with the Blue Chewed Shoe
Intercettato fortunosamente un vero caso di omicidio, il volenteroso ma improbabile detective privato Nick Bounty si precipita sul posto e fa suo il mistero, per principio. Una donna attiva nel marketing di cibo per cani è stata assassinata... ma da chi? C'entrerà qualcosa sua sorella, appannata stella della danza? Nick indagherà con l'aiuto opzionale di tre spalle: la durissima Emily, il sensitivo Zach o il navigato (navigatissimo) Walter. Riuscirà Nick a scrollarsi di dosso la nomea del "pet detective"?
C'è qualcosa di irresistibilmente romantico e passionale in quest'avventura. Non è nella storia, nei personaggi o peggio ancora nei dialoghi: dopotutto il suo autore, il buon Mark Darin ex dei fu-Telltale, ha premesso che è un "gioco stupido". No, Nick Bounty and the Dame with the Blue Chewed Shoe è la fiera demenziale dell'idiozia cercata a bella posta, ne discutiamo tra poco, però è la sua esistenza stessa a raccontare una storia diversa. Dopo aver perso il suo impiego alla Telltale nel modo più atroce, in seguito a un fallimento che ha fatto discutere l'industria intera alla fine del 2018, Mark non ha solo cercato altri impieghi: è tornato alle radici della sua identità di game designer, per riconoscersi. Mark si è letteralmente rifugiato in un'atmosfera e in un suo vecchio modo di lavorare entusiastico e semiamatoriale, incarnato da un personaggio specifico e dall'universo che gli gira intorno, creato da lui stesso con le prime due avventure freeware di Nick Bounty pubblicate tra il 2004 e il 2005. Siamo abituati come giocatori, in particolare di avventure grafiche, a rivivere costantemente la nostalgia del passato LucasArts e Sierra tra mille citazioni in tanti titoli odierni. Siamo molto meno abituati a essere contagiati da una nostalgia personale, un richiamo al proprio percorso creativo, condiviso con amichevole complicità con i giocatori.
È già successo di recente, con due nomi più illustri come Ron Gilbert e Gary Winnick, che hanno rivissuto il loro e nostro 1987 tramite Thimbleweed Park. Darin però non è di certo noto come quegli altri autori, né Nick Bounty è rinomato presso gli avventurieri che non masticano bene l'inglese. In più, questo terzo capitolo delle avventure del folle detective noir solletica la nostalgia di generazioni più giovani, degli anni in cui i "giochi veri" arrivavano solo nei negozi e Steam era appena nato, cosicché un gioco "scaricabile" era umile per definizione, non potendo nemmeno vantarsi di un'ancora inesistente etichetta "indie". Questo Nick Bounty 3 nel 2020 mi sembra quindi arrivare da una terra di nessuno, perché gli anni Ottanta sono religione, i primi Duemila (per ora) sono una bizzarra regressione, consapevole e terapeutica viste le circostanze: Darin ha raccolto su Kickstarter l'esile budget, alimentato pure da una pletora di ex-Telltale, tra cui non per ultimo Dave Grossman. Forse perché, al di là dell'amicizia, sanno cosa significhi: prima di avere troppi ripensamenti sullo spietato ambiente dei videogiochi, dopo un vergognoso licenziamento persino privo di buonuscita, Mark ha deciso di ricordare a se stesso perché abbia voluto fare questo mestiere. Bello.
È molto interessante constatare la metamorfosi del game design di un Nick Bounty, dopo che Darin è passato per la lunga esperienza dei Telltale: c'è il sistema di controllo ibrido (controllo diretto del personaggio, cursore per interagire con hotspot e inventario), che ricorda Tales of Monkey Island. C'è l'uso di strumenti forensi per raccogliere e analizzare prove (Mark aveva partecipato a CSI: Prova schiacciante). Ci sono le sequenze in loop che simulano un dinamismo action senza richiedere eccessivo tempismo (una tradizione che parte da Full Throttle e passa per il primo periodo Telltale).
C'è l'idea di una sceneggiatura flessibile che permette una declinazione leggermente diversa del racconto, come nelle tarde "Telltale Stories": a un certo punto Nick deve scegliere un partner da una rosa di tre candidati, che danno sfumature specifiche alla seconda metà del gioco, senza modificarla particolarmente. Questa miscela dà a The Dame with the Blue Chewed Shoe un sapore strano, che rende difficile l'incasellamento: nonostante ci siano effettivamente proposti due-tre "enigmi" ascrivibili al genere puro del punta & clicca, parecchio semplici per un veterano, per arrivare alla fine è sufficiente solo ricordarsi di cliccare su ogni cosa. Stavo per collocare il gioco appunto nelle avventure narrative, ma a dir la verità il tasso d'interazione è comunque più alto che in un "walking simulator": Darin usa le modalità che ho descritto per gestire minuziosamente il ritmo di un racconto interattivo, meglio di come facessero i Telltale nell'ultimo periodo, ma comunque lontano dalle amate soluzioni astruse delle avventure classiche. Una via di mezzo di cui l'acquirente dev'essere consapevole: non credo ci si annoi mai, ma nemmeno si viene appagati particolarmente.
In ogni caso, Nick Bounty and the Dame with the Blue Chewed Shoe mi ha fatto ridere di gusto in più di un'occasione. Darin è un estimatore del trio Zucker-Abrahams-Zucker (Pallottola spuntata, nello specifico), dei Monty Python e di Mel Brooks, e queste ispirazioni si sentono nei testi scritti con Ron Watts e Jason Ellis, voce da sempre dello stesso Nick e complice della rimpatriata. C'è persino uno sprezzo del pericolo col politicamente scorretto, di rado sul repellente andante come alcune derive del surrealismo demenziale americano (vedi i commenti sulle gambe del cadavere!). Di positivo ci sono delle rotture della quarta parete piuttosto ispirate e autoironiche, insieme a delle trovate realmente deliranti, sganciate con una certa sapienza, cioè quando meno te le aspetti, inchiodandoti davanti al monitor. Il crescendo finale, pur prevedibile se si è entrati nell'atmosfera assurda, non delude ed è particolarmente esilarante se come partner avete scelto Emily Blackwater. Certamente, dovrete accettare che una ballerina lasci come indizio del suo passaggio una scarpetta da ballo, che un uomo misterioso si chiami "Max Fakename" (pronunciato alla giapponese!) e che "una volta l'esibizionismo era un mestiere rispettabile". Se c'è una cosa che Nick Bounty 3 ricorda, è come la pura scemenza sia un'arte che richiede esperienza di scrittura, né più né meno di quanto la richieda un dramma.
Perché, pur avendo espresso il mio sostegno caloroso a Mark Darin, non sono stato tra i backer del progetto? Siete nel posto giusto per avere una risposta: la grafica. Posso capire che, dopo essere passati per la forza registica dei Telltale, non si riesca più a concepire un'avventura senza la flessibilità del 3D realtime: Mark sa il fatto suo, usa la grammatica cinematografica, dispone le luci a effetto, studia movimenti di macchina che rendano al meglio le location. Sono assolutamente a favore di tutto questo. La Pinhead Games però non ha grafici di professione... e il gioco è costruito per la maggior parte su asset preconfezionati, disponibili a pagamento o free su vari canali, Unity Store incluso. E si vede. Troppo. Nonostante Mark sia riuscito a intercettare un minimo aiuto di professionisti per la concept art e per i modelli di alcune location (coinvolgendo una vecchia nostra conoscenza come Léa Mai Nguyen), sono soprattutto i modelli e le animazioni dei personaggi a lasciare parecchio a desiderare: si salva dall'anonimato soltanto Nick, ma anche lui manca di movimenti facciali più vari e più aderenti alla recitazione.
Il resto del cast sembra arrivare dritto dal 3D dei primi anni Duemila: un conto è rifarsi allo spirito del periodo, un conto è riproporne i micidiali limiti tecnici e recitativi. La scelta di virare tutto al bianco e nero, oltre a essere coerente con i precedenti capitoli, alleggerisce l'impatto con la grafica, ma non può fare miracoli. Non solo i primi due capitoli erano gratuiti, ma un minimo di espressività in più nei visi, seppur ruspante, c'era comunque. Sia chiaro: nell'autoironia idiota della sceneggiatura a volte, specialmente nel finale, la rozzezza dei modelli dei personaggi sembra funzionale alla comicità, ma non abbastanza. Se l'intenzione era questa, bisognava giocarci ancora di più.
Il look di questo terzo atto è servito come base per il veloce remake della prima avventura freeware, ribattezzata A Case of the Crabs - Rehash, pubblicato a (simbolico) pagamento.
Nick Bounty and the Dame with the Blue Chewed Shoe gode di un vantaggio non comune per un gioco indie: musiche e doppiaggio degni di una produzione a medio budget. Non sono avvertibili da questo punto di vista i limiti pesanti della grafica, anzi. È un piacere tornare a riascoltare la giocosità noir di Jared Emerson-Johnson, pur costretto dal budget a non usare la sua amata strumentazione live. Questo non impedisce a Jared di sganciare qualche perla, con echi badalamentiani, un tappeto costante di fiati d'atmosfera che grondano anni Quaranta, più qualche necessaria sporadica accelerazione: questa colonna sonora è decisamente un passo avanti in questa serie. Ancora più nobile è il doppiaggio, dove Mark è riuscito a piazzare davanti al leggìo altri vecchi amici dai giochi Telltale e limitrofi, a parte come scrivevo Jason Ellis, cocreatore e voce del protagonista. Per i tre partner sono schierati Dave Fennoy (Zach), Adam Harrington (Walter) e Cissy Jones (Emily), rispettivamente Lee di The Walking Dead, Bigby di The Wolf Among Us e Delilah di Firewatch. Non mancano nemmeno però all'appello la scatenata Nikki Rapp (la Lili di Psychonauts), che qui abbaia (!), ma soprattutto Melissa Hutchinson, che non dimentica la sua Clementine. A voi il piacere di interpretare questo mio criptico indizio.
Nel caso siate impantanati in qualche parola inglese rara, ho compilato un breve glossario.
Revisione: 10/2020
Il gioco, uscito in digitale nell'aprile 2020 solo in inglese, pubblicato su Steam e Itch.io senza DRM, gira con l'engine Unity, tramite il middleware Adventure Creator, che qui su Lucasdelirium abbiamo visto all'opera già in Duke Grabowski, anche se il gioco di Tiller presentava ambienti 2D. Darin aveva bisogno di velocizzare il lavoro e devo dire che la combinazione dei due tool si dimostra piuttosto flessibile. Rimane il problema di un path finding davvero pessimo: si giochi con la tastiera o con il joypad, se Nick incontra troppi ostacoli tra lui e l'hotspot, spesso rimane incastrato a correre o camminare sul posto, costringendoci a spostarlo. Non mi sembra poi granché implementato il controllo via joypad, presentato come addirittura preferibile all'avvio: invece di concederci la comoda selezione a rotazione degli hotspot nella schermata, offerta dai Telltale sin da Wallace & Gromit, ci si chiede di spostare il normale cursore con lo stick destro. Sono tornato a usare la combinazione tastiera e mouse immantinente! Darin ha fatto non a caso marcia indietro con l'interfaccia del remake del primo Nick Bounty, A Case of the Crabs - Rehash, dove si torna al punta & clicca puro. I requisiti Windows parlano di XPsp2, 1Gb RAM e scheda grafica compatibile Shader Model 3.0: molto bassi, deduco perciò che il titolo autoscali la grafica con sapienza, visto che mancano i settaggi relativi nel menu delle opzioni. La versione Mac è acquistabile solo su Itch.io: nel caso abbiate problemi nell'avvio, consultate questo link.
Direzione del progetto, design, produzione e direzione del doppiaggio: Mark Darin
Soggetto e testi: Mark Darin, Jason Ellis, Ron "AAlgar" Watt
Ideazione grafica e bozzetti: Jet Bougan, Fedja Hodzic, Aletta Wenas, Nikcy Silber
Modelli e texture ambienti: Mai Nguyen, Linda Johnson, Mark Darin
Modelli personaggi, animazioni ed effetti sonori: asset vari
Interfaccia: Ooray Studios, Mark Darin
Musiche: Jared Emerson-Johnson
Voci principali: Jason Ellis (Nick Bounty), Cissy Jones (Emily Blackwater), Dave Fennoy (Zachary Foresythe), Adam Harrington (Walter Walterman), Melissa Hutchinson (Ally Gheyter), Nikki Rapp (Linda),Gavin Hammon (Teddy)