". Del suo arrivo il primo giorno alla Lucasfilm Games per la prova, ricorda la strada di campagna tortuosa, impossibile da incocciare per sbaglio se non sapevi dove andare.
- Non si era mai considerato un "pixel artist" finché non è stato chiamato così durante Thimbleweed Park: "Io, i miei colleghi, anche gli artisti alla Sierra, non eravamo pixel artist. Eravamo persone che avevano un trascorso e una formazione da illustratori tradizionali, e scoprimmo che tutte le tecniche che sapevamo usare non si potevano applicare a quella risoluzione lì e a quegli orribili 16 colori EGA! I colori saturi servono, se inseriti in mezzo agli altri, ma come fai a illustrare solo con colori saturi? I pixel erano una sventura tecnologica che dovevamo in qualche modo compensare. Non li amavamo mica i pixel, ci combattevamo! Però amavamo cercare il modo di piegarli." Mark racconta poi di nuovo l'aneddoto che costrinse Ron Gilbert ad aggiornare lo SCUMM con la possibilità di comprimere le immagini realizzate col dithering. Il dithering, cioè la tecnica che alterna a scacchiera due colori per suggerirne un terzo, all'epoca si appoggiava alla scarsa definizione dei monitor, che alimentavano al meglio l'illusione: tuttavia, al suo primo lavoro con i fondali della versione "Enhanced" di Zak McKracken, fu impedito a Ferrari di usare il trucco, perché le immagini avrebbero occupato troppo spazio sui dischi. Lo SCUMM infatti in quel momento era in grado di comprimere le variazioni verticali tra un pixel e l'altro, ma orizzontalmente il cambio di colore pesava moltissimo. Alla fine Mark usò solo i colori pieni, tentando almeno di cambiarli spesso dall'alto verso il basso. "So che ora è considerato un classico EGA, ma io ancora oggi non riesco a guardare le schermate troppo a lungo!" Nel tempo libero realizzò quindi un tramonto EGA tramite dithering, e per provocazione lo lasciò aperto sul suo PC un giorno mentre staccava per la pausa pranzo (che allo Skywalker Ranch poteva durare anche un'ora e mezza, tra cibo eccezionale e tempo perso a guardare George Lucas con qualche ospite, tipo i Rolling Stones!). Al suo ritorno in ufficio, scoprì che lo stratagemma aveva funzionato: il presidente Steve Arnold stava animatamente chiedendo lumi a Ron Gilbert sul perché non si potessero fare immagini così nei loro giochi! Il dithering fu implementato (e il tramonto non fu buttato, fu inserito più avanti al largo di Mêlée Island, all'inizio di Monkey 1!). D'altronde per lui i colori EGA si prestavano molto ai tramonti, e anche il blu non era male.
- Loom fu la prova generale del dithering alla Lucasfilm Games: fu bello quando nell'ambiente lo si scambiò per un gioco in VGA e non EGA, proprio perché la tecnica aveva aperto orizzonti mai immaginati, anche se Ferrari sottolinea come Loom portasse il marchio della rivoluzione a 360°, anche nel design sperimentale di Brian Moriarty. Mark considera comunque le schermate di Mêlée di Monkey 1 la sua "specializzazione", dopo un breve impegno sull'action Pipe Dream.
- Non si considera un giocatore, i videogiochi ha sempre preferito farli che giocarli. Vedeva solo le sfide grafiche e le soddisfazioni personali in quel ramo specifico che lo riguardava: l'illustrazione, in quel periodo della sua carriera "elettronica". Spingeva per svolgere al meglio la sua mansione, e a posteriori si scusa per essere stato un "gran rompiballe", che in fondo se ne fregava dei limiti tecnici e del game design, puntando solo a dare il meglio sulla grafica (e sugli ambienti nello specifico, perché non ha mai amato disegnare personaggi o animarli). Ma col senno di poi con questi atteggiamenti alla LucasFilm Games ci si spingeva reciprocamente a migliorare. D'altronde, tutti erano in modalità sperimentale, perché non c'erano ancora troppe regole produttive e commerciali riguardanti la produzione di videogiochi: secondo lui una simile libertà si è recuperata solo ora con i lavori indipendenti distribuiti online.
- D'altra parte bisognava pensare in modo creativo, perché i tool in sé erano lenti e limitatissimi, se paragonati a un Photoshop di oggi. Per le sue schermate EGA Ferrari usava il Deluxe Paint 2 dell'Electronic Arts: "Quanti menu c'erano? Otto? Imparavi ad usarli in un giorno. Eri obbligato a spingerti al limite, perché il limite lo raggiungevi davvero". Oltretutto, erano tool che rimasero più o meno stabili per dieci anni, dandoti sul serio il tempo di diventare un maestro a usarli: oggi il ricambio di versioni e applicazioni è così turbinoso che è molto più difficile stargli dietro. Ci si abituava così tanto alle limitazioni, che quando tra Zak e Loom arrivarono nuovi PC a 33Mhz con hard disk da 50Mb tra di loro si diceva: "Ma che ce ne facciamo? Sono troppo potenti! Che spreco!"
- Le difficoltà si superavano insieme ed era naturale: i team di sviluppo veleggiavano tra le sei e le dodici persone, era molto facile che ogni reparto comunicasse con gli altri e una mansione ispirasse un'altra. Anche se ognuno era specialista nel suo ambito, tutti si sentivano in libertà e in dovere di discutere ogni aspetto delle esperienze che costruivano. La stessa gag del "Guybrush" ispirato dal file "guybrush.lbm" nacque spontanea da una riunione di brainstorming di tutto il team e da una battuta di Purcell. A proposito dei "brush", Mark rammenta che diventò bravo a usare queste "porzioni di grafica" per creare rapidamente fondali con elementi ripetitivi, tipo un albero pieno di fogliame, per poi ritoccare: sembra assurdo adesso, ma si accorse che la maggior parte dei suoi colleghi non aveva pensato di usare i "brush" per velocizzare il lavoro in quel modo.
- Perché lasciò la Lucasfilm Games dopo tre anni? Accadde più o meno quando si trasformò in LucasArts Entertainment Company, tra il 1991 e il 1992, trasferita in un'altra sede a San Rafael, lontana dal ranch: il magico scambio di creatività si era vaporizzato, era spuntato l'open space con i divisori, George aveva un po' perso interesse sperimentale verso i videogiochi, così i capi della situazione stavano per cominciare a pensare sin troppo al ritorno economico. Era arrivato il momento di passare oltre.
- Per fortuna tutta l'esperienza che aveva maturato alla Lucasfilm Games era pronta a sbocciare negli impegni futuri, perché la VGA a 256 colori era diventata uno standard di mercato, e con la sua tecnica del color-cycling fu in grado di garantire a nuovi committenti animazioni ambientali senza pesare sugli asset e sulle CPU. Il suo curriculum però non è vasto, perché ha lavorato molto nel campo della concept art digitale: gli chiedevano spesso fondali spettacolari per pitch di giochi mai prodotti, era pagato per materiale che pochi hanno visto. L'arrivo del 3D e della modellazione spartana della metà degli anni Novanta lo spinse fuori dai giochi: era evidente che le etichette pensassero di poter campare di rendita sugli automatismi del rendering, supponendo che un trascorso artistico reale non fosse più necessario. Simili errate convinzioni si sono però fortunatamente estinte, i tool e le professionalità ora sono tornati all'altezza di una sfida creativa degna di tal nome e profondità.
- Dopo l'incidente del 2001, quando fu investito da un camion, aveva deciso che i suoi giorni da illustratore erano finiti, perché aveva perso l'esatta coordinazione dei movimenti della mano, quindi si diede alla scrittura fantasy (è tuttora anche un ghost writer). Aveva anche provato a riciclarsi col Photoshop e il mouse, ma lavorare sui dettagli dell'alta risoluzione con un mouse non era come dipingere i grossi pixel dell'epoca EGA. Le tavolette Cintiq gli hanno cambiato la vita, riaprendogli il mondo dell'illustrazione, e negli ultimi tempi ha finalmente anche recuperato parte della mobilità necessaria a imbracciare di nuovo i suoi amati pastelli, che già da soli guidano uno stile (con Photoshop la flessibilità è tale che ancora non sa decidere quale adottare nell'illustrazione digitale!).
- "The Secret of Monkey Island non è un classico perché noi decidemmo di fare un classico. È un classico perché tutti eravamo incredibilmente creativi, e tutti volevamo fare la migliore cosa che fossimo capaci di fare. Facevamo cose divertenti perché trovavamo divertente farle. Io non ho scoperto che Monkey Island era considerato un classico prima del 2005!" Racconta infatti che, dopo un periodo in cui le sue capacità di illustratore in pixel erano cadute in disuso per via del 3D, l'apparizione di piattaforme come il Gameboy Advance e il gaming mobile lo hanno rigettato nella mischia all'Amaze Entertainment: in quel contesto, trovandosi a contatto con artisti più giovani, è stato apostrofato con "Tu sei proprio QUEL Mark Ferrari?" - "Eh? No, mi sa che mi confondi con qualcun altro." - "Di Monkey Island?" È stato allora che ha capito quanto quei giochi fossero diventati "classici". Il 2D anche su quelle piattaforme è poi scomparso, quando sono diventate abbastanza potenti da gestire il 3D.
- Contrariamente a quanto si possa pensare, Gilbert e Winnick non avevano pensato di coinvolgerlo in Thimbleweed Park dall'inizio: Ferrari seppe per caso e per vie traverse dell'esistenza del Kickstarer. Intenerito dalla nostalgia di un'epoca che fu, sostenne il progetto insieme a sua moglie, curioso di sapere come sarebbe venuto fuori un richiamo a una creatività che riteneva perduta per sempre. Gary però notò il suo nome tra i backer e lo chiamò (Mark giura di non averlo riconosciuto subito al telefono): "Mark, ma sei proprio tu quel backer? Sei ancora vivo?" A quel punto sorse l'idea di coinvolgere Mark per un paio di fondali, anche per usare la sua collaborazione come ulteriore garanzia dello spirito d'antan. Le sue prove però piacquerò così tanto ed erano così diverse da ciò che Winnick stava preparando fino a quel momento, che presto la rimpatriata divenne una vera e propria offerta di lavoro. "Mi dissi: perché no? Era un po' un ritorno alle mie origini, lo vidi un po' come il mio canto del cigno, non credo che lavorerò più su un videogioco."
- Per Mark un autore attuale che ha recepito anche la forza narrativa di quella pixel art è Octavi Navarro, che ha collaborato con lui sulla grafica di Thimbleweed Park e che ora ha una carriera anche da designer in espressive miniavventure indie. Si dispiace solo di non aver capito prima quanto fosse bravo e personale Octavi, perché durante la lavorazione di Thimbleweed la preoccupazione principale sua e di Ron era che i loro stili si uniformassero. Dopo aver aperto il suo account Twitter ha aumentato i suoi contatti con la scena della pixel art contemporanea, che a differenza di quel che credeva non è solo nostalgia di tendenza, ma sa anche concretizzarsi in uno stile che nell'anima sente diverso da quello che fu il loro: alla necessità si è sostituita la sintesi poetica volontaria. "È un'espressione culturale, ormai."
Novità su YouTube e Spreaker
Segnalo volentieri l'appena pubblicata analisi dei sorgenti di Monkey 1 ad opera della gang di Archeologia Videoludica: ne si discute nella puntata "Il codice della scimmia", con la conduzione di Simone Pizzi e la disamina a cura del guru Carlo Santagostino, con Umberto Parisi del podcast I Beceri Videoludici. Non ho ancora avuto modo di ascoltarla, ma certe cose vanno assolutamente segnalate sulla fiducia.
Aggiungo le dirette streaming di Oldgamesitalia, dove il signor Ojo e Gwenelan hanno affrontato per il trentennale The Secret of Monkey Island: il primo lo celebrava, la seconda lo esplorava quasi per la prima volta, avendolo cominciato in passato ma non avendolo mai finito. Una dinamica interessante, un modo diverso di approfondire gli argomenti che tratto qui sul sito, ma come "commento audio" su vere e proprie partite. L'esperienza di Ojo e Gwen si è estesa anche al secondo capitolo delle avventure di Guybrush.
Come ha spiegato in questo thread su Oldgamesitalia, l'utente SimonPPC si è sbattuto eroicamente per tradurre in italiano versioni alternative di Loom, come quelle Atari ST, Mac e anche Amiga, che appunto segue in questo gameplay di Retroedicola.
I compositori Antimo & Welles avevano già collaborato con i Telltale per Minecraft: Story Mode: stavano anche creando i brani per l'episodico Stranger Things, collassato al fallimento dell'azienda nel 2018. Due anni dopo, avendo pure rinunciato definitivamente all'essere pagati, hanno condiviso pubblicamente le musiche che avevano realizzato. Magra consolazione?
Ed è finito anche questo aggiornamento, credo sul serio definibile "epocale", come raramente accade. Conto di ripresentarmi prima della fine dell'anno con un nuovo giro di news e almeno un'altra scheda rivisitata! Un abbraccio collettivo!
Ciao,
Dom
25-10-2020
In un'affannosa ricerca di normalità, puntualmente frustrata dall'occasionale viaggio in metro con mascherine da lavoro che non avremmo mai pensato di indossare in vita nostra, si compone indomito il nuovo aggiornamento di Lucasdelirium, dove proseguono i festeggiamenti per il primo Monkey Island, ma c'è una celebrazione che riguarda qualcos'altro...
Costume Quest compie 10 anni
Non poteva esserci momento migliore per celebrare il decennale di Costume Quest (2010) della Double Fine, rigiocando e riscrivendo quella scheda e quella del sequel Costume Quest 2 (2014). È il momento perfetto non soltanto perché siamo alle porte di Halloween (in qualsiasi modo lo si possa o lo si voglia festeggiare), ma anche perché il primo capitolo è in saldo su Steam fino al 3 novembre e il secondo è addirittura GRATUITO su Epic Games Store fino al 29 ottobre. Se non avete mai dato una chance a questa rielaborazione in miniatura (in tutti i sensi) del jprg secondo la Double Fine di Tim Schafer, potreste provarci adesso, magari spronati dalle nuove schede, che ho cercato di migliorare, pur non trovandomi nell'ambito del genere a me congeniale.
Non sono giochi perfetti, eppure hanno uno charme particolare, e storicamente il primo capitolo fu una piccola svolta per la casa di Tim: segnò il passaggio dal tripla-A ai giochi indie, dalla Double Fine delle origini alla Double Fine 2.0, almeno fino alla nascita della Double Fine 3.0 a metà del 2019, quando l'acquisizione della Microsoft ha permesso nuovamente la sostenibilità di un grande progetto come lo Psychonauts 2 in arrivo nel 2021.
Piccole sorprendenti novità su The Secret of Monkey Island dopo 30 anni, in un documentario
Nel corso del mese di ottobre la rete è traboccata di articoli e video che celebrano i 30 anni di The Secret of Monkey Island (qui su Lucasdelirium abbiamo festeggiato insieme). Il fan Onaretrotip si è spinto oltre la media, realizzando un bellissimo documentario, assai prezioso perché offre contributi audio degli autori del gioco. Il video quindi ha una marcia in più, grazie specialmente ai commenti di Mark Ferrari e Dave Grossman che, forse più dello stesso Ron Gilbert (la cui intervista intera è disponibile a parte), riescono a lanciare qui e lì dettagli nuovi sulla lavorazione di questo culto. Non pensavamo di stupirci ancora, eppure... ho già implementato le chicche seguenti nella scheda, però ne isolo qui la maggior parte per non costringervi a rileggere tutto un'altra volta! La trama di Mutiny non è una vera novità, ne sono consapevole, però mi sono reso conto di non averla mai riassunta, quindi ho deciso di recuperare in quest'occasione.
- In una fase iniziale di brainstorming, si meditò sul dare al giocatore la libertà di scegliere il sesso del protagonista. Si realizzò presto che però avrebbe comportato un aumento esponenziale degli asset grafici, quando bisognava fare molta attenzione allo spazio occupato sui dischi. Probabilmente l'assestarsi sul protagonista maschile rese più nitidi altri aspetti della storia, come l'idillio con Elaine: sulle prime non era nemmeno lei a governare Mêlée, al suo posto in c'era l'enorme Fat, poi riciclato come "Phatt" in Monkey Island 2.
- Fat in effetti era il governatore di Mêlée in una delle prime stesure intitolata Mutiny on Monkey Island, come dimostrano i documenti messi a disposizione dal programmatore Aric Wilmunder e finiti in rete. Dittatore dell'isola, prosperava e attirava pirati millantando di avere una fantomatica mappa per il "Tesoro di Monkey Island", impegnandosi a finanziare una spedizione per trovarlo, scegliendo i pirati più temerari. Il giocatore doveva interpretare un pirata veterano in debacle, alla ricerca di una ciurma scalcinata, per raggiungere Monkey Island, solo per scoprire quello che il Governatore sapeva benissimo: il "tesoro" era un portale per l'Inferno, protetto dai cannibali, una fonte del male e di eterna dannazione per chiunque vi si avvicinasse. In questa stesura LeChuck non esisteva.
- Stan era ispirato a un martellante televenditore di automobili attivo nella California del Sud, Cal Worthington.
- Non era previsto dall'inizio che il Maestro della Spada fosse una donna, ma Gilbert ebbe l'idea, deciso a spiazzare ogni aspettativa del giocatore e dello stesso team, perché lo indisponeva che tutti lo immaginassero in automatico uomo.
- I combattimenti a insulti furono affidati allo scrittore di fantascienza e fantasy Orson Scott Card, invitato alla Lucas dopo alcune sue positive e interessanti recensioni dei loro primi giochi. Lo sapevamo. Non sapevamo che nei fatti però Grossman e Schafer li riscrissero quasi interamente, perché nessuno aveva avvisato Card della dinamica interattiva di quella sezione, per cui la maggior parte dei suoi contributi era inservibile, nonostante qualcosa sia rimasto: in particolare, l'insulto "Combatti come un contadino" fu un'idea del figlio di Card, all'epoca un bambino. In seguito Card sarebbe stato coautore con Sean Clark dei dialoghi di The Dig.
- Nella prima scena con la vedetta, Mark Ferrari voleva assolutamente animare il fuoco, però Ron Gilbert vi si oppose, preoccupato di ingolfare i dischi con asset secondari. Siccome Mark insisteva, Ron gli propose di realizzare l'animazione in color-cycling, cioè a partire da un singolo fotogramma i cui colori assegnati ai pixel fossero modificati in tempo reale, simulando una successione di immagini. Ferrari negli anni successivi divenne famoso nell'ambiente proprio per la sua capacità di giocare con questa tecnica particolare.
- Con l'uso del dithering, Ferrari, Ebert e Purcell si resero conto che i loro fondali avrebbero denunciato il gusto di chi li realizzava: per Loom il problema non si era posto, perché Mark era stato l'unico artista sugli ambienti. Aggirarono l'assenza di una direzione artistica dividendosi le aree della storia: cambiando atmosfera, il giocatore auspicabilmente non avrebbe fatto caso agli stili diversi. Ferrari disegnò tutti gli esterni di Mêlée, con pochi interni. Steve Purcell coprì gli ambienti più grotteschi (come il tempio dei cannibali), oltre alla rivendita di Stan, concentrandosi però più sulle animazioni. Ebert realizzò il resto, nello specifico i solari esterni di Monkey.
- La scelta di distributori locali per le singole nazioni europee, invece di un partner europeo generico, fu fortemente voluta dal presidente del consiglio di amministrazione Doug Glen: prevedeva che piccole realtà sarebbero state più motivate nel sostenere i prodotti. Strategia vincente con la nostra C.T.O.!
- Secondo Gilbert, The Secret of Monkey Island è stato il suo ultimo gioco a essere avviato senza un design completo e preciso: spesso durante la lavorazione cambiava elementi in corsa, oppure progettava e scriveva una sezione mentre il team stava lavorando alle sezioni precedenti. Già Monkey Island 2 fu più pianificato. Oggi non lavorerebbe più così: è un metodo che si adatta alla giovane età, quando "non hai altre cose da fare nella vita". In tutto comunque la lavorazione di Monkey 1 durò 6 mesi di preproduzione (anzi, meditazione!), interrotti da un anno di lavoro obbligatorio su Indiana Jones and the Last Crusade - The Graphic Adventure, più 9 mesi di creazione effettiva dell'avventura.
- Ci sono cose che non piacciono a Ron del primo Monkey, rigiocandolo ora? Due: l'impossibilità di spostare il personaggio velocemente e uscire rapidamente dalle location, e il fatto che alcuni personaggi non ripetano più informazioni essenziali. Pensa di aver corretto entrambe le cose in Thimbleweed Park.
Uno sguardo ai sorgenti di The Secret of Monkey Island con Ron Gilbert, per una buona causa
Le rivelazioni vintage su The Secret of Monkey Island non sono terminate! Venerdì 30 ottobre dalle 21 alle 22:30 Ron Gilbert in una diretta streaming discuterà con Frank Cifaldi della Video Game History Foundation, nonché con i fan collegati, di dettagli, genesi e lavorazione del gioco, in più offrendo un tour in alcuni contenuti mai visti prima all'interno del codice sorgente in suo possesso. Un assaggio di una location inedita è in quest'intervista a The Verge, dove Cifaldi illustra il suo progetto. È importante soffermarsi un attimo, perché vi farà probabilmente storcere il naso il fatto che l'accesso alla diretta e al video in differita siano a pagamento (10$). In buona sostanza Frank e la VGHF "usano" Monkey Island e Ron per raccogliere fondi e varare un altro progetto dell'associazione, il Video Game Source Project. Se infatti diversi sviluppatori, in possesso anche legale dei sorgenti dei giochi, a volte li condividono liberamente sulla rete, per altri titoli come Monkey Island la questione è più complessa: tempo fa, a un fan che gli chiedeva di condividere il source code e tutti i file di Monkey con i fan più pazienti e curiosi, Ron aveva risposto sul suo blog che, pur possedendo un backup di ogni cosa, non poteva farlo perché legalmente nulla di tutto quello gli appartiene. Il Video Game Source Project intende appunto diventare un museo in cui, tramite la mediazione dell'associazione, possano essere preservati e consultati codice sorgente e materiali di lavorazione di grandi classici, a scopo di consultazione, per trovare un compromesso tra curiosità di addetti ai lavori e la severità di alcune case come la Lucasfilm/Disney. Selezione e traduco dall'intervista. Il video è da uno dei loro recuperi, il porting NES mai uscito di Sim City.
Prima di tutto, il progetto è una chiamata alle armi per tutti quelli che ritengono queste cose molto importanti e utili. Almeno per quanto riguarda il materiale più antico, le cose stanno rapidamente morendo. [...] Vogliamo normalizzare la disponibilità e lo studio del materiale di lavorazione dei videogiochi, perché in questo momento i sorgenti sono un segreto corporativo molto protetto. [...] Per esser chiari, non ci aspettiamo un mondo in cui tutti ci dicano: "Fantastico, ora mettiamo in open source tutto!" Non è realistico. Ma è realistico normalizzare la possibilità di studiare, per ragioni storiche, di guardare queste cose e imparare, di raccontare le storie che vi si trovano all'interno. [...] Siamo stati in grado di ricostruire nei giochi scene cancellate che nessuno ha mai visto prima, perché quei dati non erano proprio sui dischi che vi arrivavano, non erano compilati nel gioco. [...] Fa parte del processo creativo, collabori con gli altri, ci sono tante persone coinvolte, provi delle idee, fai degli abbozzi, poi finisci per segarle ancora prima di usarle.
Nell'ultima frase Cifaldi si riferisce nello specifico all'animazione di un ponte che crolla, trovata tra i sorgenti di Monkey: nemmeno Gilbert si ricorda a cosa si riferisse, e probabilmente ha un nesso con uno sparuto appunto trovato in un altro documento, dove c'era solo una frase che alludeva a una trappola sotto un ponte. Questa e altre curiosità dovrebbero essere al centro dell'appuntamento del 30. Non mi è chiaro, e forse si sorvola sulla questione apposta, come effettivamente si potrà avere accesso ai sorgenti dei vari classici che il museo coprirà, se gratis solo con la loro mediazione, oppure addirittura a pagamento, per "cibare la bestia" degli editori non troppo esaltati all'idea di aprire a chiunque i gioielli di famiglia. In ogni caso, i 10$ non danno la possibilità di tuffarsi nei sorgenti di The Secret of Monkey Island, ma solo quello di assistere allo streaming ed eventualmente interagire al momento. Per me è una buona causa, la cifra non mi sembra offensiva e ho scucito i soldi per il biglietto seduta stante: se non siete d'accordo, cercherò senz'altro di operare un riassunto di ciò che vedremo e ascolteremo, nei limiti della legalità.
Deathspank ora integralmente tradotto in italiano!
Interrompo la sequenza di news monkeyislandiane, ma rimango in territorio gilbertiano: l'ormai più che prode fan Wolfgare ha completato la traduzione italiana del Deathspank di Ron Gilbert, traducendo il secondo atto Thongs of Virtue, dopo aver con successo coperto il primo qualche mese fa. Adesso la bilogia di action-rpg di cui si occupò Ron alla Hothead Games, oltre dieci anni fa, è quindi disponibile interamente sottotitolata in italiano. Il terzo atto The Baconing fu realizzato senza Gilbert, quindi ci interessa meno. Riparleremo di Deathspank, forse anche a breve. Viva Wolfgare!
The Secret of Monkey Island festeggiato dai fan
È davvero impossibile inseguire tutti i festeggiamenti dei fan arrivati in rete nel corso di questo mese: vorrei dare un saluto agli amici di Calavera Cafè, che hanno ospitato un mio intervento estemporaneo e preregistrato per una puntata delle loro dirette Twitch "Happy Hour" e hanno anche suggerito un approccio più razionale verso il valore di Monkey 1. Hanno il mio pieno appoggio, anche perché - state tranquilli - nemmeno un approccio più razionale e oggettivo riesce a demolire questo capolavoro (anzi), ma personalmente spero di aver bilanciato storia e cuore con la combinazione di scheda e di articolo di cui sopra, contenente i ricordi.
Tanta la fan art! C'è per esempio il fangame Ghostbusters and the Secret of Monkey Island di Daniele Spadoni (che gioca una carta di contaminazione estrema... o forse no, si parla pur sempre di LeChuck!). Qualcuno si è dato alla mutazione anime, qualcun altro alla doverosa pixel-art, altri hanno imbracciato i pennelli, altri ancora hanno tentato un downgrade grafico alla Gary Winnick prima maniera, un adorabile pazzo ha "sierrizzato" i combattimenti a insulti (fake davvero filologico) e Patrick Spacek ha renderizzato in chiave moderna i protagonisti.
C A R I B B E A N Q U E S T
— UN TIPO ÐIFICIL (@untipodificil) October 16, 2020
Así hubiera sido el @monkeyislandsp si lo hubiera hecho @SierraGames
Qué opinan?
🐒🏝️☠️⚔️#MonkeyIsland #pointandclick #SCUMM #RetroGaming #FridayVibes #Vintage pic.twitter.com/e5aS6UDZ6z
Persino Bill Tiller ha diffuso una sua proposta grafica per un remake di The Curse of Monkey Island, titolo al quale è rimasto ancora tanto legato. Anche se, come qualcuno ha notato, il nuovo stile elimina la linea di contorno, la capacità di Bill di giocare col colore rimane incantevole. Il punto per me è un altro: Curse necessita di un rifacimento molto meno degli altri capitoli, e peraltro l'upscaling di un fan con l'algoritmo ESRGAN era già stupefacente e suggerisce una buona strada per non sottrarre risorse preziose come Tiller a titoli nuovi, di cui abbiamo sempre bisogno. La LucasArts che amavamo non si adagiava sul passato. Di Curse tre anni fa, quando lo rigiocai per la revisione della scheda, mi disturbò più che altro lo spixellamento dei personaggi nel movimento sull'asse Z: Ron Gilbert ha risolto il problema in Thimbleweed Park renderizzando la grafica in 1280x720, partendo da asset 320x200. Il trucco funzionò e forse potrebbe funzionare ancora, combinandolo con l'ESRGAN, per ottenere una scintillante nuova edizione di Monkey 3 a basso budget ma alta resa (e pazienza per le schermate 4:3, una bella cornice ad hoc e passa la paura).
Questa selezione era solo la punta dell'iceberg dell'amore che ha investito Guybrush negli ultimi 30 giorni.
Annunciata la Monkey Island 30th Anniversary Edition
Come promesso, Limited Run Games ha presentato la Monkey Island 30th Anniversary Edition, i cui preordini partiranno il 30 ottobre. Contrariamente a quanto anticipato a luglio, conterrà anche il Tales of Monkey Island dei Telltale buonanima: bene per me, anzi ottimo per la sua legittimazione (e devo dire che mi sono cascate le braccia quando ho letto sui social commenti non sarcastici tipo "Come cinque giochi? Non erano solo quattro? Che mi sono perso?"). L'idea, come ha spiegato a Mixnmojo John Fairhurst di LRG, è includere il maggior numero possibile delle versioni, perciò anche immagini dei floppy Amiga, Atari ST, Mac, ma non cd-rom per FM-Towns o versione PS2 di Fuga.
Nonostante John abbia colto la delusione dei fan e stia aprendo a possibili cd e dvd, il cofanetto, dalla grafica NON definitiva, venduto per la modica cifra di 160 dollari, fino a prova contraria conterrà un pendrive USB griffato Lucasfilm Games con i cinque capitoli, non si sa se multilingua. Saranno inclusi anche:
- Un certificato di autenticità firmato da Ron Gilbert. Scoop! Autentica quindi anche i capitoli 3-4-5? Sono canone!!! Scherzo.
- Una statuetta di Guybrush, in un azzardo modellata sul Guybrush della Special Edition di Monkey 2 (con anacronismo consapevole del pollo di gomma).
- Un biglietto "T" per il Big Whoop (giusto).
- Una shadowbox che si ispira a una famosa scena (carina).
- Un set di spille con tutti i look di Guybrush (sul serio non so cosa pensare: rimango neutro).
- La riproduzione per le istruzioni dell'Insulto Supremo. Perché un gadget dell'odiato Fuga e nessuno per l'amatissimo The Curse of Monkey Island?
- Non si sa per ora cosa conterrà l'Anniversary Book dietro le quinte, però il divertente "Disco 22", ispirato a un'altra celebre gag, si riempirà di una "sorpresa", stando a John, solo qualora i preordini siano sufficienti per gestire la cosa.
Vedo di spiegare la mia posizione, molto semplice: non sono un collezionista, non lo sono mai stato. Ho i miei feticismi, abbastanza però leggeri e simbolici, nonché un limite mentale regolato sui 100 dollari/euro, superato il quale mi scatta una resistenza ipercritica all'allargamento dei cordoni della borsa. Ho ceduto una volta sola, quando proprio Gilbert chiese 150$ per lo scatolato di Thimbleweed Park: entrai in crisi, ma cedetti per un discorso molto chiaro che fece Ron. Quei gadget gli costavano e, se proprio volevamo donare, dovevamo donare pensando di dare soldi per creare innanzitutto il gioco: un gioco nuovo, della cui esistenza saremmo stati corresponsabili. Quando oltre un anno fa fu realizzato un poster su Monkey Island a tiratura limitata di Steve Purcell ebbi una frenata simile. Mi fecero però notare che non c'era molto da recriminare su nuovo materiale monkeyislandiano dopo tanti anni, e in fondo si viaggiava sui 50 dollari, quindi acquistai: d'altronde, amo Purcell come amo Monkey... Sapete cos'è successo? Il poster autografato non l'ho mai avuto. Giuro. Per un disguido incomprensibile, è stato spedito a Vienna (?!?): mi hanno offerto un rimborso, ho detto che avrei aspettato la possibilità che il pacco tornasse in sede, non avevo fretta. Dopo mesi e mesi, tanto che avevo quasi dimenticato la cosa, ho deciso di sondare e hanno ammesso che era andato ormai inesorabilmente perso. Nel frattempo erano finite pure le copie non autografate. Ho avuto il rimborso. Credo nei segni del destino.
Announcing the boxset of every mighty pirate's dreams: the Monkey Island Anthology for PC! Including all five games in the Monkey Island series and many beautiful works of Guybrush art, this anthology sets sail on Friday, October 30th. More details later this month! pic.twitter.com/DNpbrmTHBg
— Limited Run Games (@LimitedRunGames) October 19, 2020
Ho saltato lo scatolato della versione Sega CD di Monkey 1 di qualche mese fa, sempre firmato Limited Run Games (e col senno di poi più sensato di questa collection), perché loro stessi avevano anticipato una pubblicazione successiva per PC e ho sperato in una copia anastatica: collezionista o meno, un'anastatica o semianastatica/variant della versione Amiga o della prima edizione EGA su floppy di Monkey 1 avrebbero suscitato in me una reazione molto meno fredda. Vi prego di non considerare questo un invito a boicottare, è solo che non riesco a convincere me stesso di dover spendere 160 dollari per... lo dico? Lo dico: per giochi che già ho. Peggio: per giochi che già ho scatolati in edizioni originali che, ben piazzate su Ebay se fossi pazzo, varrebbero infinitamente di più di questo cofanetto e mi sembra mantengano un carisma superiore.
La Limited Run Games sembra recepire le critiche, penso che alcuni elementi dell'offerta cambieranno, e dovrebbe tenere di più il polso dei fan: in un'occasione del genere avrei visto più gadget legati al look originale dei primi capitoli, o almeno un'enfasi su Curse, che per la generazione dopo la mia è sinonimo di Monkey Island. Non per niente i fan di Scumm & Villany hanno risposto goliardicamente con una loro controproposta (la statua di Elaine è un colpo di genio). Trovo strano il discorso di Fairhurst sull'inaccessibilità degli archivi Lucasfilm a causa del Covid, impedimento nel fare qualcosa di più prezioso: che fretta c'è? L'anno prossimo compie 30 anni Monkey Island 2, dopotutto... Nell'intervista ammette che, in questi casi, scatolati dei singoli titoli (accenna a una futura operazione su Sam & Max Hit the Road) metterebbero d'accordo più persone. Forse è vero.
Dubito che saltando quest'iniziativa io danneggi Monkey Island: ho dedicato miliardi di ore alla storia della LucasArts e alla sua eredità da vent'anni sul sito, ho fatto e faccio la mia parte in altro modo. Anzi, se avete pazienza, vorrei proseguire proprio in questo modo.
La questione di Monkey Island, della Disney e di Ron Gilbert
Nelle celebrazioni per i 30 anni di The Secret of Monkey Island viaggia inevitabilmente sottotraccia (e non) il fantomatico Monkey Island 3 mai esistito di Ron Gilbert, al quale dedicai un articolo tempo fa. Qui e lì colgo sui social (pure stranieri) tuttora una certa confusione su come stanno le cose. Se avete capito benissimo mi scuserete se riformulo la questione un'altra volta: per quel che ne sappiamo, non è la Disney a non voler fare un Monkey Island con Ron Gilbert, è innanzitutto Ron Gilbert a non voler fare un Monkey Island con la Disney. Ho notato che chi ancora naviga nell'equivoco si confonde con l'uso del termine "diritti", forse anche per colpa di chi scrive su questi argomenti, me compreso: a volte l'usiamo erroneamente come sinonimo di "licenza". Gilbert ha detto più volte che non ha intenzione di lavorare per altri su qualcosa che ritiene suo e di cui dovrebbe decidere ogni cosa, senza render conto a nessuno, in quanto creatore del materiale. Ergo, non vuole fare un Monkey Island su licenza per la "Disney": uso le virgolette, perché qui la Disney è in realtà la divisione Games della Lucasfilm, posseduta dalla Disney. Da quelle parti c'è ancora Craig Derrick, capo-progetto delle Special Edition, punto di riferimento delle vecchie e delle attuali iniziative lucasiane vintage. Per fare un altro Monkey, Ron ha sempre detto di volere la vera e propria proprietà intellettuale di Monkey Island, il marchio. Dovrebbe insomma comprare il TM e (C) di Monkey Island dalla Disney / Lucasfilm oppure quest'ultima dovrebbe regalarglielo. Al timecode 38:50 della sottostante intervista Ron spiega chiaramente la sua posizione e le sue motivazioni.
Nella sopra embeddata recente intervista, fresca di qualche settimana fa, ho avvertito tuttavia una sfumatura inedita nelle solite risposte di Ron sull'argomento: ha specificato che per lui il "possesso" è sinonimo più che altro di "libertà", briglia sciolta per fare il gioco esattamente come lo vorrebbe. Ha glissato (con una lunghissima pausa) su un suo possibile contatto con la Disney. La butto lì: sarebbe bello se il canale (indiretto) che Ron sta mantenendo con la Disney per queste iniziative si trasformasse alla fine nell'accettare di lavorare su licenza con la Lucasfilm sul suo Monkey 3, perché la vita è breve. E non sarebbe più incredibile: chi di noi non ha riflettuto in questo maledetto anno? Chi l'ha mai detto che non avrebbe le garanzie cercate? Monkey Island non è un marchio così potente per la Disney, che ha già i Pirati dei Caraibi "originali", e al massimo lo usa appunto per elargire licenze per gadget e scatole varie: licenza più, licenza meno... da un'avventura indie della Terrible Toybox di Gilbert non ci ricavi di certo un tripla-A multimilionario, perché la Lucasfilm dovrebbe rendergli la vita impossibile? Se persino i Telltale con Tales si permisero un colpo di scena incredibile... Con Derrick ancora da quelle parti, possibile che non si possa parlamentare? E chi ci dice che non lo stiano già facendo? Sensazioni. Naturalmente, chi attende il Monkey Island 3 "vero" di Ron Gilbert sappia che l'interessato in quella clip ribadisce che non sarebbe identico a quello che aveva in mente a grandi linee all'epoca, non solo perché ormai è un'altra persona, ma anche perché - e questo è una novità assoluta - i tre giochi successivi non suoi hanno "accidentalmente" usato pezzi di trama che aveva in mente, ergo creerebbe qualcosa nello "spirito" di quello che voleva fare, ma non uguale. Sbaglio o questa è una discreta bomba, sganciata con nonchalance? Il Covid sta ammorbidendo le difese di tutti.
Nuove versioni di Nick Bounty, Afterparty e dei remaster Double Fine
Mentre lavora indefessamente su Psychonauts 2, la Double Fine ha trovato il tempo di convertire Grim Fandango Remastered, Day of the Tentacle Remastered e Full Throttle Remastered per l'abbonamento dell'Xbox Game Pass, dove i giochi appariranno dal 29 ottobre. Il verbo s'espande. Per la cronaca, Brutal Legend è già arrivato sul servizio.
Il mitico Mark Darin, che peraltro di recente è stato ricoverato per un arresto cardiaco e al quale auguriamo una ripresa, ha pubblicato a sorpresa su Steam e su Itch.io un remake della sua prima avventura del detective demenziale Nick Bounty, Case of the Crabs. Il remake è realizzato secondo i canoni del terzo capitolo pubblicato in primavera, e ho provveduto a integrare con screenshot comparativi e qualche considerazione il mio articolo sui primi due punta & clicca di Nick Bounty.
Afterparty, l'avventura narrativa del fu-Telltale Adam Hines, è finalmente uscita dalle tenaglie dell'esclusiva Epic Games Store, debuttando su Steam e GOG, ancora solo in inglese.
ScummVM ingloba ResidualVM
Penso tutti conosciate e usiate ScummVM, l'interprete che consente di avviare nativamente le avventure LucasArts (e non solo) su ogni piattaforma possibile e immaginabile. Io preferisco emulare con DOSBox, però sarei il primo a consigliare ScummVM a un giovane o a chi non si senta di smanettare. Anni fa generò uno "spin-off", ResidualVM, che si sarebbe concentrato sulle avventure 3D della Lucas e di altre case, come Grim Fandango, Fuga da Monkey Island e The Longest Journey. Forse dal momento che ormai ScummVM si è allargato a ogni tipo di engine (affronta persino il voxel di Blade Runner!), dal 9 ottobre di quest'anno ResidualVM si è fuso con ScummVM ed è destinato a "scomparire". Il suo codice vivrà cioè all'interno di ScummVM, che passerà a supportare anche i giochi 3D citati. Meglio così, ha un senso.
Bene, fine di questo giro di news. Se lo streaming sui sorgenti di Monkey sarà abbastanza interessante, potrei decidere di scrivere un aggiornamento intermedio nei primi di novembre, magari rivedendo la scheda del gioco con ulteriori nuove informazioni. Fino ad allora,
ciao,
Dom
14-10-2020
Oggi Lucasdelirium compie 20 anni. Ci credereste? Io a stento. Per l'occasione ho creato un articolo molto particolare, con link a "facsimile" delle tre precedenti incarnazioni del sito e qualche cenno storico su questo lungo viaggio iniziato taaaaaanto tempo fa. Ho cercato di tener fuori la retorica, puntando questa volta sul concreto: le migliorie apportate negli anni, curiosità varie... Importante: negli zip troverete pure dei pdf con i testi delle precedenti versioni delle schede nel sito! Chissà se qualcuno avrà la forza di affrontarle. E con questo, basta per quest'anno con le autocelebrazioni!
Auguri a tutti noi,
Dom
26-9-2020
Primo vero aggiornamento del sito dopo la rivoluzione di agosto! Sono stato molto felice del modo in cui avete accolto il redesign (e in parte la riscrittura) di Lucasdelirium. Ringrazio anche a nome di chi ha collaborato a dargli vita, ma questo non è un periodo che ci consente di adagiarci sugli allori: non solo dai primi di agosto sono successe diverse cose da commentare, ma ho anche avviato un'iniziativa un po' particolare, che ha dato simpatici frutti. Non possiamo che cominciare dai...
30 anni di The Secret of Monkey Island festeggiati dai Lucasdeliranti!
Il 2 settembre, giorno che secondo Ron Gilbert è il compleanno di The Secret of Monkey Island, quest'avventura grafica capolavoro, ancora punto di riferimento del genere dei punta & clicca, ha compiuto ben 30 anni. Come ho spiegato sui social, non avevo molta voglia di scrivere altri pezzi d'analisi, ritenendo la scheda qui sul sito, rifatta nel 2017, ancora valida in merito alla mia visione del gioco. Però bisognava festeggiare in qualche maniera, e allora ho ripensato al modo in cui un'intera generazione si rapporta alle peripezie di Guybrush Threepwood: per qualunque sito o blog, appellarsi a Monkey Island significa subito calamitare centinaia di "like", istintivi. Quanti di questi like arrivano da valutazioni critiche o storiche sul titolo in sé? Pochi. È proprio amore, irrazionale. Ricordo, dolce e irraggiungibile di tempi passati. Non amo troppo alimentare quest'aspetto, e se seguite da anni Lucasdelirium sapete come mi piaccia guardare anche al presente e al futuro, però ciò non significa che io stesso sia esente dalla nostalgia. Per questo mi son detto: e se una mossa originale, per una volta, stesse nel sedare per un attimo le mie tendenze storiografiche e analitiche, lasciando più spazio al cuore? Ridimensionando il mio apporto e coinvolgendo voi nello stesso testo? Avevo chiesto ricordi delle proprie esperienze con The Secret of Monkey Island, in massimo 900 battute. Il risultato dell'esperimento è a portata di click, con un titolo simbolico ispirato proprio dall'intuizione di uno di voi. Poi tornate qui, perché c'è da leggere parecchio, e ho anche una postilla da aggiungere a questo discorso.
Lucasdelirium e il fandom: una precisazione e una confessione
Sarà perché, raccogliendo i vostri (e i miei) ricordi, stavo riflettendo un po' di più sul mio modo di essere "fan", l'annuncio del fangame Ghostbusters and the Secret of Monkey Island, remix multicelebrativo di Daniele Spadoni di due culti, mi ha fatto pensare di dovere a me stesso e pure a voi una spiegazione su un mio modo di rapportarmi al fandom. Credo dopo tanti anni di poter dire di essere "diversamente nerd": giuro senza alcuna pianificazione, per me essere fan di qualcosa ha sempre significato in primis essere fan delle persone che hanno dato vita a quel qualcosa, seguendone il percorso e sviscerandone direzione e intenzioni, e solo in seconda battuta dei mondi e dei personaggi. Posso risultare molto deludente a chi si aspetti da me citazioni specifiche di battute, nomi, luoghi: mi risulta più semplice ricordare chi abbia curato il porting Atari ST di Monkey 1, per fare un esempio estremo. Per questa ragione, non solo non ho mai pensato io stesso di scrivere fan-fiction (non solo lucasiana, proprio in generale), ma non riesco nemmeno a farmi trascinare dalle produzioni di fan entusiasti. Non vi ho mai fatto mancare le segnalazioni più discusse in questo campo, come ricorderete, però non l'ho mai approfondito. Non è una questione di snobismo, almeno spero, è proprio che mi manca la dimensione in cui mi trovo più a mio agio, quella degli autori che seguo o di quelli che hanno lavorato con loro o ne sono stati influenzati.
Quando ho rifatto il sito, ho modificato leggermente la pagina dei fangame, concentrandomi (come peraltro già facevo senza consapevolezza) solo sui titoli che hanno richiesto anni di lavoro e in cui i fan sono andati oltre l'omaggio e hanno finito per avviare un discorso vicino alle produzioni videoludiche indipendenti vere e proprie. Nella revisione ho però esteso l'introduzione, aggiungendo due link a due siti/blog che raccolgono una parte della vasta galassia di omaggi più immediati, il cui scopo è proprio avvicinarsi a quei mondi e riabitarli, magari con uno spirito non difforme da quello dei più sentiti cosplay. Per ora questi due link sono soltanto al database Voodomaster's Fangames Island (purtroppo non aggiornato) e appunto al blog di Daniele con i suoi crossover. Mi piacerebbe comunque aggiungere altri hub, come per esempio quello di Mixnmojo. Questa sezione del Monkey Island World Forum (dove si aggira l'utente Giocherellone, che saluto!) mi sembra più sul pezzo.
Okay, momento di autoanalisi terminato, ora riattivo il Diduz canonico. :-P
La nuova avventura grafica di Ron Gilbert (e non solo sua)
Nel mese in cui celebriamo Monkey, non ci potrebbe essere contorno migliore della notizia di un nuovo punta & clicca da Ron Gilbert. Ron di per lui non ha aperto bocca in merito, però sul sito della Terrible Toybox è apparso in agosto un annuncio di lavoro per un direttore artistico, che dovrebbe inventare un efficace stile per una nuova "avventura grafica in 2D", in pixel-art, concepita per essere "un collegamento tra passato e presente" del genere. La posizione è stata per un periodo "sospesa", poi l'annuncio è sparito. La persona giusta è stata trovata?
Ad ogni modo, come d'altra parte la pubblicazione a sorpresa di Delores a maggio aveva abbondantemente fatto intuire, Ron deve aver lasciato perdere le sue perplessità riguardanti gli introiti di Thimbleweed Park: sta tornando a tempo pieno ai punta & clicca e non ha intenzione di smettere. Ci fa piacere. Ma di cosa potrebbe mai trattarsi? Con chi sta concependo il gioco? Come lo finanzierà? E che fine ha fatto il prototipo di "gdr atipico" con cui aveva giocherellato un anno fa?
Azzardo qualche risposta, senza prove, solo ipotizzando. Per me il prossimo gioco vedrà il riformarsi del team di Indiana Jones and the Last Crusade - The Graphic Adventure, cioè Ron, David Fox e Noah Falstein. Se ricordate, un paio di mesi fa Falstein disse di essere tornato al lavoro con due ex-colleghi della Lucasfilm Games, e ultimamente sui social crescono le interazioni tra i tre designer (anzi, tra David e Noah, con qualche eco da Ron, che non è più sui social: occhio al suo account Facebook, è un fake denunciato da lui stesso). Fox, oltre ad aver attivamente partecipato come sappiamo a Thimbleweed Park e Delores, ha immediatamente rigirato su Twitter l'annuncio di cui sopra per un direttore artistico: potrebbe essere solo un favore a Gilbert, però... Falstein inoltre era stato playtester volontario di Thimbleweed Park, dichiarando illo tempore che gli sarebbe piaciuto avere un ruolo più importante, ma in quel periodo era sotto contratto altrove (Google, se non vado errato). Non sono così convinto che Gary Winnick o Mark Ferrari questa volta siano della partita, perché la ricerca di un direttore artistico mi fa pensare alla volontà di cambiare approccio grafico. Il bravissimo Octavi Navarro è impegnato sulle sue miniavventure in questo periodo, però da quel che ha dichiarato altre volte immagino che risponderebbe prontamente a un richiamo della Terrible Toybox (d'altronde, il suo stile di pixel-art non era quello lucasiano, per Thimbleweed si adattò).
Non penso che Thimbleweed Park abbia incassato tanto da poter permettere alla Terrible Toybox di finanziare un altro intero gioco e lasciare anche un margine a Ron Gilbert per campare: la campagna Kickstarter precedente è andata benissimo, perciò mi viene naturale immaginare che si torni su quel canale. Riguardo all'idea del "gdr atipico"... siamo sicuri che non abbia nulla a che vedere con la nuova avventura? Dall'annuncio si capiva che Gilbert stavolta non punta sulla nostalgia, e se si confermasse il coinvolgimento di Falstein, quest'ultimo ha sempre pencolato su una flessibilità quasi "ruolistica" nelle avventure di Indy: un anno fa Ron ipotizzò cosa sarebbe successo in un gdr in cui si permettesse al giocatore di evitare ogni combattimento. Se si potesse proseguire comunque, diventerebbe un'avventura grafica? E il combattimento a insulti del primo Monkey, creato da Ron guardacaso proprio su sprone di Noah, non è forse un elemento gdr "avventurizzato", con tanto di progressione? Chiariamo: questo è un volo pindarico, magari il progetto del gdr atipico è semplicemente naufragato... Non vedo l'ora di sapere qualcosa in più!
Nel frattempo Ron ha ultimato la versione Linux di Delores, che tra l'altro ora è disponibile multilingua, con traduzioni (anche in italiano) realizzate dalla comunità di entusiastici fan: il rodaggio del nuovo engine si può dire ultimato, almeno in ambiente PC.
Sam & Max ritornano, ma vorrei esserne più felice
Avrete assistito all'annuncio di Sam & Max: This Time It's Virtual, ritorno ai videogiochi del nostro duo preferito, quell'irresistibile accoppiata di cane e lagomorfo che ci delizia dai tempi di Sam & Max Hit the Road, passando per Sam & Max Season One, Sam & Max Season Two e Sam & Max - The Devil's Playhouse dei fu-Telltale. Credo che, nella storia del sito, mai abbia provato sentimenti così ambivalenti dinanzi a un annuncio che, sulla carta, avrebbe dovuto spingermi ai salti mortali di gioia: sono ottimista a oltranza, non sono ossessivamente nostalgico, per certi versi ritengo The Devil's Playhouse persino superiore a Hit the Road, eppure... il sorriso mi si è spento sul viso mentre guardavo questo nuovo trailer e raccoglievo informazioni sul gioco.
Il che è paradossale, perché designer e sceneggiatore di This Time It's Virtual è addirittura Mike Stemmle, all'ideazione grafica sta collaborando Peter Chan (qui c'è un concept!), musiche e sonoro sono a cura della Bay Area Sound (la voce fuori campo mi pare del grandissimo Jared Emerson-Johnson), supervisiona il tutto papà Steve Purcell, mentre a dirigere il progetto per la sua Happy Giant c'è Mike Levine, già tecnico grafico su Hit the Road e da me seguito per l'esperimento di Insecticide. Con queste personalità coinvolte, siamo in pieno, 100% legittimo lucasdelirio. Ma allora cosa mi spegne?
This Time It's Virtual è un'avventura in prima persona in realtà virtuale, dove si suppone che il giocatore sia una recluta di Sam & Max, interagendo con loro, per diventare un "poliziotto privato" nel loro stile, per poi imbarcarsi in un caso da risolvere insieme, in un inquietante parco a tema. Come spiegano nel primo video di gameplay Levine e Stemmle, la scelta della VR è stata la chiave per tentare una riproposta più fresca e diversa del duetto, abbinando "un nuovo medium" alle dinamiche memori dei vecchi giochi. Non ho nulla in contrario a livello teorico con quest'idea, però nella pratica la stragrande maggioranza del pubblico di riferimento videoludico di Sam & Max rischia semplicemente di non poter mai vivere il titolo, anche se su Twitter gli sviluppatori hanno suggerito che l'esclusiva VR sia momentanea: lo spero, perché la spiritosa idea di base credo manterrebbe una sua comicità anche con mouse e tastiera. Io stesso, pur avendo un nuovo PC che potrebbe gestirla tranquillamente, ho avuto esperienze non piacevoli con la realtà virtuale: tra chinetosi e prospettiva di un esborso non indifferente, per ora ho deciso di passare.
Al di là della questione VR, sono più deluso dalle conseguenze estetiche che porta con sé. Non mi sbilancio mai così tanto, lo sapete, però davvero: a livello di texture e dettaglio quel che si è visto di This Time It's Virtual è deludente, con un picco di imbarazzo al minuto 1:10, dove il ratto si muove in mezzo a poligoni vuoti in stile Castle Master. Non è di certo obbligatorio che la VR sia così, tutt'altro (Psychonauts in the Rhombus of Ruin di tre anni fa gli dà la birra), però sento odore di un compromesso al ribasso per poter coprire la più ampia gamma di dispositivi. Il modello di Max mi sembra ben riuscito, mentre in alcune inquadrature Sam mi pare robotico (forse si deve all'illuminazione?).
Sopra ogni altra cosa, siccome un prodotto in VR com'è giusto che sia delega l'inquadratura allo sguardo dell'utente, svaniscono le conquiste registiche pregne di narrazione e atmosfere dei Telltale: è proprio una questione linguistica. The Devil's Playhouse ha appena 10 anni e pare più maturo da ogni punto di vista. Questo senza voler nulla togliere a un copione che, dai pochi scampoli che si possono ascoltare nel materiale finora diffuso, sembra in perfetta sintonia col marchio (d'altra parte scrive il buon Stemmle, non mi aspetto nulla di diverso). Il gioco uscirà nel corso del 2021: quando ci avvicineremo alla pubblicazione rifletterò sul da farsi. È dura, questa volta è dura.
Un'ultima nota: per il doppiaggio, si parla delle "voci della serie Telltale". In effetti è vero per Sam, inequivocabilmente interpretato da David Nowlin, però per Max si sta usando Dave Boat, presso i Telltale doppiatore del coniglio solo nel casual Poker Night at the Inventory 2 del 2013, l'ultima apparizione videoludica della coppia fino ad ora. Boat aveva infatti sostituito William Kasten, la vera voce storica telltaliana di Max, scomparso nel nulla così com'era apparso: una teoria complottistica (che appoggio) vuole che "William Kasten" fosse lo pseudonimo di qualcuno che voleva mantenere l'anonimato (o vi era costretto, per impegni contrattuali stringenti altrove).
20 anni di Double Fine e un approfondimento su Psychonauts 2
Tim Schafer ha obtorto collo celebrato i 20 anni della sua Double Fine in remoto, per le ragioni che tutti conosciamo: un simpatico video adeguatamente demenziale dei 2 Player Productions ci ha raccontato come sia andata, tra un brindisi e un sentito "vaff-" a una persona misteriosa che nei primi Duemila diede il gruppo per spacciato. Al di là del resto, il surrealismo finale di Tim che smanetta con i suoni ossessivi dell'Atari 2600 mi ha fatto molto ridere. Chi ami la casa o sia un collezionista, non dovrebbe perdersi il volume celebrativo "20 Double Fine Years", una collezione di concept art di tutti i titoli dell'azienda, con interviste esclusive ad alcuni suoi membri storici. Disponibile in due edizioni, arriverà nella prima metà del 2021: le spedizioni all'estero costano meno in periodo di preorder, quindi decidete in fretta se lanciarvi. A proposito di archivi, i 2 Player Productions hanno anche riesumato un pilota per una serie di video chiamata RandomNES: membri della DF sperimentavano a caso il gameplay di un titolo non famosissimo per il NES. Già che ci siamo, vi risegnalo la serie Dev's Play, era calorosa e interessante.
Ma Psychonauts 2? Procede nonostante tutto verso la sua uscita nel 2021 (mese imprecisato) e persino EDGE gli ha dedicato una copertina fosforescente! La nuova pr della Double Fine, Heather Alexander, ha intervistato in un podcast l'art director Lisette Titre-Montgomery e la concept artist Emily Johnstone, e in un altro uno dei capi-designer dei livelli, Joshua Jon Herbert. Lo scopo delle interviste era usare il rivelato livello lisergico del gioco per capire il modus operandi del team e anche la sua cultura, senza dimenticare interessanti retroscena sulle carriere degli intervistati, con trascorsi differenti. Ho ascoltato entrambe le interviste, fondendo e riassumendo le informazioni. Buona lettura!
- Lisette ha una carriera ormai ventennale: ha lavorato su giochi come Tiger Woods PGA Tour 07, Dante's Inferno e The Simpsons Game, tutti diversi e formativi. Ha particolarmente apprezzato Dance Central 3, più che altro perché il team si divertiva a prendere lezioni di ballo, e la cosa contribuì a unire tutti. Differenze tra Ubisoft, EA e una realtà come la Double Fine? In tutti i casi ha avuto modo di fare qualcosa di creativo e stimolante, ma alla Double Fine ha la sensazione di poter comunicare liberamente con tutti i reparti dell'azienda, mentre nei grandi studi la gerarchia è molto rigida (non è scontato che un grafico possa parlare con un programmatore, per esempio). Persino in un grande progetto come Psychonauts 2, dove i livelli sono gestiti da sottoteam, c'è un interscambio costante tra questi gruppi, specialmente in caso di impasse.
- Il percorso di Emily è stato diverso: è entrata alla Double Fine da stagista dopo il college, per Broken Age nel 2012. Al termine dello stage, non c'era budget per assumerla (con sua grande tristezza) ed è stata per un breve tempo alla Crowdstar, lavorando un annetto su giochi per il mercato mobile. La telefonata di Lee Petty, che le ha comunicato la possibilità di tornare alla Double Fine con uno stipendio, l'ha spinta a mollare subito tutto all'istante. Da allora ha lavorato su Costume Quest 2, Headlander, i vari remaster delle avventure lucasiane, Psychonauts in the Rhombus of Ruin.
- Appassionato sin da bambino di videogiochi, incantato dai mondi che vedeva generati dal NES, Joshua ha poi iniziato a progettare livelli aggiuntivi nella scena dei modder, per Counterstrike, Warcraft e Command & Conquer, anche se si limitava a progettare le armi. Il primo livello fu per Duke Nukem 3D, per hobby. Al college ha imparato un po' di Flash e Photoshop, nei corsi di "multimedialità", con poco game design, molto vago. Dopo un tentativo andato a vuoto nell'animazione 3D, Joshua ha cominciato come level designer presso una compagnia chiamata Idle Minds. Per entrare aveva dovuto creare un prototipo di un livello per un action-gdr procedurale, usando il motore di Torchlight: il suo livello di test fu molto più vasto e approfondito del necessario! Lo presero subito. Dopo la fine del suo impiego alla Idle Minds, seguì un periodo in cui lavorò su un fallimentare tentativo di "giocattolo multimediale", i Sifteo Cubes, a San Francisco, creando puzzle game per quella piattaforma. Gli arrivò anche un'offerta di lavoro dai Vicarious Visions a New York, per i giochi della serie Skylanders. Doveva scegliere: buttarsi sulla tripla A o esplorare prodotti innovativi come i Sifteo? Scelse la seconda opzione, conobbe tanta gente e accettò la sfida di progettare un'esperienza anche nello spazio.
- Dopo il fallimento dei Sifteo, Joshua saltò da una piccola realtà all'altra, per finire alla Crystal Dynamics, come "junior level designer" su Lara Croft and the Temple of Osiris: non sensazionali esperienze, per via delle tante (troppe) ore di lavoro. Da quel gioco passò a Rise of the Tomb Raider (essenzialmente progettando le hub zone e il DLC Baba Yaga). Da lì è passato alla NCSoft, per poco, prima di essere licenziato nuovamente. A quel punto si è preso un periodo per riflettere: nonostante avesse la possibilità di far parte di compagnie come la Blizzard, cercava un compromesso tra qualità della vita, compenso e ambiente salubre. Un amico all'NCSoft si era offerto di mandare alla Double Fine il suo curriculum, sapendo che cercavano un level designer: oltre ad accettare, Joshua spedì anche una mail di persona al sito della DF, e grazie alla sua ragazza, che per puro caso aveva stretto un'amicizia con l'office manager dell'azienda durante una festa di compleanno (!!!), gli si sono aperte le porte della casa di Schafer. L'impatto è stato strano: ha dovuto adattarsi a una serenità presa molto sul serio ("Ho imparato a non lamentarmi, a far capire cosa non va, ma a non avvitarmi sulla lamentela"). Ma soprattutto, ha dovuto imparare a essere flessibile tanto da poter impostare persino una cutscene. L'Amnesia Fortnight, le due settimane in cui si propongono liberamente idee per possibili giochi, rimescola le carte ulteriormente! Uno stimolo continuo. Lui per esempio non aveva mai interagito così tanto con i colleghi del sound design. In assoluto comunque la cosa che colpisce di più uno che arriva da Lara Croft è il senso di libertà di poter fare qualsiasi cosa con un videogioco (e questo non rende necessariamente il lavoro più semplice, perché la sfida aumenta!), oltre alla vicinanza anche umana ed emotiva del capo, cioè Tim.
- Ma com'è nato il livello psichedelico? Emily racconta di un brainstorming organizzato da Tim, dove ognuno dei partecipanti doveva scrivere su bigliettini diversi le ambientazioni più folli e alcuni stati mentali (separatamente, senza collegarli, poi venivano mischiati). Emily lesse la parola "sinestesia" e si ispirò: è la tendenza ad associare stimoli provenienti da sensi differenti (un colore a un determinato odore, per esempio). Lisette ha poi approfondito la questione con colleghi che avessero sperimentato questa sensazione, ma l'idea di guardare all'estetica di Yellow Submarine è stata di Emily, suggestionata dal fatto che il cervello protagonista del livello era rimasto nel suo barattolo sin dagli anni Sessanta, scolpito mentalmente in quell'estetica pop. Kandinskij è stata un'altra ispirazione, anche perché Emily ricorda che il pittore abbracciava la sinestesia. Detto questo, Emily non era sicura di voler affrontare il lavoro di questo livello, perché i giochi sono fermi a immagine e suono, ma la sinestesia arriva a coprire olfatto, odorato e tatto: alla fine ha accettato la sfida. Lo scopo del livello è "rimettere insieme la banda", cioè tutti i sensi dispersi nella mente scollegata per troppo tempo da un corpo. Il concept ha preso corpo mentre Emily costruiva uno storyboard di massima di quello che accadeva nella mente. Il processo è molto organico, per esempio nel livello c'è un mezzo che Raz guida, per caricare i sensi risvegliati: è un furgoncino Volkswagen (Emily pensava fosse obbligatorio inserire una cosa del genere, visto il contesto!). Il nome "Feel Mobile" è stato deciso al volo da Tim.
- Per prima cosa, entrando nel team e direttamente per la creazione di quel livello, Joshua ha dovuto imparare a usare l'Unreal Engine (in precedenza si era confrontato solo con engine proprietari). Il metodo di lavoro era curioso: Tim gli ha spiegato lo "story background" del livello che doveva impostare, cioè il contesto narrativo. Il livello era "un concerto rock psichedelico". Trauma: Josha lo considera l'incarico più difficile che abbia mai avuto. Ha trascorso un mese di progettazione con Emily Johnstone e Jeremy Natividad (grafico degli ambienti), anche perché la sinestesia era già un'idea accarezzata per il primo gioco, ma poi scartata perché considerata troppo complessa da rendere. Come conciliare la libertà della psichedelia con la logica richiesta da un'interazione sensata da proporre al giocatore? Sulle prime ha pensato di confondere i sensi dell'utente stile Eternal Darkness, poi si è concentrato più sul "fattore Woodstock e Yellow Submarine" (Joshua aveva quasi ricostruito un'area grande come Woodstock, prima che si decidesse di dividere il livello in sottoaree e usare la "Feel Mobile" per spostarsi su una piccola simpatica mapppa): è uno dei livelli più colorati del gioco e uno di quelli più privi di regole fisiche, si doveva rendere l'esperienza soprattutto divertente, quindi hanno deciso di lasciare anche il giocatore libero di divertirsi. A dirla tutta, la loro versione del livello è stata la seconda, perché la prima non ha soddisfatto del tutto le necessità narrative che Tim cercava, nonostante molti elementi della prima incarnazione siano stati reinventati per la seconda. Per il resto, la sfida è sempre quella: rendere il gameplay accessibile e onesto, mantenendolo sfidante.
- L'implementazione del potere "Time Bubble", che rallenta o ferma il tempo, è stato frutto di grattacapi: non era un'idea inedita nel mondo dei videogiochi, però come applicarla? Dare al giocatore la possibilità di rallentare qualsiasi cosa avrebbe richiesto un lavoro immane di programmazione, oltre ad aprire possibilità infinite di bug. Alla fine si è deciso di limitarlo ad alcuni elementi specifici. Fortunatamente nessuno dei poteri di Raz influenza tutto il mondo di gioco. Perché la "bolla del tempo" non appare come una bolla? Era un messaggio sbagliato e complesso: se avesse avuto quell'aspetto, qualsiasi cosa fosse entrata nella bolla avrebbe rallentato: un bel macello. Ora il potere influenza l'oggetto nello specifico, senza un'aura ambigua. Con i tecnici grafici hanno ideato il viraggio in bianco e nero dell'oggetto rallentato, con la scia arcobaleno.
- Lo sforzo creativo e produttivo più grande nella saga di Psychonauts è affrontare lo sviluppo visivo (e tecnico) più volte per ciascuno dei livelli/menti che Raz visita: di solito, lavorando su un videogioco, questo è un processo faticoso che ha però luogo una volta soltanto, mentre in Psychonauts 2 grafica, scrittura, game design e programmazione andavano sempre adattati alle prerogative dei cervelli che il protagonista abita. Non sempre la ricerca ha buon fine: a quel punto bisogna rinunciare a quello stage (non troppo spesso però, altrimenti il team si demotiva!).
- Joshua nota un fattore affascinante: ogni team dedicato a un livello/mente ha finito per collegare narrativamente, tramite molti dettagli, una mente con l'altra, cementando l'universo di gioco. Un processo, come racconta Joshua, del tutto spontaneo e non richiesto esplicitamente da Schafer. Alcuni personaggi infatti hanno esperienze comuni. Rispetto alla Crystal Dynamics e al "Costruisci una caverna" c'è un abisso! E Tim pretende che ogni aspetto del gioco, letteralmente fino all'interfaccia, abbia un sapore che riconduce alla storia e all'atmosfera che si stanno raccontando.
- Emily ha studiato illustrazione, e al college davano per scontato che avrebbe provato a entrare in posti come la Walt Disney o la Pixar. Non è andata così, però Heather le domanda se ci sono legami tra la concept art per il cinema e quella per i videgiochi. Le somiglianze sono poche: rispetto a quanto vede negli art book, la Johnstone pensa che i suoi lavori siano meno autoreferenziali e più finalizzati a servire il lavoro degli altri membri del team, sono meno "opere d'arte" e più mezzi per veicolare importanti informazioni ai colleghi, per costruire il prodotto finito. Secondo Lisette, anche se c'è una somiglianza di fondo, il videogioco necessita dell'interattività, quindi il lavoro grafico diventa più specifico e appunto finalizzato a qualcosa.
- Il livello lisergico ha posto una problematica peculiare: siccome gioca su sezioni virate interamente a poche dominanti cromatiche astratte, alla Double Fine è venuto il dubbio che i daltonici potessero non orientarsi (Heather testimonia che per esempio suo padre ha avuto problemi con alcuni puzzle di The Witness). I grafici hanno allora lavorato su luminosità e contrasti per accertarsi che gli elementi nelle inquadrature si potessero distinguere comunque, a volte testando le aree con filtri monocromatici a scala di grigio.
- Per Lisette, il bello di poter mostrare al mondo finalmente il tuo lavoro su una cosa del genere è anche nel dare al team una soddisfazione per la fatica infusa nel crearlo: nella logica produttiva, non hai molto tempo di guardarti indietro quando chiudi il lavoro su uno stage, perché devi subito passare a lavorare sul successivo.
- Le immagini mostrate nei vari demo del livello sono appena il tutorial di quello che ci aspetta! Il gioco in sé è enorme (e ci sono un sacco di collezionabili, promette Joshua!). Sono consapevoli che questo stia allungando i tempi ("Anche gli sviluppatori vogliono vedere il gioco finito, non solo i giocatori!", scherza il designer), ma l'acquisizione della Microsoft è stata una manna per non perdere l'occasione di dare il massimo che fosse possibile dare, per ogni momento del gioco.
- I sottoteam dei livelli partono con un impiegato per ogni disciplina, ma si allargano nella fase di finalizzazione del cervello in questione. Al momento ci sono però piccoli team al lavoro sulle boss fight che erano state ridotte o eliminate prima dell'arrivo della Microsoft. Ma non solo: tutto quello che si è visto del gioco finora non è finalizzato in grafica: "Il livello qualitativo di questo gioco è regolato molto in alto: sarà ancora più bello!" Rispetto al primo capitolo, per Joshua è per esempio di gran lunga superiore la cura delle animazioni di Raz e dei personaggi, già notevole quindici anni fa, ma ora proprio fuori scala. Per la cronaca, il suo livello preferito di Psychonauts è Black Velvetopia, dal punto di vista del design: adora il fatto che il toro sia una minaccia costante, ossessivo come l'ossessione di quel cervello: grande empatia. Bella per lui anche l'idea alla base del Teatro di Gloria. Personaggio preferito? Forse Sasha, perché anche lui ama l'organizzazione, ma trova pure Milla irresistibile e tenera nel suo sostegno affettuoso a Raz.
I progetti perduti di Lucasfilm Games e LucasArts: il remake mobile di Rescue On Fractalus!
Ogni tanto affiorano dal passato proposte di giochi nate in seno alla Lucasfilm Games e LucasArts, poi lasciate cadere per ragioni svariate. Ne vengon fuori viaggi affascinanti e non troppo tristi, certo meno tristi delle lavorazioni interrotte di Sam & Max Freelance Police o Full Throttle: Hell on Wheels. Qui su Lucasdelirium ho citato per esempio i seguiti di Loom mai avviati e ho dedicato una scheda intera al curioso caso di Indiana Jones and the Iron Phoenix.
Negli ultimi giorni David Fox e Noah Falstein hanno coinvolto Ron Gilbert nel rovistare in soffitta, fomentati dalla rivelazione di Fox di un remake per iPhone del suo Rescue on Fractalus!, sponsorizzato dal fu-presidente della LucasArts Darrell Rodriguez: quello per intenderci che tra il 2008 e il 2010 tentò di rilanciare i vecchi marchi anche con le Special Edition dei Monkey e la licenza ai Telltale per Tales of Monkey Island. Questo e altri progetti nostalgici (come il remake di Day of the Tentacle diverso dal remake della Double Fine), gestiti dal "Team 3" dell'allora LucasArts, naufragarono dopo che Rodriguez fu costretto a sloggiare per lasciare spazio a Star Wars. Fortunatamente poi Fox ha avuto la gioia di ammirare un remake di Rescue fatto da un fan, Fractalus, che è a buon punto.
I progetti perduti della Lucasfilm Games e LucasArts: il punta & clicca SCUMM su Star Trek
Questo tweet ha entusiasmato tutti i trekker: come poi Falstein ha confermato si trattava di una sua proposta per un'avventura punta & clicca SCUMM ambientata nel mondo di Star Trek (!!!), concepita nella primavera del 1988. Una versione completa del documento era stata caricata sul suo blog da Aric Wilmunder.
Noah premetteva nel pitch (al quale contribuirono Ron e David) che l'avventura sarebbe stata in SCUMM prevedendo la possibilità di scene d'azione (nell'aprile del 1988 però ancora da implementare nell'engine: non ci sarebbero state prima di Indy 3). Nel caso in cui la committenza avesse desiderato un'esperienza arcade più simulativa, si sarebbe dovuto "spegnere" lo SCUMM per avviare engine appositi per la gestione di quelle sezioni, usando le parti SCUMM solo come raccordo narrativo. La proposta prevedeva il controllo simultaneo dei membri dell'Enterprise in una storia coinvolgente, magari elaborata con "sceneggiatori professionisti", controllando i beniamini alternativamente tramite lo stesso principio con cui si gestivano i protagonisti di Maniac Mansion. Le prerogative di ogni personaggio tuttavia sarebbero state più trasparenti: Chekov per esempio avrebbe avuto a disposizione verbi specifici per attivare le armi della nave, mentre McCoy avrebbe potuto eseguire diagnosi specifiche sui malati. Seguendo le logiche narrative degli episodi, sarebbe stato facile orchestrare un gameplay parallelo, tra i membri scesi a investigare sul pianeta X, mentre il resto dell'equipaggio avrebbe interagito con loro a distanza. Si proponeva già un design user-friendly, che avrebbe minimizzato i rischi di "vicoli ciechi" nella creazione degli enigmi, limitando la ricostruzione dell'Enterprise alle location effettivamente utili alla storia e al gioco, senza per questo rinunciare all'esplorazione, né - promessa tecnica ardua - alle sequenze non interattive più "cinematografiche".
#StarTrekDay
— From Lucasfilm Games to LucasArts (@LucasfilmGames) September 8, 2020
1988 Lucasfilm Games proposal: "Star Trek The SCUMM Game".
A Trek adventure/story game, with the USS Enterprise crew, based on the SCUMM technology (Maniac Mansion, 1987).
Pitched to Simon & Schuster (Star Trek: The Kobayashi Alternative, 1985), then abandoned. pic.twitter.com/PrLl1noN1d
Particolarmente interessante l'idea di consentire approcci diversi alle stesse situazioni, puramente arcade per chi lo volesse (tra colpi di phaser o combattimenti spaziali proprio con l'Enterprise), oppure più cerebrali, consentendo di aggirare gli ostacoli tramite la soluzione di enigmi: di fatto Falstein qui anticipa quello che avrebbe impostato in Indy 3 e Indiana Jones and the Fate of Atlantis.
Il gioco sarebbe stato concepito inizialmente in ambiente DOS per schede grafiche CGA, Tandy, EGA, VGA, ma sempre a 16 colori in 320x200, con un'auspicabile conversione Mac a colori e in bianco e nero più avanti. Com'è evidente dai bozzetti negli scan, si può intuire un impatto della grafica e dell'interfaccia del tutto affine a quello di Zak/Maniac, ma con un uso dei primi piani che in realtà non si sarebbero visti nello SCUMM prima di Loom.
Notate come lo stesso approccio di controllo simultaneo dei membri dell'Enterprise, con intermezzi simulativi di combattimento spaziale, sarebbe stato alla base, tra il 1992 e il 1993, dei due classici punta & clicca dell'Interplay, Star Trek: 25th Anniversary e Star Trek: Judgement Rites, patrocinati da Brian Fargo e peraltro entrambi disponibili attualmente su Good Old Games, se vi interessano.
Insomma, ora sappiamo perché in Thimbleweed Park la risposta giusta a "Qual è la più grande saga di fantascienza di tutti i tempi?" è "Star Trek"! Ma George lo sapeva che aveva delle serpi in seno?
I progetti perduti della Lucasfilm Games e LucasArts: il punta & clicca TimeFly di Ron Gilbert
Rovistando nei cassetti, Falstein ha trovato un pitch di Ron Gilbert per un punta & clicca SCUMM intitolato TimeFly. La delirante proposta ("tutta di Ron Gilbert senza l'aiuto di nessun altro", com'è scritto!), stando ai ritrovamenti di testo e appunti collocabile tra il 1988 e il 1990, è costruito su un avvitarsi di paradossi temporali, che onestamente non sono sicuro di aver compreso al 100%. Ci provo: il protagonista è tale Hass, che s'imbatte in una macchina del tempo esplorando un'isola sperduta. Ne vien fuori un uomo carbonizzato, nelle cui mani c'è un libro quasi indecifrabile, se non per una scritta "Qualsiasi cosa tu faccia, non lasciare che prenda il libro!" La minaccia è rappresentata da un altro uomo misterioso, Watts, da cui Hass per 24 ore cerca di fuggire, proteggendo il libro, finché non viene raggiunto da Watts che gli soffia il maltolto e fugge nel passato con la macchina del tempo. Hass realizza che, incredibilmente, Watts è lui. La macchina però ha un malfunzionamento, così Watts viene carbonizzato quando torna nel passato, ridando il libro all'Hass del passato, a sua volta però inseguito appunto da "Watts", cioè l'Hass dell'inizio del racconto che ora rivuole il libro indietro! L'idea alla base del game design prevedeva un controllo alternato tra le due incarnazioni del protagonista, avendo di volta in volta a che fare con l'avversario che, controllato dal computer, ripeteva esattamente le stesse azioni compiute dal giocatore quando lo controllava. "Cominciato il mal di testa?", sfotte Ron nel documento, che contiene anche una mezza spiegazione filosofica dell'inevitabile onniscenza dell'utente e un esempio di enigma.
La proposta mi ha ricordato molto un'avventura grafica amatoriale slovena intitolata The Infinity String (2007), non a caso assai criptica. La manipolazione del tempo in un adventure comunque è stata molto gettonata, fino agli ultimi tempi: basti citare illustri esempi come The Sexy Brutale, l'italiano Last Day of June, Outer Wilds e, con più cerebrale ordine, in Return of the Obra Dinn. Andando indietro, citerei pure Shadow of Memories. Riguardo a Ron, questo pitch anticipa l'idea che avrebbe poi proposto a Schafer & Grossman per Day of the Tentacle (dove però lasciò sceneggiatura e puzzle ai due autori), nonché la sua passione per una narrazione criptica, che nasce dall'esplorazione delle meccaniche di gameplay.
Bene, siamo alla fine di quest'allegro aggiornamento! Prima di chiudere, volevo segnalarvi giusto che il progetto per trasformare Firewatch in un film è ripartito: mi lascia dubbioso il trasloco da un mezzo e l'altro, ma sulla questione parlai già per lavoro quattro anni fa e va oltre la generica "qualità" del risultato e delle persone coinvolte, a mio parere. Alla prossima,
ciao,
Dom
2-9-2020 (UPDATE 13-9-2020, termine esteso!)
The Secret Of Monkey Island, stando a Ron Gilbert, dovrebbe compiere 30 anni oggi 2 settembre. Nei fatti il compleanno del mito rientra in una forbice tra appunto tra quella data in cui il master fu chiuso, e la metà di ottobre, quando la prima versione Dos EGA a 16 colori arrivò effettivamente sugli scaffali dei negozi americani (noi avremmo aspettato ancora fino ai primi mesi del 1991). Ho deciso che su Lucasdelirium l'anniversario si festeggerà alla fine del mese... e che lo festeggeremo insieme.
La mia idea è creare un articolo celebrativo che contenga i VOSTRI ricordi legati al primo Monkey, raccolti in sequenza. Voglio creare un pezzo che diventi una sorta di monumento scritto. Se vi andrà, invierete il pezzo al mio consueto indirizzo di posta che trovate qui sul sito. Per organizzarci, devo purtroppo imporvi qualche paletto e regola, sennò il mio editing diventa un macello e vorrei mantenere un'identità dell'articolo.
- L'idea è raccontare qualcosa di personale (quanto privato lo deciderete voi, potete anche rimanere anonimi), in rapporto al vostro legame col gioco.
- Non "recensite" The Secret of Monkey Island: in questo caso ci interessa ciò che emotivamente ha circondato l'esperienza. Potete naturalmente citare elementi dell'avventura, ma cercate di legarli a un ricordo, a una persona, a un periodo, a uno stato d'animo.
- Il limite è di 900 battute, spazi inclusi, tassativamente.
- I pezzi vanno inviati alla casella email di Lucasdelirium entro e non oltre domenica 20 settembre [termine esteso dal precedente 13, nDiduz], con oggetto "RICORDO DI MONKEY".
- Non si vince niente. :-P
Allora, ci proviamo? Magari quest'iniziativa si rivelerà un flop, però ho pensato che nel caso di Monkey Island i sentimenti prevalgono di gran lunga sulla ragione, e credo sul serio che quest'iniziativa abbia più senso di un altro articolo storico/critico da parte mia. Anche perché da quel punto di vista rimango molto soddisfatto dalla scheda che c'è qui su Lucasdelirium e al momento per me non necessita di ulteriori ritocchi. :-P
Ciao,
Dom
8-8-2020
Sarete probabilmente sconvolti dall'impatto con quello che vi trovate davanti. Ne sono consapevole, tanto che ho deciso di aiutarvi a metabolizzarlo... con un video di presentazione del nuovo Lucasdelirium! È la prima volta che ne realizzo uno per il sito, ma l'occasione lo richiedeva. Guardatelo se non vi va di appiedare da soli in quest'esperienza, oppure se siete curiosi di sapere quale sia stato il mio approccio verso il titanico assestamento. L'aggiornamento non consiste solo in questo, s'intende: tornate per il solito giro di news!
Il trentennale di Monkey Island celebrato (ancora) da Limited Run Games
So che qualcuno di voi è già diventato proprietario dell'edizione a tiratura limitata Sega CD di The Secret of Monkey Island, la pietra miliare di Ron Gilbert: tra settembre e ottobre Monkey 1 festeggerà i suoi 30 anni, quindi l'editore Limited Run Games, responsabile appunto della citata riedizione, ha giustamente pensato che quell'edizione fisica celebrativa non fosse sufficiente. Ha annunciato una nuova iniziativa. Si tratta di una Monkey Island Collection boxata per Windows, comprendente appunto la Monkey Island Special Edition, la Monkey Island 2 - Special Edition, The Curse of Monkey Island, Fuga da Monkey Island (quest'ultimo non risulta sul tweet dell'annuncio, ma ci sarà).
This fall, to celebrate the 30th anniversary of the historic Monkey Island series, we’ll be releasing an elaborate, franchise-spanning anthology box set for Monkey Island. More details will be announced as we near our planned release date in October. #LRG3 pic.twitter.com/cspSOXm3Ux
— Limited Run Games (@LimitedRunGames) July 8, 2020
La collezione dovrebbe includere anche la versione "liscia" del primo Monkey, non si sa esattamente in quale incarnazione, ma ci sarà da attendere per avere ulteriori informazioni, in merito all'aspetto della scatola, ai gadget inclusi e al prezzo, nonché all'eventuale disponibilità della lingua italiana (la darei per scontata per le due Special Edition, visto che non esistono in versione diversa dalla multilingua, e non mi risulta che Limited Run Games smanetti direttamente sui file dei giochi).
Mi intristisce l'assenza di Tales of Monkey Island dei fu-Telltale, proprio il mese scorso ricomparso su Steam e GOG grazie ai nuovi proprietari degli asset Telltale, cioè LCG Entertainment e Athlon Games. Mi sembra di capire che Limited Run Games abbia risolto l'accordo solo con la Lucasfilm / Disney, proprietaria dei primi quattro capitoli: Tales in effetti appartiene alla LCG/Athlon, su licenza Lucasfilm/Disney, quindi è in una situazione legale un po' diversa. Immagino che per qualcuno che giudica il lavoro dei Telltale spurio non pesi, ma parliamoci in tutta onestà: non è che Fuga abbia una nomea migliore (anzi), eppure nella collezione ci sarà.
Il demo parlato di Monkey Island 2 è ora giocabile
Forse ricorderete che, qualche aggiornamento fa, vi avevo segnalato l'esistenza di un demo doppiato di Monkey Island 2: LeChuck's Revenge, affiorato online in un filmato su YouTube. Ebbene, grazie al fansite Mixnmojo e a Nicolas Deneschau, autore del libro "Les mysteres de Monkey Island: à l'abordage des pirates!", le menti dietro a un nuovo bello speciale, ora è possibile scaricare suddetto demo e avviarlo solo e unicamente sotto DOSBox (ScummVM non lo supporta, è roba altamente instabile!). Ricordate che non è proprio un demo di Monkey 2, quanto un demo tecnico (a uso interno) del sistema di riproduzione del doppiaggio su cui stava lavorando nel 1992 Aric Wilmunder. Potete soltanto andare al cimitero, aprire la bara di Rapp Scallion e farlo resuscitare: qualsiasi altra azione cerchiate di compiere, il programma va in crash. Siete avvisati.
Per avviare il demo sotto DOSBox, create la cartella C:\DOSGAMES, copiate al suo interno la cartella M2TALKIE, avviate l'emulatore e digitate, nell'ordine: "mount c c:\dosgames", "c:", "cd m2talkie" e "run."
Lo speciale di Mixnmojo comprende anche due interviste. La prima è proprio con Wilmunder, il quale spiega che compilò il demo mentre cercava di risolvere un problema tecnico: se il sistema avesse letto ogni battuta dal cd-rom a partire da singoli file dedicati, i tempi di accesso sarebbero stati insostenibili. Programmò quindi un codice che leggesse gli offset di ogni suono all'interno di un solo grande file, contenente tutto il sonoro digitale del gioco. Interessante il retroscena sullo strano primo esperimento della "talkie" di Loom, realizzata in collaborazione con la Mindscape perché avventurarsi nel mercato del cd-rom era giudicato ancora troppo rischioso dalla LucasArts, che spingeva per trovare partner esterni. Per la stessa ragione, alcune conversioni di avventure dai 16 colori EGA ai 256 colori VGA nacquero dopo aver siglato l'accordo con la Fujitsu per creare i porting FM-Towns: con gli asset convertiti ai 256 colori per quella ragione, fu semplice per Aric metter su le edizioni PC VGA per esempio di Indiana Jones and the Last Crusade (che negli Usa fu anche regalata in bundle con le schede VGA della Paradise).
L'altra intervista è con Khris Brown, più generica e incentrata sulla nascita del dipartimento doppiaggio alla LucasArts: dai primi passi pioneristici dell'iniziale responsabile Tamlynn Niglio (Barra da signorina) al debutto di Khris nel casting di Sam & Max Hit the Road.
Psychonauts 2 arriva nel 2021 e si mostra con nuovo acidissimo trailer
Abbiamo dovuto attendere il 23 luglio, giorno dell'Xbox Show Case, per avere un aggiornamento su Psychonauts 2 della Double Fine di Tim Schafer. Per l'occasione è stato confezionato un nuovo ultra-psichedelico trailer, che ci mostra il livello ambientato in una mente dall'identità perduta, confusa: è l'occasione per ascoltare la canzone concepita da Tim e Peter McConnell per la voce di Jack Black (che ha anche dedicato un breve let's play a quel livello, in anteprima per il suo canale). Sapevamo dall'anno scorso che Black, dopo Brutal Legend e Broken Age, era riuscito a convincere Schafer a liberare finalmente la propria ugola. Potete anche attivare nel video i sottotitoli in inglese per seguire la canzone. Il trailer mostra anche uno dei nuovi poteri di Raz, la possibilità di rallentare il tempo. Notate l'adattarsi del rendering allo stile grafico specifico della mente che Raz visita.
Riguardo alla data d'uscita, è accaduto l'inevitabile: il gioco è slittato ufficialmente (per la terza volta) al 2021. Credo sinceramente che Psychonauts 2 si sarebbe visto sul serio nel 2020 se non fosse stato per il Coronavirus e lo smartworking forzato degli ultimi mesi. Al di là delle considerazioni che faremo quando sarà il momento, lo slittamento mi sembra sicuramente un bene dopo aver letto un commento di Tim in un articolo sulla sopravvivenza degli sviluppatori indipendenti. Ecco le sue parole:
Con Psychonauts 2, vedevamo all'orizzonte la fine del budget, avevamo dovuto tagliare un sacco di roba, avevamo tagliato le sfide coi boss. Ora abbiamo potuto reinserirle, la gente l'avrebbe notato se non ci fossero state. Essere in grado di completare il gioco così come dovrebbe essere era importantissimo. [...]
Quando hai un ammontare preciso di tempo e soldi, finisci per lanciarti su una parte del gioco per la quale non sei ancora pronto, tipo cominci a lavorare sulla grafica prima di aver completato il design. Ora guardo al futuro di quest'era in cui faremo tutto ciò che è giusto fare per un gioco.
Caspita, avevo immaginato che il crollo della Starbreeze, iniziale finanziatore del progetto, avesse causato danni alla lavorazione, ma non avevo realizzato che si fosse arrivati a questo. Ad ogni modo, in un altro articolo di Games Industry sul concetto Game Pass (molto alla Netflix / Amazon Prime Video), Tim ha mostrato il suo entusiasmo per il modello.
Il Game Pass mi ha fatto pensare ad alcune idee assurde che avevo avuto, per alcune mi dicevo: non potrei mai presentarla a un editore, non me la finanzierebbero mai. Ma ora ho riaperto il faldone con quelle idee, mi dico: questa mi piace, scommetto che ora potrei farcela! [...]
Sul Game Pass puoi avere giochi di qualsiasi tipo e durata. È il gioco che ti parla e ti dice quanto dev'essere grande, solo che se ci riferiamo a un acquisto singolo, c'è da quantificare il valore, i giocatori dicono: con questo posso giocare mille ore, con quest'altro no. [...]
È una domanda eterna, sono trent'anni che faccio questo mestiere e alla LucasArts facevamo le stesse identiche conversazioni, dovevamo mettere "40 ore di gioco" sul retro della scatola. Pensavamo: ma non potremmo fare giochi più piccoli ed esplorare una piccola idea invece di una enorme? Ora possiamo fare entrambe le cose.
A proposito di Xbox, non fatevi fuorviare: chiaramente nei canali ufficiali Microsoft si parla di Psychonauts 2 solo come titolo Windows e Xbox One (potenziato per Series X), ma ancora una volta le edizioni promesse durante la campagna di crowdfunding Fig per Mac, Linux e Playstation 4 sono state altrove confermate. Non sarei tuttavia ottimista per un'ottimizzazione Playstation 5: è già encomiabile che la Microsoft non si sia imposta per la cancellazione delle versioni destinate ai sistemi non suoi, annunciate prima dell'acquisizione della Double Fine nel 2019...
I 20 anni della Double Fine
Proprio in questi giorni la Double Fine compie 20 anni, perciò è partito un interessante Humble Bundle contentente praticamente tutta la produzione della casa di Tim Schafer. Se vi manca qualcosa, è il momento di approfittarne. Sull'argomento, Tim è stato ospite del giornalista Greg Miller nel suo canale Kinda Funny per il ciclo di interviste a sviluppatori intitolato "We Have Cool Friends". In questi casi vengono inevitabilmente ripetuti concetti ascoltati e letti mille volte, quindi isolo una manciata di suggestioni se non nuove almeno espresse in modo differente.
- Lavorare per una major come la Microsoft dà maggiore sicurezza economica? Relativamente, Schafer lo spiega con la metafora degli aerei. Essere sviluppatore indie è come volare con un piccolo biplano, senti ogni turbolenza. Un grande studio è come un boeing, senti meno le turbolenze ma non è detto che non ci siano, e potresti realizzarlo troppo tardi. Ma la major in sé non deve far paura, perché "non esiste", la chiave sono le persone a cui fai riferimento all'interno di essa: se quelle a cui ti appoggi e di cui ti fidi sono licenziate, allora devi preoccuparti!
- Come sopravvivere ai compromessi in una lavorazione? In teoria sarebbe facile: devi concentrarti su un solo aspetto che per te è cruciale del gioco, in modo tale da non cedere mai su quello e accettare compromessi sul resto. Tim ammette però anche che non è così semplice, perché arroccarsi su quell'aspetto non deve rendere sordi a quello che il gioco, in corso d'opera, sembra voler dirti. Tra playtesting e pareri dei collaboratori, potresti renderti conto che la strada da prendere è un'altra.
- Dopo Psychonauts 2, per lui si aprirà un periodo di soggetti e idee originali. È dal 2012 che rivisita il proprio passato, compreso quello dei punta & clicca con Broken Age e i vari remaster.
- Il Kickstarter, dopo i primi trionfi, si è ammosciato? Schafer e Miller ammettono che sì, è proprio così, e secondo Miller il problema è anche legato al tempo necessario per i sostenitori a mettere le mani su qualcosa, a differenza di ciò che accade per esempio con Patreon (che sarebbe tuttavia difficile da far funzionare per una lavorazione di un videogioco). Tim ricorda però che è diventato un metodo piuttosto regolare per finanziare i giochi da tavolo, e che forse il limite di Kickstarter è nel suo doversi legare a una "notizia", a un evento che abbia un significato e attiri l'attenzione. Colgo l'occasione per aggiungere che, se il crowdfunding si è spento su cifre medio-alte, sopravvive nell'ambito della produzione molto indie casalinga a basso costo.
- Il concetto di Game Pass, una sottoscrizione in stile Netflix, per Tim è il futuro, specialmente per le produzioni più strambe e sperimentali: avanza come esempio il loro Stacking. Non cerchi online un videogioco sulle bambole russe, ma se te lo trovi in una sottoscrizione, superando lo scoglio di pagare soldi specificamente per quel titolo, sei più invogliato a dargli una chance...
- Consiglio di Tim agli sviluppatori: non leggere le recensioni o almeno non prenderle come vero feedback. I pareri che arrivano dal playtesting sono preferibili.
- In vent'anni, Schafer si è divertito nello scoprire le persone dietro alle star che gli parevano intoccabili. Il sodalizio consolidato con Jack Black, fan di Psychonauts in tempi non sospetti, legame sbocciato con Brutal Legend, è un grande esempio: "Come me, era consapevole di quanto fosse ridicolo e sopra le righe l'heavy metal, continuando però indefessamente ad amarlo!" Un altro vip con un'identità da nerd è stato Elijah Wood, voce di Shay in Broken Age. Miller propone a Tim di tener ben presente per il futuro Brie Larson, che pare abbia una militanza videoludica non trascurabile.
- Consiglio a un creativo in pieno blocco dello scrittore? 1) Tenersi pronti ad aprirsi a nuovi stimoli creativi. 2) Non sottovalutare i meriti del free writing.
Il primo capitolo di Deathspank di Ron Gilbert disponibile in italiano
Il comico e demenziale action-rpg che Ron Gilbert cucinò alla Hothead Games, Deathspank, è stato tradotto in italiano! Autore della sudatissima patch amatoriale è il fan Wolfgare, che saluto. La sua traduzione per ora copre solo il primo atto di Deathspank, perché se ricordate Ron e la Hothead decisero di scorporare l'esperienza in due titoli: il successivo episodio Thongs of Virtue deve ancora passare per il trattamento Wolfgare. L'ho interpellato a riguardo e per ora non ha annunci da fare: nel caso, ci farà un fischio e provvederò ad amplificarne il suono. Per la cronaca, so che gli episodi di Deathspank furono tre, ma Ron non ha mai lavorato su The Baconing.
The Wolf Among Us ricordato dai suoi autori, in attesa del sequel
The Wolf Among Us rimane un titolo molto amato della Telltale post-punta & clicca, e so che in molti (me compreso) stanno aspettando per il 2021 il suo seguito, realizzato per conto dell'LCG/Athlon dal team AdHoc Studio, composto da ex-Telltale, tra cui Dennis Lenart e Nick Herman, responsabili all'epoca proprio della prima puntata delle avventure di Bigby. I due sono stati ospiti di una blind run di Averagesiege, un'iniziativa di beneficenza per la ricerca contro il diabete: il confondatore dei Telltale Dan Connors è infatti da tempo in prima linea per la ricerca di finanziamenti, avendo lui stesso un figlio adolescente che soffre del problema. Nella chat Dan ha anche fatto capolino, ma ha svicolato la domanda di un fan su una possibile quarta stagione di Sam & Max (ricordo che Dan, con la sua etichetta Skunkape Games, ha rilevato le tre stagioni telltaliane col cane e il coniglio). Ad ogni modo Dennis e Nick, pur non essendo autorizzati a parlare per ora di Wolf 2, hanno raccontato diversi aneddoti sulla lavorazione della prima stagione. Vi riassumo quanto detto qui in basso, premettendo che c'è stata anche un'altra diretta con ospite la Bay Area Sound: mi riprometto di sbobinare anche quella in un'altra circostanza.
- Lenart e Herman spiegano come in sostanza la Telltale sia stato il loro primo vero impiego: da sempre appassionati di giochi e cinema, ci videro la possibilità di coniugare le due cose. Herman in particolare iniziò lì subito dopo il liceo, come stagista all'epoca della prima stagione di Sam & Max, quando il team era costituito da una quindicina di persone.
- Lenart si dice sollevato dall'aver diretto con l'aiuto di Nick il primo episodio di The Wolf Among Us, perché tradizionalmente la prima puntata di una stagione era la più faticosa, dovendo fornire l'impostazione generale: a occhio, un primo episodio poteva richiedere fino al quadruplo del tempo richiesto per ultimare una puntata più interlocutoria di metà stagione.
- Rispetto a The Walking Dead, cercarono di fare qualcosa di diverso? Avrebbero voluto rendere più complesse le sequenze d'azione, meno lineari, con scelte: la prima che si incontra nel gioco è impostata così, ma realizzarono che il budget saliva troppo, quindi quell'aspetto fu stemperato (ma sperano di recuperarlo nel sequel). Analogamente, Lenart puntava molto sull'idea di lasciare al giocatore ogni tanto la scelta della priorità nel visitare alcune location, trovandole differenti a seconda della decisione presa: costosa anche quest'impostazione, ma era affascinante.
- È vero che l'adattamento di Fables era cominciato lontano dall'impostazione alla Walking Dead? Confermano: la lavorazione di The Wolf Among Us e The Walking Dead fu parallela, e la prima versione delle avventure di Bigby [curata da Mike Stemmle, ndDiduz] era più umoristica, non era un prequel e si basava su un'impostazione più da punta & clicca classico, a enigmi (Cenerentola era un personaggio importante). Herman sottolinea però come la metamorfosi fosse necessaria: era dal vituperato Jurassic Park che stavano cercando di rinnovarsi, e quando l'esperimento successivo di The Walking Dead funzionò (anche per una sincronia non del tutto volontaria con l'esplosione della serie tv), sarebbe stato un delitto non continuare su quella strada.
- Sono contenti di quello che è stato fatto col personaggio di Rhys in Borderlands 3, dopo il loro Tales from the Borderlands? Per Herman alla Gearbox hanno seguito con una certa coerenza il modo in cui avevano lasciato in sospeso Rhys al termine della serie Telltale, ma non sono stati contattati per quel cammeo. Lenart non ha nemmeno voluto guardare video di gameplay da Borderlands 3, sostenendo che, dopo aver lavorato duramente su qualcosa, raggiungi un livello di saturazione tale da volerne prendere le distanze per un po' (a lui è capitato dopo Back to the Future - The Game).
- Come descriverebbero The Wolf Among Us a chi non lo conosce? È una storia gialla neonoir con i personaggi delle fiabe, nella New York anni Ottanta.
- Esperienze significative alla Telltale? Naturalmente il cambiamento che si avvertì nella compagnia dopo il successo di The Walking Dead, quella sensazione di essere passati dalla nicchia al mainstream, sacrificando però anche la calma con cui si lavorava prima. A parte quello, Nick e Dennis ricordano con estremo piacere e orgoglio, sul piano professionale e umano, la lavorazione di Sam & Max: The Devil's Playhouse ("Io su Sam & Max ci lavorerei subito anche domani", dice Nick).
- Dennis racconta di aver realizzato per puro caso che Adam Harrington, voce ufficiale di Bigby, viveva nel suo stesso complesso di appartamenti, ma non si sono conosciuti fino al secondo episodio della prima stagione di The Walking Dead. A dire il vero, aggiungo io, Harrington era già stato LeChuck nella prima puntata di Tales of Monkey Island, prima di essere sostituito da Earl Boen (in qualche versione è rimasta la sua voce). Cosa divertente, Adam fu scritturato per la voce del Taglialegna prima di essere confermato come Bigby, per cui si trovò a "lottare contro se stesso" nella rissa iniziale del primo capitolo!
- Alla fine del primo episodio di Wolf, all'uscita, sembrava che la detective Branningan dovesse avere un ruolo molto più corposo negli episodi successivi. Cos'è successo? Il team creativo di Nick, Dennis e dello sceneggiatore Pierre Shorette su spostato da Wolf a un altro progetto (non senza una forte delusione), per cui i nuovi responsabili portarono la storia in una direzione un po' diversa.
- Non avevano mai letto il fumetto di Bill Willingham prima di occuparsi della stagione, lo studiarono quando cominciarono a lavorarci. Per quanto li riguarda, Bill non è mai stato troppo invasivo durante la creazione del primo episodio, limitandosi a supervisionare le idee e a dare la sua benedizione. Non sanno però come sia andata dopo che hanno dovuto lasciare il progetto.
- La raccolta dei dati li ha aiutati spesso a definire meglio alcuni personaggi e tematiche, in funzione del modo in cui i giocatori interagivano con essi.
- Come mai ogni tanto saltano fuori delle mod che recuperano scene tagliate? "Non eravamo molto bravi a eliminare dai file quella roba" (guardate per esempio questa sequenza incompleta!).
- Consigli su come entrare nel mondo dei videogiochi? Umilmente, Nick pensa di non poterne dare di significativi, se non due: lanciatevi nel fare un gioco con i mezzi accessibili che ci sono oggi (tra editor ed engine, Unity o Unreal) e cercate di canalizzare voi stessi in quello che fate. Fatto questo, è bene ricordare l'ovvio: secondo Dennis è importante che, come accadde a loro, ci sia qualcuno disposto a darti una chance. Meglio ancora, si può pensare di presentare a una determinata azienda un prototipo coerente con quello che l'azienda produce, assecondando quelle che possono essere le loro necessità. Utili anche le game jam, perché non hai tempo per rimuginare.
- Per un periodo Nick pensò di proporre una sorta di Super Smash Bros con personaggi dai giochi Telltale, tipo Sam & Max, ma il sogno durò poco: l'assenza di simulazione fisica nell'engine Telltale Tool avrebbe reso un beat'em up impossibile, a meno che non s'investisse tanto in una sua espansione.
- Un'opinione sui Quick Time Event: sono molto utili per trasmettere l'ansia con uno stile cinematografico, ma detto questo vorrebbero cercare di farli evolvere in qualche modo (come peraltro avevano cercato di fare già in passato alla Telltale, nei limiti di un motore che non si prestava a un controllo action reale).
- Fiaba preferita di Dennis? La sirenetta!
- Tipo di videogioco preferito? Paradossalmente, non i giochi narrativi: sono troppo vicini al genere e non si rilasserebbero, meglio uno stacco con Overwatch. Nel single player non disdegnano un giro su Bloodborne. Hanno gradito Inside.
- Un film che ha ispirato l'estetica di The Wolf Among Us? Forse Drive di Nicolas Winding Refn.
- Sperano di arricchire la stagione 2 di Wolf con canzoni su licenza, come hanno fatto per Tales from the Borderlands. Le musiche sono così importanti nel loro processo creativo, che Pierre Shorette scrisse il primo trattamento di Wolf associando a ogni scena una canzone specifica da ascoltare nella lettura, per immergersi nella giusta atmosfera.
Allora, vi siete gustati questo aggiornamento epocale? Io adesso vado a riposarmi perché ne ho proprio bisogno, ma prima di lasciarvi vi segnalo giusto che ho aggiornato con pochi ritocchi la scheda di CSI Intento mortale e Cospirazione letale, opere secondarie dei fu-Telltale, e che Daniele Spadoni è tornato alla carica con un punta & clicca amatoriale lucasiano dal titolo Zak McKracken: a Mansion, a Meteor and the Alien Mindbenders, in arrivo per settembre.
Ciao,
Dom
28-6-2020
Salve a tutti. Immagino che ormai, magari spronati da qualcuno più pragmatico e poco nevrotico, abbiate recuperato almeno una parte di normalità: io ci sono riuscito non senza fatica, fermo restando il mantenimento delle varie misure di sicurezza. Aggiornamento relativamente leggero questo mese, perché non è successo molto in ambito lucasiano.
Il decennale di Puzzle Agent
Ricordate Puzzle Agent e Puzzle Agent 2? Questi titoli minori dei fu-Telltale uscirono rispettivamente nell'estate 2010 e in quella successiva. I due brevi punta & clicca erano basati sull'universo di Grickle creato da quel genio che risponde al nome di Graham Annable, grafico e animatore alla LucasArts, poi nel primo nucleo dei Telltale e infine story artist e regista per la Laika Entertainment, dove ha lavorato su Coraline e la porta magica e ha codiretto il film in stop-motion Boxtrolls.
Le due avventure furono davvero atipiche nella giocografia dei Telltale, non soltanto perché erano 2D con grafica a mano libera per la gran parte, ma anche per il sottogenere di appartenenza: sono infatti i loro due unici giochi direttamente ispirati dal nintendiano Professor Layton. Enigmistica e misteri, resi di nuovo disponibili su Steam e Good Old Games dalla nuova proprietà degli asset Telltale, cioè LCG Entertainment / Athlon Games. Non mi avevano mai entusiasmato come esperienze interattive, ma come ho reagito riattraversandoli adesso, dopo dieci anni? Vi lascio alla lettura delle due schede riviste e arricchite, però se siete appassionati di fumetti e non avete problemi con l'inglese, vi consiglio davvero di procurarvi (ammesso che la troviate a prezzo decente) l'antologia The Book of Grickle: specialmente l'ultima storia, Wee Man, è uno dei suoi capolavori. E se non volete spendere, scagliatevi sui cortometraggi di Grickle sul canale apposito: c'è l'imbarazzo della scelta, ma Channels rimane uno dei miei preferiti. È un umorismo surreale e macabro che magari non è gradito a chiunque, ma io confesso di trovarlo irresistibile.
Tales of Monkey Island torna in vendita!
La citata coalizione LCG Entertainment / Athlon Games non sta solo lavorando sul secondo capitolo di The Wolf Among Us (in collaborazione con l'AdHoc Studio, formato da ex-Telltale), ma si sta dietro le quinte adoperando per rimettere in vendita la maggior parte del catalogo dei defunti Telltale, firmando nuovi contratti di licenza con i proprietari dei rispettivi marchi protagonisti dei vari titoli. Come ho anticipato su Facebook e Twitter, il recupero di questo mese dovrebbe essere assai gradito al lucasdelirante: Tales of Monkey Island è tornato acquistabile su Steam e Good Old Games!
Questo non cambia nulla per chi già possedeva "Monkey Island 5" sulle varie piattaforme, perché poteva scaricarlo in qualsiasi momento, ma ora la stagione è tornata in vendita per chi non l'ha mai posseduta: a questo proposito, noto che dopo oltre 10 anni lo sforzo di Mark Darin e Mike Stemmle è rimasto nel cuore di molti appassionati, però qualcuno ancora gli resiste, giudicandolo offensivo o scadente, oppure evitandolo come la peste terrorizzato dal 3D, dagli episodi o quant'altro. Mi dispiace, perché rigiocando la serie l'anno scorso e compilando la nuova scheda, lo apprezzai persino di più. Continuo a pensare che sia stato un titolo tematicamente molto coraggioso, in grado di andare persino oltre l'aspetto puramente umoristico. Insomma, per me vale ancora la pena dargli una chance. Sembra purtroppo che al momento la riproposta non preveda la versione Mac, forse a causa di un login necessario al sito dei Telltale (pur riaperto dai nuovi proprietari).
E soprattutto, adesso tutti i Monkey Island sono tornati legalmente disponibili in digitale, anche se a essere onesto mi mancano le versioni originali dei primi due capitoli di Ron Gilbert: si possono estrarre dalle Special Edition, però sarebbe proprio il caso di metterli in vendita anche separatamente, a mio modesto parere.
The Hand of Glory: un saluto agli autori!
Segnalo di mia sponte e molto volentieri l'uscita della prima parte del punta & clicca The Hand of Glory, opera prima di Stefano Rossitto, che conosco dall'epoca di Adventuresplanet, anche se non di persona. Conosco invece di persona uno dei massimi "soliti sospetti" dell'ambiente, collaboratore a design e sceneggiatura, cioè Cristiano "Gnupick" Caliendo, e come se non bastasse sono stato anche un backer del progetto.
Insomma, non potevo esimermi, anche perché ho una coda di paglia: giocai all'epoca solo il demo, ma per ragioni di tempo in questo periodo non ho potuto ancora attraversare la prima parte, perciò penso che attenderò l'uscita del secondo atto a settembre per viverlo tutto in un colpo. Oltretutto ammetto di avere una certa difficoltà con i titoli divisi in episodi, perché dimentico facilmente dettagli importanti tra un'uscita e l'altra, quindi di solito attendo che siano completi: nel caso dei Telltale all'epoca, scrivere di ogni uscita mi aiutava a focalizzarmi e comunque raramente passava più di un mese tra un episodio e il successivo. In definitiva, questa è una segnalazione d'amicizia e vicinanza che va oltre feedback e analisi. Dal demo, ricordo che l'avventura puntava al modello di Broken Sword (imprinting avventuriero di Stefano), che non è proprio equivalente a quello lucasiano, ma suppongo che molti lettori di Lucasdelirium abbiano un grande affetto pure per le avventure di George Stobbart. E ne hanno ben donde.
Noah Falstein ancora sulla sua carriera
A dirla tutta, il buon vecchio Noah Falstein, coautore di Indiana Jones and the Last Crusade e Indiana Jones and the Fate of Atlantis, nonché di diversi altri giochi anche storici ma meno noti in questa sede, aveva già parlato della sua carriera in un podcast di Kenobisboch oltre un anno fa e in misura minore in un'altra occasione. È stato nuovamente intervistato dal canale tedesco Video Game Newsroom, in una lunghissima e ancora più profonda chiacchierata di quasi due ore. Vale la pena riassumerla ugualmente, però cerco di evitare di ripetere concetti già espressi le altre volte, quindi tenete presente che per avere un'idea completa di Noah dovreste leggere o rileggere anche i resoconti già citati. Prima di iniziare, isolo un concetto intrigante: quando parla degli amici alla LucasArts, Falstein dice di essere tornato al lavoro con "due di loro" per un progetto ancora non annunciato. Avendo nel cuore Indy 3, viene spontaneo pensare a Ron Gilbert e David Fox, meditando pure sul nuovo engine per punta & clicca inaugurato il mese scorso da Delores. Noah fece da playtester entusiastico per Thimbleweed Park e in un'altra occasione disse che gli sarebbe piaciuto esser libero per partecipare più attivamente alla sua produzione. Chissà: non voglio farvi sperare troppo, di certo non c'erano solo Ron e David alla Lucas. Partiamo col riassunto!
- Il nome Koronis Rift veniva da un Koronis Strike programmato da lui su un mainframe (in APL) all'università. I professori erano incuriositi ma perplessi, perché i videogiochi alla fine degli anni Settanta erano una novità assoluta. "Koronis" comunque è il nome di un asteroide: Noah studiava anche astronomia, ma l'abbandonò presto quando realizzò che sarebbe stata meno entusiasmante di quanto avesse previsto.
- Quando entrò alla Milton Bradley, andava alla grande il Simon, che dopo oltre 40 anni si vende ancora: il successo fu la ragione che spinse l'azienda ad abbracciare l'intrattenimento digitale. Ci rimase due anni e mezzo: in collaborazione con la Texas Instruments stavano sviluppando un sistema di riconoscimento vocale, con relativi software. Ricorda con piacere il prototipo di un robottino che rispondeva a comandi specifici: bellissimo, ma i capi realizzarono che sarebbe costato troppo all'utente finale, contraddicendo la loro politica di non superare mai i 40 dollari per un prodotto (il piccolo robot sarebbe costato sui 100). La Milton Bradley stava anche preparando un home computer, ma fu battuta sul tempo dal Coleco Adam, praticamente identico a quello che avevano in cantiere.
- Divertente: in quel primo periodo, l'idea che un ingegnere venisse al lavoro vestito in modo casual (per usare un eufemismo) era considerata inconcepibile dai capi: non era ancora un'epoca per la cultura nerd! Le cose cambiarono quando il presidente Carter, per la crisi energetica, esortò le aziende a tollerare abiti più leggeri d'estate, per risparmiare sull'aria condizionata!
- Perché lasciò la Milton Bradley? Il capo ingegnere, razzista e misogino, gli risultava insopportabile. Troppi progetti furono poi cancellati dalla dirigenza che aveva paura di rischiare.
- Alla Williams Electronics (poi confluita nella Bally Midway) nel 1982 si respirava un'altra aria: c'erano team effettivi di persone dedicate a ogni gioco, un salto di qualità che poi portò a Sinistar. Erano molto organizzati, forti della loro esperienza con i flipper: per esempio testavano una macchina piazzandola in un solo arcade e monitorando le reazioni dei giocatori. Noah ricorda ancora l'emozione quando realizzò che Sinistar stava attirando l'attenzione di tutti i visitatori di una sala giochi.
- La Williams produceva anche elementi hardware dei suoi arcade, in una sinergia di reparti molto stimolante, usando peraltro processori più potenti del diffusissimo all'epoca 6502.
- Noah ricorda quanto ha imparato come programmatore nel reverse engineering dell'Atari VCS 2600 (l'Atari era gelosa delle specifiche, per lavorarci da esterno dovevi ingegnarti).
- Il primo crollo del mercato allontanò il 90% dei giocatori dagli arcade nei primi anni Ottanta (Sinistar vendette 1/10 delle unità di Joust), così iniziarono i licenziamenti e Falstein fu lasciato andare in una di quelle ondate. La prossima tappa sarebbe stata la Lucasfilm Games.
- Il paradosso era che, tra la fine dei Settanta e i primi Ottanta, la Lucasfilm e George Lucas erano un mito completo, di tecnologia e intrattenimento, dopo il boom di Guerre stellari nel 1977: molti nerd come Noah sognavano di lavorare lì a prescindere dal loro campo, ma erano consapevoli di non avere possibilità, perché la Lucasfilm, per quel che ne sapevano, operava solo nel cinema. Immaginate la sorpresa quando tramite alcune conoscenze seppe che esisteva un "Games Group" che stava creando i suoi primi giochi. La prospettiva di lavorare lì divenne concreta, così come il trasloco da Chicago all'allegra (e creativamente viva) California.
- La Lucasfilm Games era un posto assai particolare, perché era una nicchia in cui creare un intrattenimento indipendente dalle altre divisioni della Lucasfilm, dedite invece a tutte le fasi della produzione cinematografica e a ciò che vi ruotava. Falstein ricorda che, un po' di tempo dopo che era arrivato, commentò in una riunione i risultati di vendita dei loro giochi, realizzando che per la prima volta avevano generato un profitto (non era logico, il Games Group era nato come cellula sperimentale a fondo perduto, al massimo George si aspettava che andassero in pari). A Noah raggiante, una persona del marketing della Lucasfilm, presente alla stessa riunione, ridacchiando mostrò i dati di vendita dei pigiami di Star Wars: il paragone era improponibile, i giochi al confronto avevano reso briciole! A maggior ragione però Falstein pensa che l'insistenza di Lucas nel mantenere aperta la divisione fu encomiabile, davvero retta da una visione lungimirante e creativa.
- Quando è andato in tempi più recenti a lavorare per la divisione giochi di Google, il primo giorno li hanno portati in giro a guardare la sede idilliaca costruita per i dipendenti. Uno dei colleghi ha detto a Noah: "Ma si può lavorare in un posto più figo di questo?" Falstein non ha voluto spegnere il suo entusiasmo, ma dentro di sé ha ripensato allo Skywalker Ranch e ha dovuto ammettere a se stesso che non è riuscito in vita sua a trovare nulla di meglio.
- Le storie più belle sono sempre quelle che riguardano i contatti con Steven Spielberg. Uno concerne l'arcade di Star Wars, che Steven aveva scoperto al ranch mentre lavorava sul montaggio del Tempio Maledetto. Ne ordinò subito uno per casa sua, prima di realizzare che il tasto "USA LA FORZA", in grado di rendere la partita molto più semplice, era in realtà una modalità di debug applicata dal programmatore Peter Langston. Spielberg richiese la modifica anche per la sua macchina! Un altro bel momento fu quando Noah andò a trovare Steven nel suo ufficio per discutere della prima versione di The Dig. Notò che sulla sua scrivania c'erano libri di film che stava pensando di adattare: uno era Schindler's List. Nel mucchio di carte sulla scrivania, riconobbe però il manuale di Secret Weapons of the Luftwaffe, consumato perché consultato all'inverosimile! I simulatori arcade di volo bellico di Larry Holland erano i titoli Lucasfilm Games preferiti di Spielberg.
- Il periodo "fate un po' quel che vi pare, basta che non perdiate soldi" terminò intorno al 1986, quando si cominciarono a progettare giochi in una prospettiva più commerciale. Il suo PHM Pegasus fu il primo titolo della compagnia a vendere 100.000 copie, mentre Indiana Jones and the Last Crusade - The Graphic Adventure ne registrò 250.000 su tutte le piattaforme. Indiana Jones and the Fate of Atlantis fu invece l'unica avventura grafica lucasiana (che lui ricordi) a toccare il milione di copie vendute all'uscita. Era il 1992-1993 e la musica cambiò: i videogiochi erano diventati un'industria vera ("a quel punto almeno vendevano più dei pigiami").
- Perché la Lucasfilm Games, almeno finché lui fu lì, non lavorò mai seriamente sui giochi per console? Ci provarono, ma la cultura aziendale era orientata sulla complessità del mondo PC: amavano sfidare la tecnologia e sfruttare ogni nuova possibilità tecnica, cosa che non era possibile con le console.
- Perché nei primi tempi fu vietato loro di realizzare giochi su Star Wars e Indiana Jones, e perché a un certo punto cominciarono a farli? I piani alti ritenevano che con questa suddivisione del lavoro si potessero fare più soldi: Star Wars e Indy in licenza a esterni che pagavano comunque e bene per usare quei marchi, e giochi buoni sviluppati internamente, a soggetto originale, che incassavano parallelamente. Fu detto loro che giochi Star Wars e Indy realizzati internamente potevano valere la candela solo se fossero stati migliori di quelli programmati da terze parti. A quel punto divenne un punto d'onore dimostrare d'essere all'altezza dei marchi bandiera della loro stessa azienda! Star Wars X-Wing di Larry Holland fu il primo vero passo per quello scatto d'orgoglio (Noah fece da tester e ne progettò alcune missioni).
- Ancora oggi si emoziona nei viaggi in Europa, quando alle fiere viene avvicinato da tanti giocatori che vogliono farsi firmare le avventure lucas. La vede come una forma di riscatto: negli Usa il dominio Sierra nelle vendite delle avventure grafiche era incontrastato, ma sapevano che i prodotti Lucasfilm Games erano di qualità. È toccato anche dall'idea che in tanti sostengano di aver imparato l'inglese giocando agli adventure Lucasfilm Games e LucasArts.
- Noah rivela di non essersene andato volutamente dalla LucasArts, all'inizio del 1992, ma di essere stato mandato via in un momento in cui non era attivo su nessun progetto e il management (poi licenziatosi) in quel frangente volle sfoltire la forza lavoro del 10%. Ci rimase molto male, però col senno di poi non si può dire deluso dalle esperienze molto varie avute in seguito (e tornò brevemente alla Lucas come consulente di Star Wars Empire at War).
- In seguito ha lavorato con Trip Hawkins, che aveva comunque conosciuto all'epoca di Sinistar: il grande progetto era il 3DO, meteora per sei mesi prima dell'arrivo della Playstation nel 1995. Secondo Falstein, Trip aveva concepito il 3DO come quello che poi sarebbe stato l'Xbox: era forse troppo presto, e la tecnologia non era all'altezza di queste mire. Per esempio la compressione video per guardare film non era ancora sviluppata a sufficienza per un risultato decente. E il sostegno dell'Electronic Arts, di cui Hawkins peraltro faceva parte (era nel consiglio di amministrazione), fu meno convinto del previsto. Anche quell'esperienza comunque finì quando Hawkins decise di ridurre drasticamente il numero degli impiegati, sopravvivendo solo sulle vendite dell'hardware e sulle percetuali del software realizzato da terze parti. Questo secondo licenziamento non ferì Noah meno del precedente alla LucasArts (per quanto avesse più senso di quello).
- Dopo un periodo breve di attività da freelance e consulente (che svolge tuttora), fu il turno della DreamWorks Interactive, appena nata nella primavera del 1995: fu preso immediatamente, anche perché Spielberg si ricordava di lui. L'idea alla base della DreamWorks in generale era affascinante: un nuovo studio cinematografico a Hollywood dopo decenni, però già pensato per un'integrazione totale con altri media, compresi i videogiochi. Lui fu incaricato da Spielberg di fungere da executive producer di un titolo sullo sbarco in Normandia, ma poi il team con cui lavorava fu dirottato verso Trespasser, voluto da un nuovo CEO con idee diverse. Fu bello tuttavia avere accesso agli Universal Studios, perché la sede si trovava in quel complesso. All'uscita di Salvate il soldato Ryan, si riprese il design impostato da Falstein e se ne ricavò Medal of Honor, quando però lui nel frattempo aveva già lasciato l'azienda (di sua sponte questa volta, a causa dell'atteggiamento del CEO di cui sopra). Come ringraziamento, Noah è comunque uno dei due personaggi sbloccabili in Medal of Honor, insieme a Winston Churchill! Da freelance, lavorò per la DreamWorks ancora su Chaos Island.
- Dopo la DreamWorks, Falstein realizzò di poter vivere molto meglio da freelance (venendo per paradosso pagato persino di più!) e ha continuato a farlo per 17 anni, prima di accettare l'incarico alla divisione giochi di Google. Oltretutto, il freelancing gli permetteva di abbracciare la varietà, con un focus in particolare su prodotti educativi e, ultimamente, persino focalizzati su terapie mediche e psicomotorie, la "terapia digitale" sviluppata dalle neuroscienze, di recente in America equiparata in alcuni casi alla terapia farmacologica. È stato dimostrato come videogiochi sviluppati con la consulenza di esperti possano essere d'aiuto per chi è afflitto da depressione o schizofrenia, o possano fungere persino da antidolorifico.
- Prospettive per il futuro? La realtà virtuale e la realtà aumentata continuano per lui ad avere grandi potenzialità, ma hanno rallentato la loro penetrazione nell'ultimo periodo. La crescente importanza degli esports potrebbe nascondere un preoccupante rovescio della medaglia: e se la fetta di chi preferisce veder giocare, piuttosto che giocare direttamente, crescesse troppo? E per quanto riguarda le conseguenze del Covid-19? Dipende: a caldo il lockdown ha aiutato le vendite, specialmente per le grandi società, ma rimane il fatto che i piccoli sviluppatori hanno avuto e stanno avendo difficoltà a tenersi a galla, a organizzarsi e a trovare finanziamenti. Difficilissimo fare previsioni in questo momento.
- Falstein guarda indietro a tutti questi anni, ricordando la riunione sui "pigiami di Star Wars": trent'anni fa ci si chiedeva coi colleghi alla LucasArts se i videogiochi sarebbero mai stati diffusi e importanti quanto il cinema. Sembrava davvero impossibile. Oggi è realtà, in un'esplosione di generi, macchine e fruizioni che ha superato la penetrazione dell'industria cinematografica.
Star Wars Squadrons rilancia i sempreverdi combattimenti spaziali [UPDATE 29-6-2020]
Quasi dimenticavo: anche se pochi utenti visitano Lucasdelirium per notizie che esulano da avventure e narrazione interattiva, mi sento in dovere di segnalare l'annuncio di Star Wars Squadron, previsto su Windows, Playstation 4 e Xbox One dal 2 ottobre, giocabile opzionalmente anche in VR, realizzato dai Motive Studios per l'EA, che come ricorderete è la licenziataria ufficiale della Lucasfilm per i giochi di Star Wars. Anche se il titolo richiamerebbe i titoli Factor 5 dell'epoca Rogue Squadron, idealmente qui ci si rifà a una tradizione ancora più antica, quella dello Star Wars X-Wing citato nell'intervista a Falstein qui sopra. Anzi, mi pare che Squadrons voglia fondere in un solo titolo la dicotomia Repubblica/Impero che Holland articolò tra appunto X-Wing e Star Wars: Tie Fighter del 1994. Copio dalla descrizione.
Si tratta di un gioco di combattimento spaziale a squadre in prima persona ambientato qualche mese dopo Star Wars Episodio VI: Il ritorno dello Jedi. [...] Poco dopo la distruzione della seconda Morte Nera, l'Alleanza ribelle si è riorganizzata sotto la Nuova Repubblica. Nonostante la vittoria delle forze ribelli nella Battaglia di Endor, la guerra non è ancora finita. [...]
L'Impero e la Nuova Repubblica sono ormai quasi sullo stesso piano in termini di potere, il che crea terreno fertile per gli scontri diretti. [...] La campagna per giocatore singolo di Star Wars: Squadrons ti aiuterà ad affinare le tue abilità, regalandoti al contempo una storia che ti farà vivere la guerra dal punto di vista di entrambe le fazioni. [...] Potrai anche cimentarti nelle battaglie multigiocatore. "Combattimenti aerei" è una modalità 5v5 in cui puoi ottenere punti abbattendo i caccia stellari della squadra avversaria, come nei tradizionali deathmatch a squadre. "Battaglie flotta" è la modalità distintiva di Squadrons. Qui puoi giocare insieme ad altri giocatori (5v5) e all'IA (o anche solo all'IA) in battaglie multi-fase a obiettivi.
Il gioco non è nella mia area di specializzazione, però devo dire che avverto un crescente entusiasmo per la gestione EA di Star Wars, almeno dopo il grande successo e apprezzamento per Star Wars Jedi Fallen Order, che continua ad attirarmi parecchio. Comunque, nessuna copertura dei giochi starwarsiani su Lucasdelirium potrebbe mai partire senza una bella scheda di Star Wars Dark Forces, che ho sempre amato tanto. Se le giornate fossero di 48 ore...
In chiusura, vi segnalo che l'infaticabile Daniele Spadoni questa volta ha deciso di omaggiare con un fangame un altro cultissimo degli anni Ottanta, I Goonies. Vi confesso che, da mosca bianca, non sono mai stato un grande appassionato del film di Richard Donner: è uno dei simboli degli anni Ottanta in cui, pur con tutto lo slancio possibile, non sono mai riuscito a identificarmi. Succede.
Ciao,
Dom
30-5-2020
Salve a tutti. Una delle ragioni che mi spingono ad aggiornare Lucasdelirium è la fonte d'ispirazione che alcuni autori garantiscono sempre: siamo persone che scrivono, illustrano, suonano o quant'altro, dopo tanti anni Ron Gilbert o Tim Schafer possono insegnarci qualcosa anche al di là del piano professionale, suggerendo come nelle arti si possa dare di più se vi si canalizza il proprio modo di essere. Ovviamente, riuscirci non è da tutti ed è il punto di arrivo di un percorso, un punto di arrivo che auguro a tutti quelli che leggono (e a me stesso!). Prima di cominciare, vorrei segnalare una cosa curiosa: sono stato intervistato da Gianni Mancini sul suo blog Vita Giocata. Gianni sta indagando sullo stato di salute delle avventure grafiche e sta rivolgendo domande ad alcuni loschi figuri che si aggirano qui in Italia nell'ambiente: ha voluto iniziare gentilmente col sottoscritto, ha proseguito con Gnupick di Calavera Café. Non c'è bisogno d'aggiungere altro: giusta l'idea di associare le risposte di persone diverse per ottenere un punto di vista il più possibile ampio. ;-)
L'incubo di Delores, Thimbleweed Park e Ron Gilbert
Ron Gilbert, coinvolgendo David Fox, ha deciso di farci una bella sorpresa, pubblicando in forma del tutto gratuita su Steam ed Epic Games Store Delores - A Thimbleweed Park Mini-Adventure, come il titolo suggerisce un piccolo punta & clicca che riprende ambientazione e personaggi del Thimbleweed Park di tre anni fa, del quale rappresenta di fatto una postilla (non è necessario possedere il gioco principale, ma la mini-avventura ha poco senso se non lo si è vissuto). Non era un'operazione pianificata: in isolamento come noi tutti, Ron ha cominciato a smanettare con l'engine di Thimbleweed, migliorando quello che non gli andava a genio, aggiornandone alcuni elementi, sostituendone altri. Dovendo poi testare il tutto, ha cominciato spontaneamente a usare gli asset del gioco già pubblicato, collocandoli nella nuova interfaccia e venendo sedotto dall'idea di dare a questo test un senso più compiuto. Il resto è storia e probabilmente ve lo trovate già installato sui vostri hard disk (se siete programmatori, è stato diffuso persino il codice sorgente editabile)! La scheda che ho realizzato contiene anche una soluzione, per chi fosse rimasto arenato magari per via della lingua inglese (è in corso una traduzione in italiano, per la quale si stanno risolvendo asperità del neonato motore). Ho cercato di coprire nel mio commento tutte le considerazioni che Delores ha suscitato negli ultimi giorni, sui social e altrove. Spero di esserci riuscito. Dopo aver letto, tornate qui perché il discorso non è terminato.
Nei giorni successivi alla pubblicazione, Ron e David hanno registrato un graditissimo podcast per approfondire la lavorazione di questa piccola sorpresa, rispondendo a domande degli utenti. È proprio il caso di sbobinarlo e riassumervelo, quindi mettetevi comodi.
- La maledizione di Delores ha colpito anche loro, perché hanno dovuto registrare di nuovo il podcast, dato che la prima versione si era corrotta! La legge del contrappasso.
- L'enigma più difficile di Delores? Forse quello della demolizione, perché si basa su un easter egg di Thimbleweed Park. David si pente di essere cascato nella trappola dell'enigma che appare più facile a un pubblico americano (il ritratto del Presidente).
- Hanno pensato di realizzare un altro minicapitolo su Ransome, però non hanno ancora preso una decisione definitiva. Nonostante Ron e David abbiano lavorato gratis per passare il tempo, per il coinvolgimento di altre persone Delores è costato comunque 10.000 dollari e non avrà alcun ritorno economico. Quindi il prossimo passo va meditato un po' meglio.
- A dispetto di questo non hanno mai pensato di vendere il minigioco, era nato solo da Ron per testare il nuovo engine, l'idea di creare qualcosa di compiuto è arrivata chiacchierando con David. Quest'ultimo aggiunge che è stato liberatorio lavorare senza preoccuparsi di vendere il prodotto finale, senza porsi troppe domande sul livello di difficoltà, sulla calibrazione del gameplay. Se fosse stato venduto, di certo Ron avrebbe investito di più sul testing di compatibilità (per esempio la questione delle DirectX 12 obbligatorie sarebbe stata risolta prima di pubblicare).
- Come mai quei lunghissimi credits? Sono stati improvvisati tutti da Ron una sera, tra le 21 e le 23: aveva sonno e non ricordava che la traccia di Steve Kirk che aveva scelto fosse così lunga! L'idea dello sciacquone è stata del tester Robert Megone.
- Qualcuno domanda: hanno mai incontrato George Lucas? David ricorda le uniche due interazioni in tanti anni: i consigli di George per un "tasto di fuoco" in Rescue on Fractalus! e la riunione preliminare per Indiana Jones and the Last Crusade, dov'erano presenti anche Ron, Noah Falstein e Steven Spielberg. Ron ricorda pure di avergli una volta mostrato il porting di Koronis Rift su cui stava lavorando (erano i primi mesi di Gilbert alla Lucasfilm Games). Ron e David concordano sul fatto che sia un tipo chiuso e non troppo espansivo, in grado di confondersi tra la folla al punto da far sospettare che conosca i trucchi mentali Jedi per non dare nell'occhio. Notarono però che in presenza di Spielberg si animava.
- Ad alcune domande risponde il coprogrammatore dell'engine nuovo, Derek Nylen. La versione Mac funziona con le librerie Metal. La conversione a Metal del motore grafico gli è costata tre settimane di lavoro, ma nei ritagli di tempo: secondo lui Metal, Vulcan e DirectX 12 non sono poi così diverse. La cosa buona delle ultime API è che sono pensate per una gestione dei dati asincrona, ideale per i dispositivi attuali multicore e una programmazione multithread: a parere di Derek, le DirectX fino all'11 e l'OpenGL stavano diventando via via sempre più scomode da questo punto di vista. L'idea comunque, condivisa da Ron, è che quando sviluppi un nuovo engine per un gioco, ti proietti verso la tecnologia che sarà diffusa al momento dell'uscita, non su quella più comune quando si comincia a lavorare sul progetto. In questo la fregatura di Delores, che Gilbert ammette, è il suo essere un gioco completato in sei settimane, con un engine però concepito per un eventuale titolo da pubblicare idealmente tra due anni!
- Derek comunque è d'accordo col fan che si rifiuta di installare Windows 10 (essendo poi lui un affezionato Apple), ma il problema è che le DirectX 12 non sono supportate adeguatamente dalla Microsoft se non sotto Windows 10. Questi obblighi non hanno nulla a che vedere con il futuro supporto di Linux da parte dell'engine, che Ron garantisce ma non necessariamente per Delores.
- Niente versione console per Delores? Non è fattibile: il processo di presentazione di un titolo per console è troppo lungo e costoso (tra pitch ufficiale, testing successivo, certificazioni, achievement obbligatori, codice di cloud saving). Essendo un gioco gratuito a budget ridotto, Gilbert a malincuore a questo giro passa. Ma il nuovo engine naturalmente è pensato multipiattaforma, quindi un suo prossimo prodotto a pagamento vedrebbe di certo la luce almeno su Switch. I porting hanno un costo non sottovalutabile: piazzare Thimbleweed Park su PS4 per esempio ha richiesto 50.000-60.000 dollari, su Xbox One è stato più facile per la sostanziale compatibilità del codice con la versione Windows. E un gioco non può essere su console senza essere valutato dalla censura, cosa che di per sé costa sui 6.000 dollari.
- La nuova interfaccia a scomparsa non finisce per eliminare le scelte sbagliate, limitando i verbi solo a ciò che si può fare con un hotspot? In realtà in totale Delores, stima Ron, ha una trentina di verbi d'azione che compaiono nel corso della partita, visualizzarli tutti insieme, anche in un contesto a tendina, sarebbe poco pratico. Ma l'interfaccia rappresenta la ricerca da parte di Gilbert di una via di mezzo tra i verbi classici di Monkey Island e la tipica interazione più immediata delle avventure attuali (che non gradisce). La ricerca non si conclude con Delores, ma sente di essere nella direzione giusta.
- David preferisce quest'interfaccia, perché non ritiene che l'idea di potenzialità infinita della vecchia con i verbi si traduca poi effettivamente in una reale ricca interazione. Per trovare qualche sorpresa con la vecchia dovresti compiere tutte le azioni con tutti gli hostpot e lo ritiene noioso, per la marea di generici "Non sembra funzionare" che otterresti. A Ron piace del nuovo sistema la ricchezza espressiva nella descrizione delle azioni: se trascinando il cacciavite su qualcosa leggi "allenta" o "svita" invece di "usa cacciavite con pannello", la comunicazione col giocatore diventa più chiara e precisa. La sensazione di Ron è che quest'articolazione possa portare a un modo diverso e più "concettuale" di concepire gli enigmi, meno vertente sulla casualità o sul colpo di fortuna. In Delores le potenzialità sono ancora inespresse. Il nuovo linguaggio permette di implementare un nuovo verbo con sole tre linee di codice.
- L'idea di riavviare la partita a ogni sessione di cinque foto è stata pensata in corso d'opera? Ovviamente sì: Ron non aveva tempo né voglia di implementare un sistema di salvataggio, e il quit era utile per ripulire la memoria in un sol botto, senza programmare un sistema interno per farlo. Naturalmente, di necessità si è fatta virtù, approfittando dell'atmosfera metalinguistica di Thimbleweed Park.
- Riuserebbero l'idea di un'avventura a missioni, che si riavvia così a ogni sessione? Chissà. A Ron piace però questo sistema perché avvicina l'esperienza del punta & clicca a una fruibilità "a piccoli morsi", così gettonata oggi con prodotti come Animal Crossing.
- Perché l'inventario in Delores è tutto su schermo? Ron alla fine non ha implementato più la borsa che aveva in mente, ma non solo per ragioni di tempo: ritiene che l'idea di riempire le tasche di mille oggetti non sia un buon game design. Avere gli oggetti tutti sullo schermo gli ricorda questo concetto e lo trattiene dalle tentazioni. Anche con un gioco più lungo mediterebbe sull'idea di non superare le due file di oggetti, su schermo.
- Rispondono alla mia domanda! Avevo chiesto chi diavolo fosse il Jay Bane di cui parla Delores, quando dice di non avere il suo permesso per attaccare il poster nel suo ufficio alla "MmucusFlem Games". In-joke dei più oscuri: in pratica è il nome deformato di una persona che allo Skywalker Ranch era davvero responsabile di controllare l'estetica degli uffici in cui lavoravano tutti. Non si potevano nemmeno lasciare le tende della Lucasfilm Games alzate a diversi livelli, perché dall'esterno bisognava rispettare l'impatto della facciata. La frecciata mascherata è una piccola scherzosa vendetta di Ron e David verso questo fanatismo.
- Il gioco non usa "analytics" per raccogliere informazioni sulle run degli utenti, ma Ron e David hanno guardato con attenzione le partite in streaming e quelle dei conoscenti, di persona: una cosa che non torna nell'uso dell'interfaccia è che quasi nessuno usa il tasto sinistro come prima opzione, ma quasi tutti preferiscono aprire prima il menu contestuale col destro. Non era quello che Ron aveva in mente e sta pensando a come risolvere la cosa.
- Il linguaggio di scripting è stato battezzato "Dinky", ma Ron GIURA che non ha alcun legame con Dinky Island! Gli piaceva l'aggettivo e ha realizzato solo dopo la coincidenza.
- Sì, Ron è stato davvero una comparsa in Il ritorno degli Ewoks: non è una leggenda metropolitana. È storia vera. Vissuta. Non è però mai riuscito a riconoscersi nel film: con costume e maschera di gomma, era uno dei trenta Marauder che volevano ammazzare gli Ewok. Li fecero correre giù per la collina due volte, da due lati diversi, fotomontando poi le due riprese per dare l'idea che fossero molti di più. David non c'era durante questo casting estemporaneo, ma Ron ricorda che Noah Falstein partecipò. A David invece fu chiesto dal celebre sound designer Ben Burtt se gli andasse di registrare delle urla che gli servivano per il sound design di Indiana Jones e il tempio maledetto ("esperienza catartica"): sono state usate durante la caduta dei cattivi dal ponte di corda. Ron ritiene che Il tempio maledetto sia il peggior film della saga (più del Teschio di cristallo).
- Perché l'enigma della luce nel bagno risulta prerisolto nelle run successive a quella in cui lo si risolve? Non contraddice la logica in loop del gioco? Sì, Ron ne è consapevole, ma non se l'è sentita di obbligare i giocatori a rifare quella catena di azioni piuttosto lunga a ogni riavvio. Delores aveva assunto un ritmo crescente, in cui il giocatore, dopo aver sperimentato diverse cose nelle prime run, procedeva con sempre maggiore disinvoltura. L'enigma della luce rallentava tutto ed era legato a troppi puzzle. Un'altra "licenza poetica" di questo tipo è l'apparizione di una chiave in una specifica run e non in tutte (Gilbert ammette che è una "toppa").
- Perché Ron insiste nel programmare motori per avventure grafiche quando ce ne sono già così tanti di preconfezionati? Perché si diverte a programmarli, almeno quelli. Per le routine del suono invece, che non gli interessano, ha usato per esempio FMOD. Non saprebbe cosa consigliare tra gli engine free in giro: dipende da quale tipo di gioco uno voglia fare.
- Ma perché rifare l'engine di Thimbleweed Park? Si stava annoiando nell'isolamento e non era soddisfatto di quel motore da diversi punti di vista. TP aveva richiesto diverse aggiunte estemporanee che non era riuscito a implementare in maniera ordinata. Il 75%-80% di quell'engine comunque è nel nuovo, seppur riorganizzato.
- Com'è nata la trama di Delores? Da un'idea avuta durante uno dei primi prototipi del nuovo motore: c'era lo sprite di Delores, in inventario c'era la macchina fotografica e Ron ha pensato che il lavoro concettuale di scattare foto per precise tematiche potesse trasformarsi in enigmi divertenti e stimolanti.
- Perché proprio Delores come protagonista? È il personaggio che preferiscono, ne condividono il nerdismo. David tra l'altro assicura di aver danzato come lei ("meno il moonwalk") quando seppe di essere stato preso alla LucasFilm Games: era così contento che realizzò dopo qualche minuto di non aver chiesto quanto volessero pagarlo, non gliene importava nulla! Ron fece la stessa cosa, realizzando però di aver commesso un errore, perché quando iniziò da coder per il Commodore 64 chiese una cifra troppo bassa...
- Delores poteva essere più lungo? No, perché Ron aveva promesso a David che sarebbe stato impegnato solo per un mese ("Ehm... avevi detto due settimane!", "Beh, ti dissi pure che avremmo finito Maniac Mansion in un mese, continui a cascarci!"). A parte tutto, darsi tempi ristretti aiuta a focalizzarsi.
- Personaggio preferito di Thimbleweed Park? Per David lo "scavatore" Doug.
Il doppiaggio perduto di Monkey Island 2?
No, nulla di tutto questo. Risegnalo in questa sede ciò di cui avevo già discusso su Facebook qualche giorno fa: è apparso online un test di doppiaggio svolto alla LucasArts nel 1992, su una scena di Monkey Island 2: LeChuck's Revenge. In quel periodo Ron aveva lasciato già la casa, e Aric Wilmunder, rimasto responsabile principale dell'engine SCUMM, iniziò a curarne un impellente aggiornamento, per il supporto del doppiaggio che stava per diventare la norma nei videogiochi. È stato lui a condividere questa demo, dove lui stesso doppiava divertito Rapp Scallion, mentre la voce di Guybrush fu fornita dal grafico Ron Lussier. Che mi risulti non c'è mai stata l'intenzione di doppiare i primi due Monkey Island, poi dotati di voci professionali solo vent'anni dopo con la Monkey Island Special Edition e con la Monkey Island 2 Special Edition. Forse per cominciare nel modo commercialmente più lucrativo, i doppiaggi interni delle avventure lucasiane partirono solo nella primavera 1993 con l'edizione "talkie" di Indiana Jones and the Fate of Atlantis (uscito un anno prima muto). A qualcuno il discorso non tornerà, perché ricorderà la versione cd-rom di Loom diffusa nel 1992, ma quella si basava un approssimativo sistema provvisorio di dialoghi su traccia audio, e fu prodotta in uno studio esterno: si può classificare come una falsa partenza, da lì forse il test per un sistema più preciso programmato da Aric.
Visto che siamo in tema, vi segnalo per dovere che esistono modi non troppo lineari per applicare i doppiaggi delle Special Edition agli originali Monkey 1 e Monkey 2: in tutta onestà, non ci ho mai provato né m'interessa, perché trovo il registro di quelle voci molto cartoon e più intonato sulla grafica dei remaster e in generale sull'aspetto della serie dopo Curse.
Psychonauts 2: finalmente un aggiornamento... più o meno
Nelle scorse news avevo espresso la nostra frustrazione nel non ricevere più aggiornamenti sullo status di Psychonauts 2 della Double Fine, imputando questo silenzio stampa, oltre ovviamente ai problemi logistici da Covid-19, all'effettiva trasformazione del progetto in un titolo tripla-A targato Microsoft. L'attesa update del 9 maggio ha confermato i sospetti: piena di calore e passione come la squadra di Tim Schafer riesce ancora e sempre a trasmettere, ma praticamente priva di novità specifiche sulla lavorazione, se non la rassicurazione sul suo procedere nonostante tutto, e la promessa di rivelazioni nel previsto slot all'interno dello "showcase" degli Xbox Game Studios a luglio. Solo nel primo video s'intravede qualcosa, intorno al timecode 4:40 (un livello molto astratto, uno stralcio di una sequenza). Qualcuno sta chiedendo rimborsi, ma c'è meno negatività di quanto si potrebbe immaginare e vedo che l'entusiasmo rimane alto tra i fan: forse dopo Broken Age c'è stata una selezione naturale e sono rimasti solo i backer zen. Fermo restando che ho un giudizio negativo su come è stata gestita la comunicazione con i sostenitori nel corso degli anni, condivido entusiasmo e ottimismo sempre vivo per il gioco che ci aspetta. Inoltre trovo consolante che Psychonauts 2 non sia diventato un'esclusiva Xbox Series X / Windows come si vociferava, perché avrebbe comportato molti problemi d'immagine. Sbobiniamo l'aggiornamento, che però andrebbe visto per apprezzare la preziosa follia indomita di Tim anche in questi tempi difficili.
Il team di Psychonauts 2 si è allargato con nuovi acquisti: il programmatore di sistema Jason Morales, la programmatrice del gameplay Julie Gregg (dagli Xbox Game Studios). Ho fatto un piccolo salto sulla sedia quando ho letto i nomi dei "cinematic artists" a contratto per curare le sequenze e l'aspetto audiovisivo e "cinematografico" del titolo: Chris Rieser, Nick Marshall, Kollin Stewart, Matt Leach... dove li avevo già letti? Ma certo, sono ex-Telltale! Il primo Psychonauts non aveva nel team figure preposte specificamente a quel lavoro, e ricordando quanto la regia nelle stagioni Telltale ci abbia fatto spesso dimenticare i limiti di quel motore grafico, sono doppiamente felice: per la qualità che ci aspetta e perché almeno qualcuno dei Telltale può proseguire lo stesso percorso professionale, dopo quel crudele fallimento che non dimenticherò. Alla chiusura dei Telltale nell'autunno 2018, Tim si dispiacque di non poter in quel momento "salvare" nessuno perché le assunzioni alla Double Fine erano chiuse. Si è riaperto uno spiraglio grazie alla Microsoft e ha mantenuto la parola. Bel gesto (e strategico nella scelta della mansione da assegnar loro). Tenero come Schafer sottolinei la stranezza di presentare nuovi membri in streaming: nella cultura familiare della Double Fine suona effettivamente come un'anomalia, tanto che si sono organizzati in mille modi per tenersi in contatto anche nel tempo libero, non soltanto per la produzione del gioco.
A questo proposito, aumentando il tasso emozionale dell'aggiornamento, i 2 Player Productions, al solito autori di questi documentari, hanno assemblato con un'introduzione i contributi girati dagli stessi dipendenti in un altro video "Work From Home". Anche per questo non riusciamo a fare a meno della Double Fine.
Full Throttle compie 25 anni e si dirige verso l'Xbox One... in buona compagnia
Ricordo come ieri il mio acquisto di Full Throttle, il pomeriggio dopo il mio esame di maturità svoltosi al mattino: 7 luglio 1995, acquistato insieme a un nuovissimo Pentium 90. In realtà erano però due mesi che ci sbavavo dietro, ma per il classico principio del bastone e della carota, instillatomi da mio padre senza neanche bisogno che me lo imponesse, prima il dovere e poi il piacere! A proposito, parentesi: ricordo con nitidezza estrema anche il mio ultimo giorno di scuola in assoluto, il 1° giugno 1995. Avvicinandomi all'anniversario, penso che sia molto triste per tanti liceali non viverlo quest'anno. Ero tesissimo in quei giorni, e nemmeno troppo felice (col senno di poi sembra tutto idilliaco, però a parte le nostalgie sono abbastanza onesto con me stesso nel ricordare la realtà)... eppure... non li invidio affatto per trovarsi a saltare quel pacchetto di emozioni in questo modo. L'aperitivo di saluto con i compagni, peraltro a rischio contagio, non sarà mai la stessa cosa (e infatti da un diario dell'epoca ho ricostruito che partecipai a una cena di fine liceo... e giuro che non me la ricordo per niente! Tabula rasa!). Di contro, credo che le memorie di questa specifica giovane generazione saranno loro malgrado davvero uniche. Okay, fine della parentesi che mi è scappata, scusate: inevitabilmente i classici lucasiani si collegano a momenti della nostra vita ed è difficile tenere a freno i pensieri. Torniamo all'oggi, che è sempre l'anima vera di Lucasdelirium. Quale miglior modo di celebrare i 25 anni di Ben se non con Tim Schafer ospite di uno stream con Ryan McCaffrey? Nel corso dell'intervista, Tim rivela che entro la fine dell'anno, per volontà di mamma Microsoft, sbarcheranno su Xbox One le remaster di Grim Fandango, Day of the Tentacle e appunto Full Throttle! Pochi avventurieri sono consolari, però sono belle notizie per principio: dopotutto il Tentacolo Viola vuole conquistare il mondo... sarà contento. Ecco il riassunto dell'incontro: verso la fine Tim sfoggia il suo cosplay da Padre Torsio e... condivido quello che il buon ex-vice Greg Rice dice in chat: dovrebbe davvero essere il look standard di Schafer da qui all'eternità. Spettacolare.
- Ryan dice di essersi imbattuto all'epoca nel gioco con una demo, regalata all'acquisto di Star Wars Dark Forces: era convinto si trattasse di un gioco di combattimento tra biker e non immaginava fosse un punta & clicca lucas, che naturalmente lo esaltavano. Quando andò a comprarlo, rimase affascinato dalla confezione orizzontale ("Pensata apposta per far arrabbiare i negozianti", scherza Schafer, che voleva riproporre qualcosa di originale dopo il box triangolare a tiratura limitata di Day of the Tentacle).
- I demo, quest'usanza scomparsa: Tim ricorda che all'epoca era sottointeso che il team dovesse confezionarne uno del gioco su cui stava lavorando, da dare poi in pasto al marketing. L'ultimo che ha fatto è stato per Brutal Legend. Ora non si fanno più, anche perché chiudere e finalizzare al 100% un pezzo di gioco, specie se complesso, costa ormai una tombola.
- Oltre a Mike Mignola, un'altra ispirazione per la grafica fu la serie Aeon Flux su MTV nei primi anni Novanta.
- Roy Conrad, compianto doppiatore originale di Ben, fu scelto subito perché quella non era la voce di uno che "si sforzava di essere un duro, era un duro naturale, pacato". La caratterizzazione di Ben si ispirava anche a quella di Ash / Bruce Campbell nei film di Sam Raimi ("e alla mia vita", aggiunge Tim).
- La creatività delle risposte al comando "esamina" era stimolata sia dalla bassa risoluzione, povera di dettaglio, ma anche dal processo di lavoro negli anni Novanta: si commissionavano ai grafici le schermate, poi si vedeva cosa c'avessero messo di extra e s'improvvisavano i commenti, programmando.
- Un botta e risposta che si ripete a loop in un dialogo a scelta multipla era concepito come messaggio al giocatore: "Per ora non c'è più niente di nuovo da domandare".
- Come mai il minigioco del coltello sulla mano di Emmett è quasi un easter-egg, che si attiva solo dopo dieci richieste sempre uguali? Qualcuno nel team pensava fosse troppo violento e sanguinolento, ma Schafer non voleva tagliarlo, così si decise di renderlo più complesso da attivare.
- Ottenere Mark Hamill per la voce di Ripburger non fu complicato: già da tempo era Joker per il Batman televisivo animato Warner, e non ha mai avuto un atteggiamento da divo, solo da professionista. Registrò tutte le battute di Full Throttle in un solo giorno (non solo quelle di Ripburger, anche di un altro paio di personaggi secondari). Praticamente centrò la voce del villain quasi immediatamente, una variazione su quella del Joker.
- Keith Karloff, il leader dei The Gone Jackals, rispose all'annuncio di Peter McConnell per quel tipo di musica: portò il loro provino su cassetta, arrivando direttamente con la sua moto da biker doc. Non c'era più bisogno di cercare oltre. I Jackals suonarono alla festa di fine lavorazione, dove si celebrò anche la chiusura di Dark Forces, peraltro (che anni!).
- Maureen era ispirata a un'amica del college di Schafer: frequentava con la sua sorella gemella Tina. Ricordando loro, Tim aveva inserito nella storia uno scambio di ruoli di due gemelle, stile Il principe e il povero. Ha poi cambiato idea, cassando Tina. Tim voleva che Maureen risultasse realistica nel modo di parlare e di comportarsi: siccome compariva a intervalli, per rimanere sintonizzato su di lei, scrisse parallelamente tutto ciò che Maureen stava facendo nel mondo di gioco quando non la vedevamo.
- Come quasi tutti i suoi giochi (con l'eccezione di Day of the Tentacle), l'ambientazione non è necessariamente americana: sono mondi di fantasia che possono trovarsi potenzialmente ovunque. Non c'era poi un enorme rigore nel design dei veicoli e degli ambienti, una logica interna legata a ventole, tubi di scappamento, edifici costruiti sopra altri. "L'importante era che sembrassero fighi!" Comunque il mondo di Full Throttle non è post-apocalittico: la società non è stata distrutta dall'Apocalisse, viene rappresentata piuttosto una decadenza della società.
- Il motivo principale per cui il gioco è così corto è la qualità della produzione: era già così costoso ed elaborato in grafica e sonoro, che renderlo lungo come altre avventure lucas era improponibile. Tim tagliò anche un'altra cittadina e un'altra gang di biker per razionalizzare il progetto. Ci furono delle critiche sulla brevità, scritte però su Compuserve ("un feedback lontano, distante, altro che Twitter ora!" scherza Tim). Allo stesso tempo però molti giocatori furono contenti di essere riusciti a finirlo, cosa non scontata con le avventure grafiche per il pubblico medio, specie allora. Nessuno dei capi però si lamentò, perché il gioco vendette un sacco!
- Il silos nel deposito dove si ruba la benzina, a Melonweed, assomiglia al Millennium Falcon non per caso: "Peter Chan provava a infilarcelo sempre!"
- Guardando le auto a pezzi, Ben dice: "Fire damage, forget about it." L'auto di Tim, appartenuta prima a suo padre, era in effetti da poco andata letteralmente a fuoco, esalando l'ultimo respiro senza possibilità di recupero.
- Di solito Tim, quando qualcuno gli dice di essersi arenato in una delle sue avventure grafiche, è in grado di indovinare quali siano i punti: per Full Throttle sono il calcio nel muro e la sezione dello sfasciacarrozze, nel minigioco col cane.
- Riguardo ai seguiti di Full Throttle che furono avviati senza di lui (e che vi ho raccontato nel mio approfondimento), si sentiva più vicino al primo che avrebbe seguito lo stile originale, mentre era piuttosto perplesso da Hell On Wheels: "Devo averlo cancellato io, col potere della mia mente". Schafer comunque pensa che, nello spirito, Brutal Legend si possa considerare un sequel di Full Throttle.
- Era vera la storia di MTV interessata a una serie animata per adulti da Full Throttle? Assolutamente sì: Tim s'incontrò con dei loro produttori a New York, ma fu la LucasArts a frenare. Motivazione? "Un marchio ha più valore se non viene sfruttato troppo." Tim si dice perplesso dalla risposta, perché bisogna pur valutare se l'occasione valga la candela. Ad ogni modo, fu una delle ragioni che lo spinse a creare la Double Fine per decidere in proprio su questi aspetti... e infatti una serie di Costume Quest, realizzata dai Frederator Studios, è nata su Amazon Prime Video!
- E una serie animata su Psychonauts? Schafer rivela che sono arrivate sul serio offerte in quel senso, ma comunque lui non se ne occuperebbe mai direttamente. Il problema sarebbe trovare il tempo per sorvegliarla con sufficiente attenzione da proteggere quel mondo e quei personaggi.
- Se possedesse i suoi vecchi giochi, al di là di queste licenze per i remaster, realizzerebbe seguiti? Probabilmente no. Si muoverebbe sempre su iniziative per mantenerli vivi, tipo porting o qualsiasi stratagemma che possa riproporli. Gli piacerebbe averli per assicurarsi attivamente che non fossero mai dimenticati, in poche parole.
- Aveva idea che Full Throttle, mentre lo realizzavano, sarebbe piaciuto così tanto? Non ebbe molto tempo per pensarci, perché fu il suo primo "crunch", la sua prima vera lavorazione massacrante fino alle ore piccole, a causa della complessità produttiva (Day of the Tentacle andò invece molto liscio, ancora in 2D puro e pensato senza voci, che furono aggiunte dai capi all'ultimo momento, quando il gioco era ormai finito). Alla LucasArts c'era comunque chi si preoccupava che il soggetto fosse troppo lontano dall'intrattenimento "per famiglie" della casa di George.
Fine dell'aggiornamento di maggio!
Un abbraccio collettivo ribadito,
ciao,
Dom
26-4-2020
Perdonatemi se interrompo con l'aggiornamento di aprile di Lucasdelirium i vostri esperimenti culinari: avete saccheggiato la farina disponibile? Vi siete lanciati in pizze acrobatiche? Avete ripiegato sulle pizze integrali perché la 00 era finita? Tutto nella norma! Buona lettura.
Il ritorno di Nick Bounty
L'articolo di un paio di mesi fa sulle prime due avventure grafiche con Nick Bounty, firmate da Mark Darin, era stato propedeutico all'imminente pubblicazione di Nick Bounty and the Dame with the Blue Chewed Shoe, terzo capitolo della saga, il primo commerciale. In nome della lunga militanza di Mark alla fu-Telltale Games, in particolare per l'ottimo Tales of Monkey Island e l'originale Strong Bad, non potevo far mancare qui su Lucasdelirium una scheda completa di Nick Bounty 3. A dirla tutta, nonostante avessi un'enorme curiosità di verificare come Darin avrebbe affrontato il personaggio dopo quindici anni di esperienza non amatoriale, non sono stato un backer del progetto su Kickstarter. Vi spiegai già il motivo e lo ribadisco dopo aver giocato con attenzione il gioco: l'aspetto estetico continua a non piacermi affatto. Ciò non toglie che per il resto ci siano diversi elementi da apprezzare, quindi come utente mi sento più a mio agio. Qualcuno penserà magari che non ci sia molta differenza, pensando solo alla questione economica: come mi piace però sempre ricordare, partecipare a un crodwfunding non significa preordinare ma sentirsi fieri corresponsabili dell'esistenza di qualcosa. Non me la sono sentita di arrivare a tanto, ma mi son fatto quattro risate col prodotto finito. Il passo più difficile non è stato scrivere la scheda, bensì scegliere se collocare questo curioso lavoro tra le avventure narrative o tra le avventure grafiche classiche. Alla fine ho scelto la seconda categoria, però leggete con attenzione l'analisi per capire di quale tipo di esperienza stiamo effettivamente parlando.
Sam & Max: due voci per un cane
Quanti doppiatori ha avuto il cane investigatore Sam di Sam & Max Hit the Road? Il primo a dargli la voce in assoluto fu Bill Farmer per la citata avventura LucasArts (1993), nella quale fu sostituito da Pierluigi Zollo nella versione italiana. Seguirono Harvey Atkin nella serie cartoon per la tv (1997, da noi lo sostituì Alberto Angrisano) e infine David Nowlin per tutte le produzioni targate Telltale, dal 2006 al 2013. Oggi però mi concentro su due doppiatori in particolari: il fansite inglese SamAndMax.co.uk ha da poco riaperto, proponendo un'intervista a David Nowlin nuova di zecca, alla quale mi viene da associare una più vecchia appunto a Bill Farmer. Prima un riassunto delle due diverse formazioni.
Bill Farmer è nato in Kansas, in una piccola cittadina dove da ragazzino non aveva nulla da fare, quindi assorbiva le serie tv e naturalmente cominciò a imitare alcune voci: la cosa divertiva lui e i suoi amici. Si è laureato in giornalismo radiofonico, anche se poi anni dopo in Texas è riuscito solo a ottenere un impiego di DJ in radio private. Qui ha recuperato però il divertimento delle imitazioni, ispirato dalle follie del celebre DJ Wolfman Jack (protagonista di una delle scene più belle della storia del cinema in American Graffiti), poi è passato su consiglio di un amico al cabaret, negli anni Ottanta. Acquisita sicurezza, si è affacciato su Hollywood e ha risposto a un provino della Disney per la voce di Pippo, nella seconda metà degli anni Ottanta. Preso al primo colpo: è tuttora la voce di Goofy!
David Nowlin ha invece un trascorso più complesso: la sua prima passione rimane la musica e in secondo luogo il suono, tanto che da ragazzino ha fuso le due passioni registrando le sue stesse performance per demo tape fatti in casa. Nella vita poi si è occupato e si occupa ancora oggi di produzione video e audio, ma non aveva mai pensato che "fare le voci", una passione che aveva sempre avuto, potesse diventare un lavoro. Lo è diventata di fatto per puro caso nel 2004, come un favore che doveva a un amico per una riparazione gratuita di un'auto che gli era indispensabile, non avendo in quel momento una grande disponibilità economica.
Farmer ha giocato e amato Hit the Road, Nowlin invece non si definisce un videogiocatore.
Come hanno ottenuto il ruolo di Sam
FARMER: Erano i primi tempi alla LucasArts, facevano un sacco di giochi in quegli anni. Ebbi la parte tramite un provino passatomi dal mio agente, mi mostrarono dei fogli per farmi capire che aspetto avessero Sam & Max. Sam era un detective, un cane. Ancora cani. Direi che tendo a gravitare su di loro. È un detective dotato di parlantina, quindi mi venne da pensare a Sam Spade, in stile Bogart. Ma la voce mi venne troppo Bogart, mentre pensavo che Sam dovesse essere invece molto secco, impassibile, nel modo in cui pronunciava rapidamente le battute. Non c'era troppa emozione. Pensavo a qualcosa di piatto e mi venne in mente Johnny Carson, che era molto piatto, alla fine li ho fusi insieme e in poco tempo è arrivato Sam. [Nowlin conferma che l'idea di Carson avuta da Farmer si è confermata perfetta anche per lui, ndDiduz]
NOWLIN: Lavoravo alla Learning Company, ero la voce di Sam il Leone nella serie di Reader Rabbit, quando doveva cantare. Il doppiatore era Terry McGovern [voce di Jet McQuack nelle DuckTales, ndDiduz], ma nelle parti cantate ero io. [...] Per farlo dovetti però iscrivermi all'agenzia che usavano per il casting delle voci. [...] Alla fine ho fatto tonnellate di altre cose per quell'agenzia, inclusa la voce delle risposte automatiche del supporto tecnico AOL, per quattro o cinque anni. Mi spedivano copioni per dei provini, che potevi andare a registrare da loro in sede o a casa se avevi l'attrezzatura, e io ce l'avevo. Uno dei provini era per Sam & Max. A dire il vero, feci il provino sia per Sam sia per Max e per poco non li ho avuti tutti e due, ma qualcuno pensò che non fosse una buona idea e volle scritturare voci diverse. [Però il Max di David è rimasto nell'originale teaser della Sam & Max Season One, ndDiduz] [...] Non importava quanto tempo passasse tra una sessione e l'altra, è facile canalizzare di nuovo Sam. Il personaggo non affatica molto la voce, potevamo fare sessioni di quattro, anche cinque ore, di seguito, giusto con un paio di pause qui e lì.
Ricordi del doppiaggio di Sam
FARMER: Ho registrato per il gioco nove giorni di fila. [...] Era passato poco tempo dal terremoto di Northbridge, mi ricordo questo piccolo studio mi pare sull'Hollywood Boulevard o sulla Sunset, c'erano ancora grosse crepe sul muro, non erano state riparate. Mi ricordo seduto su uno sgabello in questa stanza, a stento potevi chiamarlo studio. Parlavo in un microfono che andava in un laptop, recitando battuta dopo battuta. Battute sconnesse peraltro, perché a seconda di quello che fa il giocatore ci sono una dozzina di frasi che devi dire. [...] Quando recitavo non guardavo nulla, c'erano solo il microfono e il copione. [...] C'era una ragazza, mi ricordo che si chiamava Tamlynn Barra, che dirigeva il doppiaggio e aveva pure fatto il casting. [...] Devi ricreare la scena in base a quello che ti dice il direttore, chiedi: "Quant'è lontano Max da me? Sto gridando perché lui è sul tetto?" Ti danno quelle direttive, ma il resto lo devi creare nella tua mente. [...] Nel gioco feci cinque o sei personaggi, [...] Flambè il mangiafuoco molto francese. E Doug l'uomo talpa. [...] E ogni volta che vi fermavate allo Snuckey's per ordinare, io ero il commesso al bancone. [...] Poi il Capo Yeti alla fine, la mia versione di James Stewart. [...] E altre voci minori ancora. Ero un mammuth peloso vicino al pozzo di catrame, se non ricordo male. [...]
NOWLIN: Considerando che i giochi erano episodici, non registravi tutto il necessario in una volta. Guardavamo il copione, davamo uno sguardo alle prime pagine per avere l'idea della location, dell'atmosfera e di quello che succedeva, poi si cominciava a registrare. A volte Julian ti dava le battute degli altri personaggi dalla cabina, ma in generale andavi avanti a testa bassa. Avevo suggerito di registrare in stile dramma radiofonico, così noi attori avremmo potuto darci le battute, ma incastrare gli impegni sarebbe stato un incubo. [...] Dal momento che la maggior parte dei dialoghi era tra Sam e Max, di solito rispondevo al Max che interpretavo nella mia mente, e qualche volta pure a voce alta, facevo impazzire Jory! [Jory Prum, compianto tecnico del suono, ndDiduz] [...] Una volta ricordo che avevamo quasi finito un episodio, vedevo Julian e Brendan [Ferguson, ndDiduz], uno degli sceneggiatori dei Telltale, tutti agitati con qualcosa in cabina. Finito l'episodio, tirano fuori un altro intero copione. Avevo terminato prima del previsto e mi fanno: "Abbiamo l'acqua alla gola, non è che puoi stare un'ora in più e fare pure questo?" Dissi: "Sicuro!" Finimmo per battere ogni record per le battute di un personaggio registrate in un solo giorno. Non ricordo quante fossero, ma saranno state una tonnellata!
Il trauma di Sam & Max Freelance Police
Alcune domande a Farmer riguardano il cancellato Sam & Max Freelance Police, nel 2004 origine di un trauma epocale per tutti gli appassionati delle avventure LucasArts.
FARMER: Per quello registrammo due o tre giorni, facemmo un bel po'. C'era una scena che ricordo, speravo di vederla, in cui Nick [Jameson, ndDiduz] faceva Sam e io Max. Tipo che ci scambiavamo i cervelli. Faceva ridere. Già che ci siamo, vi racconto una cosa: non mi hanno mai detto che avevano cancellato il gioco. L'ho scoperto tipo un anno dopo. Passò un mese o due tra le sessioni: facevamo un blocco, poi tornavamo perché c'erano migliaia di battute in quei giochi. Ci volevano giorni. Facemmo due o tre giorni, poi basta. Chiesi pure al mio agente: "Ma quella cosa di Sam? Quando si fa?" "Non ci hanno fatto sapere nulla". E non abbiamo mai saputo nulla! L'ho scoperto solo grazie ai fan online: "Oh, l'hanno cancellato!"
Farmer inoltre, a nome anche di Jameson, si dice deluso dal non essere stato ricontattato né per la serie tv né per le nuove avventure dei Telltale, attribuendo la scelta al fatto che sono state produzioni "non-union", cioè al di fuori delle regole sindacali di ingaggio degli attori, per risparmiare. "Ma avrei preso anche il minimo sindacale! Mi sarebbe piaciuto rifare il personaggio."
Al termine della sua intervista, incautamente per i nostri cuori votati a Sam & Max, Nowlin si lascia scappare qualcosa sul futuro dei personaggi: "Beh, si è parlato qui e lì: se qualcosa parte, sarete i primi a saperlo!" Proprio il mese scorso vi ho comunicato che la Skunkape Games, estemporanea etichetta cucinata da uno dei fondatori della Telltale, Dan Connors, ha rilevato e tiene in vendita la Season One, la Sam & Max Season Two e Sam & Max the Devil's Playhouse su Steam. Che Connors abbia in mente qualcosa di nuovo? Magari!
Ritardi videoludici e cinematografici: Psychonauts 2 e Indiana Jones 5
Ci è stato promesso dalla Double Fine un aggiornamento sullo status di Psychonauts 2, ma ancora non arriva. Naturalmente, come vi avevo anticipato il mese scorso, la questione Coronavirus sta costringendo a un telelavoro piuttosto complesso, quindi battere i piedi sembrerebbe fuori logo. Il punto è che le ultime novità ufficiali sul progetto risalgono ormai a novembre, ben prima che il nostro epocale incubo iniziasse. Secondo me sta venendo alla luce l'anomalia originale di Psychonauts 2 come progetto in crowdfunding, anomalia via via più complessa. Sin dall'inizio l'apporto dei backer era limitato a una parte minima del budget, perché il grosso dello sviluppo sarebbe stato finanziato dalla Starbreeze, che ha fatto la brutta fine che ha fatto, salvandosi in corner dal disastro vendendo i diritti del progetto alla Microsoft, che a sua volta la scorsa estate ha rilevato la Double Fine intera, facendola rientrare negli Xbox Game Studios. La Microsoft ha anche liquidato i finaziatori del gioco facenti capo alla raccolta fondi di Fig, chiudendo i contratti con tutti, aggiungendo oltre 600 dollari extra per quota, come dividendo già pagato di vendite non ancora effettuate. Vi presento questo riepilogo perché volevo esprimere un concetto: l'anima in crowdfunding di Psychonauts 2 mi pare evaporata del tutto.
È ormai lato publishing un titolo 100% della Microsoft, ergo la libertà con cui Tim Schafer e soci possono parlare delle nuove avventure di Raz è secondo me assai limitata. Ciò che mi spinge sempre più a pensarlo è una voce di corridoio secondo cui Psychonauts 2 potrebbe diventare in autunno uno dei titoli di lancio dell'Xbox Series X, la nuova console della casa di Redmond. Questo spiegherebbe l'apertura di alcune posizioni alla Double Fine per impieghi a sei mesi sul gioco, come indicato sul sito provvisorio della casa. Questa fase alpha sta durando così tanto da farmi sentire odore di upgrade. Se così fosse, si aprirebbe uno scenario piuttosto imbarazzante, perché Tim e la sua banda devono soddisfare la consegna originale della campagna, secondo cui il gioco doveva essere disponibile anche per PS4, Mac e Linux, oltre che per Windows e XBox One (sottolineo One, non Series X). La Microsoft l'estate scorsa aveva dato la sua parola di non opporsi... la confermerà? Magari quella voce è solo una voce, e il ritardo di Psychonauts 2 non ha nulla a che vedere con la Series X, in fondo la Double Fine non è nuova ai tempi di sviluppo dilatati. In ogni caso, nell'apocalisse economica nella quale è piombato il mondo occidentale per il Covid-19, la Double Fine non potrebbe paradossalmente trovarsi in una situazione migliore.
Il secondo "ritardo", con virgolette obbligatorie, è la nuova data d'uscita del quinto film su Indiana Jones, rimandato per l'ennesima volta al luglio 2022. Ormai ho difficoltà a elucubrare ulteriormente su questo stillicidio: vi lascio alle considerazioni che ho scritto altrove per lavoro. Mah.
Classici moderni che riaffiorano, tra Kyle Katarn e Clementine
Compiendo un attimo un passo indietro al settembre scorso, la Disney (divisione Lucasfilm Games) aveva annunciato nuove edizioni per Playstation 4 e Nintendo Switch dei classici FPS Star Wars Jedi Outcast (2002) e Star Wars Jedi Academy (2003), realizzati all'epoca dalla Raven Software. Il primo era arrivato immediatamente, il secondo invece è stato reso disponibile in questi giorni, in concomitanza con diverse edizioni fisiche a tiratura assai limitata a cura di Limited Run Games: di quest'azienda vi avevo già parlato per la recente riedizione di The Secret of Monkey Island per Sega CD. I porting dei giochi di Star Wars sono stati curati dalla Aspyr (già dietro dieci anni fa alla versione Windows di Star Wars: Il potere della Forza): la casa sta al momento dando gli ultimi ritocchi a un ulteriore porting per PS4 e Switch di Star Wars Episode I Racer (1999), illo tempore pubblicato su Windows e Nintendo 64. Sono segnalazioni che interesseranno maggiormente i fan di Star Wars e i consolari tra di voi, ma in generale è interessante vedere questo fermento per il vecchio catalogo LucasArts, anche se a questo giro non riguarda le avventure grafiche. In fondo, in materia di Guerre Stellari, potrebbero benissimo sedersi sugli allori di Star Wars Jedi Fallen Order e non darsi troppa pena.
A proposito di riedizioni, non mi sono accorto che da qualche mese la saga di The Walking Dead dei fu-Telltale è tornata acquistabile su Steam. In campana, però: come ricorderete i diritti di The Walking Dead, The Walking Dead Season Two, The Walking Dead: Michonne, The Walking Dead: A New Frontier e The Walking Dead: L'ultima stagione erano passati alla Skybound Games. Quest'ultima però ha mantenuto solo sull'Epic Games Store la disponibilità dell'Edizione Definitiva migliorata e piena di extra, quindi su Steam trovate soltanto le vecchie versioni, almeno per adesso.
Movimenti nostrani in ambito avventura
L'infaticabile Daniele Spadoni (al momento al lavoro pure su un omaggio "amighesco" a Joker), ha confezionato un fangame che è un altro omaggio persino triplo a Maniac Mansion, Zak McKracken e The Secret of Monkey Island: in The Pixel Has You viaggiate tra le dimensioni (anzi, i dischetti Amiga per la precisione) di queste tre avventure, cercando di rimetterne a posto il codice, dopo che un virus ha spazzato via da quegli universi i suoi protagonisti. Vorrei cogliere l'occasione per salutare un consulente sul gioco, cioè Fabio "Zak" Belli, che so essere un lettore del sito: Fabio ha condiviso la venuta di David Fox in Italia quasi due anni or sono. Di fatto, il protagonista di The Pixel Has You, incrocio di Zak e Phoenix Wright, mi sembra appunto il nostro Zak Phoenix McKracken, vecchia conoscenza del forum di Thimbleweed Park! Non posso che dedicargli questo pezzo.
In ambito professionale, vi segnalo l'imminente pubblicazione a maggio del secondo episodio di Buck Bradley, punta e clicca per mobile (Android e iOS) pensato per smartphone sin dalla sua interfaccia immediata, che non prevede lo spostamento del protagonista: l'enfasi infatti è su un look e una presentazione da fumetto interattivo più che da cartoon, molto adatto alla destinazione. Humor e spirito educational in questo caso si fondono, perché un retrogusto alla Deponia (con meno scorrettezza, s'intende) viene messo al servizio di un'ambientazione, Terrastramba, distopica Terra devastata dall'inquinamento. Sponsorizzano CNR e l'Istituto sull’Inquinamento Atmosferico, il primo capitolo è gratuito.
Okay, per questo mese sarebbe tutto, se non fosse che in questa sequenza di Tweet il buon David Fox, a chi gli domandava se farà un altro gioco stile Thimbleweed Park con Ron Gilbert, ha risposto con un criptico "hmmmm". Hmmm. Attendo di poter elaborare teorie su quel suono, ma ricordo come il mese scorso Ron abbia ingannato il tempo aggiornando quell'engine.
Buon proseguimento di lockdown, si spera ancora solo per qualche giorno.
Come sempre ad maiora,
ciao,
Dom
29-3-2020
Ciao. Spero stiate bene. Questo aggiornamento di Lucasdelirium, in un momento che nessuno di noi avrebbe mai pensato di vivere, è indirettamente sponsorizzato dalla mia compagna Elisa. Se non stessimo condividendo l'isolamento, sarei stato forse troppo frastornato per scrivere qualcosa di sensato. Prima di cominciare, vi sprono se non l'avete già fatto ad approfittare dei saldi di GOG per i titoli LucasArts, che terminano domani 30 marzo: anzi, nel caso non vogliate (o non possiate...) spendere ora, vi consiglio di salvarvi questa ricerca filtrata e riutilizzarla magari durante i saldi estivi o autunnali. In particolare, lo ripeto perché ne ho discusso qualche giorno fa con un lettore: anche se è solo in inglese, l'edizione GOG di Indiana Jones e la macchina infernale funge di fatto da megapatch per il funzionamento sui sistemi attuali anche di quella italiana che magari già possedete, con le modalità che spiegai nella scheda.
Sam & Max: The Devil's Playhouse compie 10 anni,
ma i fan pensano al duetto a prescindere
Nell'aprile del 2010 i fu-Telltale avviarono la serie di avventure grafiche episodiche Sam & Max: The Devil's Playhouse, che terminò ad agosto. Ancora non lo sapevamo, ma sarebbe stato l'ultimo prodotto della casa a presentare il classico gameplay ad enigmi da punta & clicca, perché da Back to the Future in poi le cose cominciarono a cambiare. Quasi simbolicamente, questo commiato dal genere "puro" vide come protagonisti due personaggi che avevano caratterizzato la LucasArts con Sam & Max Hit the Road (1993), ma che avevano anche costruito le fondamenta degli stessi Telltale con la Sam & Max Season One (2006-2007) e la Sam & Max Season Two (2007-2008). Rigiocare The Devil's Playhouse nell'ultimo mese, oltre a fornirmi una valvola di sfogo e distrazione che non fa di certo male, ha se possibile aumentato il mio rispetto per quest'opera monumentale che fu concepita da Chuck Jordan. Le circostanze in cui ha visto la luce l'hanno posta esattamente in bilico sui confini del genere, con una carica di freschezza, creatività e genio, un attimo prima che l'equilibrio si perdesse e l'avventura grafica iniziasse la sua mutazione in qualcosa di diverso. Per questo credo sul serio che abbia un valore non trascurabile nella storia degli adventure game, valore cresciuto in dieci anni: forse ha un peso meno simbolico della Season One, che ci vendicava dalla cancellazione di Freelance Police, però la terza stagione di Sam & Max rimane anche oggi un esempio di come si possa puntare in alto in design e scrittura, rimanendo fedeli a quello che si aspetta l'appassionato avventuriero, ma sapendolo anche stimolare e spiazzare. Ho mantenuto giusto due-tre frasi della vecchia scheda, perché l'analisi di The Devil's Playhouse che vi presento oggi è doverosamente riscritta da zero. Non solo: ho sbobinato i commenti audio del team nel dvd-rom che distribuirono direttamente i Telltale, generando una nuova e ricchissima pagina delle curiosità (con spoiler!!!). Ricordo che il gioco è tuttora acquistabile su Steam, solo lì e a prezzo folle (saldi permettendo): non ho ancora capito a chi appartenga, dato che la nuova proprietaria del marchio "Telltale", l'LCG Entertainment, non elenca i Sam & Max nei titoli che hanno rilevato. La butto lì: che il contratto di licenza firmato con Steve Purcell, papà dei personaggi, fosse direttamente legato a qualche membro della dirigenza dell'azienda originale, tipo Kevin Bruner e Dan Connors? A condizioni leggere e ancora convenienti? Mi fa piacere che i giochi siano ancora in vendita, però questi limbo legali non mi piacciono molto. [EDIT: C'avevo preso, i Sam & Max appartengono a una neosocietà fondata da Connors, Skunkape Games! Grazie a Stefano Zanca :-)].
IMPORTANTE e RIBADISCO: Il team della traduzione italiana amatoriale, che ha raccolto il progetto di "Sam & Max: I balocchi del demonio" avviato coi primi due episodi da altri appassionati, sta lavorando sulla traduzione della quinta e ultima parte. Se avete tempo, prenotatevi per il beta test e fate sì che tutti anche in Italia possano apprezzare questo gioiello!
Nemmeno a farlo apposta, nell'ultimo mese sono affiorati online movimenti di fan del cane e del coniglio, concretizzati in due iniziative. Una è un articolo di The Gamer, dove Hayley Mullen propone una classifica dei migliori episodi dei Telltale dedicati a loro: avrei fatto salire un po' They Stole Max’s Brain! e molto di più Abe Lincoln Must Die!, difficile avere invece rimostranze sulla vetta occupata da The Tomb of Sammun-Mak, specie se ci si concentra sul game design (magari ci sono puntate più divertenti nei testi, a seconda dei gusti). Occhio agli spoiler, due dei tre episodi che ho citato vengono proprio dalla terza stagione.
Già che ci sono, per rinfrescare la memoria e per dovere storico, non dimenticherei di citare in tema di Sam & Max e videogiochi la loro partecipazione ai casual Poker Night at the Inventory (2010) e Poker Night 2 (2013): quest'ultimo nello specifico, con testi addirittura di Mike Stemmle, è cronologicamente l'ultima apparizione videoludica del duo, dove peraltro Dave Boat aveva sostituito (quasi perfettamente) William Kasten alla voce di Max. Entrambi i giochi, appesantiti da accordi di licenza multipli, sono per ora stati ritirati dal commercio, anche se pare che l'LCG stia per recuperarli e forse per produrne un terzo capitolo: ci saranno anche il cane e il lagomorfo?
L'altra iniziativa, una sorpresa, è una megamod per The Simpsons Hit & Run (2003), intitolata Sam & Max Hit & Run: in sostanza l'autore sta usando l'engine e i tool di quel gioco per un'avventura tutta nuova di Sam & Max (con una storia ad hoc), impostata come una sorta di GTA open-world semplificato. Questo mi ha colpito, perché ho sempre pensato che i personaggi si adattassero a una cosa del genere, specie perché la loro DeSoto è sempre stata un elemento chiave nelle avventure e negli spostamenti acrobatici, tra fumetto, avventure grafiche e serie tv. Ho solo il timore che questo titanico fanproject, al momento portato avanti da una sola (!!!) persona, si areni nel caso non trovi un numero sufficiente di collaboratori spontanei: mira in alto, perché cerca designer dei livelli, grafici (nonostante il riciclo degli asset Telltale), sceneggiatori, montatori, tecnici vari e persino i doppiatori originali dei personaggi (che dubito si lancerebbero gratis in un'impresa del genere). Con Sam & Max Hit and Run si promettono 24 livelli divisi in due missioni. Mi riporta alla mente anche l'action-adventure ufficiale che proprio Chuck Jordan stava elaborando agli Infinite Machine, Sam & Max Plunge Through Space. In bocca al lupo: seguite qui gli sviluppi della MOD.
Full Throttle e The Curse of Monkey Island rivisitati dai fan
Siamo un po' tutti abituati a giocare e/o commentare i remake e i remaster in HD dei vecchi titoli. Vale anche per noi lucasdeliranti: cito Grim Fandango Remastered, Day of the Tentacle Remastered, Full Throttle Remastered dalla Double Fine, e prima ancora la Monkey Island Special Edition e la Monkey Island 2 Special Edition dalla fu-LucasArts. I fan della tradizione lucasiana però non si fermano mai e continuano a creare: ricorderete Grim Fandango rifatto nell'Unreal Engine e il tentativo di remake di Fate of Atlantis.
Su Vimeo tale "Red Knucles" ha omaggiato Full Throttle con un impressionante teaser trailer, ripensato da zero in CGI a un livello qualitativo degno di nota, rimontando l'audio originale: lo so, siamo tutti nostalgici dello stile grafico 2D ispirato a Mike Mignola, è quello il look che Ben dovrebbe avere, non si discute. Però... onore al merito, diamine. Questo Red un po' di lavoro dopo la crisi lo troverà.
Quanti di voi conoscono Laserschwert? È un fan tedesco appassionato di grafica: anni fa mise a disposizione di tutti poster dei classici LucasArts (e non solo) e appare spesso nei thread in cui si discute di questi argomenti. Ricorderete magari che da più di un anno si parla delle routine ESRGAN per l'upscaling di vecchie grafiche sostenuto da algoritmi di intelligenza artificiale. Laserschwert si è spinto oltre, proponendo una versione così potenziata dell'intro di The Curse of Monkey Island. Spettacolare davvero... e ha richiesto l'intervento di una sola persona (4:3 permettendo, l'estensione della grafica sui 16:9, almeno dei fondali quadrati, richiederebbe comunque un intervento manuale).
Di questi esperimenti, solo l'ESRGAN mi sembra che possa seriamente essere preso in considerazione per eventuali remaster a costo di sviluppo contenuto. Per quanto concerne i video test capolavori dei fan, il discorso è diverso: sui social scattano subito commenti tipo "Ecco, così avrebbero dovuto fare i remake, altro che quelle schifezze!". Ricordo che un conto è sviluppare un video di un minuto scegliendo cosa rifare, per dare il massimo, senza tempistiche, senza budget e senza dipendenti. Un altro conto è immettere sul mercato un prodotto reale, realizzato con tempistiche compatibili con un budget regolato sul pubblico di riferimento. Non dimentichiamolo mai.
Tales from the Borderlands torna disponibile, con sequel confermato?
Il mese scorso vi avevo anticipato che, secondo voci, l'LCG Entertainment, nuova proprietaria del marchio Telltale, stava meditando di rinnovare la licenza con la Gearbox per rimettere in commercio Tales from the Borderlands e forse anche di lavorare su un sequel. Le voci si sono fatte più insistenti grazie a un leak video, nel quale si annuncia un Tales from the Borderlands Redux, con extra come concept art, commenti audio e un miniepisodio che, mi sembra di intuire, ci spieghi cosa ne sia stato di Rhys e Fiona al termine della stagione. Guardando i loghi, pare che sarà sempre l'AdHoc Studio (ricordo costituito da ex-Telltale), a occuparsi dell'operazione, al margine dei lavori su The Wolf Among Us 2. Il teaser si conclude con un eloquente "2". Naturalmente, il fattore Coronavirus non va dimenticato: le attività di chiunque si stanno fermando o stanno per lo meno rallentando, forse anche per questo motivo l'LCG non ha ancora sciolto le riserve su questo annuncio e su alti progetti.
L'emergenza sanitaria e i nostri vecchi amici
Non sappiamo ancora valutare esattemente le conseguenze pratiche che avrà il Coronavirus sulla vita di tutti noi in futuro (più che altro, siamo in piena guerra e fermarci a valutarle ci demoralizzerebbe troppo in questo momento). Non ci sono più barriere e confini, quindi il lock-down si è esteso anche agli autori che seguiamo da sempre. Più di tutti, a livello professionale affrontano una grande sfida Tim Schafer e la sua Double Fine, in alpha sull'attesissimo Psychonauts 2. Il loro telelavoro è iniziato, come ci hanno fatto sapere nel loro stile e anche a parole, rispondendo a chi chiedeva di slittamenti (ulteriori): "Pensiamo che nessuno sia in effetti in grado di sapere cosa significhi tutto questo, ma stiamo cercando di dare il massimo!". Più nello specifico, Tim ha scritto: "Siamo un po' confusi da questa cosa del virus, stiamo cercando di capire cosa fare adesso che la maggior parte delle fiere è stata cancellata. Ma procediamo di buona lena sul gioco e una volta che riprenderemo fiato vi aggiorneremo!". Se volete il mio parere, vedo in forse la pubblicazione nel 2020. Una cosa è sicura: se nella lontanissima estate del 2019 ebbi dubbi sull'acquisizione della Double Fine da parte della Microsoft, ora il discorso è radicalmente diverso. Da indipendente, la Double Fine avrebbe in questo frangente le settimane segnate. È stato bello comunque rivedere insieme Tim e il suo ex-vice Greg Rice per un'edizione virtuale della vetrina dei giochi indie Day of the Devs (registrata dopo la cancellazione della GDC ma prima del lock-down).
Il buon Ron Gilbert ci ha fatto sapere via blog di star bene, da introverso e smartworker non poi così toccato a livello pratico dalla situazione: sta ingannando il tempo aggiornando l'engine di Thimbleweed Park, ora adatto anche a avventure grafiche non necessariamente in pixel-art. Parla molto di avventure ultimamente: chissà se medita qualcosa in merito per il futuro. Futuro che non vediamo l'ora faccia capolino all'orizzonte.
Il grandissimo David Fox ci ha salutato sul forum di Thimbleweed Park e ricorda ancora il suo viaggio in Italia, a quanto pare. Noah Falstein, dedicato da qualche tempo a software riabilitativo, si è attivato sul fronte realtà virtuale per garantire l'evasione che viene negata ormai a buona parte del mondo.
Fine dell'aggiornamento.
Teniamo duro. Distraiamoci senza alienarci e... ad maiora.
Ciao,
Dom
29-2-2020
Aggiornamento bisestile per Lucasdelirium, in un brutto momento per molti, tra ansia per la salute e ansie lavorative, tutti elementi che ci possono rendere sgradevole la vita (o alimentare cinismo e fatalismo, il che non è piacevole, specialmente per chi ci è accanto e non condivide la deriva!). Non rinuncerei mai però alla "normalità" mensile del sito, men che mai a questo giro, perché abbiamo degli auguri calorosi da rivolgere a un gioco molto amato...
Loom compie 30 anni!
Non sarà The Secret of Monkey Island, che invece festeggerà i suoi primi tre decenni a fine settembre, ma Loom di Brian Moriarty invecchia come il vino: nessuno lo considerò un capolavoro all'epoca dell'uscita, ma ad ogni revisione si dimostra un'opera tanto in anticipo sui tempi da sembrare concepita oggi. Il compleanno è stato collocato dal suo autore il 6 marzo 1990, giorno in cui consegnò al producer i master del gioco finito: mancano quindi pochi giorni all'evento. Invece di presentarvi qualcosa di forzatamente nuovo su questo storico punta & clicca, ho deciso di fare qualcosa di diverso: negli ultimi anni ho coperto Loom tanto spesso, che mi pare più appropriato un riepilogo di alcuni miei passati lavori in merito, complemento ideale della scheda che già riscrissi tre anni fa.
In primis, mi vanto ancora di aver proposto io il titolo "Chiedeteci di Loom" per la prima puntata della quarta stagione del podcast Calavera Cafè, alla quale partecipai, ospite di Cristiano Caliendo, Simone Pizzi e Roberto Bertoni. Tutto quello che dicemmo allora è più che valido: nel caso abbiate perduto l'episodio, il trentennale è l'occasione buona per rimediare. Parte di quello che dico nel podcast l'avevo ricavato da una fonte di prima mano: lo stesso Moriarty nel suo post-mortem di Loom per i 25 anni della sua creatura, alla Game Developer Conference. Compilai un opportuno riassunto di questa conferenza. Al termine del panel, Brian proponeva tre case come culla ideale degli eventuali seguiti: nel 2016 vi aggiornai sul nulla di fatto. Sempre del 2016, segnalarei un'altra conferenza della GDC, quella tenuta da Mark Ferrari, autore dei fondali. Non è incentrata su Loom ma sulla pixel-art realizzata coi tool attuali, ma mi sembra un momento ideale per ascoltare l'uomo che portò la palette CGA/EGA a vette di finezza che le sembravano precluse: anche in questo caso, vi rimando al mio riassunto del panel.
Le edizioni Speciali di The Secret of Monkey Island (testo già pubblicato con lievi modifiche su Facebook il 27-2-2020)
A proposito di anniversari, l'editore Limited Run Games sta mantenendo la promessa di proporre in edizione scatolata speciale alcuni classici della LucasArts. Fino ad ora non avevano ancora lanciato le avventure grafiche, ma le cose sono cambiate. La versione Sega CD di The Secret of Monkey Island sarà ripubblicata in due edizioni a tiratura limitata, una "Classica" a 39.99 dollari (stampata in 2.500 esemplari) e una "Premium Edition" in scatola grande a 74.99$ (in 2.000 esemplari), con i numerosi gadget che potete ammirare nella foto a corredo di quest'ultimo oggetto. Ci sono stati due round di preordini, entrambi il 28 febbraio, alle 16 e alle 22.
È una buona notizia, ma se vi state domandando perché diavolo ripropongano il porting Sega Mega CD invece di quello magari DOS in VGA... non ho una risposta: forse è più strambo, raro e potenzialmente collezionabile? Quella conversione era piuttosto curiosa: aveva gli sfondi a 32 colori della versione Amiga, ma personaggi più colorati e più simili alla versione VGA (direi a occhio sfruttando le capacità del Megadrive nella gestione di svariati sprite hardware, indipendenti nella palette). Assurdo il sistema di salvataggio tramite password generate automaticamente!
È stato comunque promesso via Twitter, più avanti nell'anno ma non si sa quando, uno scatolato speciale per PC, nel caso inorridiate di fronte alla versione Sega CD o non abbiate voglia di avviarla con ScummVM o con un emulatore Sega apposito (consigliato, per non perdere lo scrolling fluido a 60fps che ScummVM ignora). Per quanto mi riguarda, mi piacerebbe se per filologia qualcuno andasse a recuperare l'edizione DOS EGA a 16 colori, quella originale su cui lavorò Ron Gilbert in persona. Magari su floppy da 720Kb, perché no? La vecchia EGA è legalmente desaparecida in tutte le sue forme: persino nella Monkey Island Special Edition c'è l'incarnazione a 256 colori...
In ogni caso, una nuova edizione scatolata di Monkey 1 senza l'iconico Dial-A-Pirate mi pare un po'... monca (anche se nella versione Sega CD il controllo antipirateria in effetti non c'era).
Nick Bounty: punta & clicca lucasiani gratis per tutti!
Il mese scorso, nell'aggiornare la pagina delle biografie, avevo creato una scheda per Mark Darin, coautore di Tales of Monkey Island, giusto per citare il titolo più famoso sul quale lavorò presso la Telltale Games. Ho deciso questo mese di affrontare seriamente due tra le prime avventure punta & clicca gratuite indipendenti che realizzò, tra il 2004 e il 2005, prima di entrare nell'azienda. Nel nuovo articolo parlo dei "Primi due casi di Nick Bounty", il demenziale detective privato che sta per tornare da protagonista in un terzo capitolo commerciale, che ho intenzione di seguire qui sul sito e che sarà pubblicato ad aprile: Nick Bounty and the Dame with the Blue Chewed Shoe. Quest'ultimo titolo è nato da un Kickstarter felicemente riuscito, dopo che Mark si era ritrovato senza lavoro alla chiusura della Telltale Games. Vi dissi che non avevo intenzione di partecipare: non l'ho fatto, perché mi sentivo respinto dallo stile grafico, che continua a convincermi assai poco, specialmente nei modelli dei personaggi. Devo però ammettere che, dopo essermi divertito con i primi due capitoli, ora sono sul serio curioso di proseguire e di capire come Darin bilancerà le origini "classiche" del suo personaggio con quello che nel frattempo ha sperimentato alla Telltale.
L'articolo comprende una breve introduzione dedicata al rapporto tra il noir e l'avventura grafica.
Anche Tales from the Borderlands 2 nel futuro dei nuovi Telltale?
Sappiamo già che i "nuovi" Telltale, in realtà una rifondazione da zero della vecchia azienda, sono al lavoro su The Wolf Among Us 2, previsto indicativamente per il 2021. Potrebbe tuttavia esserci in ballo qualcosa di più: stando a una voce diffusa da Dontfeedthegamers, si starebbe pensando anche a una seconda stagione per Tales from the Borderlands, uno dei capolavori dei fu-Telltale, per i miei gusti personali persino più gradevole e interessante di The Walking Dead. Sempre stando alla voce, sarebbe ancora l'AdHoc Studio, come ricorderete formato da ex-Telltale e già al lavoro sulla seconda stagione di The Wolf Among Us, a occuparsi del ritorno di Rhys e Fiona, con un'uscita però valutata tra parecchio tempo, "fra qualche anno": insomma, non si lavorerebbe contemporaneamente su due ritorni, confermando così fortunatamente l'intenzione dei nuovi fondatori sul mantenere i ritmi di lavoro più umani ed evitare un'altra Caporetto. Nel frattempo, la priorità sarebbe mettersi d'accordo con la Gearbox per rimettere in vendita la prima stagione. Addirittura i neoTelltale starebbero meditando un nuovo casual pokeristico del ciclo Poker Night at the Inventory, da sviluppare del tutto internamente, non si sa con quali personaggi presi in licenza: ricordo che questa serie vedeva il giocatore affrontare in tornei di Texas Hold'em personaggi famosi del mondo nerdico, tutti su licenza dei rispettivi proprietari. Unico elemento in comune era la partecipazione di Sam & Max: nel primo episodio giocavamo contro il lagomorfo, nel secondo contro Sam. Cogliendo l'occasione, vorrei fare un veloce punto sulla situazione commerciale attuale dei titoli Telltale. Quali sono di nuovo in commercio? Quali sono scomparsi dalla circolazione?
La proprietà della nuova Telltale ha rilevato e rimesso in vendita Batman - The Telltale Series e Batman The Enemy Within, riconfenzionando le due stagioni nel bundle Batman Shadows Edition su Steam. Naturalmente è tornato disponibile The Wolf Among Us, mentre tre esempi di punta & clicca "minori" con licenze più economiche sono sopravvissuti alla mattanza: Puzzle Agent, Puzzle Agent 2 e Hector: Badge of Carnage. Rimane un mistero la proprietà di Sam & Max Season One, Sam & Max Season Two e Sam & Max the Devil's Playhouse, attualmente ancora in vendita su Steam sotto etichetta "Telltale Games" ma non denunciate sul loro sito.
Tutta la saga dedicata a The Walking Dead, come ricorderete, ha cambiato proprietario passando alla Skybound Games: le quattro serie, The Walking Dead, The Walking Dead Season Two, The Walking Dead Michonne, The Walking Dead A New Frontier e The Walking Dead L'ultima stagione, sono state rimasterizzate e inserite in una The Walking Dead: The Telltale Definitive Series sull'Epic Games Store (dove sono disponibili anche singolarmente).
Tutto ciò che non ho citato in questa news è da considerarsi ancora sospeso nel limbo: scaricabile da chi lo acquistò, ma rimosso dal commercio fino a nuovi accordi con i detentori delle rispettive licenze, ammesso che le contrattazioni siano in corso per tutti i casi.
Indiana Jones 5 perde Steven Spielberg (quasi)
Sapete che normalmente non seguo il cinema in questa sede, però con Indy non riesco a esimermi, specialmente in questo caso. Dovreste aver letto che le vicissitudini di Indiana Jones 5, annunciato ormai nel lontano 2016 per una mancata uscita nel luglio 2019, non terminano. L'ultima botta, simbolicamente molto forte, è la defezione di Steven Spielberg, che lascia la regia, mantenendo un ruolo da coproducer a uso consulenza. Con una bomba così, le reazioni di ironico scetticismo, sconcerto o dileggio si sprecano. Io a questo punto ho abbandonato ogni ottimismo sull'esito di questa operazione, ammesso che vada in porto (fino a prova contraria, ormai del vecchio team è rimasto solo Harrison Ford, forse nemmeno da solo, data l'età). Lasciate però che almeno vi spieghi il mio ragionamento, perché magari è diverso da come lo immaginate.
Per me non è un problema che Spielberg lasci la saga di Indiana Jones, è preoccupante che lo faccia adesso, dopo quattro anni di preproduzione evidentemente burrascosa, per usare un eufemismo. Si dice che Steven si sia tirato indietro per "lasciare che una nuova generazione fornisca un punto di vista nuovo e fresco" sul marchio. Io da anni sostengo che Spielberg non è più quello di Indiana Jones, come peraltro dimostrò in modo imbarazzante con Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo nel 2008, appesantito da una regia che cercava forzatamente e artificiosamente un tono leggero, con un atteggiamento paternalistico e non di vera complicità ed entusiasmo. Era il tentativo del regista di Schindler's List e Munich di ricordarsi cosa significasse il cinema di puro intrattenimento: ritengo che l'abbia effettivamente dimenticato, se penso agli esiti dei recenti Il Grande Gigante Gentile (tremendo) e Ready Player One (tecnicamente di livello, come d'altronde era il quarto Indy, ma emotivamente freddo, lontano dal romanzo che ho pure apprezzato). Sono film non paragonabili a opere invece preziose e interessanti come Il ponte delle spie, Lincoln o The Post. Spielberg ha più di settant'anni: non è troppo vecchio, il punto è che non è più il trenta-quarantenne dell'Indy glorioso. Si cambia, possono non interessarci più le stesse cose. Spielberg si lasciò convincere da Lucas ad accettare il quarto Indy che non lo convinceva, perché l'amico George era pur sempre l'amico George: ora non c'è più, Spielberg si aspettava che fosse almeno executive producer di Indy 5, invece niente. Dopo un tira e molla di quattro anni su chissà quale acrobatico equilibrio con la Lucasfilm-Disney, Steven si sarà chiesto: "Ma senza George, chi me lo fa fare?" In effetti nessuno: se c'è qualcuno che può permettersi di dire no alla Disney senza avere ripensamenti economici o di carriera, quello è proprio lui.
Io sono preoccupato perché sento puzza di un'indecisione sconfortante e di un gran pasticcio dietro le quinte: avrei accettato con interesse la proposta del pur bravo e più che adatto James Mangold alla regia, come si vocifera, se sin dal 2016 Spielberg avesse compiuto quel passo indietro. Il fatto che avvenga adesso, dopo mille ripensamenti, dopo che lo stesso Spielberg a fine 2018 era convinto di andare sul set nell'aprile 2019, con un copione che evidentemente qualcuno doveva aver completato e che è stato cestinato... non mi piace affatto. Sarei disposto a credere che sia l'encomiabile segno della ricerca di perfezione da parte dell'azienda, se la nuova saga di Star Wars non fosse stata concepita e condotta con la strategia granitica del "'ndo cojo cojo". Invece vedo le solite sostituzioni dell'ultimo minuto alla regia, lo stesso procedere a vista mettendo in discussione sempre tutto. Vedo ancora genitori creativi espropriati: Indy finirà "in cerca d'autore" com'è successo negli ultimi anni a Luke, Han e Leia?
Ford cercherà di rimanere fino all'ultimo, non si è fatto problemi nell'attraversare Il risveglio della Forza senza che Lucas avesse voce in capitolo, non mollerà facilmente: promuovendo Il richiamo della foresta, ha prima parlato ottimisticamente delle riprese di Indy 5 in aprile, poi qualche giorno dopo ha ammesso "rallentamenti" e ha pencolato verso l'estate inoltrata, aggiungendo di essere parecchio contento della direzione della sceneggiatura. Ammettendo che la Disney voglia mantenere la data d'uscita del luglio 2021 (l'ha spostata già due volte!), per dare un minimo di tempo all'incauto Mangold di appiedare nel delirio in cui si sta andando a cacciare, escluderei aprile e non ritengo si possa battere il primo ciak prima di giugno-luglio.
In bocca al lupo a Ford, a Mangold, a noi e... a Indy.
Voglio che il mio scetticismo sia smentito.
Hal Barwood parla di se stesso e Indiana Jones
Il contenuto che per stanchezza non ero riuscito a inserire nello scorso aggiornamento lo propongo questo mese. Ho rinvenuto per caso sulla rete questo podcast del 2018, dove il buon Hal Barwood parla diffusamente del suo lavoro su Indiana Jones and the Fate of Atlantis e di se stesso. Visto che abbiamo parlato di Indy e del suo attuale status di orfano, direi che è un buon momento per dare spazio a chi un prosieguo all'Ultima crociata è stato davvero in grado di darlo. Voce al papà adottivo di Indy!
- Hal comincia raccontando le sue origini nel cinema: nato e cresciuto sulla East Coast, ha conosciuto la settima arte perché suo padre gestiva una piccola sala, dove ha visto lungometraggi di ogni tipo. Dopo aver pensato per un breve momento di fare il pittore, capì che il cinema lo affascinava più di ogni altra cosa e partì per studiarlo a Los Angeles. Lui e il suo socio Matthew Robbins escono dall'astronave di Incontri ravvicinati del terzo tipo, nell'ultimo atto: è il modo con cui Spielberg li ha ringraziati di contributi non accreditati alla sceneggiatura. Sollecitato sui ricordi di quel set, ricorda il caldo umido mortale di quell'estate di riprese in Alabama e l'assenza di fascino della macchina genera-suoni prima che fosse abbellita in post-produzione. Per quanto riguarda Il drago del lago di fuoco, Hal ricorda che lui e Robbins puntavano a un fantasy che sembrasse realistico, che desse per scontata la presenza dei draghi nella vita di tutti i giorni: il film doveva costare 10 milioni di dollari, ma alla fine ne spesero 20. Floppò, ma Barwood va fiero del fatto che sia diventato un cult col passare dei decenni.
- Passando a parlare del gaming, Hal già dal liceo amava comunque creare giochi da tavolo o con interfacce elettriche, come un football interattivo stile battaglia navale, fatto di transistor e lampadine, molto amato dai suoi amici. Per lui il sistema della morra cinese rimane un concetto fondamentale di game design. Nella seconda metà degli anni Settanta ricorda di aver frequentato degli arcade con Steven Spielberg, molto più bravo di lui a Tank 8, ma il primo impatto col mercato dei videogiochi lo ebbe quando George Lucas regalò a tutti i suoi amici (lui compreso) un Atari 2600 con la cartuccia di Raiders of the Lost Ark.
- La rivelazione di quanto si fosse stancato del cinema la ebbe durante un periodo nella lavorazione proprio di Drangonslayer, di cui era producer oltre che cosceneggiatore. Nella fatica di organizzare una scena notturna molto complessa e fondamentale del film, con centinaia di comparse, capì che preferiva molto di più il momento in cui, nella sua roulotte, programmava giochi sul suo HP41C. C'era qualcosa che non andava, forse aveva sbagliato strada? Ci vollero però dieci anni ancora perché diventasse un game designer di professione... a cinquant'anni suonati. Praticamente nessuno dei suoi amici e coetanei attivi nel cinema capisce alcunché di videogiochi!
- L'occasione fu proprio Indiana Jones and the Fate of Atlantis. Dopo aver finito Indiana Jones and the Last Crusade - The Adventure Game, il suo trio di autori (Ron Gilbert, Noah Falstein, David Fox) era esausto e, quando il successo di quest'ultimo titolo spinse il management a metterne in cantiere un altro analogo, pregarono di trovare qualcun altro che se ne occupasse. Barwood bazzicava la Lucasfilm Games già da qualche tempo, aveva cominciato a sperimentare con piccoli giochi programmati in proprio, e grazie alla raccomandazione del vecchio amico George gli fu assegnato il progetto. Non ebbe problemi ad adattarsi allo SCUMM, avendo una certa esperienza di C e altri linguaggi di programmazione, però il vero problema fu piegare l'engine alle sequenze d'azione e ai minigiochi che immaginava per Indy: concentrarsi solo sugli enigmi per lui sarebbe stato un mezzo tradimento del personaggio. Alla fine riuscirono a ricavare prove action decenti rimanendo nell'ambito degli script SCUMM (non senza fantasia nel codice!).
- Cosa ricorda dell'esperienza di Fate of Atlantis? Anche per diverse persone del suo team quello era il primo (o il secondo) titolo su cui lavoravano: fu un'esperienza istruttiva, oltre che divertente, nonostante qualche momento no. L'idea dei tre percorsi alternativi centrali per risolvere l'avventura fu del co-designer Falstein, che aveva notato come i giocatori preferissero approcci differenti a seconda dei loro gusti. Noah però lasciò il progetto prima di progettare nel dettaglio quelle alternative, lasciando Hal a concepirle da solo in 18 mesi di lavoro! Ne valse la pena, visto che a memoria di Hal rimane l'avventura più venduta della LucasArts.
- La vera sfida non fu tanto concepire la storia, dopo aver cestinato quella di una sceneggiatura mai usata per un film (Indiana Jones and the Monkey King), quanto realizzare che il copione di un'avventura grafica poteva arrivare a 500 pagine, lì dove un film viaggia sulle cento. Riguardo al coinvolgimento dei genitori naturali di Indy, chiamare Harrison Ford per doppiare il protagonsita non venne nemmeno preso in considerazione: non era un mercato che immaginava ritorni tali da giustificare ingaggi così costosi. Ma Spielberg ha giocato l'intera avventura con suo figlio e ha fatto sapere a Hal di averla gradita parecchio. Produttivamente, la versione "talkie" di Indy 4 su cd-rom fu il primo titolo della casa a presentare un doppiaggio completo: il processo era ancora pionieristico, le voci si registravano in analogico, per ricavarne poi file audio.
- Era difficile trovare l'estetica giusta per Atlantis: secondo Hal, il mondo di Indy è una "versione esagerata" di quello reale, quindi tendenzialmente di aspetto realistico, però la grafica relativamente spartana realizzata in Deluxe Paint imponeva un look cartoon. Bisognava trovare un compromesso. Aiutò che Barwood avesse un trascorso di grafica e illustrazione al college, lo aiutò a comunicare correttamente con gli artisti.
- Di cosa va più fiero quando si parla di Indy 4? "Innanzitutto del fatto che alla fine sia uscito!", scherza Hal. Fu felicissimo dell'accoglienza all'epoca dell'uscita, ma soprattutto è fiero perché il gioco ha un vero sapore "alla Indiana Jones", meno demenziale del prodotto medio lucasiano di quel periodo. Non fu realmente coinvolto nel cancellato Indiana Jones and the Iron Phoenix, anche se contribuì all'idea alla base della storia.
- È rimasto molto legato alle avventure grafiche, gioca ogni sera con sua moglie anche alle recenti meno basate sugli enigmi, ma se dovesse isolare un genere videoludico che sente gli appartenga di più, come gusti, quello sarebbe l'action-adventure: risoluzione di puzzle con un certo dinamismo, tra azione e combattimenti. Già dopo Fate, pensava comunque che la tecnologia dietro alle avventure non stesse tenendo il passo col resto del mondo videoludico, a suo dire più evoluto.
- Evoluzione produttiva dell'industria: per Indy 4 c'era un team di 12 persone, per Indiana Jones e la macchina infernale ne diresse quasi 40, per RTX: Red Rock furono 85.
- La macchina infernale nacque deliberatamente come risposta a Tomb Raider, ma realizzare un engine proprietario 3D per un action in terza persona alla LucasArts si rivelò più laborioso del previsto, partendo da Star Wars Dark Forces e Jedi Knight. Alla Lucas mancavano anche i tool per realizzare le stanze rapidamente così come invece potevano fare alla Core Design. Fu una lavorazione molto lunga e impegnativa. Per quanto riguarda la storia, voleva andare oltre il tormentone dei Nazisti, così scelse la Guerra Fredda e avrebbe voluto che Jones avesse a che fare con gli alieni, un tormentone di quegli anni. Parlando con la Lucasfilm, gli fu però detto di evitare l'argomento (avrebbe poi capito che il quarto film vi si sarebbe basato), così ripensò la trama ed ebbe l'idea della Torre di Babele. La sua opinione sul quarto film? "Oh, l'ho odiato. Non ditelo a George!"
- Ha un ricordo molto netto del suo lavoro su Star Wars Rebel Assault II di Vince Lee: era necessario commercialmente inserire sequenze in Full Motion Video, facevano tendenza in quegli anni. Per i suoi trascorsi cinematografici, Hal fu incaricato di dirigerle: ebbe a disposizione solo cinque giorni di set, sudando parecchio per trovare (a occhio!) le giuste angolazioni di ripresa in funzione del successivo compositing delle riprese in blue screen con la grafica prerenderizzata del gioco. Fu divertente (e Barwood fu il primo dopo parecchi anni a girare qualcosa di Star Wars!). La compressione dei filmati era orrenda, e lo pensava già allora: però, col passare degli anni, proprio come il 3D squadratissimo della Macchina Infernale, quei titoli stanno diventando vintage e i problemi pesano di meno, psicologicamente.
- Indiana Jones and His Desktop Adventures e Yoda Stories, che faticò così tanto a farsi accettare dalla dirigenza, erano in effetti casual gaming ante-litteram: proprio per questo fu costretto a creare un prototipo con HyperTalk per i capi, per far capire loro cosa avesse in mente: mini action-adventure con location e puzzle procedurali, brevi, ampiamente rigiocabili. Venendo dal cinema, non capiva perché un'esperienza interessante, in ambito videoludico, dovesse essere per forza di cose lunghissima. Il suo preferito tra i due è Yoda Stories.
- Perché lascio la LucasArts nel 2003? "Era in caduta libera": nei 13 anni che trascorse lì, ci furono troppi presidenti diversi, purtroppo spesso scelti da George senza un criterio legato alla loro esperienza videoludica. Non era più un posto per lui. Nei sette anni successivi ha fatto lavoro di freelance, ma da quando si è ritirato a Portland nell'Oregon, non c'è da quelle parti molto lavoro nel settore, e c'è un limite a quanto puoi fare in telelavoro. Ha preferito dedicarsi alla scrittura. Comunque ha giocato a Thimbleweed Park, in nome dei vecchi tempi con Ron. Ama le produzioni polacche dell'Artifex Mundi. Condivide la definizione secondo cui le avventure grafiche oggi sono più che altro "storie con occasionali strisce di rallentamento e dossi", cioè semplificate rispetto al passato. Ciò detto, considera Firewatch uno dei migliori esempi di questo tipo di avventure contemporanee. Barwood sostiene che gli adventure comunque piacciono ancora per varie ragioni: l'enfasi sulla narrativa, in primis, ma anche la loro capacità di creare un'atmosfera "confortevole" per il giocatore.
- Cosa teme di più nel mercato attuale del videogioco: la difficoltà di realizzare produzioni a metà strada tra i titoli tripla-A e le piccolissime produzioni indipendenti.
Bene, siamo arrivati alla fine. Al margine, vi segnalo che David Fox, sua moglie Annie e Noah Falstein saranno ospiti del Flashback 20/20 nei Paesi Bassi, quest'anno dedicato ai 35 anni dell'Amiga.
Al mese prossimo!
Ciao,
Dom
31-1-2020
E comincia un nuovo anno per Lucasdelirium! Non che per il sottoscritto sia cominciato benissimo, mi sono già ammalato due volte, speriamo di avere già dato. Ho praticamente compresso il lavoro che leggerete qui in basso in appena una decina di giorni matti e disperatissimi, ma penso che quel che c'è sia piuttosto stimolante. Iniziamo.
Le biografie di Lucasdelirium: aggiornamento ed espansione
Il contenuto che vi propongo questo mese è un sostanzioso aggiornamento della pagina delle biografie. Non so quanto sia consultata, però seguire il percorso dei nostri autori preferiti, dalla LucasArts passando per Telltale, Double Fine e altre esperienze, è la benzina di Lucasdelirium. La mia stessa tolleranza delle deviazioni dalle "regole" del punta & clicca classico dipende proprio da questa complicità con le esplorazioni creative di questi autori. Mi piace accompagnarli e seguirli insieme a voi. Erano anni che non rispolveravo seriamente quella sezione alla quale comunque tengo. Ho deciso di intervenire in due aspetti: innanzitutto ho arricchito, rifinito e aggiornato le schede degli autori già coperti, modificandone pure i ritratti, cercandone di più recenti. Sempre in materia di veterani, ho creato inoltre gli articoli su due personalità mancanti all'appello: Mark Ferrari (doveroso, specialmente dopo due chiacchiere con Gaetano Crisafulli su Loom!) e Khris Brown (sapete tutti chi sia, tranquilli: è solo che non ci avete fatto mente locale!). Ho compiuto però anche un passo simbolico, eco di ciò che il sito fa già da quindici anni: ho creato altre cinque schede riferite ad autori nuovi, quelli che cioè sono emersi di più in questi ultimi dieci anni come degni eredi della nostra tradizione Lucasfilm Games / LucasArts. Le schede sono cinque, ma parlo in realtà di sette persone, semplicemente quattro di loro li ho accoppiati, come fossero delle "premiate ditte". Volete uno spoiler? Ho ricostruito per voi opere, vita e miracoli di Mark Darin, Jared Emerson-Johnson & Julian Kwasneski, Chuck Jordan, Lee Petty, e Jake Rodkin & Sean Vanaman. Se ora state storcendo il naso, pensando a queste persone affiancate a semidei, leggete i loro percorsi: capirete in ogni circostanza perché abbia pensato che meritassero di essere in quella galleria. Insomma: sette schede nuove in totale, nuovi aneddoti e informazioni anche per le vecchie. Le fonti? Interviste, siti ufficiali e Linkedin. Buona lettura e buon divertimento!
Sam & Max The Devil's Playhouse: si avvicinano il decennale e il completamento della traduzione!
Grandi notizie per chi, come me, ricorda che tra poco cadranno i 10 anni di Sam & Max The Devil's Playhouse, la terza stagione di avventure episodiche dei fu-Telltale, il vero loro ultimo atto nel punta & clicca classico ad enigmi. Sono partiti i lavori di traduzione amatoriale in italiano dell'ultimo episodio: il team (che saluto) aspetta contributi di traduzione e testing per velocizzare i lavori e completare questo titanico progetto, che già vi consente di giocare in italiano alle prime quattro puntate. Nonostante la nuova proprietà dei Telltale, impegnata a costruire una nuova azienda con lo stesso nome, non elenchi le stagioni di Sam & Max tra i titoli rilevati, qualcuno sta ancora vendendo la serie su Steam. Non capisco, ma mi adeguo volentieri se significa che queste perle di umorismo e genialità visionaria non spariranno dalla circolazione!
Ron Gilbert c'interroga sulle avventure grafiche
Ron Gilbert ha ripreso da dicembre ad aggiornare il suo blog Grumpygamer, dopo essere sparito dalla circolazione internettiana da agosto. Cosa starà combinando? Secondo me il progetto del "gdr atipico" stile Zelda 16 bit, in cui si possa procedere pure senza combattere mai, è ancora vivo. Lo intuisco perché uno degli ultimi post riguarda un articolo sul codice di Zelda: Link's Awakening per Gameboy / Gameboy Color (per coincidenza, è l'unico Zelda che abbia giocato e finito io!). Uno degli ultimi pezzi comunque ha invece riguardato l'interfaccia delle avventure grafiche.
Ron conviene con un suo amico sul fatto che l'interfaccia punta & clicca delle avventure non si sia evoluta sostanzialmente, se non in direzione di un'ipersemplificazione, con un comando singolo stile generico "usa" che rischia di pre-risolvere gli enigmi. Non rinnega l'interfaccia con i verbi vecchio stile Lucasfilm Games, da lui riproposta in Thimbleweed Park, però la ritiene antiquata e sensata oggi davvero solo per quel titolo specifico, per ragioni di nostalgia intrinseche al progetto stesso. Non la riutilizzerebbe. Siccome ha una certa difficoltà nel giocare le avventure grafiche, perché non si diverte cominciando a dissezionarne il design ("deformazione professionale"), chiede a noi se negli ultimi anni abbiamo incontrato interessanti evoluzioni nell'interazione degli adventure. Ha una sua lista, ma non ha voluto rivelarla prima di leggere cosa proponessimo.
Non ho scritto nulla lì nei commenti, perché in altre situazioni ricordo di averlo fatto su argomenti analoghi, però è un bello spunto per buttar giù qui qualcosa. Mi sembra chiaro che Ron parli di un'interfaccia sostanzialmente diversa rispetto a quella con i verbi: quella a icone, radiale a scomparsa vista in titoli come The Curse of Monkey Island e Full Throttle, in realtà mette a disposizione sempre i soliti verbi, appunto semplificandoli e nascondendoli. D'istinto mi viene in mente che le avventure grafiche, sempre riferendosi al genere classico basato sulla risoluzione di enigmi (quindi non le "avventure narrative") potrebbero avvalersi di un'interfaccia contestuale nella sostanza dell'interazione proposta, in modo tale che non siano le azioni a disposizione a incanalare il giocatore, e che l'interfaccia stessa diventi il primo passo della "soluzione", un po' come concettualmente accadeva nell'interazione col parser ai tempi delle avventure testuali. In quest'ottica, secondo me Loom ancora oggi è una lezione, riflessa con modalità diverse nello Stacking di Lee Petty dalla Double Fine. Scrivo questo cercando di trovare un principio guida più che un'incarnazione specifica da additare come esempio: Ron voleva esempi che ci avessero fatto pensare "Vorrei che tutte le avventure fossero così", e io appunto ho reagito in quel modo davanti a quei titoli. Anzi, più precisamente, alla filosofia di quei titoli.
Se poi dovessi proporvi avventure recenti che mi abbiano intrigato nel tipo di interazione proposta, vi elencherei forse l'alternarsi di follia e razionalità di Fran Bow, il lavoro emotivo sul doppio stick del joypad in Brothers: A Tale of Two Sons e magari i drink di The Red Strings Club, ma lì siamo al limite dell'avventura grafica, pencolando sulla narrativa: ecco, trovo interessante che, dovendo stilare una lista e imponendomi di non inserire giochi senza enigmi, le sperimentazioni sull'interfaccia svaniscano. Quando si parla di puzzle e soluzioni, il genere è parecchio conservativo nelle dinamiche, c'è poco da fare, forse anche perché la nicchia che lo acquista regolarmente se l'aspetta in questo modo. Non l'ho giocato, però mi pare che Heaven's Vault degli Inkle, costruito sul concetto di traduzione di lingue morte, potrebbe ascriversi a questi esperimenti che non tralasciano un ragionamento di fondo per avanzare.
Indiana Jones, Star Wars e la convergenza multimediale, mentre i fan non demordono
Fluttuano sul web due voci riguardanti il futuro dei due marchi principali della Lucasfilm, ora di proprietà della Disney. Secondo il sito We Got This Covered sarebbe in progettazione una serie tv spin-off di Indiana Jones, con protagonista una ragazza figlia di Indy, da introdurre al fianco del dr. Jones / Harrison Ford nel prossimo sempre rimandato quinto film della saga, indicativamente previsto in sala per il luglio del 2021 (se le riprese non iniziano questa primavera, per me il film è a rischio cancellazione). Steven Spielberg si occuperebbe da executive producer anche della miniserie, chiaramente indirizzata al servizio di streaming Disney+, attivo in Italia dal 24 marzo. Parallelamente, dopo l'appena conclusa (e alquanto contestata) nuova trilogia di Star Wars, il successo di The Mandalorian sul Disney+ e dell'action-adventure Star Wars Jedi Fallen Order starebbe preparando il terreno a un futuro starwarsiano multimediale. Le nuove storie, in stile Marvel Cinematic Universe, seguirebbero i Jedi nell'esplorazione della galassia 300-400 anni prima degli eventi che conosciamo, con ogni narrazione legata a un personaggio diverso, che condivide però il contesto con i protagonisti degli altri lungometraggi e videogiochi. Il primo atto dovrebbe essere appunto un videogame pubblicato nel 2021 (non è chiaro se si tratti del sequel già approvato di Fallen Order). Ho trovato tuttavia molto interessante che la Disney/Lucasfilm abbia reinserito nel canone ufficiale il Revan di Knights of the Old Republic.
Qualche commentatore magari pensa che sia una strategia innovativa e moderna, io invece ho sorriso, perché in effetti l'espansione e la manutenzione delle proprie proprietà intellettuali in più forme d'arte era una caratteristica della Lucasfilm nel suo complesso: chi di noi non considera canone Indiana Jones and the Fate of Atlantis o Star Wars Dark Forces (prima che cancellassero il povero Kyle Katarn per la retcon di Rogue One)? Sia Indy sia Star Wars hanno vissuto con alterne fortune tra cinema, tv e videogiochi da sempre: forse recuperare questa sinergia è una tardiva ammissione di colpa, un passo più corretto verso la comprensione di questa eredità. Sono troppo ottimista?
Riguardo a Indy, immagino che l'idea di una donna che porti il peso di quel lore possa sconvolgere i più irritati da una strategia "politica" e un po' meccanica mandata avanti dalla major. Per quanto mi riguarda, la cosa in sé non mi tange, anche perché sarebbe dichiaratamente un'altra persona. Ricordo persino un anno fa di aver letto un rumor secondo cui la Disney avrebbe meditato una soluzione leggermente diversa, una serie dedicata alla giovane Marion. Sento comunque odore di cocciutaggine fordiana: abbiamo ormai capito da diverse sue battute al vetriolo che non ha la minima intenzione di cedere Indiana a un altro attore, anche se così facendo mette a repentaglio la riconoscibilità stessa del franchise (ma d'altronde: non è stato in grado di uccidere Han Solo, insistendo per trent'anni?). Ecco cosa mi fa storcere il naso: dopo il Mutt di Shia LaBeouf nel Teschio di cristallo Indy avrebbe quindi ALTRA progenie di cui ignora l'esistenza? Grottesco. O l'idea è cancellare il quarto film perché non è piaciuto ai fan? Sono contrario: la storia di una saga è anche nei suoi bassi, non soltanto nei suoi alti. Mi auguro che la "gola profonda" dello scoop non abbia capito perfettamente e che la ragazza abbia Indy come mentore o padre adottivo, ammesso e proprio non concesso che questa nuova strada, se vera, sia poi alla fine perseguita sul serio. Sopra ogni altra considerazione, mi auguro una cosa ancora più importante: che qualunque nuovo personaggio sia scritto bene e con coerenza. La nuova trilogia di Star Wars mi è parsa la fiera dell'improvvisazione... e dopo Il teschio di cristallo, Indiana non si merita altri copioni sgangherati e incerti. Non dopo dodici anni di attesa.
L'ho detto più volte: non mi dispiacerebbe affatto se venisse prodotto un gioco tripla-A su Indiana degno di Fallen Order, a maggior ragione con questi chiari di luna. Nell'attesa di uno straccio di conferma, ho giocato una miniavventura / demo del progetto amatoriale di Raiders of the Seven Cities, punta e clicca che dovrebbe omaggiare l'eredità di Fate of Atlantis. Il minigioco di un paio d'ore s'intitola Indiana Jones and the Relic of the Viking, scaricabile dalla homepage del progetto più importante. È una miniavventura autoconclusiva slegata dalla narrazione principale: qui Indy cerca una misteriosa reliquia di un santo, ma il primo tentativo in una cripta va a vuoto. Riesce comunque ad avere un indizio del luogo in cui potrebbe trovarsi ciò che cerca: Norvegia. Lì lo aspettano macchinari ed enigmi, in una chiesa medievale che ha legami con i culti pagani e i Vichinghi... A parte l'intoppo di un'interfaccia che permette di usare gli oggetti dell'inventario solo dopo averli esaminati almeno una volta, la piccola esperienza è molto rifinita. I puzzle citano e rielaborano non soltanto le atmosfere di Fate of Atlantis, ma specialmente nell'introduzione è evidente l'ammiccamento agli enigmi randomici di Indiana Jones and the Last Crusade. Il feedback sui tentativi del giocatore è buono, la grafica generalmente curata, il sonoro discreto, i dialoghi spigliati e divertenti senza essere appesantiti da mille citazioni. Il finale poteva dare più soddisfazione in merito alla quest principale, anche perché doveva essere teoricamente collegato alle festività, ma in seguito a vari ritardi la miniavventura è stata pubblicata a gennaio 2020 e questo ha svuotato un po' di senso l'operazione. Globalmente, fa ben sperare per il "prodotto finito", che però non avrà come protagonista un personaggio esplicitamente identificato con Indiana Jones, per non incorrere in blocchi legali da parte della Disney. Il vecchio demo del 2010 viene sbloccato come bonus una volta terminato The Relic of the Viking.
C'era un altro simpatico approfondimento che avrei voluto includere nell'aggiornamento, ma ho dovuto rimandarlo per sopraggiunta stanchezza: direi comunque che nell'ambito della mia (si spera) ripresa fisica non è andata affatto male. Al mese prossimo, gente!
Ciao,
Dom