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28-11-2024

L'arrivo delle feste ci impone di incastrare biglietti, impegni, pause e riprese del tran tran, cercando di trovare un equilibrio tra le derive più nerdiche e la necessità umana di uscire di casa e respirare un po' d'aria. In questo contesto, spero di barcamenarmi bene!
E sono molto lieto di aprire l'aggiornamento con una scheda piuttosto sui generis...

The Booze of Monkey Island, il fangame fuori parametro

Se n'era parlato già durante il Lucca Comics & Games dell'anno scorso, quando la Bean Adventure Agency presentò un demo del fangame The Booze of Monkey Island. Quest'anno il piccolo (solo per la durata) punta & clicca, ideato e realizzato da fan monkeyislandiani italiani di lunga data, in ben sei anni di lavoro nei ritagli di tempo, ha visto finalmente la luce. Dopo una prima run mi sono reso conto di essere di fronte a qualcosa di veramente speciale: una produzione di fatto professionale, che se non fosse per l'esigua durata e l'assenza di doppiaggio potrebbe tranquillamente diventare un minicapitolo ufficiale della saga, previa licenza. Il fenomeno è scoppiato a tal punto che ho accettato volentieri l'invito di Simone Guidi a partecipare a una puntata speciale del podcast Atariteca, per parlarne con gli autori (che peraltro conoscevo da una vita, seppur non direttamente).

L'evento mi ha obbligato moralmente a creare una scheda apposita per Booze, comprensiva di soluzione! Era dai tempi di Thimbleweed Park che non ne scrivevo una, mi sembrava divertente farlo, considerando che il gioco (comunque non difficile) non ha un sistema di aiuto integrato. Penso che tra scheda e chiacchierata nel podcast la natura e le intenzioni di questa produzione possano essere più chiare. Aggiungo solo che Booze dimostra chiaramente quanto la passione per i titoli LucasArts abbia inciso sulla sensibilità di chi li ha giocati: alcuni hanno abbracciato la carriera artistica anche perché suggestionati da quello che si trovarono davanti. Booze ha il sapore poetico di una riconoscente restituzione. Guybrush Threepwood può esserne fiero... e confesso che ne sono fiero anch'io: mi trovo vicino allo spirito che lo anima (non di certo alle capacità artistiche dei suoi autori!).
Emanuele Baronti, motore organizzativo e tecnico dell'operazione, titolare della Bean Adventure Agency, ha contestualmente avviato un Kickstarter per la sua prima avventura grafica, The Adventures of Tango Rio, per la quale è disponibile un demo. Se volete ricompensare questa ciurma degnamente, dando vita a un sogno già che ci siete, questa è l'occasione.

I primi 10 anni di Tales From the Borderlands (pure regalato)

Non sapevo che Amazon Prime Gaming avrebbe reso Tales From the Borderlands gratuito fino all'11 dicembre (via Epic Games Store), quando mi sono dedicato a rigiocare la serie dei fu-Telltale per ritoccarne la scheda, in occasione del suo decimo anniversario. In ogni caso, ho riattraversato col senno di poi i cinque episodi della loro avventura narrativa, ambientata nel mondo del Borderlands dei Gearbox, ma con personaggi tutti made in Telltale. Questa serie fece collidere le "scelte terribili" in stile The Walking Dead con l'umorismo grottesco e splatter dell'FPS: il design risentì dell'impatto, le coordinate della storia faticarono un po' a ingranare... ma dopo dieci anni confermo l'efficacia del suo crescendo, il fascino irresistibile che questo sgangherato esperimento suscita su di me. Tuttora la sceneggiatura di TFTB rimane una delle più originali e mature che abbia incontrato qui su Lucasdelirium. Dove per "maturo" non indico la triade "violenza, sesso & volgarità" (quello è il concetto di "maturo" per un quindicenne), ma mi riferisco alla capacità di fondere due registri diversi per ottenerne un terzo che spiazza, usandoli alternativamente... e alla fine potenziandoli entrambi, per dire qualcosa di significativo sull'esistenza e sui falsi miti sociali. Considerando pure che è una delle poche serie Telltale storiche ad aver ricevuto successivamente una localizzazione italiana ufficiale (ottima, peraltro), continuo a consigliarla vivamente. A meno che la violenza alla Tarantino e l'assenza dei classici enigmi del punta & clicca non vi diano proprio l'orticaria. ;-)

Indiana Jones e l'Antico Cerchio: conto alla rovescia

La data è il 9 dicembre per il Game Pass e il preordine base, il 6 per l'edizione Premium e la Collector's Edition. In quei giorni potremmo mettere le mani su Indiana Jones e l'Antico Cerchio dei Machine Games, edito dalla Bethesda, su licenza e supervisione Lucasfilm Games. Che dire di più? Da un lato ha un passato ingombrante che lo guarda dall'alto: la vetta di Indiana Jones and the Fate of Atlantis (1992), seguito a ruota dal sottovalutato Indiana Jones e la macchina infernale (1999). D'altro canto arriva a vent'anni di distanza dal solido ma non epocale Indiana Jones e la Tomba dell'Imperatore (2003) e quindici anni dopo la semicancellazione del dimenticabile Indiana Jones e il Bastone dei Re (2009). A giudicare da quel che si è visto, è alla sua portata avere facilmente la meglio degli ultimi due, ma gli antichi lavori di Hal Barwood hanno un valore davvero inestimabile. Dalle dichiarazioni della Lucasfilm Games, la lezione di Fate of Atlantis non sembra ignorata, per cui l'Antico Cerchio non vuole volare basso... e mi fa piacere! Teniamoci pronti a capire se c'è ancora vita in Indy.
Nel frattempo, sono stati pubblicati altri due videoapprofondimenti, se a questo punto vi interessano ancora e non preferite evitare anche il minimo spoiler: li trovate qui e qui.

Una critica a Grim Fandango (non sorprendente)

Trovo sempre molto stimolante leggere o ascoltare un giudizio meno religioso di un classico d'antan: non perché mi piacciano i bastian contrari, quanto perché confrontandomi con le critiche posso anche rendere più solidi i miei apprezzamenti. Il Digital Antiquarian ha pubblicato un ridimensionamento del Grim Fandango di Tim Schafer. Sottolineo: ridimensionamento, non "in realtà fa cagare e nessuno ha mai avuto il coraggio di dirlo e lo dico io". E' un'opinione ragionata di uno che se ne intende, e lo si capisce dal livello dell'articolo. La cosa divertente è che Jimmy Maher articola un pensiero su molti dei pregi e difetti che elaboro io stesso nella mia scheda, solo che io ho deliberatamente deciso di ridimensionare quest'ultimi, mettendo sull'altro piatto della bilancia le innovazioni tecniche e creative di un'opera preziosa. Le analisi storiche sono belle anche per questo: è una delle ragioni per cui le amo più delle recensioni.
Riassumendo, Maher insinua che l'introduzione del 3D nell'avventura grafica non fosse solo dettata dalla volontà innovatrice di Schafer, ma anche dalle necessità del mercato a fine anni Novanta, tenendo pure in conto le difficoltà economiche di un genere recepito come antico: è vero, ma non mi sembra una scoperta sensazionale, l'avevamo capito tutti, penso. Non mi piace la tendenza a individuare delle spiegazioni e sceglierne solo una a dispetto di un'altra: mi piace sempre essere la dannazione dei complottisti, quando suggerisco che a volte alcune scelte sono frutto di più ragioni, magari di - orrore - compromessi (in questo caso peraltro MOLTO intelligenti).
Maher ricorda anche che la lavorazione fu sgangherata e molto pesante, con crunch massacranti per tutti: verissimo, infatti lui cita l'ultima fonte recente e chiara sulla questione, il capo-programmatore Bret Mogilefsky, ancora scottato e traumatizzato dall'esperienza. Ricordo però che non solo Schafer ha ammesso la pratica tossica alla LucasArts, ma continua anche a chiedere scusa e a cercare disperatamente di evitarla alla Double Fine. Tim non l'ha mai nascosta sotto il tappeto.

Maher capisce bene chi ama alla follia il gioco, perché ammette che sceneggiatura, atmosfera, stile estetico (tra design grafico e musiche) sono di livello altissimo, però lui antepone la riuscita interattiva di un titolo sopra ogni altra cosa, condicio sine qua non che lui pone per scomodare la parola "capolavoro": non vuole passare sopra i difetti in merito, tra poco chiare azioni da compiere per proseguire, enigmi contorti e interfaccia scomoda, paragonando questa approssimazione alla pulizia assoluta di game design e interfaccia dell'appena precedente The Curse of Monkey Island (1997). Quest'ultimo da giocare è meno frustrante di Grim? Ha perfettamente ragione! Ma Curse non prova a reinventare la ruota per mandare avanti il genere, è una sua eccellente rifinitura. Grim ci prova: in territori inesplorati si può incespicare, pazienza.
La sua migliore considerazione, quella che condivido di più, riguarda il secondo atto su Rubacava: per lui è così coinvolgente e riuscito, da far (relativamente) sfigurare al confronto il terzo e quarto atto. Io ho sempre creduto addirittura che sia proprio il capitolo su Rubacava, spudorata rivisitazione di Casablanca, a trascinare verso la nomea di "capolavoro" l'intero Grim Fandango. Però, anche se gli altri atti non gli sono all'altezza... comunque c'è. Ed è indimenticabile. In un gioco solo "ok" forse non esisterebbe nemmeno quel mitico secondo atto.
Questa rivisitazione critica mi ha ricordato una questione sorta sui social tre anni fa, quando si riesumò una stroncatura italiana di The Secret of Monkey Island: molto meno ragionata e condivisibile di questa su Grim, però assai utile per avere un'idea di cosa significò quel gioco nel panorama delle avventure di quegli anni. Senza il filtro deformante della nostalgia.

Fine del giro novembrino... spero vivamente di fare in tempo a darvi una scheda di Indiana Jones e l'Antico Cerchio nel prossimo aggiornamento: il gioco si prospetta piuttosto lungo. Resisterò alla tentazione della full immersion? Ai posteri l'ardua sentenza.
Ciao,
Dom

31-10-2024

Avete celebrato l'inizio dell'autunno con l'obbligatorio raffreddore? Io sì, puntuale! Questo aggiornamento si apre con una notizia molto in linea con l'anima più classica di Lucasdelirium: possiamo cominciare ad attendere un altro punta & clicca in terza persona tradizionalissimo, in stile The Curse of Monkey Island! Ciò non significa che non spaziamo anche in altri ambiti: c'è un dr. Jones che scalpita per tornare sui nostri schermi... in grandissimo spolvero!

A Vampyre Story 2: A Bat's Tale parte finalmente sul serio

Bill Tiller non aveva mai perso le speranze di proseguire la storia di Mona la vampira e della sua spalla, il pipistrello Froderick, cominciata nel punta & clicca cartoon A Vampyre Story dell'ormai lontanissimo 2008. Oltre dieci anni fa annunciò A Vampyre Story 2: A Bat's Tale, ma l'editore di allora, l'austriaca Crimson Cow, non era mai riuscita ad assicurarsi i fondi necessari per proseguire. Il tentativo di creare in autonomia un prequel (al quale Tiller non ha del tutto rinunciato) si era scontrato nel 2014 con una sfortunata campagna Kickstarter, finché pochi anni fa Bill non è riuscito a riacquistare dalla Crimson Cow i diritti totali del marchio, compresi quelli del primo capitolo e del suo eventuale seguito. Questo non significa che Tiller, ormai senza un suo team, fosse pronto a ripartire, ma si è mosso nell'ombra per trovare partner adatti a costruire il secondo atto... e oggi sappiamo che alla fine ce l'ha fatta. È stata già aperta una pagina Steam per A Vampyre Story: A Bat's Tale e scopriamo che l'Autumn Moon Entertainment di Bill ha deciso di fare squadra con i lituani Tag of Joy, già autori del punta & clicca Crowns & Pawns: Kingdom of Deceit, omaggio alla saga di Broken Sword. Tiller e Šarūnas Ledas, cofondatore dei Tag of Joy, hanno concesso una prima intervista ad Adventure Game Hotspot. Ne riassumo i punti salienti:

Indiana Jones e l'Antico Cerchio provato da The Games Machine

In parole povere, Indiana Jones e l'Antico Cerchio, dal 9 dicembre disponibile su Steam, Game Pass e Xbox Series X/S (in primavera su PS5), si prospetta MOLTO bello. Ho cercato con tutte le mie forze di non farmi fuorviare dall'hype per quella che è la prima seria produzione videoludica dedicata a Indy da 20 anni a questa parte, ma soprattutto dopo aver visto il video della prova su strada di The Games Machine (occhio agli spoiler se siete ipersensibili in materia), non vedo davvero l'ora di metterci le mani sopra. Punto. Vi segnalo anche la prova di IGN Italia. Spero davvero che la Bethesda e i Machine Games si siano rivelati all'altezza del mito, così come sembra. È un mito che ne ha un disperato bisogno.

Video su YouTube, grandi poteri e grandi responsabilità

Il mese scorso ho caricato sul mio canale YouTube un video dedicato ai 40 anni della scheda grafica EGA e... ha fatto il botto. Mentre scrivo vado verso le 8.400 visualizzazioni: per darvi delle coordinate, ho cominciato a postare video nell'estate 2023, molto di rado, e il lavoro più visto finora era quello sulle avventure LucasArts nella storia dei videogiochi, con 720 visualizzazioni fino alla fine di questo settembre, pubblicato però nel novembre 2023! Qui siamo su un altro pianeta. La cosa mi ha messo un po' in crisi: mi ha fatto piacere, però...

Come ho scritto altre volte, non ho mai avuto intenzione di trasformare Lucasdelirium in un canale YouTube: so bene che le persone preferiscono vedere/ascoltare e non leggere, ma continuo a pensare che la parola scritta sia meno invadente e consenta di trasmettere più contenuti con meno fatica, adattandosi meglio anche al tempo delle persone. Ho provato a realizzare video discorsivi, con la mia faccia in gioco, però assemblarli mi è costato parecchio sudore, tanto che ho concepito gli ultimi due in modo diverso: voce fuori campo su testo scritto e serrato, senza titubanze, durata compatta, copertura video e stop. Costringono a lavorare di più sulle coperture, però li ho trovati comunque più compatibili con le altre mie attività e con la gestione del sito.
Penso che continuerò su questa scia, ma il punto è: aumenterò il ritmo in funzione del successo e del feedback ottenuto con quest'ultimo video? La tentazione c'è, sull'onda del rilascio di dopamina. Istintivamente ho pensato: "Questo approfondimento sull'EGA è piaciuto, allora a questo punto potrei fare-"... però poi ho inchiodato.

Il punto è che tutti i video che ho realizzato finora sono frutto di riflessioni o ricerche costruite in mesi se non addirittura anni: forzarmi nel cavalcare l'onda per far fruttare le visualizzazioni mi spingerebbe a creare contenuti solo per assecondarla. E non sarebbe la stessa cosa. Temo questa deriva. Mi piace pensare che quello che ho registrato sia piaciuto perché ho avvertito io per primo la necessità di mettere ordine tra concetti storici, tecnici, artistici. Prima del boom inaspettato, avevo già in mente un altro video da pubblicare entro la fine dell'anno: ho deciso che questi piani non cambieranno. Mi sono però appuntato alcune idee suggerite da quest'entusiasmo: se diverranno video nei prossimi mesi, lo faranno con la dovuta calma. Nel frattempo, mi godo la moderata crescita dei video precedenti: il citato approfondimento sulla storia dei videogiochi sta raggiungendo le 1.000 visualizzazioni e mi fa tanto piacere. È stato il frutto di oltre vent'anni di elucubrazioni! E non è un'iperbole.

Brutal Legend compie 15 anni

È forse il gioco di Tim Schafer meno amato dagli avventurieri, perché Brutal Legend (2009), action open-world in terza persona con innesti di RTS, è quello che si allontana di più nel gameplay dallo spirito che ha animato altre sue opere. L'epopea del roadie Eddie Riggs doppiato da Jack Black rimane tuttavia uno dei titoli più amati della Double Fine, specialmente quando in un fan o una fan batte un cuore metallaro. La sincerità dell'omaggio al mondo e alla storia dell'heavy metal è così palpabile che la sua scheda qui su Lucasdelirium è l'unica a presentare un contributo esterno, non scritto da me. Cinque anni fa, per il decennale del gioco, chiesi infatti a Giuseppe Puglisi, detto Joe Slap, bassista dei Karbonica nonché occasionalmente critico videoludico, di coprirne la sezione "MUSICA / SONORO": non ritenevo di poter capire di musica quant'era necessario per commentare quella sincerità metal. Questo per dire che, se Brutal Legend festeggia ora i suoi 15 anni ricordato con affetto, nonostante i limiti di cui pure ho scritto, ciò si deve a un'anomalia da puro Schafer: è una follia dall'anima indie e autoriale, in una produzione praticamente da tripla-A. Non succede spesso.
Harper Jay MacIntyre, community manager della DF, ha scritto per il loro sito ufficiale un interessante pezzo commemorativo, che riassumo:

Anniversari anche per Costume Quest

Siamo in periodo Halloween, quindi è d'uopo ricordare che anche Costume Quest 2 della Double Fine ha compiuto 10 anni, mentre il primo capitolo è ancora a quota 14. Questi mini-jrpg per famiglie, inaugurati da Tasha Sounart e proseguiti da Gabe Cinquepalmi, si rivelarono così carini da conquistare il cuore di molti, e anche se penso di averli sviscerati parecchio nelle schede, ho realizzato quest'anno di non aver mai approfondito la serie animata ufficiale realizzata dai Frederator Studios per Amazon Prime Video (è ancora lì, integralmente doppiata anche in italiano): la sua unica stagione fu pubblicata cinque anni fa, ma ho superato una mia impasse solo nelle ultime settimane. A parte l'oscura Maniac Mansion, rimane il secondo caso di adattamenti "al contrario" nella storia dei titoli che tratto sul sito.
Premetto che io assolutamente NON credo che un videogioco, trasposto in forma lineare in un film o serie, debba essere al 100% fedele al suo materiale d'origine. Anzi, penso che questo discorso valga per qualsiasi adattamento da una forma creativa a un'altra, perché nei tradimenti c'è l'identità di un'operazione, altrimenti si fa merchandising. Ciò detto, bisognerebbe trovare un equilibrio tra il tradimento e la fedeltà, e il cartoon di Costume Quest non lo mantiene benissimo.

Le ragioni della mia frenata erano nell'impatto iniziale, relativo all'aspetto estetico. I Frederator Studios hanno sfornato cartoon di culto come Adventure Time e Due fantagenitori, ma lo stile deforme dei personaggi qui mi respinge, pensando al materiale d'origine. La direzione artistica dei Costume Quest è infatti sì stilizzata e contemporanea, non disneyana, però ha una dolcezza di movimenti e tratto che qui sono un po' soffocati da una tendenza al grottesco leggermente più adulta. La saga per me rimane tuttavia essenzialmente un'esperienza tenera, quindi ho avuto difficoltà ad adattarmi a un'animazione, pur buona per un prodotto seriale, tendente all'allucinato e al deforme.
L'aspetto estetico si riverbera nella narrazione... e qui il discorso si fa più complesso. Lo showrunner Will McRobb e gli altri sceneggiatori hanno dovuto approfondire personaggi solo accennati nei giochi, dove andavano "abitati" dalla propria immaginazione: è stato giusto creare un lore più complesso per la cittadina di Auburn Pines, insieme a nuovi comprimari. Nel caratterizzare tuttavia i quattro bambini, spostati verso l'anticamera dell'adolescenza nella trasposizione, hanno reso Reynold fifone e timido, Lucy delicata / stralunata, Emmett istintivo, ma soprattutto hanno reso Wren... insopportabile. Probabilmente il suo comportamento da "sorella maggiore cocciuta" è realistico, insieme a una litigata tra fratello e sorella delle più violente, ingiuste e aggressive che abbia mai visto, però si torna a bomba: con Wren dal fantasy dolce si passa al fantasy aggressivo.

Ignoro il tono preciso della graphic novel "Costume Quest: Invasion of Candy Snatchers" di Zac Gorman, pubblicata nel 2014 e ideale volano della serie: Gorman è tra gli sceneggiatori di alcuni episodi, però so che nel fumetto aveva assunto il punto di vista dei mostri... e quando la serie lo fa, recupera quella dolcezza di cui sopra, specialmente con Norm, il personaggio che fornisce i costumi magici ai piccoli eroi. Leggo che al pubblico di Costume Quest è venuto spontaneo ripensare al Gravity Falls disneyano, ma in ogni caso l'esperienza che ho avuto col bellissimo Hilda su Netflix mi ha fatto pensare che si può coniugare una fiaba fantasy intrigante e anche un po' nera con una protagonista sì cocciuta, ma non ottusa al limite dello spregevole. La serie di Costume Quest, come diverse proposte seriali animate contemporanee, cerca di dare un colpo al cerchio e uno alla botte, offrendo vicende comprensibili a bambini e bambine, "corrette" con uno sporadico umorismo metalinguistico o satirico alla Simpson, per intrattenere anche gli adulti. Non è molto diverso da quello che fanno i giochi, ma il lavoro originale della Double Fine ha - in poche parole - una sua leggerezza inimitabile che manca alla serie, dalla mano un po' più pesante.

Gobliins 6 in crowdfunding

Come feci due anni or sono, esco brevemente dal seminato lucasiano per una questione sentimentale, nonché di vicinanza al mondo dei punta & clicca che caratterizzò il periodo della "golden age" LucasArts ma non solo. Il ritorno del geniale grafico, sceneggiatore e game designer francese Pierre Gilhodes con Gobliiins 5: L'Invasion des Morglotons non ha deluso (trovate il mio parere sul forum di Oldgamesitalia). Il buon Pierre torna dunque alla carica con una raccolta fondi per Gobliins 6 - Le Prince Bouffon - Les Fous de L'An 1000, in arrivo l'anno prossimo.

Come le "i" del titolo suggeriscono, questo sesto capitolo è il sequel del secondo Gobliins 2: The Prince Buffoon (Coktel Vision, 1992), rimettendo in gioco i suoi protagonisti: il compassato Fingus e il burlone Winkle, due delle presenze più popolari nel mondo fantasy surreale, comico e cartoon ideato da Gilhodes e Muriel Tramis più di trent'anni fa. Rispetto al quinto atto, Pierre questa volta promette il 16:9 e un salvataggio libero, che comunque nel frattempo è tornato disponibile anche in Gobliiins 5, visto che Gilhodes lavora con l'Adventure Game Studio e che quell'engine è supportato dall'interprete ScummVM (basta avviare il gioco con ScummVM invece che con gli eseguibili originali).

Non è una di quelle campagne mediaticamente più spettacolari, va detto. I reward per esempio sono come al solito virtuali e riguardano produzioni fumettistiche in PDF. Noi backer del gioco precedente siamo poi stati avvisati con una mail che riportava in cc i nostri indirizzi in chiaro (mannaggia Pierre, ma che mi combini!). I fondi inoltre sono raccolti parallelamente anche su Ulule, una strana procedura che si verificò anche per Gobliiins 5, ma in quel caso Kickstarter fu un allargamento della campagna originale su Ulule, dopo qualche tempo, non partì in parallelo come in questo caso. Le cifre in ballo rimangono comunque molto, molto basse: di fatto parliamo sempre di un rimborso spese per un lavoro superindie di un paio d'anni, con fondi secondari per musicisti e tester, e forse un animatore aggiuntivo per dare una mano a Gilhodes, se i soldi basteranno.
Lo scrivo solo per bilanciare con un po' di realismo il mio svergognato fanboyismo per lo straordinario lavoro di Pierre Gilhodes: col gioco precedente ha già dimostrato di saper portare a termine in autonomia un buon prodotto, pur nel suo "genio & sregolatezza" e in una comunicazione in inglese poco sicura. Lunga vita per sempre ai Goblins!
Il kickstarter si chiude il 9 novembre.

Bene... e dire che a metà mese pensavo che non avrei avuto molto da scrivere in questo aggiornamento!
Alla prossima, gente!
Ciao,
Dom

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