In preproduzione ha gestito il progetto il buon Brad Muir, già autore di Iron Brigade e Massive Chalice; quando Brad si è trasferito alla Valve poco prima dell'inizio della produzione, Tim ha promosso capi-progetto Raymond Crook e Chad Dawson, che si stavano già occupando di Rhombus of Ruin rispettivamente come capo-animatore e capo-programmatore. Sceneggiatura e dialoghi sono firmati dal solo Schafer, ma il game design non è attribuito a nessuno, lasciandoci immaginare che sia stato frutto di una collaborazione (si intuisce da questo bel backstage dei 2 Player Productions).
Rhombus of Ruin è un'esperienza VR cauta: non prevede lo spostamento continuo del proprio corpo nello spazio virtuale, né il tracking di mani e braccia. Lui per primo timoroso della VR causa chinetosi, Schafer ha concepito il titolo immaginando che Raz sia per ragioni di trama sempre bloccato fisicamente in un posto, vagando di mente in mente con il potere della chiaroveggenza, vedendo le scene a 360° attraverso gli occhi degli altri personaggi: già questa è una trovata elegante, perché giustifica narrativamente il teletrasporto usato da molti titoli VR per ovviare ai giramenti di testa. Se poi ci si assicura di vivere l'avventura seduti proprio come Raz, si dovrebbero sopportare senza colpo ferire anche le scene a forte rischio vertigine nel Rhombus. I cinque poteri utilizzabili (spinta, chiaroveggenza, blast, pirochinesi e telecinesi) sono tutti gestibili tramite i tasti dei controller o addirittura di un normale joypad.
Non c'è posto migliore per discutere del risultato se non Lucasdelirium: questa scelta di design di fatto elimina la componente action del marchio, lasciandoci solo con un ritmo di gioco pacato e una narrazione da mandare avanti, risolvendo semplici puzzle con i poteri a disposizione. In altre parole, Rhombus of Ruin è un'avventura grafica punta & clicca in prima persona, per la precisione un "posa lo sguardo e pigia". Questo gioco diviene la prova tangibile di quanto nel buon vecchio Psychonauts battesse il cuore della Lucas d'antan, una sensazione che in molti abbiamo provato nel 2005. Gli hotspot si illuminano quando vi si posa lo sguardo, non esiste cursore: i vostri occhi e la vostra testa sono il cursore. Raz esamina da solo oggetti e personaggi: è sufficiente osservarli a lungo senza avviare altre interazioni per conoscere il suo parere, mentre le conversazioni sono automatiche. Non c'è un inventario: gli enigmi sono tutti ambientali, costituiti da combinazioni da scoprire, oggetti da muovere o posizioni corrette da assumere, con un paio di trovate che richiedono un minimo tempismo e sono parecchio indovinate, mentre una variazione sul tema del gioco del 15 con delle casse è invece più trascurabile. Il livello di difficoltà è tarato verso il basso, con qualche passaggio che ricorda più le leggere avventure narrative moderne, però la scelta è apprezzabile. Il design è innanzitutto omogeneo, senza gli scompensi di Broken Age. Il rigore nel seguire un'interazione semplice rende inoltre più caratterizzata l'esperienza, che ha il coraggio di non cedere al tipo d'intrattenimento più scontato dei titoli VR, tentazione nella quale è caduto quattro anni dopo Sam & Max: This Time It's Virtual. Tim ha evitato enigmi contorti con molto trial & error, in realtà virtuale più faticosi che su un monitor. La suggestione interattiva di Rhombus of Ruin, che dura un paio d'ore e qualcosa di più cercando gli achievement, sta più che altro nell'immersione audiovisiva in RV in un mondo assurdo come quello di Psychonauts, priva di "sequenze" classicamente intese: possiamo distogliere lo sguardo anche quando non abbiamo il controllo dell'azione, addirittura quando in un paio di scene si scherza con i personaggi che ci osservano a distanza ravvicinata. Il gioco in sé, per com'è concepito nelle meccaniche, funzionerebbe anche fuori dalla realtà virtuale, controllato interamente col joypad o con la classica combinazione di mouse e tastiera: sembra tuttavia che la Double Fine non voglia rendere facoltativa questa fruizione, preferendo spingere per la caratteristica principale che lo rende un'esperienza peculiare sul mercato.
C'è da chiedersi però se Rhombus of Ruin possa mai intercettare l'interesse di giocatori che non conoscano il primo Psychonauts, a meno che non siano molto ansiosi di dare qualcosa in pasto alla loro VR. È proprio infatti il sostenitore di Raz e soci che ne apprezzerà maggiormente le qualità narrative e contenutistiche, il suo vero cuore. È difficile da spiegare a chi non ami quel mondo, ma ritrovarsi a interagire con personaggi così ben caratterizzati da sembrare tuoi vecchi amici è già di per sé un regalo. La sceneggiatura evita gli spiegoni sui loro trascorsi, quindi è necessario aver giocato il vecchio platform per sentirsi a casa. Difficile stabilire se il racconto di Rhombus si rivelerà indispensabile per godersi Psychonauts 2 (Schafer garantisce di no), però a mio parere una specifica rivelazione, che mi guardo bene dallo svelare, dovrà per forza avere un qualche legame col secondo capitolo. Per il resto, il copione è un Tim in gran forma: battute e gag tenere, situazioni stralunate in un crescendo piuttosto inquietante, piccoli dettagli che accendono e rispettano la fantasia dell'utente. Da notare che nella partita si ha anche la possibilità di entrare in una mente col classico escamotage della carta/portale che ricorderete: è l'unica occasione per approfondire il passato di un determinato personaggio (evito spoiler), visto che per il resto Rhombus of Ruin è costruito su ciò che già sappiamo dei nostri colleghi psiconauti, limitandosi a ributtarli nella mischia. È chiaro che Tim non ha voluto bruciarsi troppe novità in questa sede, cogliendo un'occasione commerciale e strategica per un esperimento divertente, di per sé non epocale, ma foriero di un futuro radioso per la vitalità della saga: chi la ama, pure in virtù delle tante citazioni dal primo gioco, meriterebbe una versione di questo spin-off fruibile a tutti. Non so quanto Rhombus of Ruin abbia venduto agli entusiasti della Realtà Virtuale che ignorano il genere e la serie, ma il vero target rimane un altro.
La concept artist Emily Johnstone, già attiva da Costume Quest 2, ha avuto l'idea del "Rombo" come parodia del Triangolo delle Bermude, attivando la fantasia di Tim che aveva pensato solo a una base segreta. Ciò conferma una volta di più quanto la creatività della Double Fine sia il prodotto di uno sforzo collettivo. Con l'ideatore grafico dei personaggi Scott Campbell impegnato sul vero sequel, la direzione artistica poggia sulle spalle di Dave Russell (originale animatore e modellatore di Raz) e appunto Raymond Crook, capo-animatore e co-direttore del progetto. Rhombus of Ruin dopotutto è un titolo di transizione, che non richiede il design di un nuovo cast, se si eccettuano gli strani abitanti del Rombo. Nonostante il team grafico abbia aperto le porte a nuovi adepti, la continuità sopravvive in un contesto visivo della nuova generazione: grazie all'adozione dell'Unreal Engine, il dettaglio e la qualità delle texture testano il mondo di Psychonauts dodici anni dopo, ma i protagonisti sono immediatamente riconoscibili.
D'altronde la grafica del prototipo regge ancora molto bene grazie allo stile grafico bizzarro, e in questo caso a guadagnare, più che l'articolazione dei movimenti, è la recitazione dei volti, molto più morbidi ed espressivi. Ciò che i filmati non possono trasmettere è l'immedesimazione in Rax che la VR rende al meglio: non avevo mai colto così bene per esempio l'idea che Raz sia un bambino e Milla un'adulta che lo protegge, finché non ho provato fisicamente tramite il visore le proporzioni tra il mio corpo e il suo, nella prima scena. Naturalmente l'efficacia del risultato finale dipende da un sistema all'altezza di gestire la RV a risoluzione abbastanza alta, però stando ai filmati su YouTube mi pare che il gioco si difenda bene finanche nella basilare incarnazione PSVR. Un plauso all'illuminazione contrastata e iperrealista: quando si esplora il Rombo, è una particolare fonte di luce calda a regolare emotivamente l'atmosfera dell'intera esperienza, pur in una storia che prevede, com'è tradizione del franchise, dei "sottomondi" con identità visive proprie. Il comportamento plausibile e fotorealistico della luce è accentuato forse per l'uso della realtà virtuale, però è una conquista confermata e persino potenziata in Psychonauts 2.
Raffinatissima una simulazione di stop-motion in una scena fondamentale che sarebbe un delitto svelare.
L'audio di Rhombus of Ruin nasce da una collaborazione molto stretta tra l'immancabile Peter McConnell e il tecnico del suono Paul O'Rourke. In un titolo che si concentra sulla continuità della narrazione, inquadrata liberamente dallo sguardo del giocatore quasi in un piano sequenza, la musica deve necessariamente cedere il passo a un sound design posizionale. La realtà virtuale deve potenziare la sensazione di presenza, quindi ogni rumore ha un significato, e le battute dei personaggi arrivano all'orecchio in modo diverso se non li si sta guardando (persino i sottotitoli sono sospesi sulle loro teste, non si leggono se non si è rivolti verso di essi). O'Rourke ha lavorato con molta attenzione, rischiando per la prima volta di eclissare le note del nostro amato Peter. Lo sfida addirittura, con la canzone "Drag Me Down", dell'immaginaria band ammorbante All Paul (canta lui stesso, con cori divertiti di impiegati della Double Fine!).
Scrivo "rischiando", perché McConnell, oltre a provvedere a musiche d'ambiente sinistre o drammatiche molto coerenti con i saliscendi emotivi della vicenda, vince a mio parere a mani basse con uno dei suoi capolavori.
È la canzone dei titoli di testa "Rhombus of Ruin", su testi ovviamente di Schafer. La sequenza dei credits è la parodia delle famose introduzioni semianimate della serie di James Bond, tanto che la voce di Kim Nalley segue il solco della mitica Shirley Bassey per "Goldfinger": le sinuose "curve" del cervello illuminate per brevi attimi, come fossero le donne di quelle sequenze, sono spassose e farebbero felice il Coach Oleander.
Cosa non banale, tutto il cast di voci storico è stato riconfermato a più di dieci anni di distanza: ritornano pimpanti Richard Horvitz (Raz), Nikki Rapp (Lily), Stephen Stanton (Sasha), Nick Jameson (Oleander) e Alexis Lezin (Milla), con la sola new entry di Darin De Paul per Truman Zanotto, tutti come sempre diretti da Khris Brown. Al momento, il gioco è disponibile solo in inglese in voci e sottotitoli, mentre Psychonauts 2 è stato poi multilingua: la cosa mi fa sperare in un futuro allargamento del mercato di questo spin-off, magari cogliendo l'occasione per rendere facoltativa la fruizione in VR.
Revisione: 9/2021
Rhombus of Ruin è stato concepito in origine e sviluppato sulla periferica PSVR destinata alla PS4; nel caso si disponga di una PS4 Pro, texture e frame rate migliorano esponenzialmente. La Double Fine ha lavorato solo su questa versione, pubblicata nel febbraio del 2017 sul Playstation Store. Rhombus of Ruin rappresenta il debutto della Double Fine nell'uso dell'Unreal Engine (versione 4), che va a sostituire il loro vecchio motore proprietario e ambiente di sviluppo BUDDHA, tenuto a battesimo con Brutal Legend e aggiornato negli anni. I nuovi acquisti Aaron Jacobs, Brian Anderle e Matt Enright hanno piegato l'Unreal alle necessità degli psiconauti, mentre Duncan Boehle e Silvio Terra hanno programmato il gameplay.
Capi-progetto: Chad Dawson & Ray Crook
Soggetto e testi: Tim Schafer
Produzione: Andy Alamano, Malena Annable, Michael Tucker
Ideazione grafica: Emily Johnstone, Nathan Stapley, Say Oh
Direzione della grafica: David Russell, Ray Crook
Modellazione e grafica ambienti: Jeremy Natividad, Levi Ryken, Nick Maksim, Paul Moya, Martin Baadsgaard
Grafica materiali: Kristen Russell
Modelli dei personaggi: David Russell (sup.), Jared Mills
Animazioni: Ray Crook (sup.), Chris Lam, Miyuki Richardson, Alex Turner, Alex Yip
Grafica tecnica: Evan Williams
Effetti visivi: Tyson Erze
Programmazione: Chad Dawson (sup. generale), Duncan Boehle, Silvio César Lizana Terra (gioco), Aaron Jacobs, Brian Anderle, Matt Enright (sistema)
Musiche: Peter McConnell (estratti dal Concerto Brandeburghese n.2 in Fa maggiore di Bach opera BWV 1047 e da African Tribal Drums Beat 1 dei Drum Africa)
Canzoni: "Rhombus of Ruin" di Schafer-McConnell, cantata da Kim Nalley e "All Paul - Drag Me Down" di Paul O'Rourke, eseguita con Duncan Boehle, Richard Neumann e Greg Rice
Sound design: Paul O'Rourke
Direzione del doppiaggio: Khris Brown
Voci: Richard Horvitz (Raz), Nikki Rapp (Lili), Stephen Stanton (Sasha), Alexis Lezin (Milla Vodello), Nick Jameson (Oleander / Loboto), Darin DePaul (Truman Zanotto)
Testing: Babel - Keywords Studio Montréal
Windows con Oculus Rift/Quest, HTC Vive, Valve Index (2018)
La conversione per Oculus Rift o HTC Vive sotto Windows, uscita nell'aprile 2018 su SteamVR, è stata curata esternamente dalla React Games e richiede ufficialmente un processore i5, 8GB RAM e GTX970 / AMD 290, più un buon joypad. Posso confermare di persona che Rhombus if Ruin funziona correttamente anche con un Oculus Quest 2 connesso al PC in modalità Oculus Link (avviando SteamVR dal desktop virtuale).
Edizione fisica Playstation 4
Nel giugno 2017 la Sony ha pubblicato una versione retail del gioco, contenente anche un voucher per sbloccare sul Playstation Store la versione PS4 del primo Psychonauts. Non mi risulta sia mai arrivata nei negozi italiani, ma in Inghilterra si dovrebbe trovare.
Se siete interessati a giocare senza realtà virtuale su PC, potreste seguire il contorto procedimento che ho elaborato, però non insultatemi se perdete la pazienza! Non sarebbe teoricamente possibile farlo, il mio semi-hack è rigorosamente non supportato dalla Double Fine, è concepito solo per i veri fan disperati di Raz. Sottolineo che si riferisce solo alla versione Windows, perché non mi risulta sia possibile "ingannare" in alcun modo la Playstation 4.