Sia chiaro, so come rischiano di andare queste cose: scrivo queste impressioni per completezza, non per gridare alla truffa. Per 100 dollari ho avuto il gioco (che all'uscita costava 60 euro, di certo non avrei aspettato saldi!), ho contribuito al mastodontico documentario, nel 2018 ricevetti la statuetta di Raz (che onestamente mi sarebbe pure bastata), ho avuto la colonna sonora e avrò accesso all'art book in PDF (che si prospetta come un vero dietro le quinte, con nuove interviste esclusive). Mi ritengo al 95% soddisfatto e al 5% deluso, però mi viene davvero da pensare che ormai nell'ambiente siano finiti i regali, e che per le scatole più imponenti ci sia davvero da sborsare parecchio. Se fossi un collezionista accanito mi preoccuperei dell'andazzo.
Larry Ahern, trent'anni di umorismo cartoon, tra Day of the Tentacle e The Curse of Monkey Island
Larry ha cominciato a disegnare già a scuola, quando con alcuni amici scarabocchiava parodie dei professori (come l'insegnante di algebra in versione supereroistica!). Al liceo, in occasione di una visita al Washington Post, ebbe la possibilità di conoscere il vignettista ufficiale del quotidiano: questo tipo di lettura della realtà, tramite disegni, era proprio nelle sue corde (tanto che convinse una volta gli insegnanti ad accettare una serie di vignette al posto di un elaborato testuale). All'università partì con un corso scientifico, inibendo la propria propensione all'illustrazione, che pure coltivava. Dopo un paio d'anni capì che non ce la poteva fare e ripiegò sull'Accademia di Belle Arti, comunque concettualmente lontana dalla sua vocazione di cartoonist, ma già più vicina al suo estro creativo visivo. Meditò, una volta laureato, di andare al CalArts, ma nessuno a metà degli Ottanta voleva lavorare per la Disney: prima della Sirenetta, nell'ambiente la si dava come spacciata. Alla fine cominciò a conciliare gli studi con un lavoro di graphic design, focalizzato per il periodo (ancora essenzialmente analogico) su merchandising come tazze e magliette.
In questi anni divenne un grande amico del grafico Anson Jew: furono anche coinquilini, fomentando la propria creatività a vicenda, frequentando la Illustrators' Guild (ora Graphic Artist Guild), un modo per orientarsi nell'ambiente e firmare contratti "senza essere fregati". Lì incontrarono Martin Cameron, già alla Lucasfilm Games: loro due erano in adorazione all'idea di qualcuno che lavorava per George Lucas, però Martin li smorzò, sottolineando come fosse difficile disegnare con i soli 16 colori dell'epoca ("E noi: ma chi se ne frega, questo lavora per la Lucasfilm, ti rendi conto che figata?"). Solo qualche tempo dopo, quando si passò alla VGA e ai 256 colori, alla Lucas furono necessari più artisti per gestire l'aumentata mole di lavoro, così fu proprio Larry a rispondere alla chiamata di Martin per Anson, per un colloquio. Si presentarono tutti e due. Gary Winnick li esaminò, presentando loro The Secret of Monkey Island su un monitor e cercando di spiegare loro quello che cercavano ("Cercava di venderci l'impiego, noi eravamo già in estasi solo per essere entrati nello Skywalker Ranch!"). Il panico subentrò quando Gary iniziò a esaminare i portfolio alla velocità della luce. Loro ci stavano rimanendo male, lui lo intuì e ci tenne a rassicurarli: "Tranquilli, volevo solo essere sicuro che sapeste disegnare. Siete grandi, ci state a fare una prova lunedì?"
Per il primo mese furono fortunati a lavorare ancora allo Skywalker Ranch, prima del trasloco a San Rafael. Con loro nello stesso periodo iniziò Peter Chan, era l'alba di un nuovo mondo: chi aveva una formazione tradizionale, grazie ai 256 colori, non doveva più avere paura dei limiti dei videogiochi. Loro avevano un'esperienza pressocché nulla con i programmi di grafica, ma si adattarono presto: in particolare Larry e Anson avevano sperimentato da soli con l'animazione, ma l'avevano poi scartata per le tempistiche lentissime. Quando fu chiesto loro di creare personaggi e sprite, realizzò quanto lavorare in digitale, e non con l'animazione analogica, fosse enormemente più comodo! Propose come test una caricatura di Jerry Garcia dei Grateful Dead, panza rimbalzante inclusa. Fece subito colpo sui colleghi. Essere assunto alla Lucasfilm Games fu meglio che frequentare un corso prestigioso: alcuni colleghi di grande talento come Steve Purcell e Mark Ferrari divennero per loro dei mentori.
Il suo primo vero progetto fu una delle prime versioni di The Dig, quella di Noah Falstein, ibrido tra RPG e avventura grafica (che però nell'azienda - è la sua sensazione - veniva ritenuto un po' noioso). Fu assegnato a quel titolo, nonostante preferisse il sequel di Monkey Island in lavorazione, per affinità umoristica. In realtà quei sei mesi trascorsi sulla versione cancellata di The Dig furono preziosi per la sua formazione, sotto il capo-grafico Ken Macklin: gli lasciò progettare elementi scenici, parti di città, vegetazione. Ricorda persino che una volta era in difficoltà nel creare un punto di vista diverso sullo stesso ambiente, e Ken lo aiutò a costruire un modellino rudimentale fisico degli edifici, per guardarlo da un'altra prospettiva! Altri tempi davvero, artigianali. C'erano pochi personaggi in The Dig, il che non gli andava molto a genio, ma si esercitò molto sugli ambienti, che tuttavia non era in grado di dipingere realisticamente (si ritiene un artista passabile sui colori pieni, magari per le caricature, ma non va oltre). Ricorda che, per via della componente RPG, servivano stanze semirandom "componibili" a partire da elementi di scenario sfusi (come nel castello di Indy 3 o nella foresta di Melee in Monkey 1), quindi si cimentò anche su quel tipo di asset. Come accadde però al contrario a Bill Tiller, che preferiva la pittura dei fondali alle animazioni, Larry sognava tuttavia di dedicarsi presto al design e alla recitazione dei personaggi.
Aveva lavorato ogni tanto con Dave Grossman, programmatore sul The Dig cancellato, così quando Dave fu ricondotto su Monkey Island 2, si accodò. Ron Gilbert gli fece fare un primo test: anche se Purcell aveva già creato il cane con la chiave in bocca per la galera di Phatt Island, era necessario farlo muovere per completare l'enigma. Era una cosiddetta "special case animation", un'animazione necessaria in una sola situazione, una di quelle più intriganti per un animatore. Utilizzando come riferimento le celebri sequenze fotografiche di Eadweard Muybridge, Larry portò a casa il risultato, bava imprevista inclusa, che divertì molto Ron. Era nella squadra, ma di fatto ideò graficamente e animò da zero un solo personaggio: il vecchietto del cannone su Booty Island. È il primo personaggio disegnato interamente da lui alla LucasArts. Per il resto, quando Gilbert capì che aveva senso dell'umorismo, cominciò a passargli richieste per varie special case animation di Guybrush. Durante la lavorazione realizzò il problema dell'assenza di una vera direzione artistica: la guardia di Phatt sembrava diversa dagli altri personaggi, Guybrush stesso nel primo piano sul molo pareva differente da quello in totale / campo lungo. Se l'appuntò come una cosa da risolvere. Ricorda con piacere il rapporto complice che si creò con Tim Schafer e Dave Grossman, che gli fecero sostanzialmente da tramite con Ron, il quale gli assegnava invece fredde liste di azioni di Guybrush senza contesto: voleva interagire di più sul piano creativo, e soprattutto voleva spingere più sulla comicità slapstick visiva esagerata, cosa che Gilbert sembrava restìo a fare specialmente in Monkey 2 (accettò la sua esagerata scena del rastrello, comprensiva di denti che volavano via, respinse al mittente la caduta di un'incudine su Guybrush).
Non ha mai lavorato sul serio su un gioco di Star Wars, a parte la grafica per le scene in Mode 7 in Super Star Wars per il SNES e una pulizia di rotoscoping per Star Wars: Rebel Assault, tra un progetto e l'altro. Il che è piuttosto ironico: da progettista per i parchi a tema Disney, tutti hanno in seguito dato per scontato che un ex della LucasArts ci avesse avuto a che fare a tempo pieno. Ma è un grandissimo fan della saga: ricorda quando a dodici anni vide Guerre stellari con un amico e passò un agosto di incontrollabile entusiasmo (anche usando vecchie e pericolose luci al neon come spade laser!). Semplicemente da autore preferisce lo stile cartoon.
Una delle cose che preoccupavano di più lui e Peter Chan, nella definizione della direzione artistica di Day of the Tentacle, era assicurarsi che i personaggi rimanessero leggibili su ogni fondale, per evitare quello che lui chiama "pixel noise". L'omogeneità di stile fu cercata pure in modi molto pragmatici: per esempio si occupò lui stesso di progettare graficamente tutti i personaggi, lasciandone solo alcuni secondari (come il gatto) a un'animatrice di talento come Lela Dowling. Aiutava pure che ci fossero pochi primi piani, dove mantenere la continuità grafica di un personaggio, rispettandone il modello, diventa più difficile. Non si preoccupò nemmeno di impostare uno stile grafico che tradiva Maniac Mansion, così come più avanti non si fece problemi per The Curse of Monkey Island: si respirava un'aria di evoluzione costante, senza guardarsi mai indietro, c'era ingenuità, e "nessuno ti diceva mai di no, se facevi una cosa figa".
Per aiutarsi a creare i personaggi secondari, si riciclavano i design anche con ironia: quanti si sono accorti che il ladro d'auto nel presente è George Washington senza parrucca, ipotizzando che un suo discendente sia caduto così in basso? O che il discendente di Benjamin Franklin sia ora un rappresentante che ama le burle? Nel team ridevano molto di questi ammiccamenti.
Non ritiene di potersi considerare tecnicamente "coautore" di Day of the Tentacle, almeno nel senso tradizionale, parlando di sceneggiatura e design. Diverse gag visive sono tuttavia farina del suo sacco, come la reazione del dr. Fred ai caffè o l'incredibile scena dello scambio del dr. Fred col cugino Ted, per la quale aveva avuto solo una descrizione essenziale da Tim & Dave. Quelle scenette non erano state effettivamente "scritte" da nessuno, gli lasciarono carta bianca per scatenarsi. La prima volta che abbia in modo attivo collaborato alla struttura e alla narrazione è stata con Full Throttle: Grossman non c'era più e Schafer debuttava nell'assolo, quindi impostò un metodo di lavoro collegiale che gli fu preziosissimo poi per guadagnare coraggio e affrontare Curse.
Ricorda che a pranzo, per una decina di volte, fantasticarono con Dave e Tim su un sequel per Day of the Tentacle, dove sarebbe stato il criceto a mutare, costruendo un complesso sistema di tunnel sotto la casa del dr. Fred, dove si sarebbe svolta l'avventura! Tra le idee per possibili altre avventure originali, Larry cita due tutte sue: il fantasma di un gangster che voleva vendicarsi del resto della banda (dopo un colpo andato a finire molto male) e un defunto cantante stile Elvis resuscitato da una sorta di dr.Frankenstein (ma comunque desideroso di tornare a esibirsi sul palco!).
La sua partecipazione alla grafica di Sam & Max Hit the Road durò solo qualche settimana, mentre aspettava che Schafer finisse il primo trattamento per Full Throttle. Si occupò in corso d'opera di animazioni special case su richiesta proprio di Steve Purcell. Sono animate da Larry per esempio la caduta di Sam & Max dalla Palla di Spago e il giro sul Cono della Tragedia, questo ispirato da una vetrina dove vide una sorta di animatronica ingrandita di un coltellino svizzero, che si apriva e chiudeva: assurda! Purcell gli chiese inoltre di progettare al volo tutti i secondari umani che si incontravano nelle attrazioni che Sam & Max visitivano. Da ospite nel team di Clark & Stemmle, Larry non sentiva di avere particolari responsabilità, si lasciò andare e si divertì un sacco.
La prospettiva di rendere Full Throttle "più cinematografico" grazie allo spazio del cd-rom gasò tutto il team forse più del necessario: non c'erano in realtà abbastanza animatori da poter realizzare il cartoon che avevano in mente, quindi lui stesso trovò soluzioni di montaggio e inquadratura per suggerire dinamismo, anche dove i personaggi erano statici. Ma non importa: quell'avventura fu una scarica di adrenalina creativa per tutti, c'era la voglia di fare qualcosa di completamente diverso dal classico "teatrino" inquadrato lateralmente nelle avventure grafiche tradizionali. Anche se l'implementazione delle sequenze action col senno di poi lascia a desiderare, Ahern non ne rinnega la necessità concettuale.
Ebbe sulle prime molte difficoltà nel progettare graficamente i protagonisti di Full Throttle: lui tende alla caricatura comica, ma Schafer non voleva qualcosa di interamente demenziale come per Day of the Tentacle. Larry era fuori dalla sua comfort zone, però non voleva sventolare bandiera bianca: guardare Hellboy di Mike Mignola aiutò, così come lo stile di Aeon Flux su MTV. La vera svolta arrivò quando decise che la maggior parte dei personaggi avrebbe avuto uno sguardo corrucciato alla Clint Eastwood, senza orbite! A quel punto fu centrato l'equilibrio tra il suo approccio e quello di Tim.
Fu Tim Schafer a raccomandare lui e Jonathan Ackley come possibili futuri e affidabili capi-progetto, e ringrazia ancora Tim per questo e per una sessione di brainstorming su The Curse of Monkey Island, in alcuni cottage nello Skywalker Ranch. A dirla tutta, Schafer sembrò loro un po' mentalmente distante, troppo preso da Grim Fandango, probabilmente mandato lì dai capi solo per garantire che non stessero dando i numeri. In ogni caso, il terzo Monkey fu proposto loro dalla dirigenza, e tra l'altro Larry e Jonathan non avevano nemmeno un rapporto particolarmente stretto: Ahern ricorda che Jonathan entrò da programmatore per Day of the Tentacle in corso d'opera, e che l'unica volta in cui interagirono davvero fu quando Jonathan gli chiese un parere per una gag verbale prolungata su Shakespeare, realizzata senza chiederne conto a Tim e Dave (e mai implementata nel gioco). Ackley fu programmatore anche su Full Throttle, ma Larry lo conobbe sul serio solo quando cominciarono a progettare Curse: ironicamente, sperava che il partner tirasse fuori idee migliori delle gag su Shakespeare, eppure in Curse c'è sul serio un'evoluzione di quella gag! Bastarono pochi giorni per capire comunque che erano in perfetta sintonia.
All'inizio per Curse si sforzarono di trovare soluzioni di trama super-assurde, anche più connesse alla contemporaneità suggerita dal finale di Monkey 2, insieme ad arzigogoli assortiti (tipo la necessità di restituire regali di nozze voodoo per annullare una maledizione). Impantanati, scelsero un'altra strada: cos'è che la gente vuole vedere in una storia di pirati? Cosa non è stato ancora fatto? Cosa possiamo riprendere dei primi due e aggiungere di nuovo? Avrebbero forse potuto pensarci prima, ma secondo Larry, quando lavori con una saga preesistente, è meglio almeno sforzarsi di allontanarsi dal seminato.
La direzione artistica più estrema di Curse arriva da una sua tendenza naturale, che aveva già messo al lavoro su Day of the Tentacle, se lo si paragona a Maniac Mansion. Oltretutto da grafico trovava impossibile ispirarsi a LeChuck's Revenge, perché l'alta risoluzione 640x480 cambiava le regole, e Monkey 2 non aveva uno stile: non esistendo prima come già detto la figura del direttore artistico, era semplicemente il capo-progetto ad assegnare ai grafici gli asset, aspettandosi che dessero il massimo seguendo criteri arbitrari personali. Curse si apriva su una produzione più professionale e Larry voleva un'assoluta coerenza stilistica, tra primi piani, scene in-game e anche materiale promozionale. Chissà come sarebbe andata se fossero esistiti i social allora, magari i giudizi a priori dei fan li avrebbero inibiti. Ma internet era davvero agli albori, loro stessi realizzarono di poterla usare per alcune ricerche solo durante la lavorazione (nemmeno ci pensavano prima, consultavano i libri delle biblioteche!!!).
Curiosamente, Larry rivela che il primo stile pensato da lui per i personaggi di Curse era simile a quello di Return to Monkey Island, "primitivismo" che non teneva volutamente in conto una rotazione dei corpi nelle tre dimensioni. Avevano però assunto animatori canadesi di talento (come Graham Annable), che si aspettavano di lavorare su animazioni tradizionali, ma quei design erano incompatibili con quel tipo di approccio estetico. Si rese conto del problema e pregò gli altri grafici di pensare con lui a una via di mezzo: Kevin Micallef per esempio finalizzò il look di LeChuck, mentre l'animatore Derek Sakai trovò un compromesso per Guybrush. A dirla tutta, Ahern non è contento dell'aspetto di Guybrush in Curse: essendo un po' "l'uomo qualunque" in quel contesto, poteva essere meno esagerato, pur nei binari dello stile scelto. Oggi forse avrebbe puntato su un design tipo quello di Tales of Monkey Island, riferendosi nello specifico alle concept art di quel gioco, più che al rendering 3D finale del personaggio. "Mi scuso con quelli a cui ho ucciso l'infanzia".
Lavorerebbe su una remaster di Curse? A parte che sarebbe bello sapere che qualcuno da qualche parte ha conservato le immagini vettoriali originali per le animazioni (il che renderebbe velocissimo un nuovo esportato in HD), Larry non va proprio matto per queste operazioni: se fatte bene richiedono un tale lavoro che alla fine non gli sembra valga la candela: "Tanto vale fare qualcosa di nuovo" [Larry, fatti abbracciare, ndDiduz]. Oltretutto queste remaster comportano dei problemi: lui stesso ha collaborato a ridisegnare Bernard per la Day of the Tentacle Remastered della Double Fine, ma ancora ha difficoltà ad accettare il suo nuovo naso in HD, giocoforza solo suggerito all'epoca del 320x200. Paragona quello straniamento al nuovo suono in alta qualità per il movimento dei tentacoli: lo stile limitato dalla tecnica del 1993 era parte integrante del sapore che il gioco aveva. Ma non tutti i fan la pensano così, ne è consapevole.
Diversamente dalla sua opinione autocritica sul design finale di Guybrush in Curse, non ha nulla da rimproverarsi per la diversa personalità di Threepwood, più delicata e meno cattiva di quella vista in LeChuck's Revenge. Non lo fecero di proposito, semplicemente forse rifletteva una tendenza sua e di Jonathan a non gradire i personaggi bastardi: lo stesso Murray, nato per caso e caraterizzato sulle prime come cattivo realmente minaccioso tout-court, finì per essere cesellato in modo abbastanza eccessivo da non prenderlo mai sul serio.
Il combattimento tra navi venne proprio dal brainstorming con Tim Schafer, che l'aveva quasi implementato nel primo Monkey, prima che Gilbert lo segasse. Siccome lo SCUMM aveva fatto molti passi avanti con le sequenze d'azione, specialmente dopo lo stress test di Full Throttle, pensarono fosse il caso di riprovarci. Lo programmarono Jonathan e Chris Purvis. Generò quella sezione diversa dal resto del gioco, dove confinarono anche il recupero dei combattimenti a insulti, pur sempre divertenti e in fondo assenti dal secondo capitolo: forse le rime potevano essere sufficienti a rinfrescare la proposta?
Perché pensa che, col passare degli anni, Curse sia diventato un classico, nonostante sia così diverso dai primi due Monkey? In poche parole, per Ahern è un gioco alla fine molto divertente e fatto veramente bene, dal livello produttivo elevato, tanto che ricevettero persino un Annie Award nel 1998 per le migliori animazioni in un videogioco, una cosa di cui va enormemente fiero ancora oggi. Non si attribuisce il merito del successo, semplicemente le professionalità alla LucasArts erano di tale valore da far sembrare anche le cose più difficili relativamente fattibili. Come avrebbe capito anni dopo, lasciata la Lucas, il mondo là fuori era diverso.
Di solito alla LucasArts, quando ti proponevano gente nuova per il team, nella stragrande maggioranza dei casi la reazione non era "Mi sa che non ci siamo!", ma "Mamma mia, ma questo è bravissimo!" Di conseguenza dirigere il team era abbastanza semplice, si trattava di assecondare in modo giusto uno straordinario spirito d'iniziativa, assicurandosi che l'impegno individuale rispettasse la direzione generale della storia, dei puzzle e del registro scelto. Oltretutto aiutò che Chris Purvis, Chuck Jordan e lo stesso Jonathan fossero in grado di scrivere dialoghi e programmare allo stesso tempo: snellì il processo, già reso più chiaro dall'esteso lavoro di preproduzione che Ahern e Ackley avevano fatto con Bill Tiller, prima ancora di partire. Ricorda solo un piccolo momento di panico verso la chiusura dei lavori, quando da grafico non aveva quasi più nulla da fare, quindi cominciò a rigiocare tutto Curse, appuntandosi 10 pagine (!) di ritocchi per rifinire al meglio il gioco. Jonathan sulle prime rimase sconvolto dal malloppo, poi realizzarono che nella maggior parte dei casi si trattava di correzioni ottenibili intervenendo sul codice. Per quanto riguarda il finale affrettato, ebbero semplicemente paura di chiedere al management un altro mese o due solo per realizzare una sequenza non interattiva più lunga. Fu un errore, ma era il loro primo gioco, era costato parecchio e non volevano far arrabbiare nessuno. "Tim per esempio è rilassato, lo sgridano e lui fa spallucce, fa bene, ma noi non avevamo ancora tutta questa fiducia in noi stessi".
Decisi a rendere Curse più lungo e difficile di un Full Throttle, erano però preoccupati di far arenare troppo il giocatore: considerarono la possibilità di un sistema d'aiuti integrato nel gioco (magari tramite dialoghi con la Voodoo Lady), ma realizzarono che sarebbe stato complesso da implementare. Allora ebbero l'idea del livello di difficoltà alternativo, con enigmi pre-risolti: lo affidarono al programmatore Chris Purvis, che sostanzialmente "spense" alcune catene di enigmi.
Per scegliere il cast vocale, una cosa che fino a quel momento per la saga non era stata mai fatta, ascoltarono moltissimi provini. Descrissero Guybrush come "un tipo alla Michael J. Fox" e la voce di LeChuck come "minacciosa ma in modo buffo". Per quest'ultimo trovarono quasi subito il compianto Earl Boen, ma per Threepwood la cosa fu più complicata: ascoltarono voci troppo banali, troppo "normali", oppure all'opposto troppo cariche e ridicole. Non appena sentirono Dominic Armato, non riuscirono più ad ascoltare gli altri: era proprio la mezza via che cercavano, credibile sia da tonto sia da sarcastico. "Se hanno mantenuto lo stesso attore nei giochi successivi, vuol dire che scegliemmo bene".
Si era intuito che alla LucasArts Curse avrebbe chiuso l'era dello SCUMM e del 2D, quindi Larry e Jonathan cercarono di venire incontro successivamente alla richiesta del management: mantenere le buone sceneggiature e i puzzle, ma avvantaggiarsi del 3D per aggiungervi un tipo di interazione e movimento più action. Vanishing Act doveva avere un'ambientazione vagamente steampunk, europea ottocentesca: il protagonista era un mago alla Houdini, che creava numeri per sviare l'attenzione ed eseguire rapine elaborate. Questo almeno finché non rinveniva un vero oggetto magico che gli donava sul serio poteri per mutare di forma. Putroppo non riuscivano molto a far funzionare questi poteri col resto del game design da classica avventura grafica: sarebbe servito più lavoro per convincere il management a finanziare il progetto, ma Jonathan comunicò a Larry di voler lasciare la compagnia, per fondare con sua moglie Casey Donahue un'altra azienda. Rimasto solo, Ahern gettò la spugna su Vanishing Act.
La situazione per lui alla LucasArts precipitò col primo tentativo di sequel per Full Throttle, quello su cui lavorò per un periodo con Tiller, da quest'ultimo erroneamente chiamato "Payback". Per sei mesi elaborarono concept art e un trattamento, senza però costruire un prototipo, anche se si sentiva più sicuro sull'implementazione dell'azione in un contesto 3D. C'era un nuovo direttore di sviluppo [credo Randy Breen, ndDiduz] che - come poi dolorosamente capì - lo stava ignorando apposta. Quando accettò di discutere con lui il progetto, disse che non gli piaceva affatto. "Ma per quale motivo?" - "Se me lo devi anche chiedere, stiamo messi peggio di quanto pensassi." - "Ma come sarebbe a dire? Sei il mio capo, perché non dovresti dirmelo?" Purtroppo il CEO Simon Jeffery non si azzardò a contraddire la valutazione, così Ahern si sentì abbandonato a se stesso, capendo finalmente perché tanta gente stesse fuggendo dalla LucasArts. Levò le tende nel 2000, proprio quando nasceva il suo primo figlio, un momento terribile: intercettò fortunatamente la crescita della divisione giochi della Microsoft, che stava per lanciare la prima Xbox. Serviva un direttore artistico a Seattle e si precipitò lì con la sua famiglia.
Alla Microsoft non si trovò bene, sballottolato in gruppi e sottogruppi alla ricerca di un'identità, con molti progetti cancellati in pochi anni, e un improbabile contributo a un simulatore di volo (una delle cose più lontane dalla sua sensibilità). Fu allora che con altri ex della LucasArts avviò Insecticide. Altro titolo sfortunato, perché loro avevano previsto due versioni: Windows e PSP, contando col poco budget a disposizione di eseguire un downgrade della versione PC per la console. Il publisher che trovarono impose loro di cambiare la PSP col Nintendo DS, una macchina però così diversa e peculiare da richiedere una lavorazione parallela ad hoc, separata. L'editore in questione peraltro fallì dopo aver pubblicato una prima parte per PC e la storia completa su DS, seppur in versione ridotta. Chi ereditò i diritti non era interessato a completare il titolo. Larry non ha più lavorato a tempo pieno su un gioco da allora.
Negli ultimi quindici anni ha essenzialmente progettato per i parchi a tema, anche nella divisione Research & Engineering della Disney, grazie alla raccomandazione proprio del vecchio amico Jonathan, col quale è tornato a fare squadra per esperienze interattive costruite sulle attrazioni. Stimolante e divertente, un buon periodo che continua tuttora, non necessariamente per la Disney ma nello stesso settore: è come progettare avventure grafiche, ma nella realtà. Sta anche costruendo a tempo perso il pitch per una serie animata, insieme a Charlie Ramos, altro ex della LucasArts.
Jennifer Sandercock e Return to Monkey Island
Jennifer Sandercock, producer di Return to Monkey Island, nonché coprogrammatrice, coproducer e collaboratrice ai testi per Thimbleweed Park, si è unita al plotone di sviluppatori intervistati da Daniel Albu. Estrapolo tre risposte che mi sono sembrate interessanti, specialmente la prima, perché dovrebbe risolvere una delle supposizioni più diffuse sull'ultima avventura di Guybrush, in particolare supposizioni sostenute da chi non ha gradito l'esperienza. Ron Gilbert stesso in realtà ha detto le stesse cose mesi fa, quindi probabilmente dichiarazioni simili non serviranno a rasserenare gli animi, però magari repetita iuvant. Sottolineo preventivamente che Jennifer non è entrata in argomento sponte sua, ma sollecitata dalle domande specifiche di Albu.
"Siamo stati felici di aver rimosso dal gioco ogni cosa che abbiamo rimosso. So di persone che si lamentano del finale dicendo che è stato chiaramente tirato via. Non è stato affatto tirato via, ci abbiamo passato su il tempo che volevamo. È stata detta la stessa cosa per Terror Island, perché ci sono stanze in cui non c'è molto da vedere o da fare. È stato fatto di proposito, era lo spazio che volevamo creare, volevamo che Terror Island desse quella sensazione. Non è che abbiamo finito il tempo e non abbiamo voluto rifinire quelle stanze: le abbiamo rifinite fino al punto in cui ritenevamo giusto farlo." Jennifer svela inoltre che il gioco era già completo per il luglio del 2022, è uscito a settembre solo per una strategia di collocazione sul mercato, studiata confrontandosi con Devolver, Disney, Microsoft, Sony e Steam. In due mesi comunque non si sarebbe potuto aggiungere nulla di sostanziale che riguardasse parti dialogate, per tempistiche legate al doppiaggio e alle localizzazioni, ma poco importa: non ne avevano la minima intenzione.
"Le cose negative che le persone hanno detto [allo svelamento dello stile grafico, ndDiduz] hanno lasciato parecchio il segno, so che hanno ferito sia Ron sia Rex [Crowle, il direttore artistico, ndDiduz]. Rex non è molto uno da social media, ma so che ci è rimasto molto male per quei commenti, perché ci aveva messo cuore e anima nel lavoro, così come tutti i grafici. Erano tutti felicissimi di lavorare sul progetto e sono rimasti molto dispiaciuti nel vedere che la gente non coglieva la loro visione."
Per farsi un'idea delle interfacce usate nelle avventure moderne, per conto del team, Jennifer ha preso ad esempio gli approcci di Life Is Strange, dei nuovi Leisure Suit Larry e dei giochi della Wadjet Eye, per sottoporli al team. Gioca molte avventure grafiche (specie sulla Switch, per staccare dal monitor del PC) e preferisce l'approccio classico con gli enigmi a quello delle "avventure narrative" stile visual novel, ma non disprezza quest'ultime. Il punto è che dovrebbero esserci però giochi per tutti i gusti.
Prima di chiudere questo aggiornamento, vi ricordo che si avvicinano i 30 anni di Sam & Max Hit the Road (nell'attesa pure della remaster di Sam & Max The Devil's Playhouse dalla Skunkape), così Steve Purcell ha deciso di concedere una bella licenza per la "plushie doll" di Sam, da affiancare a quella di Max uscita tempo addietro. Riparleremo del lagomorfo ipercinetico e del cane bogartiano a strettissimo giro, ça va sans dire. Ciao, Dom
30-9-2023
Io e la mia compagna ci eravamo salvati per tre anni, ma alla fine il Covid ha evaso anche la nostra pratica. Il virus che "tanto ormai è poco più di un'influenza" mi ha pestato per bene per un paio di settimane, con o senza febbre, tra tosse infingarda, mal di testa assortiti e creativi, sapori dei cibi remixati, con uno strascico di disagio indefinibile trascinatosi via via meno. Dopo quasi un mese di lavoro sul sottoscritto, riteneva di potermi spingere a saltare l'aggiornamento mensile di Lucasdelirium. Ha fallito.
The Expanse è terminato: com'è andata?
Con la pubblicazione del quinto e ultimo episodio il 21 settembre, si è quasi conclusa la serie The Expanse: A Telltale Series, l'avventura narrativa basata sull'omonima serie tv sci-fi di culto, prodotta dalla rinata Telltale e realizzata dai Deck Nine. Scrivo "quasi" perché in realtà manca ancora all'appello un episodio extra, "Archangel", che apparirà in autunno: l'esperienza si può comunque già commentare, perciò godetevi pure la mia scheda nuova di zecca. In poche parole: realizzato con grande eleganza formale e cura per il dettaglio coreografico, ha un respiro un po' troppo corto per abbracciare la maestosità della serie (pur rispettandone i temi), ma soprattutto l'esperienza complessiva è fin troppo breve per il costo di partenza di 40 euro non scontati, anche se regge discretamente una seconda run. Questo riassunto però non gli rende del tutto giustizia, quindi se avete tempo leggete la mia analisi più dettagliata.
Repetita iuvant: questa nuova "Telltale" è in realtà semplicemente il marchio che usa l'LCG Entertainment per pubblicare una buona parte del vecchio catalogo dell'azienda defunta nel 2018, da essa rilevato, oltre che per finanziare nuove produzioni di terze parti che idealmente ne continuino la tradizione. L'effettivo organico della storica Telltale Games è ormai sparpagliato altrove e - se ci concentriamo sulle persone e non sui marchi - la Telltale è già ufficiosamente rinata a maggio con il solido e per certi versi sorprendente Star Trek: Resurgence dei Dramatic Labs di Kevin Bruner.
Notizie da Monkey Island e dintorni
Con la pubblicazione il 28 settembre del terzo e ultimo episodio, Il covo di LeChuck, si è conclusa l'espansione The Legend of Monkey Island per il MMO Sea of Thieves. Complice anche la notevole frustrazione che mi ha generato questa terza puntata, ho rielaborato diverse frasi ed espanso / rivisto alcuni concetti nel mio articolo a riguardo, che arricchito di due ulteriori screenshot si può ora considerare completo. Mi risulta difficile ritenere questa proposta migliore di Return to Monkey Island, ammesso - come scrivo nel testo - che Legend sia "un Monkey Island" (ho i miei seri dubbi).
A proposito di Return, in occasione del suo primo anno di vita compiuto il 19 settembre, Gilbert ha pubblicato un video con tutti i membri del team che raccontano qual è stato l'aspetto del gioco che li ha divertiti o appassionati di più, dal loro punto di vista. Saluto di cuore Cristiano "Gnupick" Caliendo e Carlo De Rensis, vi faccio notare che c'è un'altra presenza italiana (Fabiano Caputo alle animazioni) e mi beo di un aspetto che mi ha commosso: senza vip e senza stardom, i membri sono tutti sullo stesso piano. Bello. Dulcis in fundo, la colonna sonora di Return ad opera di Michael Land, Peter McConnell e Clint Bajakian è stata finalmente riordinata per la pubblicazione: è un'occasione per sapere quale dei tre compositori si sia occupato di ciascun brano.
Mark Ferrari e la lotta coi colori
L'infaticabile canale YT Conversations With Curtis, e in particolare il suo intervistatore Daniel Albu, continuano ad accompagnarci in lunghe (lunghissime!) conversazioni con glorie lucasiane. Fatico ormai a star loro dietro, di solito sono un mese in ritardo in questi riassunti, abbiate pazienza. La conversazione col buon Mark Ferrari, indimenticabile autore dei fondali di Loom, ripete inevitabilmente concetti ascoltati da lui altrove, ma il lungo formato della chiacchierata approfondisce alcune questioni. Riassumo.
Mark ripercorre la sua formazione: aveva disegnato da sempre, ma decise di diventare un illustratore a 29 anni. Si specializzò nell'usare colori a pastello, una tecnica che i professionisti in larga parte scartavano, ma fu quella ad attirare su di lui l'attenzione alla prima fiera alla quale partecipò nel 1987, a San José in California, quando aveva già svolto qualche lavoro per la Chaosium. Lì l'illustratore Tom Kidd lo prese in simpatia e, quando nella stessa fiera Gary Winnick chiese proprio a Tom se gli andasse di lavorare alla Lucasfilm Games, questi rifiutò per altri impegni ma lo indirizzò proprio verso Mark. Quest'ultimo rimase spiazzato dalla proposta, dicendo a Gary che, da appassionato di fantasy e fantascienza, lo esaltava l'idea di lavorare per la Lucasfilm, ma detestava la tecnologia e non giocava per niente! Winnick gli rispose: "Meglio chiedere a un artista di imparare a usare il computer, che chiedere a un programmatore di disegnare!" Dopo una settimana era allo Skywalker Ranch, convincendo tutti con la sua prima prova su un fondale, così fu subito messo al lavoro sulla versione "EGA Enhanced" di Zak McKracken and the Alien Mindbenders.
Quel primo fondale di prova fu proprio una schermata per Zak, quella dell'esterno della capanna dello sciamano, con erba e altre capanne. Gli passarono lo sprite di Zak per fargli capire le proporzioni. Imparare a usare i tool non gli costò nessuna fatica, la fatica era capire come rendere le immagini decenti con i 16 colori EGA, che per lo studio erano un passo avanti rispetto ai 4 della CGA, ma che per lui erano comunque un gigantesco passo indietro: non poteva usare alcuna tecnica che aveva imparato nell'illustrazione tradizionale!
Per lui il problema della palette EGA in bassa risoluzione era l'assenza di colori desaturati (con una forte componente di grigio) da affiancare ai saturi in un'alternanza e/o un'organizzazione di colori caldi e freddi, nonché l'assenza di tonalità della terra e incarnato. A parte il bianco, il grigio e il nero, gli altri 13 colori erano tutti saturi, fosforescenti e innaturali. "Come posso fare la pelle di qualcuno? Come posso dipingere il legno o una pietra?" Ringrazia il cielo di non essere entrato nei videogiochi quando c'era solo la grafica CGA, perché in quel caso si sarebbe arreso o avrebbe premesso che avrebbe potuto lavorare solo su immagini astratte. Si lavorava spesso col blu in EGA semplicemente perché erano a disposizione più di due versioni di quel colore, mentre per le altre tinte non si era così fortunati.
Raccontando di nuovo la storia del suo tramonto realizzato sponte sua, per costringere Ron Gilbert ad aggiornare lo SCUMM per supportare il dithering, cioè le scacchiere di colori alternati (per simularne un terzo), Mark spiega il suo punto di vista: la tecnologia non lo interessava, se ne occupava solo quando avvertiva che c'era qualcosa che gli impediva di produrre immagini della qualità che riteneva all'altezza delle sue ambizioni narrative. Ecco, la narrazione: capiva poco di giochi, ma capiva che alla Lucasfilm Games interessava raccontare, e questo gli bastava per digerire i limiti tecnici, insieme alla straordinaria, stimolante compagnia dei colleghi. Allo stesso tempo, trova a posteriori questo suo distacco dagli altri aspetti, ludici o tecnici, un limite caratteriale su cui avrebbe dovuto lavorare di più.
Tra Zak e Loom ci fu la parentesi Pipe Dream, un puzzle game che lo iniziò alla grafica "tile-based" e che ricorda con piacere: non aveva la testa da videogiocatore per affrontare le più complesse avventure grafiche, però provò volentieri un'esperienza immediata di quel tipo.
Per Loom Mark realizzò anche l'iconica copertina, finalmente tornando alle sue amate matite colorate, chiedendo a sua madre di posare per quelle mani. L'idea alla base della cover era trasmettere il massimo del significato col minore numero di elementi, una strategia nella quale credeva molto allora: la storia parlava di un personaggio misterioso senza volto, che aveva il potere di "tessere su un telaio", ma non voleva essere letterale, non voleva disegnare un telaio. "Secondo me la copertina venne così perché la chiesero a un illustratore di ambienti e non di personaggi, che invece l'avrebbe riempita di personaggi", come faceva Steve Purcell, che lui peraltro adora. "Per me Loom era il suo mondo, i suoi ambienti, un mondo sempre sospeso nel tramonto eterno." Si concentrò sulla magia e sull'intreccio che l'emetteva. Lo trovò adatto anche se non aveva alcun corrispettivo letterale nel gioco in sé, ma ne trasmetteva l'anima. Non si è occupato però del design intero della scatola, a quell'epoca non si chiedevano queste cose all'illustratore della copertina.
Considera "sua" solo la versione EGA di Loom e non invidia i grafici che dovettero convertirla a 256 colori per la VGA o l'FM-Towns: il look distintivo originale era figlio di quella sua personale battaglia con le limitazioni dei 16 colori, e non trova che aumentarli in VGA usando molti gradienti sia stata una strategia sofisticata quanto i suoi salti mortali col dithering. Ma non rimprovera chi se ne occupò: "Io per esempio lo stile degli altri non lo so imitare", è difficile "aumentare i colori" senza partire da zero, costretti a lavorare su un'immagine costruita dalla sensibilità e dalle decisioni di un altro artista. Anche se sui monitor attuali non c'è più il blur dei vecchi CRT, che trasformava letteralmente il dithering in colori alternativi, continua a considerare più interessante il lavoro "limitato" dell'EGA. Gli upgrade VGA spesso ragionavano solo su gradienti dal buio alla luce, quando bisognerebbe tener conto anche della temperatura di colore in questa gamma, per esempio dal giallo al blu in esterni.
Gli piace pensare che fu la sua EGA col dithering a suggerire alla Lucasfilm Games che si potevano azzardare anche giochi dal tema meno grottesco: ricorda con nostalgia il modo in cui Loom fu presentato da Brian Moriarty a tutti quanti, l'ispirazione del Lago dei Cigni, un'interfaccia strana che nessuno capiva... eppure era bella quella collegialità creativa, in cui tutti potevano dire la loro su qualsiasi aspetto, incluso lui. Ma si poteva fare perché non erano necessarie molte persone per creare un gioco.
Fu Winnick a suggerire per Loom di guardare all'arte del celebre designer disneyano Eyvind Earle, il direttore artistico della Bella addormentata nel bosco (1959). Amava già quello stile e il lavoro su Loom rappresentò il momento in cui la sua frustrazione con i colori EGA si trasformò in una sfida piacevolissima, grazie al dithering. Certo cromaticamente era difficile tradurre esattamente quello che Earle faceva senza limitazioni, a parte forse alcune sue illustrazioni in verde, blu e nero, ma mica il gioco intero poteva essere soltanto così! Generalmente, specialmente per gli esterni, seguì la regola dei colori desaturati via via che lo sguardo si perdeva all'orizzonte, con le tinte sature usate per gli elementi in primo piano. Questo approccio arrivava anche prima del "realismo", per lui secondario. Il dithering non veniva usato per le animazioni dei personaggi (dei quali non si occupava), ma andava bene così, anzi garantiva che i personaggi si "staccassero" dal fondale e fossero più leggibili.
Per quanto riguarda The Secret of Monkey Island, ricorda che nelle fasi preliminari uno dei membri del team che ne era più entusiasta fu Steve Purcell. Sicuramente per lui fu meno significativo di Loom, perché ormai il suo dithering era diventato una tecnica aperta a tutti, non era più "magico". Peccato però che, anche qui, nella conversione VGA (di cui ignorò perfino l'esistenza per quasi dieci anni!) nessuno lo consultò: sul molo all'inizio del gioco, in EGA, c'era un tramonto che spariva via via per fare spazio alla notte. In VGA è direttamente notte, da subito: a parte che l'intenzione narrativa si perde, una schermata senza contrasti di colore interessanti, per quanto più ricca quantitativamente di tinte, gli risulta meno interessante da osservare.
Il suo contributo ai fondali di Indiana Jones and the Fate of Atlantis fu solo per le schermate dell'introduzione, ma siccome lasciò la LucasArts subito dopo, non è sicuro che siano le sue effettive versioni quelle rimaste nel gioco. Guardando un longplay gli sembra siano rimaste quelle.
Perché lasciò la LucasArts? Una ragione pratica: aveva una casa a tre-quattro ore di distanza a Mendocino e non poteva lavorare sempre in remoto: quei due-tre giorni della settimana in cui doveva essere in sede erano molto stressanti, anche se alcuni colleghi l'ospitavano. Ragione concettuale: il passaggio tra la creatività senza freni della Lucasfilm Games all'industrializzazione della LucasArts, l'abbandono dello Skywalker Ranch per i freddi uffici di San Rafael, la certezza che ai nuovi capi interessasse far soldi e che la creatività non immediatamente produttiva non fosse più vista di buon occhio. Non ci si divertiva più come prima.
Negli anni immediatamente successivi firmò poche cose, ma non perché non lavorasse: costava troppo per le piccole aziende, quindi veniva spesso messo sotto contratto per fare solo della concept art, spesso per lavori che non decollavano. Di quel periodo ricorda le app Flying Colors o Seize the Day (cercatene esempi sul suo sito), dove perfezionò la tecnica del color cycling con la palette a 8 bit della VGA. Nel 2000 la cesura: un terribile incidente in bicicletta (contro un camion!), che lo lasciò per anni incapace di coordinare le mani per disegnare. Da allora ha integrato la scrittura e l'editing all'illustrazione che ha lentamente ripreso, grazie alle tavolette grafiche moderne. In quegli anni tornò la necessità della pixel art (che all'epoca nemmeno definiva tale: "I pixel erano una limitazione per noi, non uno stile") per piattaforme come il Gameboy Advance e lì per esempio realizzò i fondali di The Legend of Spyro: The Eternal Night (Vivendi, 2007). Solo nel 2005 peraltro, parlando con colleghi più giovani al lavoro su questi titoli, ha realizzato quanto le sue opere alla Lucas fossero famose nell'ambiente, e che Monkey e Loom erano dei classici per tanti. Per la prima volta allora decise di giocarli (sì, non l'aveva mai fatto prima!). Ma nessuno comunque alla Lucasfilm Games lavorava con l'idea di creare prodotti epocali: "Ci divertivamo, davamo il meglio di noi, pensavamo di fare cose molto fighe, tutto qui, non immaginavamo che sarebbero durati tanto, ma sapevamo di essere in un posto molto speciale".
Ha problemi a lavorare su marchi preesistenti, in licenza? Mai avuti, finché gli è stato concesso di fare un buon lavoro. Troppe esperienze però l'hanno esarcebato verso l'industria: in particolare un gioco portatile sugli X-Men, che realizzò con un team di pochi colleghi. Diedero il massimo per il tempo e il budget risicati a disposizione, lui riuscì persino a infilare diversi fondali nella memoria occupata da uno soltanto (modificandone del tutto l'aspetto solo col palette-cycling!), però furono aspramente rimproverati dal committente: il gioco era troppo buono e faceva sfigurare gli altri della stessa linea! "Vi avevamo dato poche risorse, non avevate capito che volevamo di meno?" Questo e altri atteggiamenti, incontrati troppo spesso, lo hanno fatto disamorare della deriva "monetizzante" del settore. Vendere più l'idea della sostanza: non gli piace affatto. Trova assurda una frase ascoltata da un executive: "L'eccellenza sarà sempre una nostra priorità, a patto di stare nei costi". "Aveva di fatto appena detto che l'eccellenza non sarebbe stata una nostra priorità, perché l'eccellenza non sta mai nei costi". Era il 2008-2009 e praticamente mollò l'ambiente allora, anche se gli sembra che oggi, grazie agli sviluppatori indipendenti che si autopubblicano in digitale, le cose siano per fortuna cambiate.
Sono anni che vuole pensionarsi e godersi quello che fanno i più giovani, scrivendo e illustrando cose proprie senza impegno, non aspira affatto a dire ancora la sua: il suo coinvolgimento in Thimbleweed Park è stato assolutamente fortuito. Seppe del kickstarter e lui e sua moglie decisero di diventare backer. In nome dell'amicizia lasciò un post su KS salutando Ron e Gary, con i quali non aveva rapporti da anni. Una settimana dopo ricevette una telefonata da un numero sconosciuto, era Gary: "Mark, ma quindi sei ancora vivo?" Gli proposero, in nome dei vecchi tempi, di creare un fondale come cammeo, e lui al volo realizzò l'entrata del circus di Ransome. Due settimane dopo Gilbert e Winnick lo ricontattarono: "Senti, abbiamo fatto vedere quella schermata ai backer, mi sa che qui devi fare tutti i fondali tu!" È stato un progetto faticosissimo, specie dopo il finanziamento in corso d'opera della Microsoft, che ne ha innalzato le aspettative, ma a differenza delle cattive esperienze citate, si è rivelato per lui un lavoro appassionante e uno di quelli che ricorderà con più affetto. Proprio per questa ragione però gli piacerebbe che fosse il suo canto del cigno nel mondo dei videogiochi, un addìo su una nota alta. Ma nemmeno se Brian Moriarty lo contattasse per il sequel mai fatto di Loom? "Diciamo che ascolterei quello che avrebbe da dirmi. Sono offerte come quelle che mi fanno sempre posporre la pensione".
Il suo unico contributo a Return to Monkey Island è stato volontario, vissuto come un dovere: cercare di spiegare come funzioni la creatività a chi lo contattava su Twitter immaginandolo offeso o ferito per il criticato stile grafico che ignorava il suo tocco. Se una persona è creativa, non vuole fare sempre le stesse cose, dopo che le ha già fatte un paio di volte, altrimenti non è veramente creativa. Se qualcuno ama tanto qualcosa, dà invece per scontato che non ci sia niente da cambiare e che quella cosa debba essere sempre ripetuta all'infinito così.
Per lui il pubblico funziona in maniera non difforme da un artista: lui, come molti colleghi, quando termina un'illustrazione ne è quasi sempre deluso, perché non è all'altezza di quello che aveva in mente. Di fatto non può mai esserlo, perché devi trasferire su una superficie piatta un turbinio di idee e immagini mentali "tipo a sei dimensioni, altro che due!" Quando passano mesi o anni e ti sei dimenticato quell'immagine mentale, e rimane solo quella sulla carta, ti rendi conto invece che è bella. Il pubblico non è molto diverso: paragona quello che vede alle sue aspettative mentali, ma lo potrà valutare serenamente solo quando avrà dimenticato l'immagine mentale di quelle aspettative. Più forti sono quelle immagini, più tempo sarà necessario per liberarsene.
Nella prima parte dell'intervista, Hal ricorda le sue radici nel cinema, a partire dalla suggestione delle proiezioni di film di qualità da parte di suo padre, proprietario di una sala nel New England, dove lui stesso visse fino ai primi anni Sessanta. Si trasferì poi in California, tra i primi allievi dell'USC, scuola di cinema dove fu ammesso solo perché con un curriculum accademico notevole (ma senza esperienza nel settore). Voleva concentrarsi sull'animazione, tanto che creò da solo l'apprezzato corto The Great Walled City of Xan nel 1969. Hollywood però cominciava a muoversi in un'altra direzione, il cartoon stava entrando in crisi. Grazie all'amicizia con personaggi come John Milius, Francis Ford Coppola e George Lucas, che arrivarano all'USC dopo (!) di lui, Hal e il suo socio Matthew Robbins, conosciuto proprio lì, cominciarono a muovere i primi passi in una carriera professionale da autori cinematografici, con un agente e un impegno contrattuale con la Warner Bros. Il primo copione realizzato fu l'ottavo che scrissero, Sugarland Express, esordio nella regia cinematografica per Steven Spielberg, poi misero su una "premiata ditta": Hal e Matthew scrivevano, Hal produceva, Matthew dirigeva. La crisi di Barwood con la settima arte iniziò durante le riprese del Drago del Lago di Fuoco, nel 1980, quando realizzò che la produzione non lo entusiasmava quanto la programmazione. Dopo il suo debutto alla regia con Allarme rosso (Warning Sign, 1985), decise di perseguire regolarmente la carriera di coder e creatore di videogame.
Il BASIC l'aveva affascinato sin da quando l'aveva scoperto al Dartmouth College nel New Hampshire, era il 1964. Lì l'avevano appena creato John G. Kemeny e Thomas E. Kurtz. Aveva anche creato giochi fisici elettronici per gli amici quand'era ragazzino, ma queste "passioni secondarie" non potevano trovare sbocco o senso finché non fosse nata una vera industria del videogioco. Monitorava però la situazione, e nella seconda metà dei Settanta naturalmente mise subito le mani su un Apple II.
I primi giochi realizzati sono stati programmati proprio con l'Apple II, Binary Gauge (addirittura in BASIC compilato!) e Space Snatchers in Assembly (si possono scaricare gratuitamente dal suo sito). Non furono mai pubblicati, e il lavoro sul citato Allarme rosso lo distrasse per qualche anno, finché George non lo coinvolse nella Lucasfilm Games, verso la quale era naturalmente attratto...
Cominciò alla Lucasfilm Games nella primavera del 1990, allo Skywalker Ranch. Ricorda che gli altri erano andati alla GDC (che all'epoca doveva essere al secondo anno!) e lui rimase ad ambientarsi, stupefatto di vedere dalla finestra ogni tanto passare coyote e linci.
Rimane grato per alcuni upgrade tecnici che gli permisero di rendere Fate of Atlantis migliore, cioè la scalabilità dei personaggi in profondità, la visualizzazione degli oggetti dell'inventario (in luogo delle loro descrizioni), il sistema iMUSE per le musiche interattive e il successivo doppiaggio nella versione "talkie" su cd-rom, pubblicata un anno dopo. Barwood sostiene anche che fu Fate il primo titolo LucasArts a essere pensato già in VGA a 256 colori: questo creerebbe un'incongruenza, visto che LeChuck's Revenge uscì sei mesi prima, ma penso sia comunque plausibile, perché la produzione di Fate fu molto più lunga e i lavori preliminari cominciarono già a fine 1990, quando Monkey 1 in EGA era appena stato chiuso e la produzione di Monkey 2 non era ancora partita.
L'idea dei tre percorsi alternativi in Atlantis fu di Noah Falstein, per venire incontro a diversi tipi di giocatore, ma Barwood la trovò un incubo da implementare: ritiene che fu una delle ragioni per cui la realizzazione del gioco durò due anni interi (anche se ci fu un allungamento forzato di quattro mesi, per lasciar scadere uno scomodo contratto di pubblicazione con l'EA, mesi che sfruttò per rifinire il tutto). Riutilizzare gli asset nei tre percorsi era un equilibrismo così sfibrante sul piano organizzativo, che prese la decisione di farli convergere ad Atlantide, per semplificare la lavorazione e chiudere una buona volta i lavori. Venendo dal cinema, era abituato a scrivere sceneggiature di 120 pagine, magari anche asciugabili in prospettiva, quando sei sul set con gli attori. Il copione di Fate ne pesava 500!
La filosofia alla base del design di Fate è molto diversa da quella di un Monkey Island: a parte il ricorso ai minigiochi d'azione, che trovava obbligatori per un personaggio come Indiana Jones, Guybrush rimaneva più a lungo nelle stesse location, mentre ritenne che la varietà, per il senso d'avventura che il dr.Jones evocava, dovesse essere massima. Per questo il gioco è concepito in "bolle" separate più brevi, rispetto a un Monkey.
Spiando nei file si è scoperto che Indy in Atlantis avrebbe visitato anche Cadice e Leningrado (Hal ricorda vagamente qui la consultazione di un libro in una biblioteca). Che ne è stato di quelle location? Tagliate per le solite ragioni: tempo, difficoltà nel farle funzionare. Nulla di trascendentale, ordinaria amministrazione. Nel cinema come nei videogiochi progetti sempre più di quello che riesci a fare o decidi di mantenere.
Di Jones ama l'idea di storie che cominciano con le radici nel realismo, ma poi prendono una direzione fantastica: è un sapore che preferisce a Star Wars, che comunque apprezza.
Lavorerebbe mai su un'altra avventura grafica su Indiana Jones, magari con Noah Falstein? "No. Noah ora si dedica ai serious games, io scrivo romanzi." Questione chiusa.
Trova che le "pizza orgies", le leggendarie sessioni di feedback con amici e parenti sui giochi in lavorazione, fossero state molto efficaci nei primi due anni trascorsi alla Lucas. Lui per esempio decise di asciugare un'esposizione troppo lunga all'inizio di Atlantis, quando si incontrava Sophia per la prima volta. Trova però che quelle occasioni negli anni successivi divennero un po' un pro-forma: i costi di produzione per i videogiochi erano cominciati a salire, e nessuno voleva veramente rischiare di demolire il lavoro altrui con onestà, né platealmente.
La lavorazione di Big Sky Trooper per SNES la ricorda con angoscia. Tony Hsieh, l'unico programmatore in sede che conoscesse l'Assembly di quei processori, li abbandonò per un annetto prima di tornare dalla Accolade, lasciando la parte tecnica del progetto sguarnita. Le limitazioni della cartuccia poi lo costrinsero a sacrificare la varietà visiva del gioco, portato a termine in quasi tre anni (!), tra la fine del 1992 e il 1995, con un piccolo team che faticò per inesperienza ad affrontare quel tipo di produzione. Fortuna che i grossi rischi commerciali se li accollò il publisher, la JVC.
Perché è accreditato per Full Throttle con "Ha pensato fosse una buona idea"? Perché lo pensò sul serio e ammira Tim per il risultato, specie perché preferisce i giochi brevi e rapidi, anche se ha dei dubbi sull'efficienza della produzione: altissimo budget per appena una dozzina di enigmi reali nel gameplay. Per quanto riguarda The Dig invece, non ha mai pensato che fosse una buona idea, e venendo dal mondo del cinema era abbastanza scafato da sapere che una scintilla piuttosto debole non avrebbe funzionato per magia solo perché era di Steven Spielberg. Gli sembrava una premessa che, come si dice in gergo cinematografico, "non produceva pagine", cioè non generava in automatico e con entusiasmo una vera storia, con veri personaggi: per quel motivo pensa che la nascita di The Dig sia stata un tale parto. Ammira Sean Clark, che fu l'unico a portare a termine il supplizio, però a suo parere la lavorazione durò davvero troppo e la vetustà tecnica del risultato menomò il prodotto finale. Ma non ci sono somiglianze tra The Dig e una sceneggiatura sua e di Matthew Robbins per Spielberg, intitolata Homefree e accompagnata persino da concept art di Ralph McQuarrie, purtroppo mai diventata un film? Può essere, ma non è responsabile della cosa.
Delle riprese dei FMV video per Rebel Assault II ricorda i cinque giorni frenetici in cui furono realizzati, con le difficoltà di illuminazione in uno studio non sofisticato: per essere certi di poter effettuare il compositing degli attori con gli ambienti del videogioco, guardavano su un monitor in tempo reale il risultato e correggevano al volo pose o inquadrature.
Impostato come un prototipo in HyperTalk, Indiana Jones and His Desktop Adventures, antesignano del casual gaming, nacque perché la Microsoft accettò di sostenere il progetto, a patto che si usasse un protagonista di richiamo. "Mi criticarono perché trovavano stupido usare un personaggio come Indy per un semplice gioco tile-based, a me invece al contrario sembrava un'idea piuttosto intelligente. Al diavolo i critici!" Detto questo, preferisce il successivo Yoda Stories, perché migliorarono quel sistema di missioni random, dando al giocatore due catene di puzzle contemporanee da seguire, invece di una sola, cosa che aveva reso Desktop Adventures troppo lineare. Ma come si scrive una storia randomica? In realtà le ministorie offerte da Indy Desktop e Yoda Stories hanno una loro logica di base non random, ce ne sono un numero limitato, dal quale il codice procedurale pesca: quello che cambia è la loro lunghezza, dipendente da interazioni dialogiche e non con personaggi non giocanti, concepite per potersi adattare a qualsiasi plot.
Per anni non è riuscito a guardare Indiana Jones e la Macchina Infernale: sapeva già nel 1999, quando fu pubblicato, che il suo 3D tecnicamente era datato, e che sarebbe stato meglio affittare un motore 3D di qualità esternamente, invece che realizzare tutto alla LucasArts. Il Sith Engine era nato per Jedi Knight e non per un gameplay in terza persona, così l'adattamento alla terza portò una montagna di problemi e sfide tecniche, oltre ai limiti di massimo 5000 poligoni al secondo visualizzabili. Il capo-programmatore Paul D. LeFevre poi ebbe molti problemi personali durante la lavorazione: aveva sposato una donna filippina e non riusciva per ragioni legali a farla venire negli Usa, quindi si prese molti giorni di congedo per risolvere la cosa. A dispetto di tutto, da sfegatato ammiratore di Tomb Raider (trova geniale per l'epoca aver scelto una donna come protagonista), riteneva davvero necessario in quel momento storico rispondere coerentemente con Indiana Jones, in un titolo simile. Negli ultimi anni tuttavia è tornato ad accettare il risultato: ora è diventato vintage, e ha fatto pace col suo aspetto tecnico.
Ha rigiocato La macchina infernale poco prima della pandemia, e lui stesso è rimasto ammirato da come funzioni ancora: non solo per la storia, ma anche per il lavoro che gli allora inesperti designer dei livelli riuscirono a costruire, pure con tutte le difficoltà tecniche che incontrarono. In particolare ricorda Tim Miller, responsabile del livello delle miniere: si presentava con un atteggiamento giovanilista e spregiudicato, e Hal (allora già quasi sessantenne!) temeva che non sarebbero andati d'accordo. "Invece prese le mie richieste per quel livello e rese tutto dieci volte migliore!" E ricorda Donald Sielke, più anziano e poco coeso col gruppo, eppure in grado di sfornare il livello della corsa in jeep a velocità della luce, seguendo il suo diagramma, nonostante fosse piuttosto contorto. Nota che alcune situazioni da risolvere in tandem con Sophia almeno personalmente non le ha riviste fino all'uscita di The Last Of Us. E trova affascinante il momento in cui, all'inizio del livello 10, "La valle degli Olmechi", uscendo da un tunnel ci si immerge in uno scenario naturale enorme, quasi magico, una sensazione che gli ha ricordato lo Zelda Ocarina of Time di quel periodo. L'apporto della concept art di Bill Tiller fu fondamentale, perché anche se i designer dei livelli, con quel basso livello di dettaglio, erano in grado di creare la grafica da soli, potevano seguire la sua guida per garantire uno stile e una coerenza degli ambienti. In quegli anni il ruolo del "concept artist" nemmeno esisteva ufficialmente, ma quando la tecnologia migliorò divenne per questa ragione fondamentale: il mondo dei videogiochi, maturando, ha creato via via professionalità necessarie, delle quali prima non si sentiva il bisogno.
La storia originale per La macchina infernale prendeva le mosse dal caso Roswell, ma quando fu sottoposta al vaglio della Lucasfilm gli chiesero di cambiare soggetto, perché avrebbero voluto usarlo in un film. "E divenne Il teschio di cristallo, mamma mia!" Allora Hal corresse il tiro su Babilonia, mantenendo il sapore sci-fi che cercava e soprattutto proiettandosi oltre i nazisti, che non sopportava più. "E li hanno usati di nuovo nell'ultimo film, ma che hanno in testa?"
Diede un contributo a Indiana Jones e la tomba dell'imperatore? Consulenza che i Collective e la LucasArts non seguirono: "Quando sei un principiante pensi di poter fare qualsiasi cosa, quando sei più esperto sai che hai meno possibilità." Gli sviluppatori del gioco cercavano solo le cose "fighe" da mettere in scena, lui cercò di spingerli a darvi un minimo di coerenza. Non ci riuscì.
RTX: Red Rock, Hal non mena il can per l'aia, fu "un incredibile fallimento commerciale". Se lo rifacesse oggi, cambierebbe due cose. La caratterizzazione leggera e intelligente del protagonista, un registro che ama tanto, non andò molto d'accordo con l'idea di un "tizio che sparava", per molti giocatori. Tra l'altro, nelle sue intenzioni il personaggio principale doveva essere un quindicenne (non un marine spaziale esperto), che aveva avuto il braccio sostituito con una protesi bionica, ed era stato tuttavia esiliato su Marte perché giudicato troppo pericoloso sulla Terra. Quando però gli alieni arrivavano lì, diventava il candidato migliore per gestire la situazione: il ragazzino sarebbe cresciuto emotivamente nel corso dell'avventura. Nel 2003 inoltre la struttura a capitoli e livelli per un action-adventure 3D era già passata di moda, perché l'open world stava già riscuotendo successo. Continua però ad amare la linearità: "C'è una buona ragione per cui The Last Of Us si è potuto tradurre bene in una serie tv."
RTX Red Rock, anche per ragioni legate al suo engine per l'ennesima volta concepito da zero, fu consegnato per giunta con sei mesi di ritardo ("Ma altri nella compagnia all'epoca erano in ritardo di un anno e mezzo!"). Questo fattore, insieme all'insuccesso commerciale, mise Barwood ai ferri corti con la LucasArts. A dir il vero gli offrirono di scrivere un nuovo gioco di Indiana Jones, a patto che non l'avesse diretto, perché non si fidavano dei tempi lunghi richiesti dalla sua cura per il dettaglio: la Lucas non era più quella di una volta, e a suo parere la creatività si era fatta scavalcare dalla pura contabilità, dalla pressione per consegnare un gioco finito e pubblicarlo. "Lasciai la compagnia, cordialmente ma non troppo amichevolmente".
Si è divertito a scrivere Mata Hari e a progettarlo con Noah Falstein, però la lavorazione in remoto con la tedesca DTP non è andata bene: lo studio che assemblava il gioco in Germania creava la grafica e non aveva alcuna chiara idea di come implementare correttamente il gameplay. Peccato.
C'è un problema nell'essere un game designer freelance: "Le persone che rispettano e comprendono i tuoi consigli sono quelle che non ne hanno alcun bisogno. Chi ne ha bisogno non li capisce e non li rispetta". Ricorda con piacere tuttavia l'esperienza alla Zynga, come consulente per quello che poi - ironicamente - divenne il social game (ora dismesso) Indiana Jones Adventure World (2011).
Trova che sia giusta la tendenza delle avventure contemporanee a rendere i puzzle secondari o a eliminarli del tutto? Da persona che ha creato casual game, non trova l'idea offensiva, anzi spiega che è stato bello giocare di recente con sua moglie (una non-giocatrice) ad avventure casual in stile hidden object. Certo quel tipo di pubblico puoi coinvolgerlo solo così, perché per esempio la consorte lo ha lasciato solo a finire Thimbleweed Park, troppo vecchio stile per lei (ma a lui è piaciuto molto).
Hal è un altro dei grandissimi fan di Firewatch, apprezzandone l'immersione (che non gli ha fatto pesare troppo l'assenza di enigmi) e la scelta dello stile grafico. Ha però due rimproveri da muovere alla Campo Santo Games di Jake Rodkin & Sean Vanaman: avrebbe concesso nel finale di incontrare di persona un "certo" personaggio (non faccio spoiler), a seconda del livello d'intimità raggiunto, e al posto loro non si sarebbe fatto comprare dalla Valve, con conseguente stop dei lavori sul loro gioco successivo. Sottoscrivo quest'ultimo punto in pieno.
Per il futuro ha in cantiere vari libri, romanzi per adulti e per bambini, con l'idea di stimolare la fantasia di quest'ultimi, più che indottrinarli con la correttezza moderna. Tematicamente, gli piacerebbe perseguire una sua idea: la società multiculturale "allentata" americana ha generato pochi valori condivisi e lo sfruttamento dei singoli individui, non una vera collettività. "Per quanto mi riguarda il motto 'e pluribus unum' significa di fatto 'e pluribus e fottiti'". Invidia che in Europa ci siano valori condivisi senza necessità di leggi e regole per imporli.
Prima di chiudere, vorrei attirare la vostra attenzione su un libro d'imminente pubblicazione dedicato a Day of the Tentacle, del quale abbiamo celebrato qualche mese fa il trentennale. Alla prossima! Ciao, Dom
2-9-2023
Bentrovati! State già sperimentando qualche acciacco dai saliscendi impetuosi della temperatura, in questa fine d'estate? Non posso garantire sulle qualità taumaturgiche di un aggiornamento di Lucasdelirium, ma immagino che male non faccia! Vi aspettano qualche veloce aggiornamento su progetti in corso nel mondo lucasiano e paralucasiano, e una nuova scheda inaspettata, che mi ha messo proprio di buonumore.
Dangeresque, il ritorno in formissima di Strong Bad
È sempre bello quando sei sorpreso da un titolo che non stavi aspettando e di cui non avevi notato l'esistenza. In pieno agosto è arrivato su su Steam e Itch.io il folle punta & clicca comico Dangeresque: The Roomisode Triungulate. Si tratta proprio del ritorno alle avventure grafiche del demenziale e surreale mondo cartoon di Homestar Runner, a cura dei fratelli Mike & Matt Chapman. Su Lucasdelirium li avevamo incontrati nel lontanissimo 2008, quando concessero la licenza dei personaggi ai Telltale per creare Strong Bad's Cool Game for Attractive People. Ora Mike e Matt si sono messi del tutto in proprio, portando la loro "etichetta" Videlectrix, nata come scherzo di retrogaming Flash gratuito una quindicina di anni fa, ad abbracciare Unity e una produzione indie contemporanea. Difficile che Dangeresque possa divertire chi non apprezzò o sopportò Cool Game (premessa quasi indispensabile per apprezzare e anche solo capire questo nuovo gioco). Siccome tuttavia quest'umorismo ha il potere di farmi ridere in modo inelegante e sbracato come sempre, non potevo non creare una scheda apposita per Dangeresque: The Roomisode Triungulate. Breve, conciso, ben realizzato. Un caffé ristretto che è stato molto conciliabile con le mie ferie!
The Legend of Monkey Island e The Expanse proseguono
In questo mese sono stati pubblicati il secondo episodio del DLC The Legend of Monkey Island per Sea of Thieves, nonché il secondo e terzo episodio della serie di avventure narrative The Expanse della neo-Telltale. Riguardo a Legend, ho aggiornato giusto con un paio di frasi e screenshot il mio articolo a riguardo, perché le impressioni iniziali e le considerazioni sono state confermate dal secondo atto "Alla ricerca di Guybrush". Non ho molto di diverso da dire: ribadisco che, più che un nuovo capitolo della saga, sento di essere di fronte a una rivisitazione 3D in prima persona - da un altro punto di vista - dell'originale The Secret of Monkey Island. Funziona come omaggio / fanservice / promozione / celebrazione del mito, ma mi risulta un po' blando: né acclamabile né divisivo.
Per ciò che concerne The Expanse, in attesa della mia scheda che pubblicherò a fine settembre dopo l'uscita del quarto e quinto episodio, affiora direi qualche perplessità, confrontandoci con l'impatto positivo di luglio: il trattamento dell'universo di James S. A. Corey da parte dei Deck Nine comincia a mostrare un respiro un po' corto rispetto al materiale d'origine. Ho l'impressione che ci si stia un po' adagiando sul lavoro coreografico, produttivamente corposo in ambito indie, riciclando delle situazioni. C'è stata qualche protesta per la durata assai ridotta della terza puntata (appena un'ora), però andrebbe verificato quanto di essa cambi a seconda di alcune sostanziali scelte precedenti: è un'altra delle cose che vorrei verificare prima della scheda. Non rilevo per adesso difetti gravissimi, però i limiti al momento rendono a suo sfavore il confronto con Star Trek: Resurgence dei Dramatic Labs di Kevin Bruner, reale costola degli ex-Telltale.
L'emulatore DREAMM raggiunge la v.2.1 e scatta l'inchino
L'emulatore DREAMM dell'ex-LucasArts (ma soprattutto ex-MAME) Aaron Giles ha appena toccato la versione 2.1. Se vale sempre quanto dissi l'anno scorso per quanto riguarda le avventure lucasiane classiche, questo aggiornamento ha un valore assai speciale: estende il supporto ai primi titoli 3D della LucasArts della seconda metà degli anni Novanta. È faticoso avviare senza patemi, senza hack e senza creare macchine virtuali titoli come Star Wars Shadows of the Empire, Jedi Knight, Indiana Jones e la macchina infernale o Outlaws. Da oggi è assai più semplice e il tasso richiesto di smanettamento si è grazie ad Aaron quasi annullato, specialmente per coloro che hanno in casa i dischi originali. Rimangono delle limitazioni dovute al suo approccio drastico, che chiede alla CPU di emulare il rendering 3D delle vecchie schede, evitando wrapper di sorta, come spiego nelle sezioni "Consigli tecnici", nelle schede degli ultimi due titoli citati poc'anzi. Ma è un piacere accedere a quelle esperienze aggirando i sistemi moderni, evitando allo stesso tempo di compromettere i file così come mamma Lucas li concepì. Un'opzione comoda e pulita che mancava, quindi grazie Aaron!
Il nuovo Indiana Jones batte altri colpi
Il film Indiana Jones e il Quadrante del Destino è approdato sullo streaming (per ora solo in vendita su Prime Video e Microsoft store): ad appena due mesi dall'uscita cinematografica, questo conferma lo status di micidiale flop che il quinto Indy con Harrison Ford si è purtroppo guadagnato. Quasi 300 milioni di dollari di budget per poco più di 381 d'incasso al boxoffice mondiale (la metà del Teschio di Cristallo, che ne costò 185!) è un responso tragico: tanto tragico da farmi pensare che qui si vada oltre le polemiche anti-Disney, i pregiudizi, i luoghi comuni e la valutazione del film in sé dopo la visione. Un incasso così basso denuncia qualcosa di peggio: il lungometraggio di James Mangold è stato proprio ignorato dalla maggior parte del pubblico... e soprattutto dai giovani. Forse, se in quindici anni la Lucasfilm (PRE e POST-Disney!) avesse mosso almeno un dito per spiegare a un'INTERA nuova generazione chi diavolo sia questo personaggio, le cose sarebbero andate appena meglio. Una persona molto giovane può non aver presente Luke, Leia o Han Solo, però se pronunciate il nome di "Grogu" o "Mando" si attiva.
Con un futuro direi a questo punto assai nebuloso sul fronte televisivo e cinematografico, sarebbe bello pensare che il videogioco in cantiere presso la Bethesda e i Machinegames, su licenza Lucasfilm Games, possa almeno rinverdire un'altra anima del personaggio. Intervistato da GQ, il producer Todd Howard ha dichiarato che i lavori sono a metà della corsa e che i Machinegames "stanno facendo un lavoro veramente grandioso, sanno come far fuori i nazisti" (ironica allusione alla loro esperienza sui nuovi Wolfenstein, dal 2014 in poi). Howard ha aggiunto che occuparsi di un titolo di Indy è per lui nella "bucket list", la proverbiale lista di cose che devi assolutamente fare prima di morire.
Bill Tiller rilancia A Vampyre Story, sperando nel sequel
A metà agosto Bill Tiller, oltre a riaprire (almeno legalmente) i battenti della sua Autumn Moon Games, ha rilanciato su Steam e su Zoom Platform il suo titolo di esordio da game designer, A Vampyre Story del 2008, in una versione aggiornata. Teoricamente ora il titolo è più compatibile con i Windows odierni, ma soprattutto è ora diventata così disponibile anche in digitale la sua traduzione in italiano dei sottotitoli (che fino a questo momento era stata esclusiva retail di Multiplayer.com). Non ho avuto ancora modo di verificare se la promessa migliore compatibilità sia davvero confermata: le prime reazioni degli utenti sembrano dubbiose. Ad ogni modo, questo passo fa parte di una strategia di rilancio del franchise, perché come sapevamo Bill è al lavoro sul demo per i finanziatori di A Vampyre Story 2: A Bat's Tale e anzi ne ha condiviso su Instagram una prima immagine.
Star Wars Dark Forces rimasterizzato dai Nightdive Studios
Ho perso il conto di quante volte avrò espresso il desiderio di creare prima o poi una scheda dell'FPS Star Wars Dark Forces (1995), creato dalla LucasArts nel suo periodo d'oro. Mentre io continuo a meditare, i Nightdive Studios ne hanno annunciato una remaster, sostenuta dal loro particolare KEX Engine, che ospita, avvia e migliora gli engine originali sui sistemi moderni: nello specifico si parla di 4K, 120fps massimi, joypad moderni supportati, achievement e uscita a tappeto su PS4, PS5, Xbox One, Series X|S, Nintendo Switch e naturalmente Windows via Steam. Il lettore Michele mi ha fatto notare che i Nightdive hanno chiesto l'aiuto dell'autore del Force Engine, un reverse engineering non ufficiale di cui già vi parlai e che si proponeva appunto di riproporre il classico "ripulito". Spero che la collaborazione finisca meglio di quella che i Nightdive azzardarono con gli autori di ScummVM per la criticatissima Blade Runner Enhanced Edition: non si misero d'accordo, eppure i Nightidive usarono ugualmente e senza permesso i sottotitoli creati per ScummVM! I Nightdive sono comunque reduci dal successo dell'apprezzato remake di System Shock, ergo concediamo ancora loro il beneficio del dubbio. Al margine, ricordo ai pigri che non se la sentano di configurare DOSBox che Dark Forces è supportato in versione "liscia" dal multiemulatore DREAMM.
Il doppio ritorno di Broken Sword
Non avrete di certo mancato la notizia del doppio ritorno della saga di Broken Sword dell'inglese Revolution Software di Charles Cecil. Non ha a che vedere col mondo lucasdelirante, però 9 avventurieri su 10 che conoscono i punta & clicca lucasiani amano anche le storie di George Stobbart e Nicole Collard, perciò mi sento in dovere di spenderci due parole (e non mancherò come acquirente, ci mancherebbe!).
Poco si sa del nuovo sesto capitolo realizzato in Unity, Broken Sword: Parzival's Stone, per ora senza data d'uscita: le animazioni viste nel trailer sono state molto criticate perché legnose, ma in quest'intervista con Cressup è proprio Cecil ad ammettere che andranno riviste e si riferiscono a una direzione artistica diversa da quella definitiva, rappresentata invece efficacemente dagli ambienti lì mostrati. La tecnica usata per quest'ultimi consiste nel distribuire superfici bidimensionali a mano libera su una struttura 3D elementare, per dare più profondità al taglio classico illustrativo della saga, senza proporre un effettivo 3D, mal accolto nella saga quando fu utilizzato in Il sonno del drago (2003) e L'angelo della morte (2006). Non è un'idea nuova: ricordo il projection mapping di The Book of Unwritten Tales 2 (2015) o il "camera projection" di Silence (2016). Nell'intervista con Polygon Cecil spiega che la trama ruoterà sui Catari, suggerita da un suo incontro col regista Richard Stanley. Sarà tirata in ballo una versione meno comune del Graal, insieme alla capacità anche nel gameplay di guardare nel passato e nel futuro (non di viaggiare nel tempo, ha precisato Charles). Vi invito a leggere e vedere le interviste per approfondire la questione storica e le mire poetiche della vicenda, in particolare la tematica della convivenza tra fedi diverse.
L'annuncio però ha introdotto anche un altro progetto, Broken Sword - Shadow of the Templars: Reforged, remake/remaster dello storico primo capitolo del 1996, già da loro riproposto in diverse versioni nel corso dei decenni, persino con un'ampliata (e per me piuttosto inutile) Director's Cut nel 2009, i cui contenuti non a caso non saranno implementati nella Reforged. La cosa interessante - pensando a un'eventuale rimasterizzazione di The Curse of Monkey Island, coetaneo del primo Broken Sword e come quello nato in 640x480 - è l'uso dell'IA per l'aggiornamento della grafica: Cecil ha spiegato che l'hanno scartata per i fondali, affidati ad artisti sulla base dei disegni originali conservati, ma l'hanno sfruttata a metà per le animazioni. In sostanza un algoritmo di IA si è occupato di ridisegnare i fotogrammi in HD e di crearne di intermedi per aumentare la fluidità dei movimenti, poi manualmente si è intervenuto sui volti e sulle mani dei personaggi, su cui l'IA dava problemi. Cecil ha spiegato che questo ausilio dell'IA è stato fondamentale per dare vita al remake rimanendo nel budget limitato, considerando la grande mole di grafica che il titolo originale già presentava. Interessante. Sono curioso di verificare poi la reazione a qualche annunciato ritocco ("tre o quattro cose") ad alcuni elementi oggi potenzialmente scorretti, come la caratterizzazione mefistofelica a 360° del venditore di tappeti siriano, o la rimozione di una scena in cui George approfittava di una Nico legata per darle un bacio. Uscita prevista all'inizio del 2024, per PC e console.
Ron Gilbert su un film tratto da Monkey Island
Ron Gilbert, Dave Grossman, David Fox, il direttore artistico Rex Crowle e l'illustratrice Zoe Nguyen Thanh sono stati ospiti di un panel alla Devcom, dove hanno discusso di Return to Monkey Island. Stando ai resoconti, mi sembra che non sia detto davvero nulla che non sia stato espresso altre mille volte in quest'ultimo anno, però un passaggio è interessante. A Gilbert è stato chiesto se vedrebbe sensato un film tratto da Monkey Island. Ha risposto:
Non penserei troppo a un film, un cartoon o qualsiasi altro adattamento di Monkey Island, principalmente per via del personaggio di Guybrush. Credo che funzioni bene in un contesto interattivo, nel quale chi gioca può identificarsi con lui, ma avrei paura che un cartoon di Monkey Island o una serie tv possa renderlo troppo buffone. Non è per niente un buffone. Ha fatto un sacco di danni ma ha sempre buone intenzioni. Non sono convinto che questo si possa tradurre bene in un film. Mi preoccuperebbe.
Leggendo questa dichiarazione mi è tornato in mente un vecchio tormentone, riaffiorato di recente per via dell'uscita del quinto film di Indiana Jones, cioè il sogno di un film tratto da Indiana Jones and the Fate of Atlantis. Non ho mai avuto questo sogno e sono totalmente d'accordo con Ron su questo argomento. Ho studiato e convissuto con l'audiovisivo per tutta la mia vita (e mi ci sono anche cimentato!), e secondo me questi sogni sottovalutano due problemi: in primis quanto la soppressione dell'interazione leverebbe all'esperienza originale, che in forma lineare sarebbe monca a prescindere, proprio concettualmente. Ma al di là della fruizione diversissima, argomento sul quale si possono costruire trattati di semiotica, un film di Fate of Atlantis o un Secret of Monkey Island sarebbe proprio costretto a maciullare o stroncare una miriade di sezioni, scene, dialoghi e personaggi, non potendo durare decine di ore. Direi che abbiamo tutti una sufficiente esperienza videoludica da sapere quanto una lamentela sul "mancato rispetto dei miti" sia sempre pronta a scattare come una molla: davvero pensiamo che una traduzione del genere possa mai rendere onore all'esperienza originale? Che risparmierebbe proprio quelle scene e quei momenti che chi gioca può avere amato e vissuto? E come ci rimarremmo non rivedendoli, o rivedendoli stravolti, ritenendoli in cuor nostro fondamentali? Occhio al precedente dell'Ultima Crociata: il processo inverso è tutto un altro discorso.
Okay, fine del giro post-ferie. Il mese prossimo tireremo le somme del percorso compiuto da Legend of Monkey Island e The Expanse. Ciao, Dom
30-7-2023
Le ferie finalmente si avvicinano... e ho i miei buoni motivi per desiderarle più che mai: al di là di questioni personali emotivamente faticose, questi ultimi due mesi sul fronte lucasdelirante sono stati proprio massacranti. Troppe cose importanti da seguire e discutere si sono palesate nello stesso momento, ma ho raccolto la sfida! Non ho in programma viaggi costosi, ma percorsi di riposo fai da te organizzati da chi è più creativo di me, che posso così abbracciare l'anelata passività... ma prima, una corposa dose di Lucasdelirium per accompagnarvi durante il mese di agosto!
Un tuffo nella Legend of Monkey Island
E così è cominciato il 20 luglio il curioso viaggio di The Legend of Monkey Island, l'espansione del Sea of Thieves della Rare, dedicata alla mitica saga. Non potevo esimermi dal provarla e dare un giudizio: sono uscito dalla mia comfort zone ma non troppo. Come avrete modo di constatare leggendo il mio articolo, la Rare è stata molto rispettosa dell'anima da avventura grafica della saga, e non l'ha piegata del tutto alle dinamiche di SoT, anzi: ha cercato di fare il contrario! Nel pezzo che ho scritto, da considerarsi in divenire finché non saranno pubblicate le altre due puntate, trovate anche una miniguida per appiedare in SoT quel che basta ad affrontare persino in single player Legend, quasi mordi e fuggi. In due parole: ho trovato il primo episodio Il viaggio verso Mêlée Island molto ben fatto, un'operazione promozionale e commerciale di notevole intelligenza e rispetto... ma per come concepisco io la saga, gli manca qualcosa. Non è detto che le mie (relative) remore siano condivise da tutti.
Oxenfree II - Lost Signals è arrivato
Ho cominciato a seguire i Night School Studio quando capii che erano stati cofondati dal loro sceneggiatore capo Adam Hines, promettente all'epoca di The Wolf Among Us. In generale il loro approccio alle avventure narrative rimane non a caso quello delle "scelte" dei Telltale, però declinato su un ritmo più pacato e su una presentazione più videoludica e meno cinematografica. Erano partiti molto bene con Oxenfree nel 2016, avevano fatto un mezzo passo indietro nel 2019 con Afterparty, tornano ora con il seguito del loro titolo d'esordio: a voi la lettura della mia scheda di Oxenfree II - Lost Signals, finanziato e pubblicato da Netflix, che ha scelto di cominciare proprio con i Night School Studio la sua acquisizione di studi di sviluppo videloudici indipendenti.
The Expanse, il ritorno dei Telltale... più o meno
In quest'affollato e affannato luglio, è partita anche la serie di avventure narrative episodiche The Expanse: A Telltale Series: edita dalla nuova Telltale Games e realizzata dai Deck Nine, l'avventura si ambienta nell'universo della serie tv The Expanse, a sua volta basata sui romanzi omonimi di Daniel Abraham e Ty Franck, firmati sotto lo pseudonimo di "James S. A. Corey". Chiariamo ancora una volta: l'organico artistico della Telltale attuale è ridotto all'osso o quasi inesistente. Sono di fatto un publisher, il cui vero nome è peraltro LCG Entertainment, che usa il marchio "Telltale" acquistato dalla bancarotta dell'azienda originale nel 2018, insieme agli asset di molti dei loro vecchi titoli. Gli autori di questo The Expanse sono a tutti gli effetti i Deck Nine, che avevano già al loro attivo Life Is Strange: Before the Storm e Life Is Strange: True Colors.
Non voglio sminuire le intenzioni o risultati: i Deck Nine dopotutto si ispiravano alla tradizione delle avventure narrative Telltale, e l'LCG ha l'intenzione sincera ed evidente di promuovere certe qualità e caratteristiche in nome di quel passato. Voglio chiarire solo per evitare confusioni: se cercate proprio le persone che lavorarono nella Telltale di un tempo, molte di quelle sono nei Dramatic Labs di Kevin Bruner, quindi la "Telltale" è già tornata mesi fa con Star Trek: Resurgence. Non ho ancora aperto la scheda, perché non vale la pena farlo in corso d'opera: la pubblicazione dei cinque episodi sarà molto ravvicinata, ogni due settimane. Tutte le puntate sono già completate, la cadenza quindicinale ha il solo scopo di mantenere vivo il coinvolgimento dell'utenza e il marketing per un paio di mesi, non c'è tempo materiale per implementare feedback. L'episodio 1, Il paradosso di Archer, è stato reso disponibile il 27 luglio per Windows (solo via Epic Games Store per ora), PS4/5, Xbox One/SeriesX-S, mentre i successivi appariranno il 10/24 agosto e il 7/21 settembre. È previsto più avanti in autunno un episodio extra, Archangel, dedicato a uno dei miei personaggi preferiti della serie tv, la Segretaria Generale delle NU Chrisjen Avasarala (interpretata da Shohreh Aghdashloo).
Ciò detto, come si presenta per ora The Expanse? Direi bene. Reduce dal citato Star Trek: Resurgence, di timido impatto estetico, sono rimasto piacevolmente colpito dal primo episodio di The Expanse: pur mosso dallo stesso Unreal Engine 4, il design dei personaggi sottilmente caricaturale e l'uso potente di ombre e luci, con contrasti netti, crea un'atmosfera noir e cattiva molto efficace, tecnicamente pregevole in un contesto indie. La serie ci fa controllare Camina Drummer (doppiata dalla sua attrice Cara Gee con un'inflessione assai particolare) in un prequel delle vicende narrate in tv: è in questi anni seconda in comando sull'Artemis, un'astronave di recupero ("scavenger") alla caccia di qualcosa di misterioso e prezioso sul relitto di una nave delle Nazioni Unite. La bella impressione è confermata dalla volontà di caratterizzare la solita essenziale interazione (dialoghi, scelte moralmente difficili, timidi quick time event) con qualcosa in più: c'è un sistema più elaborato di movimento a gravità zero, con propulsori e stivali magnetici che consentono pure di camminare in verticale su alcune superfici. Non si parla di certo dell'esplorazione libera quasi totale garantita dai titoli più profondi, ma la sensazione viene trasmessa, nei limiti di una narrazione lineare. In due parole: siamo partiti col piede giusto, senza glitch, per un'esperienza pulita, solida e molto sicura. Un dilemma mi ha ricordato una scena indimenticabile e disturbante di The Dig. Ci aggiorneremo.
Le continue sorprese di Indiana Jones e la Macchina Infernale
"Acquedotto di Shambala" ("Shambala Waterworks") idealmente doveva arrivare tra i livelli "Santuario di Shambala" e "Laguna di Palawan". Gli autori del prezioso hacking, ora impegnati nel tentativo di ricreare il livello e implementarlo nuovamente nella successione dei capitoli, hanno scoperto tra gli altri file una mappa, modelli (molti privi di texture), script, battute di Indy (solo sotto forma di testo, non doppiate). Il bello è che evidentemente il team originale, quando si è trovato nelle condizioni di non poter terminare "Acquedotto di Shambala" per ragioni ignote, ne ha riciclato due parti in altri livelli! Lo scontro con il boss del Ghiaccio, che nel gioco finito è stato spostato al termine di "Santuario di Shambala", doveva in realtà chiudere proprio il livello dell'Acquedotto (il Santuario terminava dopo l'interazione che conosciamo con l'anziana). La stanza coi mulini e gli ingranaggi del "Fiume di Tian Shan" viene pure dal livello cestinato, tanto che - osservandola - si può notare che c'è un'uscita murata: era l'uscita legata alle altre stanze dell'Acquedotto. Oltretutto questa stanza era concepita per ospitare dell'acqua nella quale si poteva nuotare. Gli autori del modding stanno inoltre sperimentando con la creazione di nuovi modelli e texture in HD, anche se sono piuttosto scettico sulla fattibilità di lavori così massicci senza alcun ritorno economico: prima o poi si sventola bandiera bianca. Stupiscono comunque dimostrazioni di stile come quelle del fan tedesco HeilanMo, che ha ricreato in Unity il livello della piramide di Teotihuacan: fluidità pazzesca e controlli analogici moderni. Sarebbe bello giocare così, in effetti!
Day of the Tentacle, il documentario sulla lavorazione
Larry Ahern, designer dei personaggi e capo-animatore, pensa che il progetto fu tranquillo perché, nonostante si fossero fatti passi avanti tecnici, c'erano ancora dei limiti all'immaginazione: un equilibrio perfetto tra il dare il massimo e sapere quando fermarsi, per cause di forza maggiore. Alla fine così nessuno si stressò.
Tutto il team è concorde nel dire che la direzione del progetto di Tim e Dave fu ottimale: nonostante ci fosse una leggera divisione dei ruoli (Schafer più orientato sulla scrittura dei dialoghi, Dave più sulla gestione della squadra), la regia arrivava comunicando alle persone lo spirito del progetto, delle scene e dei personaggi, più che imponendo le cose da fare. Questo valeva soprattutto per Schafer, perché Grossman parlava meno e di solito, quando apriva bocca, era per dire qualcosa di estremamente preciso, per assicurarsi di tenere salda la rotta. Sommando a questo il fatto che il team fosse relativamente piccolo, con nemmeno venti persone a tempo pieno, il bilanciamento tra improvvisazione e pianificazione fu molto naturale.
Ahern soprattutto approfittò dell'apertura di Tim e Dave: amava lo stile cartoon alla Looney Tunes, lo propose, tutti accettarono. In discesa! Lo fermò soltanto ogni tanto il suo futuro complice di The Curse of Monkey Island, cioè Jonathan Ackley, qui programmatore, perché Larry proponeva animazioni dei fondali troppo impegnative per l'hardware di riferimento: nel laboratorio del dr. Fred del presente, per esempio, per la macchina degli scarichi tossici Ahern aveva creato una complessa animazione, però l'engine non reggeva sequenze così grandi con un tale numero di colori. Così Ackley ricavò l'aspetto finale della macchina da alcuni fotogrammi di quell'animazione, aggiungendoci appena delle bollicine in movimento! In generale le animazioni dovevano utilizzare pochi colori (il che non fu un problema per i personaggi, dato il loro stile cartoon), e non si poteva muovere più del 25% circa dello schermo, con qualche concessione se si riduceva il numero dei colori, come nei credits in silhouette nere.
A proposito della sequenza dei credits, fu creata dall'animatore e ora regista Kyle Balda (Minions), che la progettò insieme a Peter Chan e l'animò da solo nelle due settimane di Natale alla LucasArts. Tutti erano in vacanza, nello studio c'era solo lui, che dormì anche lì! Aveva già disegnato da stagista qualche animazione per il gioco in estate, mentre frequentava il CalArts: Hoagie che lava la carrozza, Bernard che squarta il pupazzo clown, gli scarichi tossici nell'intro. Fece colpo e ottenne la fiducia per creare uno spettacolo tutto suo. A posteriori, Balda trova che il sacrificio fisico per i credits forse fu un po' inquietante, ma ci credeva... e aveva 20 anni! Quell'esperienza lo rese più sicuro di se stesso nella sua carriera a venire.
Secondo Ahern, fu proprio il passaggio di un animatore professionista in divenire come Balda a spronare i grafici ad alzare la posta: bisognava farsi furbi, celando i citati limiti tecnici con qualche strategia. Per esempio l'animazione di Lela Dowling con i Padri Fondatori che si fiondano dalla finestra non mostra il tearing inevitabile, ma solo perché è molto veloce.
Le animazioni si realizzavano col DPaint Animator, il che significava un processo di adattamento notevole dai bozzetti su carta dei personaggi alla loro controparte sullo schermo, in bassa risoluzione. Larry era così consapevole che i dettagli più fini si sarebbero inevitabilmente persi, che concepiva i design a mano libera su carta solo come un "suggerimento", realizzandoli rapidamente, evitando di affezionarsi troppo. Per questo dopo trent'anni non ha rimpianti guardando le concept art: erano solo lo spunto iniziale, per lui il design del cast di Day of the Tentacle è nella pixel art del gioco finito.
Per Clint Bajakian DOTT fu il primo titolo sul quale lavorò da dipendente della LucasArts (per Monkey Island 2 e Indiana Jones and the Fate of Atlantis era a progetto). L'approccio alla musica era enormemente diverso dalle composizioni cinematografiche: alcuni suoi colleghi ritengono che una colonna sonora non si dovrebbe notare. Lui non solo non è d'accordo, ma insieme a Peter McConnell pensa che in quel periodo la musica fosse in un certo senso obbligata a essere coprotagonista della scena: non esistevano ancora i doppiaggi (almeno non nelle versioni floppy) e il sound design era molto limitato. Peter: "Avete presente l'epoca del muto, dove c'era il pianista in sala?"
Insieme a Michael Land, come avevano sempre fatto, si dividevano il lavoro sulla musica seguendo un qualche tipo di suddivisione già presente: le isole per Monkey 2, le tre modalità di gioco per Fate of Atlantis, le tre epoche in questo caso (a memoria di Peter, lui si occupò del presente, Clint del passato e Michael del futuro). Il lavoro era paritario, anche se prima di ogni progetto sceglievano chi di loro dovesse impostarne il sapore e i temi principali (Land fu il referente di Monkey 2, Clint di Atlantis e Peter di DOTT).
A parte Carl Stalling, Clint e Peter ritengono che la fonte d'ispirazione principale per le musiche di DOTT sia stato Danny Elfman, per il suo gusto simil-polka "circense": una maniera di amplificare lo humor, evocando quest'idea di un'esibizione di bizzarrie insolite. Secondo Land, il tipo di composizione dipendeva anche dal game design: se la risoluzione di qualche problema richiedeva una presenza estesa del giocatore in qualche area, bisognava tenerne conto, perché il brano non doveva stremare il giocatore.
L'iMUSE in DOTT non era solo programmato per gestire le transizioni dei brani musicali, ma anche per monitorare la velocità dei sistemi sui quali il gioco girava: ogni transizione era perfettamente sincronizzata all'esecuzione del gioco, sensibilmente variabile a seconda dei processori utilizzati dall'utente finale.
La direttrice del doppiaggio e responsabile del casting era Tamlynn Barra (poi Niglio), che organizzò il lavoro in un piccolo studio di registrazione, perché le versioni "talkie" dei giochi erano ancora qualcosa di sperimentale. Il cast dei doppiatori era tuttavia professionale, anche se pochi di loro in quel momento avevano esperienza in quel settore, arrivando dalla recitazione tradizionale. Interessante vedere e sentire parlare il mitico Nick Jameson, voce del dr. Fred, ma anche del dr. Ubermann in Fate of Atlantis, di Max in Sam & Max Hit the Road, nonché del Coach Oleander nella saga di Psychonauts.
Perché il gioco è così amato? Secondo tutti, perché è uno di quelli che meglio incarna la libertà creativa e lo spirito di squadra che c'era negli anni d'oro della LucasArts. Nello specifico, per Ackley è un ricamo di game design: "Quando qualcuno mi chiede consigli per capire come progettare un'avventura grafica, gli indico direttamente DOTT".
Dave Grossman, tra Monkey Island e un progetto misterioso, passando per Day of the Tentacle
Non poteva mancare una lunga intervista di Conversations With Curtis con Dave Grossman, che di Day of the Tentacle fu coautore e di recente è tornato a far squadra con Ron Gilbert per Return to Monkey Island. Per 3h 20m (!!!) si è parlato di tutto un po'. Riassumo e taglio ciò che troppo spesso abbiamo riassunto su Lucasdelirium.
Oltre a Their Finest Hour: Battle of Britain, dove sapeva solo far schiantare gli aerei, Dave ricorda che lui e Tim Schafer nei primi giorni alla Lucasfilm Games furono anche piazzati al volo sul testing di Night Shift, in attesa che cominciassero le "lezioni di SCUMM" di Ron (alle quali parteciparono con Jenny Sward e Ron Baldwin). Lui fece colpo perché nell'esercitazione non si limitò a usare i personaggi di Sam & Max e la location del loro ufficio, ma inventò una storia delirante in cui i due usavano un teletrasporto, una mosca entrava con loro e Max emergeva con la testa della mosca! Chiese ai grafici di dargli una mano. Alla fine del corso Gilbert non ebbe dubbi sulle persone migliori da coinvolgere in The Secret of Monkey Island.
Quando Ron Gilbert propose loro di lavorare su The Secret of Monkey Island, lo vendette così: "Voglio avere la sensazione di scendere dalla giostra dei Pirati dei Caraibi a Disneyland, per interagire con quello che si vede".
Si divisero i testi e i personaggi del gioco a seconda delle location che ciascuno di loro doveva programmare, ma i confini non erano così netti e dopo oltre trent'anni la memoria fa brutti scherzi (comunque personaggi come Guybrush o Elaine, che attraversavano il gioco intero, furono ovvimente curati da tutti e tre). Grossman ribadisce che lui si occupò molto dei gruppi (i Fettuccini, gli Uomini di Bassa Morale, i Pirati dall'Aspetto Importante), e poi si trovò a fare il grosso di Monkey Island mentre Tim finiva Melee. Scrisse quindi i testi di Herman Toothrot e quelli delle "note" tra i Cannibali e LeChuck (quest'ultime erano un tentativo economico di rendere più vivace un ambiente quasi disabitato, senza dover creare le animazioni di troppi personaggi). Nei cannibali avverte però lo zampino di Tim, così come il dialogo con Cobb gli sembra farina di Ron, che coprì da solo l'atto III sulla nave.
In Monkey 1 si può fare saltare la diga combinando la polvere da sparo con diversi oggetti, non c'è un'unica soluzione. Dave spiega che in realtà all'inizio ce n'era solo una, ma poi discutendo con i tester decisero di concedere più possibilità: è sempre antipatico quando un'avventura grafica non ti dà la possibilità di usare soluzioni logiche alternative (in caso contrario, devi trovare un buon motivo per obbligare il giocatore a un'unica procedura). Se il giocatore comincia a usare tutto con tutto, per lui è il peggio: "Vuol dire che come designer ho fallito". Succedeva per esempio col famigerato enigma della "monkey wrench" in Monkey 2, tra l'altro proprio farina del suo sacco (colpo di scena!): "E dire che avevamo il traduttore francese che lavorava nell'ufficio a fianco, avremmo dovuto pensare alla traduzione!"
Sulla prima versione di The Dig c'erano, oltre a Noah Falstein e lui, anche Joe Pinney e Sean Clark (ignaro che alla fine, dopo anni, sarebbe stato lui a condurre in porto il gioco). I lavori durarono appena quattro mesi, prima che il progetto fosse segato e riavviato da Brian Moriarty. A quel punto però lui era passato su Monkey Island 2, già in lavorazione.
Day of the Tentacle è diverso dal suo predecessore Maniac Mansion anche perché il direttore della LucasArts in quel frangente, Kelly Flock, suggerì loro di non farsi problemi in merito, visto che l'originale ormai era tecnicamente datato. Questo li fece sentir liberi di seguire il proprio gusto. Per Dave rimane il suo lavoro migliore nella coerenza di ogni elemento finalizzato a un unico scopo: farti sentire e farti pensare come il personaggio di un cartoon. Segreti dietro al successo del gioco? Lezioni imparate? Ha imparato che lavorare su qualcosa, non importa quanto piccolo o semplice possa essere il tuo contributo, può avere un effetto positivo inaspettato sulle persone. Ricorda di averlo capito quando vide una collega ridere a crepapelle per un dialogo tra Hoagie e il cugino Ted nel passato, riguardante il cappello della mummia. L'aveva scritto lui e non pensava che qualcuno avrebbe potuto reagire così.
Terminati Monkey 2 e DOTT, mentre Tim era gasatissimo dal suo progetto sui motociclisti (leggasi Full Throttle), lui si scoprì stressato e un po' disorientato. Quando gli chiesero di gestire The Dig dopo l'abbandono di Moriarty, non riuscì a lavorarci per più di un mese: non lo sentiva nelle sue corde più umoristiche, né avrebbe avuto senso renderlo umoristico. Tagliò alcuni passaggi contorti del game design, come enigmi che richiedevano la conoscenza di leggi fisiche o chimica, e ne semplificò altri che avevano troppi passaggi senza indizi. Alla fine cedette e andò dai capi: "Se lasciate me su questo gioco, precipiterò in una spirale e verrà uno schifo". Ringrazia ancora Sean Clark per esserselo preso in carico. "Non ci fosse stato il nome di Steven Spielberg di mezzo, quel gioco sarebbe stato di certo cancellato".
Deciso a guadagnarsi da vivere solo scrivendo e progettando, senza occuparsi della produzione, divenne freelance nel 1994. In quella veste fece un primo lavoro proprio per la LucasArts: la programmazione del destruction derby in Full Throttle, una patata bollente che nessuno si voleva sobbarcare, perché quel tipo di sequenza action era un incubo per lo SCUMM. L'engine infatti mancava dei calcoli in virgola mobile e della rilevazione delle collisioni, quindi creare una sequenza di quel tipo richiedeva un approccio un po' creativo e faticoso. Va fiero dello sforzo, ma meno del risultato, che ritiene goffo. A parte quello, mentre Tim era impegnato nella preproduzione, accettò di aiutarlo costruendo un trattamento preliminare della storia, solo per ordinare le idee sparse già esistenti: di quel trattamento non è rimasto nulla nel prodotto finito, servì solo a Schafer per non perdersi troppo nel suo primo assolo da capo-progetto. In compenso è rimasta la canzone che scrisse per Malcolm Corley mentre esce dal bagno!
Quando Ron pensò di fondare la Humongous Entertainment, in realtà Dave e Tim avevano già meditato di seguirlo, ma cambiarono idea quando lui decise che la sede della compagnia sarebbe stata a Seattle. Alla fine però Grossman finì sul serio per lavorare per la Humongous, per via del suddetto periodo di crisi, appunto da freelance. Scrisse un Freddi Fish e tre Pajama Sam, ma si rifiutò di scrivere il quarto quando la compagnia venne venduta alla Infogrames e respinsero la sua richiesta di ottenere delle royalty dai giochi. Divenne uno sceneggiatore / designer di giochi per bambini quindi quasi per caso, e collaborò anche ai titoli della Hulabee, sempre di Ron. Ricorda con piacere esperienze successive sul design di giocattoli, alla Fischer-Price e alla Blue Sky di Casey Ackley (moglie di Jonathan Ackley), una volta per conto della LEGO.
Differenze nello scrivere e progettare per i più piccoli? Sono più flessibili e fantasiosi nel trovare la soluzione agli enigmi, però in compenso devi illustrare loro meglio il contesto, la natura di qualche situazione o di qualche elemento narrativo, senza diventare troppo spiegone. Comunque cercarono sempre di intrattenere anche gli adulti che idealmente dovevano essere accanto a figli e figlie durante la partita.
Quando Dan Connors e Kevin Bruner decisero di creare la Telltale nel 2004, dopo aver lasciato la LucasArts in seguito alla cancellazione di Sam & Max Freelance Police, lo contattarono immediatamente: in effetti lui stava cercando un impiego fisso, essendosi sposato da poco, però voleva avere certezze economiche, che arrivarono di lì a pochi mesi. Cominciò revisionando i testi già scritti di Bone: Out From Boneville (2005), prima di dirigere Bone: the Great Cow Race (2006, uno dei suoi lavori migliori, ndDiduz). Era affascinato dalla sfida di adattare in avventura grafica una storia preesistente, quella della graphic novel di Jeff Smith, senza poter cambiare nulla della trama. Come fai digerire al giocatore l'idea che deve partecipare a una corsa in cui è previsto che perda?
Il game design episodico per i Telltale, quando era legato agli enigmi, era volutamente impostato per non essere troppo difficile, ma la decisione non aveva nulla a che fare con l'idea di un pubblico casual di riferimento. Lo si faceva per assicurarsi che i giocatori terminassero una puntata prima dell'arrivo dell'altra, specie quando si pensava di venderle singolarmente: non avrebbero comprato la successiva se non avevano finito la precedente! Trova tuttora che la pubblicazione dei sei episodi della Sam & Max Season One (2006-2007) fu un'impresa epica e sorprendentemente puntuale. Era una scommessa. "La gente pensa che con l'episodico puoi costruire le puntate coi soldi ricavati dalla prima: no, non puoi, passerebbe troppo tempo tra una e l'altra, devi sovrapporre le lavorazioni delle puntate!"
Quando i Telltale ottennero la licenza per realizzare Tales of Monkey Island, andò in panico per le aspettative che il progetto avrebbe avuto. Voleva cercare subito Tim e Ron, ma gli dissero che contrattualmente in quel momento non poteva, anche se poi fortunatamente ottennero Gilbert per un brainstorming di qualche giorno. Non che Ron fosse molto contento della cosa, perché fino a poco tempo prima aveva tentato di avere la licenza di Monkey Island per farci qualcosa, ed erano stati proprio i Telltale (inconsapevoli) a mettergli i bastoni tra le ruote.
Fortunatamente Tales venne bene: loda Mark Darin e Mike Stemmle per aver avuto l'idea del LeChuck umano, perché finì per far venire a galla il tema portante della storia, cioè la fiducia. Da quel punto di vista, il personaggio di Morgan Le Flay (che giudica tra i migliori della saga) era l'incarnazione ambigua proprio di questa tematica, tanto che gli risulta ancora una delle presenze più sfumate e complesse nel mondo di Monkey Island. Non ha nemmeno resistito all'idea di citarla ben due volte in Return to Monkey Island.
Lasciò la Telltale nel 2014 perché trovava sempre più difficile lavorare in un'azienda che era cambiata: arrivò che erano in 16, se ne andò quando l'organico aveva raggiunto i 250!
Non aveva mai realizzato quanto in un'avventura grafica, a livello di gameplay, venga veicolato dall'immagine, finché non ha progettato degli audiodrammi interattivi per l'Earplay. Eseguiti tramite Alexa, in alcuni casi (come un'avventura promozionale per Jack Ryan) pure vicini concettualmente al tipo di interazione del periodo tardo dei Telltale, obbligavano a una fusione totale tra interfaccia e contenuto, perché passavano solo dall'audio. Era facile che il giocatore dimenticasse dettagli della location, perché non poteva vederli ribaditi in un'immagine, ma doveva ricordarli per aver sentito la voce che li citava. Certamente una sfida di design, che però non è stata accolta con interesse da un numero di utenti sufficientemente alto (ma le persone non vedenti l'hanno apprezzata molto, facendolo sapere).
Dave rivela che, per quanto riguarda Day of the Tentacle Remastered della Double Fine, non è stato solo responsabile degli achievement. Nello stesso giorno in cui con Tim registrò il loro let's play, gli mostrarono una versione preliminare della Remastered... e i personaggi erano in 3D!?! Tim gli chiese un parere sincero e lui rispose che lo stranivano, perché il gioco era nato per omaggiare i cartoon stile Chuck Jones, piatti. Schafer allora si voltò verso Matt Hansen, producer della remastered, e disse: "Hai visto?"
Ci sono voluti sette mesi di negoziazioni tra la Lucasfilm / Disney, la Devolver e la Terrible Toybox per impostare il contratto riguardante Return to Monkey Island. In questo periodo Dave ha preferito tenersi lontano dal braccio di ferro delle righe piccole, tra la Lucasfilm che voleva avere l'ultima parola sul marchio e Ron Gilbert che voleva la libertà creativa necessaria (importante: non si parla qui ancora dei contenuti della storia o del gioco, si parla del tipo di rapporto da impostare tra le parti in causa, nero su bianco). La questione della segretezza ha complicato ulteriormente le cose, ma lui - dopo aver accettato preliminarmente di dividere con Ron quest'esperienza - ha atteso pazientemente che i contratti fossero ultimati e firmati, prima di cominciare a lavorare. Riguardo al rapporto avuto tra le parti in corso d'opera, sulle questioni riguardanti tagli, scelte e decisioni collettive da prendere, preferisce non dire nulla, proprio per la natura delicata di questo accordo.
Dave non ha un finale preferito di Return, tra quelli disponibili. Non ragiona però come Ron, che ritiene di averne uno ma di non volerlo rivelare per non trasformarlo in "canone". Dave in realtà pensa che il finale abbia senso proprio così, con quest'identità multipla che dev'essere completata dal giocatore con l'interazione (sono perfettamente d'accordo, ndDiduz). Gli piace che il giocatore occupi quello "spazio opzionale" che gli altri media non possono garantirgli.
In origine le storie raccontate da Guybrush dopo che entra nei Compari erano un enigma vero e proprio: bisognava comporle seguendo un senso particolare, erano un minigioco verbale, sulla falsariga concettuale del combattimento a insulti. La logica di composizione pensata da Dave però non ha convinto Ron, che l'ha ritenuta troppo arbitraria, ma hanno voluto comunque mantenere l'attività narrativa nel gioco, seppur libera, trovandola importante tematicamente.
In un anno stima di aver scritto lui l'85% dei dialoghi di Return, ma tra i contributi tutti di Ron ci sono l'interazione con Cobb e quello con i due pirati che non si fidano della scienza.
Per Monkey Island preferisce il formato episodico di Tales o quello classico? Diciamo che il classico lo attrae di più, perché è un "tipo da film più che da serie" e produttivamente è un approccio meno stressante e meno rigido: con l'episodico devi accertarti che ogni capitolo della storia abbia una sua corposità a sé stante, con il formato classico del gioco unico puoi anche renderli molto diversi in vastità e lunghezza. Allo stesso tempo però l'episodico ti permette di mettere gli stessi personaggi in contesti più vari, nelle singole storie, e quindi hai forse più possibilità di approfondirli al meglio.
Quali sono i suoi Monkey Island preferiti? Costretto a scegliere dall'intervistatore, alla fine opta per una sequenza 1)Return - 2)Secret - 3)Le Chuck's Revenge ex-aequo con Tales.
Cosa ne pensa dell'uso dell'IA nei videogiochi, per creare contenuti secondari? Se si parla solo di filler, pensa che funzionerebbe, ma se pensi ai contenuti secondari come a qualcosa che arricchisca l'esperienza principale, nel significato emotivo, l'IA per ora gli appare lontana da un traguardo simile.
Quale gioco antico vedrebbe volentieri rifatto? Lode Runner! "Ero drogato."
Non ha mai smesso di programmare, anche se preferisce lavorare come designer e sceneggiatore. Anzi, a questo proposito rivela un succoso e misterioso retroscena: sta lavorando sul prototipo di un progetto tutto suo... e conta di farci sapere presto qualcosa! Siamo pronti Dave!
Tim Schafer, prima e dopo Day of the Tentacle
E dopo Dave, nemmeno Tim Schafer si è potuto esimere da un'intervista per il trentennale del suo debutto da capo-progetto, chiacchierando con la youtuber Cressup. Schafer è uno degli ex-lucasiani più presenti in queste interviste, per via del suo impegno con la Double Fine, ma è bello incrociare i suoi ricordi con quelli di Dave, anche se gli elementi nuovi che emergono nella conversazione, in questo caso, sono prevedibilmente pochi.
Fu uno dei pochi che voleva essere alla Lucasfilm Games non particolarmente per Star Wars: gli piace, ma poi nemmeno troppo. Il suo film preferito della saga è L'impero colpisce ancora, ma non disprezza nemmeno Rogue One ("Perché sono maturo!"). Ad ogni modo, non si sente affatto il tipo in grado di creare contenuti in mondi inventati da altre persone. All'epoca era affascinato più dai primi giochi stile Rescue on Fractalus!. Al di là di tutto, la quarantina di persone che c'erano lì, del livello di Ron Gilbert, Noah Falstein e Brian Moriarty, erano una compagnia creativa perfetta.
Ha mai avuto la sindrome dell'impostore, quando iniziò a scrivere per The Secret of Monkey Island? "No, a dir il vero a stento mi sembrava di lavorare!" Lui e Dave furono scelti perché erano quelli che avevano messo più battute nella demo alla "SCUMM University", dove si imparava a usare il linguaggio dei punta & clicca: era la famosa demo con Sam & Max e il loro ufficio, in EGA, creati apposta per l'apprendistato dei nuovi programmatori assunti.
Ha realizzato che i videogiochi potessero essere umoristici giocando alle avventure testuali, The Hitchiker's Guide to the Galaxy in primis.
Consigli per la scrittura creativa? Sempre i soliti, ma repetita iuvant: 1) Allenarsi con la scrittura automatica (scrivere qualsiasi cosa venga in mente, senza fermarsi, per 15-20 minuti al giorno), per distruggere le autocensure; 2) Creare un trascorso di vita dei personaggi, anche se nei dialoghi non venisse mai esplicitamente citato.
Debuttare con Day of the Tentacle come capo-progetto (insieme a Dave Grossman) fu un vero colpo di fortuna, per varie ragioni. Si lavorava su un'impronta narrativa già definita, quindi al tuo esordio totale ti trovavi meno a disagio. Ron Gilbert, prima di andar via per fondare la Humongous Entertainment, lasciò un trattamento di qualche pagina sull'idea dei viaggi nel tempo, sul quale loro poi costruirono la sceneggiatura e i veri e propri enigmi. Come gestione, quando Ron che era stato il loro "capo" nei Monkey andò via, lui e Dave si trovarono capi-progetto ma allo stesso tempo forti di un particolare "cameratismo" paritario che si era creato tra loro, i grafici e gli altri membri del team, proprio perché prima erano stati tutti diretti da Gilbert.
Quando si trattò di scegliere personaggi del precedente Maniac Mansion da inserire in DOTT, erano indecisi tra Razor e Bernard, erano i due che piacevano di più all'intero team. Laverne fu ideata da Dave, con una descrizione che recitava "Studentessa di medicina che brandisce un'ascia": la cosa divertì molto il grafico Larry Ahern, che ci lavorò creando graficamente il personaggio. Hoagie è la parodia di un vero roadie dei Megadeth, fidanzato con la compagna di stanza all'epoca di Tami Borowick.
Ha mai modificato parti di una storia per esigenze di gameplay? Di solito in questi casi preferisce proprio tagliare, più che modificare, però proprio in DOTT ci fu una modifica di questo tipo: Laverne fu all'inizio bloccata sull'albero perché i primi playtest segnalarono che i giocatori si sentivano confusi dall'affrontare da subito gli enigmi combinati con tre personaggi.
Farebbe un'altra avventura grafica? Prima di Broken Age pensava che non ne avrebbe più fatte, e invece... inutile rilasciare dichiarazioni ferali ed epocali, conta l'ispirazione. Se arrivasse, perché no? Però terrebbe in conto che le avventure grafiche sono uno dei generi più dispendiosi: c'è molto lavoro dietro interazioni che occupano parti molto limitate e brevi del gioco. Altri generi sono economicamente più motivabili.
Cosa pensava dei due sequel avviati ma cancellati del suo Full Throttle? Proprio l'idea che esistessero lo disturbava: il primo nacque quando lui era ancora alla LucasArts, a sua insaputa, e gli fece realizzare con mano cosa significasse non avere il controllo legale sulle proprie creazioni. Riusciva comunque a stento ad accettarlo, perché lo stava dirigendo Ahern, che aveva fatto parte del team originale e conosceva mondo e personaggi. Hell on Wheels invece venne avviato quando aveva già fondato la Double Fine per Psychonauts e rimase molto perplesso: aveva sempre visto Ben come un eroe alla Toshiro Mifune, uno che accettava la violenza con riluttanza, stoico e distaccato. Nei trailer si vedeva invece un Ben attaccabrighe e gigionesco. Decise di ignorare del tutto il progetto (per non fare troppa bile, s'intuisce).
Nuove versioni e nuove disponibilità
Sono trascorsi dieci anni dall'uscita dell'affascinante The Cave di Ron Gilbert e della Double Fine, ma finalmente il gioco è approdato senza DRM su Good Old Games. Meglio tardi che mai, per un titolo che fa sempre piacere riscoprire (e del quale ho riparlato a fine gennaio, proprio per celebrarne il decennale). I sottotitoli italiani sono inclusi, insieme alle versioni Windows e Mac. Niente Linux, e gli achievement sono attivi solo sotto Windows. Curioso constatare che la Double Fine quindi può ancora autopubblicare il suo vecchio catalogo dove vuole, nonostante faccia parte ormai della famiglia Microsoft. Continua a essere apprezzato Star Trek Resurgence, la sorprendente opera d'esordio dei Dramatic Labs di Kevin Bruner, dedicata all'universo di Gene Roddenberry: la prima patch pubblicata qualche settimana fa ha risolto diversi problemi tecnici di cui il gioco soffriva su PC (dove ora si può aumentare la risoluzione a piacimento) e console. Ribadisco il mio consiglio: non sottovalutatelo. Return to Monkey Island si aggiorna con una nuova versione mobile, per iOS e Android. Era un settore che in effetti finora mancava all'appello per l'ultima avventura di Guybrush Threepwood, anche se a questo punto l'assenza di incarnazioni per l'old-gen Playstation 4 e Xbox One pesa ancora di più.
Ron Gilbert si prende una pausa
Siccome il canale di YT Conversations With Curtis non poteva proprio farsi mancar nulla, si è aggiudicato una lunga chiacchierata con Ron Gilbert, sospeso tra i postumi di Return to Monkey Island e un'altra eventuale impresa impegnativa, mentre si prende la pausa con il prototipo di un gdr action indie. Cosa ci ha raccontato Ron?
Si ritiene soddisfatto di com'è stato accolto Return, sia per la reazione dei fan sia per le vendite, crede che abbia colto quello che è Monkey Island. È nato con l'idea di rivolgersi ai fan della prima ora, ma senza alienare eventuali nuovi giocatori. Sapevano comunque che non avrebbero mai potuto fare qualcosa che non avrebbe fatto incazzare proprio nessuno, pensa fosse inevitabile. Non capisce però le critiche verso un'Elaine "irriconoscibile": "Mi suona ridicolo".
L'idea che Guybrush fosse in un parco a tema non è mai stata letteralmente tagliata da The Secret of Monkey Island, fu più che altro parcheggiata via via senza pensarci troppo, lasciando che il pubblico interpretasse gli anacronismi solo come trovate umoristiche. La posta fu alzata in Monkey Island 2: LeChuck's Revenge.
Col tempo il finale di Monkey 2 è diventato iconico, ma all'uscita alla LucasArts ricevettero una montagna di lettere di protesta! Erano di gran lunga la maggioranza! Inutile dire che Ron adora lo sfondamento della quarta parete e i finali improvvisi e spiazzanti: ama Monty Python e il Sacro Graal e Mezzogiorno e mezzo di fuoco.
Qual è la gag che preferisce di Return? Difficile guardare un proprio lavoro dal di fuori, però ha trovato divertente scrivere il modulo della dogana, perché è un tipo di cosa che nella vita reale detesta compilare. Dal punto di vista del design, gli piace quando sulla nave di LeChuck bisogna influenzare i voti della ciurma, perché quella sezione rilegge un tipo deviato di democrazia che c'era sul serio tra i pirati.
Lui e Dave Grossman hanno creato il finale componibile di Return di nascosto al resto del team: quando l'hanno rivelato, c'è stato un collaboratore (non ci dice chi), che non era d'accordo con l'impostazione, ritenendo che la risposta "giusta" dovesse essere sottolineata. Gilbert era inamovibile, perché non sopporta molto l'ossessione per la chiarezza del cinema contemporaneo (io aggiungerei l'ossessione SEO dei pezzi a volte involontariamente comici stile "La spiegazione del film X, del finale Y"). L'idea era fornire al giocatore gli strumenti per dare all'esperienza il valore che preferisse. La possibilità di tornare indietro nella fantasia e negare tutto non era inizialmente prevista, ma è stata creata per chi proprio non riuscisse a farsi andar bene nessuna delle altre scelte.
L'importanza delle folgorazioni. Quella più recente è stata quando, cercando di capire come legare l'inizio di Return alla fine di LeChuck's Revenge, qualcuno (non ricorda chi, era un brainstoming) ha buttato lì l'idea che alla fine di Monkey 2 avessimo visto il figlio di Guybrush. Altra folgorazione più antica: la lettura di Mari stregati di Tim Powers, quando non sapeva come far funzionare la storia di pirati che aveva in mente, e leggendo quel romanzo capì di poter usare l'elemento magico (a patto che si parlasse del voodoo) e di poter proporre un protagonista che NON fosse un pirata sin dall'inizio (cosa peraltro perfetta per l'immedesimazione di un giocatore, nelle sue stesse circostanze di pesce fuor d'acqua).
Naturalmente non era prevista dal 1989 l'idea che Return, il suo terzo capitolo, rappresentasse una terza fase della loro vita da sviluppatori riflessa in Guybrush, dopo l'esordio (Secret) e le difficoltà di esserne all'altezza (LeChuck's Revenge), così come viene spiegato nella lettera scritta da lui e da Dave, inserita nel gioco. Sono ragionamenti che si fanno col senno di poi, ma sono anche un po' inevitabili con un titolo che, volente o nolente, doveva confrontarsi col concetto di nostalgia.
Perché ha deciso in Return di non ignorare alcuni elementi nati nei Monkey Island non suoi, come Murray, che esordì in The Curse of Monkey Island? Premette che continua a non sopportare l'idea che Elaine abbia sposato Guybrush, ma c'è stato un lore imponente creato da chi ha lavorato sul marchio dopo di lui, ignorarlo del tutto sarebbe irrispettoso sia verso i fan di quegli altri giochi, sia verso chi li creò. È un equilibrismo, vuoi fare quello che ti interessa ma non vuoi nemmeno calpestare tutto il resto.
Come ha vissuto l'arrivo del doppiaggio nella saga di Monkey Island, partita muta? "Dominic Armato non suona per niente come il Guybrush che avevo in testa io, ma è perfetto, non cambierei nulla di come lo interpreta". Il punto è che, quando scrivi, non pensi semplicemente che un attore o un'attrice renderà giustizia al testo, speri in realtà che vi aggiunga qualcosa a cui non avevi mai pensato.
Versione preferite dei suoi giochi? Sempre le prime, per ragioni "puramente nostalgiche". Per Monkey 1 quella DOS EGA a 16 colori, fosse solo per il lavoro straordinario di Mark Ferrari sul dithering. Per Maniac Mansion non c'è storia: Commodore 64 tutta la vita.
Traghettare un marchio negli anni presuppone che il pubblico cerchi "la stessa cosa ma diversa", un ossimoro che ti costringe all'ennesima acrobazia. I focus testing possono essere fuorvianti, perché le persone tendenzialmente "sanno cosa gradiscono ma non sanno quello che vogliono". Trova noiose le produzioni fatte apposta per i fan, come i lavori Marvel (per un motivo analogo preferisce le lavorazioni a porte non troppo aperte, perché come creativo devi avere "la libertà di sbagliare"). Se per esempio avesse saputo che i combattimenti a insulti erano stati così apprezzati in Monkey 1, non pensa comunque che li avrebbe messi nel secondo capitolo solo per quella ragione. La Lucasfilm Games non funzionava così, basti pensare che LeChuck's Revenge nacque solo perché all'interno della compagnia si considerava quel mondo interessante: "Penso che oggi, se si fossero saputi i dati di vendita del primo capitolo, nessuna compagnia avrebbe approvato la lavorazione del seguito". Molte cose cambiarono dopo che lo storico primo presidente Steve Arnold se ne andò: se gli avessero approvato la sua proposta per le avventure grafiche rivolte ai bambini, forse non se ne sarebbe mai andato per fondare la Humongous Entertainment.
Pensa che l'esperienza alla Humongous, nel calibare la chiarezza espositiva del design per i bambini, lo abbia aiutato nell'impostare oggi avventure grafiche meno estreme e più adatte a tutti. Non era un fan dei sistemi di aiuti integrati nel gioco, tanto che nella prima versione di Thimbleweed Park mancavano, ma ci ha ripensato: è sempre meglio di una soluzione cercata online, perché non ti spinge a uscire dal gioco e soprattutto si adatta al momento preciso che stai vivendo, senza rischio di spoiler per enigmi che non hai ancora incontrato e che magari potresti tranquillamente risolvere.
La rete può viziare uno sviluppatore, che magari pubblica qualcosa mettendo già in conto di lavorare sui bug inevitabili tramite patch. È molto fiero del lavoro svolto dai tester di Return, che ha ricevuto aggiornamenti più che altro per problemi di driver. All'epoca della Lucas, non potendo fare affidamento sulle patch per ragioni logistiche, si creava una "release candidate" e la si lasciava in testing intensivo per due settimane senza sfiorarla più. Se un bug saltava fuori, il ciclo delle due settimane ripartiva.
L'amoralità delle azioni di Guybrush era una cosa che li preoccupava sempre, perché per Ron è legata alla caratterizzazione del personaggio, alla sua essenza. Guybrush non è mai malizioso o cattivo, non agisce per fare deliberatamente male a qualcuno, ma piuttosto ignora le conseguenze del perseguimento cieco dei suoi fini. Doveva sempre essere così, e il confronto tra Elaine e Guybrush nel pre-finale di Return è la prima volta in cui ci hanno riflettuto scopertamente, in una scena esplicita di un suo Monkey Island.
Recrimina sui tagli in Return? "Recriminare" non è la parola giusta: semmai è triste di aver perso l'intera isola di Cogg (che è rimasta come easter egg) e di aver ridotto la sezione su Monkey Island a 1/3 di com'era. Sono state tutte però decisioni prese per motivi specifici che non rinnega, per lui tagli giusti. La parte su Monkey per esempio era troppo stiracchiata e non stava funzionando come sperava nel playtesting.
Qual è la versione canonica di Return, la "Writer's Cut" o quella senza le interazioni secondarie extra? [Ride]: "La Writer's Cut riguarda quasi tutta roba di Dave, quindi lui vi dirà che è quella canonica, io preferisco l'altra!"
Attualmente si sta dedicando al suo piccolo gdr d'azione, ma più che altro come espediente per liberare la mente e ricaricare le batterie creative, anche se pensa che lo pubblicherà. Rivela di aver avuto un'idea che gli piace molto per un Thimbleweed Park 2, non è detto che la perseguirà, ma se lo facesse promette: "Sarà un gioco che tantissima gente detesterà".
Torna a citare Firewatch come ottimo esempio di avventura contemporanea: anche se si allontana dagli enigmi, trasmette comunque all'utente l'idea di influire su quello che lo circonda. Soprattutto, è una storia "per adulti" nel senso più maturo del termine, perché non narra nulla di davvero eclatante. Ammette di essere stato (proprio lui!) spiazzato dal finale che è quasi un anticlimax, ma l'ha apprezzato sempre di più a mano a mano che ci ha riflettuto.
Vecchi filmati riemergono
Il canale YouTube NOCLIP, già autore di apprezzati documentari sul mondo dei videogiochi, ha messo mano su una quantità sterminata di materiale promozionale antico. Come viene spiegato, i video contenuti in vecchie cassette analogiche beta (o peggio) non erano destinati a una condivisione pubblica, oppure furono digitalizzati in bassissima qualità ai tempi dei siti che prevedevano velocità di connessione dial-up o da vecchia ADSL. Tra materiale del tutto inedito o potenzialmente riproponibile in HD, c'è un vero patrimonio che salveranno via via. Come buon assaggio, hanno piazzato online un demo a porte chiuse di Star Wars: Knights of the Old Republic: risale al 2001, quindi a due anni prima della pubblicazione del gdr BioWare, e i fan si divertiranno a notare le differenze col titolo poi giunto sugli scaffali.
A questo punto sogno qualcosa in alta qualità per Full Throttle: Hell on Wheels (cancellato nell'estate 2003) o magari persino di Sam & Max Freelance Police (cancellato nella primavera 2004), anche se temo che quest'ultimo non sia mai stato protagonista di una presentazione pubblica, a differenza di Full Throttle 2. Mi sembra una bellissima iniziativa, considerando che proprio in questi giorni il dibattito sulla preservazione videoludica ha assunto tinte inquietanti: c'è ancora tantissimo da fare.
400 numeri di The Games Machine!
Non rispondete "Ah, ma esce ancora?" È uscito il 400° numero di The Games Machine, un evento notevole da più di un punto di vista: la rivista si conferma la più longeva del mondo occidentale, seconda nel mondo solo a Famitsu. Il valore di questo traguardo, insieme al 35° anniversario a settembre, viene amplificato dalla progressiva estinzione dell'editoria periodica cartacea, in un cimitero italiano di edicole (io stesso ammetto di riceverlo per abbonamento, perché mi era diventato difficile proprio trovarlo in un'edicola che non fosse troppo lontana da casa!). Insomma, TGM 400 è un mezzo miracolo. Non andrebbe sottovalutato il fatto stesso che The Games Machine sia ancora tra noi. Per chi cercasse un approfondimento sulla questione riviste, rimando al mio articolo "Le riviste di videogiochi non servono più?", che scrissi ormai ben sei anni fa (con successivi aggiornamenti), ma nel quale mi riconosco ancora. Vi ricordo che, nelle schede delle avventure grafiche storiche lucasiane, dal 1986 al 2000, trovate sempre link verso gli scan delle recensioni cartacee d'epoca, tra Zzap!, TGM, K e ZETA. Per capire com'eravamo, come pensavamo... e confrontarci con chi siamo ora. No, non siamo peggiorati, siamo cambiati... ed è bello che ci sia qualcosa di concreto a fungere da testimone di questo lunghissimo percorso.
E ce l'abbiamo fatta! Onestamente non so cosa farò per l'aggiornamento di fine agosto. Per ora voglio solo riposarmi. Buone vacanze! :-) Ciao, Dom
30-6-2023
È iniziata l'estate, insieme agli impegni estivi, come per esempio cercare di apparire eleganti col caldo, quando vi invitano a un matrimonio (durissima!). Suo malgrado, a questo giugno 2023 spetta il compito di ospitare e celebrare due eventi epocali: il trentennale di Day of the Tentacle e il gran finale cinematografico dell'Indy di Harrison Ford, con Indiana Jones e il Quadrante del Destino, al cinema da un paio di giorni mentre scrivo. Andiamo per ordine.
Una botta di vita in nome dei 30 anni di Day of the Tentacle
Ormai dovreste già saperlo: il 25 giugno ho pubblicato il primo video della storia di Lucasdelirium, per celebrare i 30 anni di Day of the Tentacle, che vide la luce nel giugno 1993. Come sempre in queste situazioni, mi chiedo come festeggiare in modo adeguato e auspicabilmente stimolante non solo per chi segue il sito, ma pure per me. Da pubblicista, mi son fatto anche troppe remore nel corso degli anni nel compiere questo salto, e diverse ospitate nell'ultimo paio d'anni mi hanno preparato a buttarmi in questo primo esperimento autogestito. Siccome però realizzare video è MOLTO impegnativo, non sarà un'attività a cadenza regolare e non sostituirà il lavoro sulle usuali news e sulle schede, che peraltro per me mantengono un valore che un video non può rimpiazzare. Proprio per questa ragione ho concepito il lavoro come un approfondimento un po' "crossmediale", facendo cadere qualche barriera tra i miei interessi e facendoli comunicare tra loro per dare vita a un discorso che allarga il respiro dall'analisi più strettamente videoludica. Ringrazio già tutti quelli che si sono iscritti al canale e mi hanno mostrato il loro sostegno!
Naturalmente non sono stato di certo l'unico a celebrare Day of the Tentacle, una delle avventure grafiche punta & clicca più amate della storia. Il bravo Onaretrotip, che già aveva festeggiato il trentennale di Monkey 1 con un documentario nel 2020, ne ha realizzato un altro per DOTT. Allo stesso tempo, i letteralmente infaticabili canali di Conversation With Curtis e Cressup hanno messo sulla graticola rispettivamente Dave Grossman e Tim Schafer. Sfortunatamente, è tutto materiale fresco appena pubblicato, quindi non ho avuto il tempo di vederlo e scandagliarlo per voi (e per me) in questo giro di news. Il documentario mi incuriosisce particolarmente, perché Onaretrotip ha coinvolto non Tim e Dave, bensì gli altri membri del team, che magari hanno avuto meno voce nel corso dei decenni. Rimando al prossimo giro un sunto di quanto di nuovo sarà venuto fuori da queste belle iniziative.
Indiana Jones è tornato: le mie esperienze
Ho visto Indiana Jones e il Quadrante del Destino per lavoro a metà giugno in lingua originale sottotitolato, l'ho rivisto ieri in italiano, da spettatore. Non c'erano embarghi (caduti dopo la presentazione a Cannes a metà maggio), ma confesso di avere avuto difficoltà a parlarne subito perché ho trovato difficile capire come pormi. Decisamente non è stato semplice come lo fu dopo il Teschio di Cristallo. Sono stato impegnato a coprire il film di James Mangold con un eroico Harrison Ford in diverse attività lavorative: tre conferenze stampa in streaming (a Cannes, negli Usa e a Taormina); una versione riveduta e corretta di un articolo che creai nel 2008 ("Indiana Jones, storia di un eroe multimediale"); un'intervista con Kathleen Kennedy e Frank Marshall (per me una vera emozione).
Per dire proprio la mia ho invece preso tempo, perché un mio collega presente fisicamente a Cannes aveva già coperto la recensione a metà maggio, e perché appunto volevo rivederlo. Ho scritto per lavoro un commento / editoriale più ufficiale, un'analisi mezza storica e mezza "linguistica", "Indiana Jones e la Maledizione dell'Ultima Crociata". Un giudizio più tradizionale ve lo lascio qui.
Indiana Jones e il Quadrante del Destino: il mio giudizio
Indiana Jones e il Quadrante del Destino è un film che va accettato, prima che valutato. L'idea di un Indy anziano, affaticato e abbattuto dalla vita è una contraddizione in termini, rispetto a quello che - almeno per me - è sempre stato il personaggio nella mia testa. Questa chiara (volontaria!) intenzione narrativa di fondo non è nemmeno compensata dalla leggerezza del tocco registico di Steven Spielberg, perché come sapete la regia è passata a James Mangold: non che manchino battute o gag, ma sono pochissime, e la messa in scena non è quella autoironica tipica di Spielberg, anzi ci sono spiazzanti morti e uccisioni crude che non ti aspetti nel contesto. La confezione è da film epico/fantastico/action medio dei giorni nostri, non ci sono quelle inquadrature e quei movimenti di macchina che trasformano persino un dialogo in una coreografia da musical spiritoso della Hollywood antica. Assumendo il tono di Sallah in una scena vista anche nei trailer, scrivo: mi manca... la "formula del sorriso" di Spielberg, inimitabile davvero. Però...
Superato tuttavia questo spaesamento, Il Quadrante del Destino ha un perché che Spielberg e Lucas, pur nella loro più carismatica e distintiva confezione, non erano riusciti a trovare col Teschio di Cristallo (o non avevano avuto voglia di trovare). Consapevole di non poter essere all'altezza dei suoi miti, Mangold con i suoi cosceneggiatori Jez & John-Henry Butterworth si è rimboccato le maniche, mettendosi in ascolto delle esigenze di Ford, assicurandosi di avere una bussola. Perché questo quinto film ha un'anima drammatica che funziona (posto che la si accetti, appunto), in una vicenda costruita con intelligenza, nel significato simbolico del rapporto tra Indiana e la figlioccia Helena: lui è debole ma nonostante tutto incarna ancora i suoi valori, lei è giovane e forte, ma è ancora una simil-Indy cinica "vuota". Il McGuffin non è affascinante come il Graal o l'Arca, però è perfettamente coerente con il tema del racconto: il peso del tempo che, soprattutto nella vecchiaia, fa traballare la nostra identità e ci mette alla prova.
Il climax (che non svelo) riesce poi a proporre qualcosa di visionario e azzardato, però non fuori tema come "gli esseri intradimensionali" di cristallina memoria: è così sensato poeticamente per il personaggio, che ho iniziato a commuovermi da lì, per poi ricevere il colpo di grazia con la meravigliosa scena finale. Non so se tutti riterranno il film migliore del Teschio di cristallo, perché le due opere mi risultano così diverse da essere quasi imparagonabili: tanto era goliardicamente finto e scherzoso il Teschio, tanto è dolente nell'anima e un po' amaroIl Quadrante, quindi nessuno dei due centra l'equilibrio magico tra emozione vera e ironia dell'Ultima crociata. La bilancia può pendere da un lato o dall'altro a seconda si preferisca il tocco di Spielberg a prescindere, o al contrario una ritrovata atmosfera internazionale del Quadrante.
Ciò che Harrison Ford a 80 anni incarna qui è però per me il valore aggiunto: confrontando il suo corpo giovane con quello attuale, tra il prologo con ringiovanimento digitale e il resto del film, non nascondendo la fatica in diverse sequenze in cui subisce la violenza dei cattivi, abbatte le barriere tra attore e personaggio. Il suo bilancio diventa quello di Indy, in un'intimità dolce con lo spettatore, potenziata dall'ancora più tenace John Williams, che a 90 anni (!!!) ha generosamente sfoderato una colonna sonora che sostiene tantissimo Mangold nell'improbo confronto col passato. Mantengo qualche riserva su una durata smodata di due ore e mezza che avrebbe per me beneficiato di qualche sforbiciata, o sul compositing digitale dell'Harrison giovane nel prologo, quasi perfetto nell'immagine ma un passo indietro nella voce. Dopo una seconda visione io scelgo tuttavia convintamente il Quadrante. Spielberg l'amerò sempre e comunque, non se ne avrà a male se all'ultimo giro preferisco prendere Indiana molto più sul serio. Direi che adesso il percorso è completo. Come accaduto per Indiana Jones e il Regno del Teschio di Cristallo, ora non mi rimane che lasciar sedimentare il film nel mio immaginario, per reincontrarlo magari più avanti e capire se queste sensazioni ed emozioni saranno confermate dal tempo.
Indiana Jones e il risveglio videoludico
Un attimo però! Un evento del genere non poteva che svegliare altre parti dell'universo lucasdelirante. Cito innanzitutto il lettore Thomas Zanelli, che mi ha mandato una versione aggiornata della sua meticolosa guida per Indiana Jones e la macchina infernale (1999) di Hal Barwood. Nemmeno a farlo apposta, il programmatore ex-Lucas Aaron Giles, l'autore dell'emulatore DREAMM di cui vi ho parlato a più riprese negli ultimi mesi, ha avviato la beta 2.1 di DREAMM, che supporta proprio La macchina infernale e persino il casual game Indiana Jones and His Destop Adventures, sempre di Barwood! Ora davvero il DREAMM comincia a seminare ScummVM: l'emulazione delle librerie grafiche dei vecchi Windows, senza necessità di installare macchine virtuali, è una vera meraviglia. In questo modo oltretutto questi giochi diventano 100% compatibili con Mac e Linux, ora aggiunto ai sistemi sui quali DREAMM gira. La v. 2.1 è in beta e ci sono ancora alcuni problemi (e quando posso sto dando ad Aaron una mano per individuarli e risolverli), però è un lavoro pazzesco, estremamente importante per preservare la completa anima videoludica del prof. Jones.
A proposito, nemmeno l'uscita del nuovo film ha smosso qualche immagine, trailer o notizia concreta sul nuovo gioco di Indy in lavorazione presso la Machine Games per la Bethesda, annunciato a inizio 2021 (!) con un teaser. In compenso ci sono state polemiche perché è diventato esclusiva Microsoft (limitato a Windows e alle Xbox, peccato). Una voce sostiene che alterni prima e terza persona, a seconda di quello che la storia propone. Interessante, però non facciamo passare anni e anni prima di vederlo, come sembra ormai prassi con Indy! Come al solito, Star Wars invece procede spedito addirittura col suo primo open-world, Star Wars: Outlaws, realizzato da Ubisoft Massive e in arrivo nel 2024.
Il ritorno di Monkey Island dopo il ritorno... di già?
Qualche settimana fa è stata la notizia del giorno, tanto che non mi sono potuto esimere da una segnalazione social extra. A nemmeno un anno di distanza dal Return to Monkey Island di Ron Gilbert, la Lucasfilm Games e il suo executive producer Craig Derrick colpiscono ancora nel mondo di Monkey Island. E non me l'aspettavo, men che mai così. The Legend of Monkey Island sarà un'espansione gratuita in tre atti (in uscita uno al mese, dal 20 luglio) per l'MMO Sea of Thieves di Rare / Microsoft per Xbox e Windows. Partita nel 2018, l'esperienza multiplayer di SoT ha guadagnato terreno nel corso degli anni, diventando estremamente popolare e ottenendo varie espansioni, anche più narrative chiamate "Storie Assurde", ambito nel quale ricadrà Legend of Monkey Island (accessibile dal cosiddetto "Sea of the Damned"). La Disney aveva già concesso tempo fa la licenza di Pirati dei Caraibi per l'espansione A PiratÈs Life, e se ricordate tempo fa vi segnalai che proprio in quel contesto c'era un corposo easter egg legato a Monkey Island: si rinveniva il diario di Kate Capsize, che raccontava come avesse cercato in lungo e in largo Guybrush Threepwood per vendicarsi del brutto tiro che le aveva giocato in Monkey Island 2. In effetti l'avvicinamento tra la Rare / Microsoft e la Lucasfilm / Disney era già avvenuto... e ora esplode.
Importante: è pur sempre SoT, quindi NON si interpreterà un personaggio della saga di Monkey Island, ma come al solito il proprio avatar. Si giocherà visitando le isole di Melee e Monkey, e incontrando molti beniamini della serie, Guybrush incluso, a quanto pare prigioniero di un sortilegio ordito da LeChuck. La vicenda si svolge durante la luna di miele di Guybrush ed Elaine dopo il finale di The Curse of Monkey Island. Se vi state domandando, come me non conoscendo Sea of Thieves, se il gioco sia affrontabile in single player, la risposta è purtroppo negativa, o meglio: volendo si può affrontare il gioco da soli invece che con tre compagni, gestendo in solitaria una nave più piccola, ma si incontrano comunque bellicosi pirati guidati dagli altri giocatori.
Il direttore creativo della Rare responsabile di SoT, Matt Chapman, ha spiegato sul sito ufficiale Xbox cosa aspettarsi da quest'esperimento: l'idea è coniugare lo spirito punta & clicca delle avventure grafiche con qualche enigma, però nell'immersività esplorativa di SoT, raccontando una storia originale. Ci saranno nuove aree nelle vecchie location, che magari i giocatori potevano aver immaginato. Lo scopo ultimo è far scoprire Monkey Island a chi non lo conosce. Traduco qualche stralcio:
Durante lo sviluppo di A PiratÈs Life abbiamo pensato a una potenziale storia con Guybrush ed Elaine che si trovavano nel Sea of Thieves. [...] Per questo, dopo aver fatto Pirati dei Caraibi, era Monkey Island il franchise successivo che ci spingeva a pensare: questo sarà il prossimo sogno da far avverare. Sarà un'altra occasione per poter dire: doveva succedere, per forza. [...] In The Legend of Monkey Island il gameplay prevede che vi troviate in quegli spazi, con la sensazione di poterli esplorare al vostro ritmo. Potete parlare ai personaggi, cominciare a capire gli enigmi mentre si dipanano davanti ai vostri occhi. In definitiva, il sapore e la sensazione che arriva dall'interagire coi personaggi sono molto particolari, rispetto a quello che abbiamo fatto finora.
Devo dire che questo annuncio mi ha messo in crisi, più di quanto avesse fatto Sam & Max: This Time It's Virtual, che mi costrinse ad affrontare la realtà virtuale. Ogni tanto ci sta uscire dalla propria comfort zone, ma io non gioco in multiplayer, sono un single player vecchia maniera, per varie ragioni, spirituali ma anche logistiche. Questo tipo di esperienze multiplayer online richiede inoltre una dedizione prolungata, per poterle padroneggiare abbastanza da non finire ripetutamente umiliati dagli altri giocatori. Devo ancora capire come posso coprire quest'evento senza azzerare le mie altre attività (magari esagero, però senza esperienza tangibile non ho nemmeno le carte per valutare le tempistiche per quanto riguarda la mia persona e le mie capacità). Mentre medito, qualche considerazione.
A pelle, mi sembra... troppo presto. Sarà che sono stato abituato ad attendere anni tra un'esperienza di Monkey Island e l'altra, questo Legend che arriva a dieci mesi da Return sovverte le mie abitudini di metabolizzazione monkeyislandiana... e mi sembra appunto meno "evento". Anzi, segnala chiaramente che la Lucasfilm Games / Disney comincia a fare sul serio con Monkey, e spero non sia l'inizio di uno sfruttamento eccessivo del marchio. D'altro canto, SoT ha trenta milioni (!!!) di giocatori nel mondo: dal momento che Legend sarà gratuito, la saga di Monkey Island avrà semplicemente il più grande potenziale uditorio mai visto, così come l'avranno caratteristiche molto "avventuriere" tipo la risoluzione di enigmi e l'interazione con i personaggi (sulla carta). Naturalmente avrà valutato ciò che ne verrà fuori, ma mi pare un'iniziativa preziosa e lodevole.
Due parole sulla questione Ron Gilbert (che nel frattempo ha condiviso un interessante pezzo di codice SCUMM che governava lo scontro finale con LeChuck in Monkey 2). Gilbert non ha avuto nulla a che vedere con Legend e su Mastodon ha scritto: "Solo per chiarire la questione Sea of Thieves, visto che la stampa pressupone cose: mi hanno avvisato prima dell'annuncio, ma non mi è stata data la possibilità di essere coinvolto in modo significativo. Auguro tutto il bene al gioco. Amo Monkey Island". Parere? Com'è sempre successo nel corso di venticinque anni e più, avrebbero potuto consultarlo attivamente o coinvolgerlo, e sarebbe stato auspicabile, a maggior ragione dopo aver sbandierato un ritrovato canale di comunicazione tramite la sorpresa di Return. Ma non sono tenuti a farlo. Mi dispiace umanamente che Ron non sia stato coinvolto, ma avendo io sempre coperto con curiosità non meno convinta i Monkey non gilbertiani, e avendo ormai constatato che Gilbert stesso non si chiama fuori dalla continuity più lucasiana avviata da Curse, non vedo in quest'estraneità un difetto a prescindere. Tra parentesi, le tempistiche di questo DLC di SoT sono tali da farmi pensare che fosse già in lavorazione nella fase di chiusura di Return, perciò penso che concretamente Gilbert non avrebbe avuto tempo di contribuirvi in modo significativo. Valuto a occhio, non ho prove in merito.
Al di là di quest'annosa questione, mi ha colpito di più una nuova tendenza opposta, che arriva da qualcuno che ha detestato Return, ne è rimasto deluso e ora vede nelle immagini di Legend una riscossa, un recupero del "vero" spirito più piratesco di Monkey Island. Ho già tenuto a spiegare che Legend mi incuriosisce, lo accetto senza problemi come accettai i Monkey non gilbertiani, ma appare abbastanza plasticoso e comunque cartoon. Non deforme come Return magari, certo, però nemmeno similrealistico come erano più o meno volontariamente i primi due Monkey. L'umorismo mi appare dal trailer comunque edulcorato e "disneyzzato" (se temete questo genere di cose), con un fanservice a tutta randa che non si preannuncia particolarmente stimolante sul piano narrativo: una sorta di visita guidata in un parco a tema virtuale che, per carità, proprio in questo approccio diverso potrebbe risultare fresca e vincente. Ma è un'operazione così contemporanea, come proposta commerciale e ludica, che non riesco a leggervi nulla che mi richiami lo spirito antico della serie. Mi chiedo cosa sarebbe successo se Legend fosse stato annunciato quando la protezione del "Monkey mai fatto di Ron Gilbert" era ancora attiva: temo che sarebbe stato travolto dal sarcasmo e dalla diffidenza. Il lato positivo di queste reazioni è che testimoniano tangibilmente come il miracolo si sia compiuto: caduto il muro del "Monkey 3a di Ron Gilbert", è scattata una flessibilità (che accolgo a braccia aperte!) verso il modo di presentarsi del marchio. Ora però non rimane che coltivarla e usarla per riscoprire come pienamente legittimo pure il lavoro duro che fu svolto su Curse, Fuga da Monkey Island e soprattutto Tales of Monkey Island, da autori "illegittimi" che ormai di illegittimo hanno ben poco. Ammesso e non concesso che illegittimi lo siano mai stati. ;-)
L'inondazione di ricordi di Aric Wilmunder
Aric Wilmunder è stato il responsabile della coprogrammazione dell'engine SCUMM alla Lucasfilm Games / LucasArts, nonché della sua manutenzione quando Ron Gilbert se ne andò per fondare la Humongous Entertainment. Tra i veterani lucasiani è quello intervistato più di rado, perciò non stupiscono le 4h 30m (!!!) della sua chiacchierata sul canale Conversations With Curtis, ormai lanciatissimo nello spremere la memoria di questi ultra-veterani dell'industria. Penso che apprezzerete il (lungo!) lavoro di riassunto che vi propongo qui in basso.
Ha iniziato a programmare a 12 anni. Suo padre lavorava alla Stanford University, vivevano a Palo Alto ed ebbe accesso a un HP 2000, per programmare con l'HP Basic. Lui e un suo amico erano fra i più interessati dei trenta ragazzini in quella classe, lui stesso modificò il listato di un gioco di Star Trek, anche se poi una rielaborazione di una sciarada sconcia, trovata su Playboy, fece infuriare il loro insegnante!
Al college era già affascinato del tutto dalla programmazione, e avere accesso nel quartiere a una versione di Spacewar! non fece che aumentare questa fascinazione. All'università trovò subito il linguaggio FORTRAN molto noioso, così cercò di bruciare le tappe, iscrivendosi a corsi più avanzati.
Il primo lavoro nei videogiochi furono i porting Atari 800 presso l'Automated Simulations (poi Epyx), con Star Warrior: un lavoro estivo, per non bighellonare troppo nella pausa dagli studi. Poi fu la volta di Crush, Crumble and Chomp e Temple of Apshai. Si pagò il college con quelle conversioni. Non vedeva l'ora di laurearsi, perché aveva capito che da programmatore avrebbe guadagnato bene.
Allo stesso tempo Aric amava il cinema, stava frequentando dopotutto l'USC, dove aveva studiato anche George Lucas. Ricorda con affetto quando suo padre da piccolo lo portò allo studio Disney che stava lavorando sul Libro della Giungla. Da bambino aveva visto pochissimi film, ma ricorda Una cascata di diamanti (1971), perché furono invitati al cinema con l'attrice che interpretava Bambi, era un'amica di famiglia! Anni dopo, un incontro all'università col producer Gary Kurtz, con visione dell'Impero colpisce ancora (1980) in anteprima per gli studenti dell'USC, gli fece decidere di dedicare la sua vita al matrimonio tra programmazione e spettacolo audiovisivo, narrativo. Coincidenza: era proprio quello che George Lucas cercava, quando creò la Lucasfilm Games, sicuro che il matrimonio prima o poi s'avesse da fare.
Dopo il college ricevette due proposte di lavoro, dalla NASA e dall'Atari: indovinate quale scelse? Fu proprio la posizione all'Atari a farlo entrare in contatto con i programmatori dell'appena nata Lucasfilm Games, alle prese con il tecnicamente notevole Rescue on Fractalus! di David Fox e The Eidolon. All'Atari non riuscì a completare Star Raiders 2 prima di essere licenziato, a causa di un riassetto dell'azienda, e per fortuna aveva trovato degli amici alla Lucas, interessati alle sue doti: aveva chiacchierato con loro così tanto, commentando il suo e il loro lavoro, che saltarono il colloquio, con suo stupore ("Non ce n'è bisogno, te l'abbiamo già fatto e non te ne sei accorto!").
Ricorda il primo periodo alla Lucasfilm Games, la stanza condivisa con Ron Gilbert, appena arrivato. Erano entrambi su Koronis Rift, Ron al lavoro sulla versione per Commodore 64, lui al solito sull'Atari 800. Coordinandosi cercavano di capire quale parte di codice potesse adattarsi a entrambe le macchine (che usavano entrambe varianti della mitica CPU 6502), e quali fossero specifiche per i due sistemi, come la visualizzazione grafica. Un giorno litigarono anche mostruosamente, Gilbert uscì sbattendo la porta, poi rientrò col sorriso sulle labbra dopo cinque minuti: "Okay, ora che ci siamo sfogati, risolviamo la cosa". E trovarono una soluzione che convincesse entrambi!
Alla Lucasfilm Games per ogni gioco pubblicato ce n'erano almeno altri quattro rimasti allo stadio larvale e mai avviati. Lui lavorò su Habitat di Chip Morningstar e Randy Farmer, un proto-metaverso online prima che il concetto esistesse, in collaborazione con la Quantum Link: lui si occupò delle routine grafiche, avendo molte idee che furono poi utili per lo SCUMM, come la divisione dei corpi in parti animabili separatamente, per risparmiare memoria. Fu una sfida trovare col codice soluzioni per ovviare ai limiti grafici. Il problema di Habitat era che gestiva una mole di dati molto pesante per i modem di allora, tanto che altre esperienze multiplayer negli anni Ottanta si basavano essenzialmente su chat testuali. L'esperienza comunque servì a Chip Morningstar per creare il compilatore dello SCUMM, quando Ron ebbe l'idea di creare il linguaggio durante la lavorazione di Maniac Mansion. Delle esperienze che facevano non si buttava mai via nulla!
Di Maniac Mansion ricorda la scoperta del rapporto tra interattività e non interattività: quando ebbero l'idea delle "cutscene", le scene che riguardavano altri personaggi non controllati dal giocatore, in un'altra parte della casa, capirono che far sparire il cursore era un buon modo di segnalarle a chi giocava, magari disorientato da una pratica allora non diffusa.
Wilmunder decanta le lodi del linguaggio SCUMM anche per quello che rappresentava: un sistema non rivoluzionario ma evolutivo, una costruzione costante di miglioramenti sulla stessa filosofia, sempre adeguatamente documentati (Aric mostra il possente manualone dello SCUMM!). Sembra incredibile a dirsi, ma i comandi di base di Maniac Mansion c'erano anche, uguali, in The Curse of Monkey Island, uscito dieci anni dopo! Si osservava il mercato, si alzava l'asticella tecnica via via. C'erano oltretutto miglioramenti invisibili agli utenti: tra Maniac e Zak McKracken per esempio lo SCUMM imparò a gestire tutti gli aspetti del gioco, mentre in Maniac alcuni elementi, come il numero totale dei personaggi, i loro colori e i colori dei loro testi, erano ancora impostati in linguaggio macchina, al di fuori dei comandi SCUMM.
Si occupò personalmente della versione PC IBM di Maniac Mansion, proprio quando Ron si prese un periodo sabbatico per raggiungere la sua ragazza che era a studiare in Cina. Con Gilbert lontano e la necessità di convertire lo SCUMM dall'Assembly 6502 al C, su un sistema del tutto nuovo per lui, stabilirono coi boss che la conversione avrebbe richiesto sui sei mesi: in realtà Aric realizzò di procedere molto più spedito del previsto e fece l'errore di dire ai capi "Secondo me ce la faccio in un mese". Ce ne vollero un paio e lo rimproverarono, lui non capiva: "Ma come, avevamo detto sei e ce ne ho messi due!" "Sì, ma poi avevi detto che ce la facevi in uno solo, quindi sei in ritardo!" Morale: non parlare troppo!
Molti di loro compaiono tra i ringraziamenti per giochi ai quali non avevano lavorato a tempo pieno: era normale, c'era una collaborazione totale tra i vari team, tutti erano disposti ad aiutare o a dare un parere. Ricorda che una volta sentì Ron proporre al suo team un'idea che gli aveva dato lui poche ore prima: dopo la gelosia, subentrò la consapevolezza che tutto alla Lucasfilm Games era un gioco di squadra, e che le idee buone non si buttavano via solo per rispettare le barriere dei progetti o delle mansioni.
Non ricorda particolari difficoltà nell'aggiornamento dello SCUMM per Indiana Jones and the Last Crusade - The Graphic Adventure, se non la possibilità di cancellare l'interfaccia utente per attivarne un'altra, passaggio fondamentale per consentire i dialoghi interattivi a scelta multipla, al loro debutto. Una svolta più corposa fu la creazione degli "pseudo-comandi" SCUMM, cioè la possibilità di usare nello script dei comandi provvisori che eseguivano una sequenza di determinate azioni, senza necessitare subito di un aggiornamento di tutto il sistema per ospitare un nuovo comando ad hoc. Era importante, perché garantì una certa flessibilità di approccio alle situazioni, e magari, se si decideva poi che quell'azione non era necessaria, si era così evitata l'implementazione definitiva e più impegnativa di un comando inutile.
Non si è mai interessato alle questioni relative alla programmazione dello script in sé del gameplay: era un programmatore di sistema e trovava che il talento alla LucasArts fosse tale da rendere inutili queste intromissioni, a meno che qualcuno non gli chiedesse esplicitamente una mano.
La comodità dello SCUMM era nella sua semplicità d'uso, che permetteva di metter su molto rapidamente lo scheletro del gioco, usando solo bozzetti o grafica dei giochi precedenti come placeholder, per cominciare a costruire l'interazione e sostituirli via via con gli asset definitivi. In questo processo, spesso anche il sistema stesso si evolveva per accogliere le necessità interattive di un determinato titolo.
Day of the Tentacle fu trasformato in un gioco doppiato in corso d'opera, perché parallelamente lo SCUMM (in incognito) si era già evoluto in tal senso alla Humongous Entertainment di Ron Gilbert: i bambini, non sapendo ancora leggere fluidamente, avevano bisogno di ascoltare le voci per giocare.
Il sistema di pathfinding del personaggio nello SCUMM era molto efficiente: i personaggi non si incastravano mai nello scenario, muovendosi agevolmente nelle tre dimensioni. Per riuscirci, Aric fece in modo che seguissero idealmente delle corde tese, rappresentanti i tragitti più brevi tra gli elementi dello scenario. Per quanto riguarda gli oggetti che coprivano il personaggio, quando vi passava dietro per dare l'illusione di tridimensionalità, si usava un sistema di maschere che inibivano la visualizzazione del personaggio per i pixel corrispondenti all'oggetto coprente. In altre parole, il piano visualizzato era sempre e solo uno, anche se all'occhio del giocatore i vari livelli apparivano uno davanti all'altro.
Altra chicca: nei loro primi "talkie" su cd-rom c'era un rudimentale sistema di sincronizzazione labiale programmato da Vince Lee. I file audio del doppiaggio venivano analizzati e a ognuno era associato un altro file che controllava i pochi frame di animazione che muovevano le bocche, per lo meno per cercare di fermarle quando c'erano pause nella recitazione, o per mantenere un frame con la bocca aperta se un suono si ripeteva uguale a lungo.
Aric divenne un azionista della Sierra grazie ai consigli di un amico broker. Fu un trucco per cercare di seguire meglio tutti i loro movimenti: c'era gelosia nell'aria tra le due aziende, ma la LucasArts era sicura di avere più classe e ambizione in ambito narrativo ("Forse eravamo un po' snob").
Il suo tragitto alla LucasArts terminò quando qualcuno all'azienda lo "denunciò" ai piani alti per aver definito il 3D "una moda passeggera". Fu una risposta scherzosa data a chi lo prendeva in giro, perché continuava ad aggiornare lo SCUMM quando il 3D, nella seconda metà degli anni Novanta, stava diventando un obbligo. Trovò incredibile che i boss avessero preso alla lettera la battuta, perché aveva per esempio contribuito all'introduzione del motion capture per le sequenze in 3D di Dark Forces e Jedi Knight, mettendo in contatto quei team con delle sue conoscenze. Non ce l'aveva e non ce l'ha col 3D, ma "era una battaglia diversa". A volte - spiega - bisogna capire che, oltre a procedere sempre avanti con nuovi traguardi tecnici, è il caso di sapersi muovere "orizzontalmente", ammettendo che si è raggiunta una qualità tale (come quella di Curse ) da poter ridefinire i propri obiettivi: può essere il caso di pensare di più alla dimensione artistica che a quella tecnica, magari solo da rifinire. Offeso per la semplificazione del suo modo di pensare, scrisse un memorandum di tre pagine per spiegare al boss come la pensasse, ma quello non lo volle nemmeno leggere, lo ripose così come gliel'aveva dato e gli disse: "Preferisco non pensare al passato". Niente da fare: Aric capì che la sua storia con la LucasArts era finita.
Da musicista dilettante, rimane affascinato da Loom, e da sviluppatore trova geniale l'idea di un'interfaccia da raccogliere progressivamente, come un inventario (idea semplice a parole, ma per niente banale). Ciò detto, trovò spiazzante il modo di lavorare di Moriarty, che sostanzialmente scrisse, progettò e programmò il gioco tutto da solo, in funzione di un'unica visione: non era la prassi della Lucasfilm Games, tanto che Brian a volte si bloccava perché non aveva dimestichezza con lo SCUMM, non avendolo vissuto come tutti gli altri passo dopo passo. Aric avrebbe aumentato le possibilità di interazione, incrementando le occasioni per utilizzare gli incantesimi appresi in più situazioni, mentre in Loom tendenzialmente per ogni incantesimo c'era una circostanza sola in cui applicarlo. La ricchezza e l'adattabilità dell'interazione per lui migliora l'immersione del giocatore: l'associazione di enigmi specifici ad alcuni protagonisti selezionati in Maniac Mansion, per esempio, aveva portato alcuni giocatori a fantasticare su quello che potessero o non potessero fare, andando oltre le loro effettive caratteristiche nel gioco. Suggestione.
Aric era responsabile del coordinamento di tutti i porting delle avventure, per i vari sistemi Amiga, Atari ST, Mac. Se sulle prime le conversioni arrivavano molto tempo dopo l'uscita della prima versione, col tempo diventarono più bravi a coordinare un'uscita quasi simultanea di tutte le incarnazioni di un gioco. Ma c'erano dei limiti commerciali: lui per esempio premette molto per piazzare le versioni Windows e Mac di un titolo sugli stessi cd-rom e in scatole unificate, ma scoprirono che questo diminuiva la visibilità di un prodotto nei negozi, che non sapevano dove collocarlo sugli scaffali. Allo stesso tempo questa distribuzione unificata non permetteva al marketing di capire quante copie fossero state vendute per Windows e quante per Mac, quindi si tornò rapidamente alle scatole separate per i due sistemi.
Il mistero della versione in ebraico di Loom: Aric gestiva il dipartimento localizzazioni e giura che non è mai passata da loro. È stata sicuramente realizzata amatorialmente, perché i font erano stati sostituiti, ma la traduzione occupava forzatamente lo stesso spazio delle linee di testo inglesi, segno che il sistema non era stato aggiornato e compilato appositamente per quella lingua. Wilmunder non ha idea se quell'edizione, che alla fine passò per le loro mani e lo affascinava, sia stata ufficialmente approvata dalla LucasArts e abbia ricevuto una licenza ufficiale. Di certo in Israele è stata venduta sul serio!
Gestire i porting era una cosa che gli dava molta soddisfazione. Il suo compito era facilitare il più possibile il lavoro dei programmatori sui vari sistemi, cercando di creare wrapper per esempio per convertire il formato di dati di una macchina su un'altra: i processori Intel e i 68000 Motorola immagazzinavano e gestivano i byte in ordine differente. Era bellissimo però notare come grazie allo SCUMM, superati alcuni di questi scogli, i giochi girassero su macchine molto diverse in tempi brevi: Aric ricorda quando chiamò il programmatore Amiga di Indiana Jones and the Last Crusade per domandargli se il gioco fosse partito, e quello gli disse che era già arrivato senza problemi alla chiesa di Venezia! Separare l'interprete dai dati fu la chiave per questo sviluppo rapido.
Un'altra sfida fu gestire il porting Amiga di Zak McKracken con soli tre mesi di tempo: capì che a distanza il programmatore assunto si stava perdendo in dettagli, così lo chiamò a lavorare nel suo ufficio, monitorando ogni attività per mantenere la tabella di marcia. C'erano per esempio molti effetti sonori digitali da riprodurre, e non c'era tempo di registrarli tutti apposta, quindi usarono una libreria di effetti sonori su svariati cd, già presa in licenza dalla consociata Skywalker Sound.
Una sua vittoria fu la versione PC VGA di Indiana Jones and the Last Crusade, messa su da lui in poche settimane, filiazione diretta del porting FM-Towns. Non sopportava l'idea che i porting per il computer giapponese fossero stati appaltati a gente esterna, che agiva in totale autonomia, perché riteneva che i 256 colori e i cd-rom fosssero il futuro, e avrebbero dovuto imparare a gestirli da subito in azienda. Quando il porting FM-Towns fu terminato, usando la grafica migliorata a 256 colori, aggiornò lo SCUMM per supportare la VGA: nonostante i capi fossero scettici su un forte mercato delle schede VGA a uso videoludico, riuscirono a fare un accordo con la Paradise per distribuire Indy 3 in bundle con quelle VGA, e in cambio - senza rischiare nulla - ricevettero pure una robusta fornitura di schede!!! Mutua convenienza!
La squadra dell'engine SCUMM era così suddivisa: Ron Gilbert al compilatore, Aric all'interprete, i tool erano a opera di tutti, compresi Brad Taylor, Vince Lee e Mark Haigh-Hutchinson. Quando Ron e Brad se ne andarono per creare la Humongous, Aric notò che alla Lucas scoppiò il panico ai piani alti, nel terrore che lo SCUMM non funzionasse più senza il suo responsabile. Il 95% del linguaggio tuttavia ormai era formato, si trattava solo di aggiornarlo, quindi Wilmunder si ritenne un po' offeso da questa sfiducia preventiva. La tensione era anche dovuta a un accordo particolare sull'uso dello SCUMM: la Humongous poteva usarlo, impegnandosi a fornire alla LucasArts ogni aggiornamento. Di certo l'enorme lavoro di Taylor sui miglioramenti del motore grafico, necessari per i giochi rivolti all'infanzia, risultarono molto utili anche alla Lucas, però i rapporti rimasero tesi, specie quando la Humongous firmò con un editore prestigioso come l'EA. Il coinvolgimento di terzi irritò la dirigenza LucasArts, e la Humongous cercò di difendersi sostenendo di non usare lo SCUMM! Wilmunder era imbarazzato, perché gli fu chiesto dagli avvocati Lucas di provare che i suoi amici alla Humongous mentivano spudoratamente... e purtroppo era vero, perché i dati di un gioco come Putt-Putt partivano quasi senza problema alcuno sugli interpreti SCUMM che avevano alla Lucas. Una situazione spiacevole per Aric, che non si sente proprio un uomo da righe piccole. In ogni caso, l'amicizia andò oltre le beghe legali, perché Aric venne sempre citato tra i programmatori di sistema nei giochi Humongous, e lui alla Lucas fece sempre in modo che Ron e Brad risultassero nella stessa mansione nei punta & clicca LucasArts.
Non sapeva che The Curse of Monkey Island nel 1997 sarebbe stata l'ultima avventura LucasArts a girare in SCUMM. In azienda lo SCUMM cominciava ad avere la nomea dell'ambiente di sviluppo ormai sorpassato, ma la verità è che sarebbe bastata un po' d'intraprendenza per ricavarne qualsiasi cosa. Tra l'altro, benedice lo spirito d'iniziativa di Vince Lee, il programmatore che fu assunto per le conversioni Amiga e poi creò l'INSANE, l'engine per la codifica e la riproduzione interattiva dei filmati da cd-rom. Anche se Vince divenne presto capo-progetto con i suoi Rebel Assault, Wilmunder capì che l'esperimento di fusione dello SCUMM con l'INSANE per Full Throttle si poteva sistematizzare, approfittando delle capacità di Lee, che stimava superiori alle sue ("Non avevo paura di assumere gente più brava di me, anche se loro erano convinti che fossi più bravo io, ma solo perché li seppellivo di informazioni quando arrivavano!"). La ragione per cui il cursore del mouse in Curse non sfarfalla è che il codice appartiene a quello più sofisticato creato da Lee per i suoi titoli. Considerando che la Humongous continuò a usare lo SCUMM per anni (fino al 2001, ndDiduz) e che ci ricavò persino uno strategico con accelerazione 3D, il suo pensionamento alla LucasArts gli sembrò prematuro. Gli dispiace che non gli abbiano nemmeno chiesto di cercare di integrare il rendering dei personaggi 3D nello SCUMM per Grim Fandango, almeno per provare: "Non capisco il senso di perdere un anno a creare un altro engine solo per principio e per differenziarsi". Non è però il tipo che sgrida gli altri se hanno idee diverse dalle sue, e per la stessa ragione decise di tacere quando una delle versioni di The Dig s'impantanò nel tentativo fallito di Brian Moriarty di sostituire lo SCUMM con il cestinato Storydroid.
Ricorda un buffo incidente di localizzazione: stavano lavorando sulla versione giapponese di Rebel Assault per il Sega Mega CD, e venne una delegazione della Sega dal Giappone per capire come procedesse. Avevano creato un sistema di font ad hoc per gestire lo sterminato numero di caratteri di quella lingua: siccome per ragioni di memoria non si potevano caricare tutti in una volta, venivano scelti quelli necessari per ogni scena. Mostrarono per errore alla gente della Sega una versione buggata del sistema, che generò a video caratteri completamente random! Naturalmente loro non si resero conto dell'errore se non dopo la visita, dal codice, ma Aric rimase stupefatto dall'aplomb della delegazione, che aveva annuito gentilmente mentre davanti a loro si erano palesati testi del tutto senza senso!
ScummVM lo riempie di orgoglio e di ammirazione, non ha mai sentito il bisogno di curiosare nel loro codice sorgente, ma invece gli piacerebbe rendere disponibile su GitHub quello delle varie versioni dello SCUMM, che ancora possiede, oltre a riprendere la condivisione di tutti i documenti di design che aveva conservato (e che aveva in parte pubblicato sul suo sito ormai chiuso), magari in un bel libro. Non ha intenzione però di fare alcunché senza un accordo ufficiale con la Lucasfilm Games, magari per occasioni celebrative, perché non ha per niente voglia di scontrarsi con gli avvocati della Disney! E d'altro canto è ancora un po' imbarazzato dallo stato del codice delle prime versioni dello SCUMM. Non vorrebbe fare la figura che fecero con lui (senza saperlo) i programmatori di Windows CE: dopo la LucasArts lavorò su software e hardware mobile, si trovò per le mani i sorgenti di Windows CE e vi rinvenne cose folli come un'immagine di Homer Simpson!
Vi siete accorti che tra la scatola di The Secret of Monkey Island, col vecchio logo "Lucasfilm Games", e quella di Indiana Jones and the Fate of Atlantis ("LucasArts"), su quella di Monkey Island 2 c'era uno strano ibrido, "LucasArts / Lucasfilm Games"? Nel 1991 si ebbe infatti l'idea di creare una LucasArts che comprendesse le varie divisioni sotto un unico nome. La cosa durò appena sei mesi, poi si decise di tornare alle vecchie denominazioni, ma quel nome e il logo commissionato vennero assegnati alla sola divisione giochi, che venne definitivamente ribattezzata LucasArts Entertainment Company. In Monkey 2 fecero però in tempo a collocare il nuovo logo e la nuova denominazione dell'azienda nei titoli di testa.
Pazzesco il ricordo delle feste di Halloween alla Lucasfilm: a un certo punto cominciarono a indire un concorso per il miglior costume, con premi di grandissimo valore. Vince Lee s'impegnò ricreando l'esoscheletro di Ripley in Aliens, con luci e meccanismi funzionanti (!), costringendo gli usceri ad aprire le porte di carico e scarico della sala per farlo passare: il suo trionfo coreografico gli valse il premio di un sistema home theater! Aric però fece di meglio: alla vigilia delle riprese di Episodio I, promisero una comparsata a chi avesse creato il migliore costume legato alla trilogia classica. Lui allora inserì se stesso in un blocco di grafite! Vinse. Nella Minaccia fantasma, nella battaglia di Naboo, trascina il corpo di una persona (adesso bisogna individuare Aric per forza, ndDiduz).
D'accordo, fine del primo aggiornamento estivo del 2023. Ci si risente tra un mesetto, prima delle agognate ferie! Ciao, Dom
31-5-2023
La mia compagna da una decina di giorni cerca di consolarmi: nonostante mi occupi di audiovisivi, non copro il Festival di Cannes, ergo non sono tra i pochi che hanno avuto modo di vedere già Indiana Jones e il Quadrante del Destino, al cinema dal 28 giugno. Rimando ogni considerazione.
Prima di iniziare con questo aggiornamento corredato di felice sorpresa, ricordo che l'11 giugno si terrà l'Xbox Games Showcase 2023: perché ci interessa? La Double Fine fa parte della famiglia dal 2019, ci dovrebbero essere almeno due titoli da annunciare... e qualcuno sta interpretando alcuni indizi in modo a dir poco sconvolgente. Non elaboro. Per ora.
Star Trek: Resurgence... e risorge anche lo spirito Telltale
Tecnicamente il debutto della nuova Telltale Games con The Expanse non è ancora avvenuto: a proposito, abbiamo saputo che il primo dei cinque episodi (che saranno pubblicati ogni due settimane) sarà disponibile il 27 luglio, su Epic Games Store per Windows e, contrariamente a quanto vi avevo segnalato lo scorso mese, non solo per PS5 e Xbox Series X/S, ma anche per la passata generazione PS4 / Xbox One. Acquistando la versione "Deluxe" si avrà accesso gratuitamente a misteriosi DLC più avanti.
Se al ritorno "nominale" della fu-Telltale mancano dunque ancora quasi due mesi, è successo qualcosa che per me - lo ammetto - era inaspettato. I Dramatic Labs di Kevin Bruner, in quel lontano 2004 cofondatore della prima Telltale Games, hanno pubblicato il loro primo gioco indipendente il 23 maggio, cioè Star Trek: Resurgence. Dopo lo zoppicante New Tales From the Borderlands della Gearbox, al quale avevano marginalmente collaborato, avevo sottovalutato quanto Bruner fosse riuscito a preservare l'anima vera e potente del vecchio studio sotto questa nuova etichetta, anche perché Resurgence non si è mai mostrato molto appetibile nei video e nel materiale diffuso. Come dirvelo? C'è un motivo per cui, pur presentandosi con una (sempre meno) contestata grafica a basso costo, il gioco non riesce a essere bocciato da nessuno. Funziona da matti. È davvero un paradosso: finalmente su Lucasdelirium c'è la scheda di un'epica avventura narrativa ambientata in una saga spaziale, realizzata da ex-LucasArts... e si basa su Star Trek invece che su Star Wars! Spero che Star Wars Eclipse di David Cage riequilibri il paradosso, ma nel frattempo una "sacrilega" missione nella Starfleet, per conto della Federazione, qui su Lucasdelirium non ce la leva nessuno. Perché un'identità ludica è stata rilanciata, e mi fa tanto piacere. E perché Star Trek, come racconto nella scheda, ha una tradizione nei videogiochi puramente narrativi che Star Wars non ha mai potuto vantare... e la Lucasfilm Games sfiorò la possibilità di contribuirvi.
Strong Bad saluta gli store digitali, speriamo sia un arrivederci
E per un passo avanti, si fa un passo indietro. La demenzialissima serie di punta & clicca episodici Strong Bad's Cool Game for Attractive People, opera dei Telltale a enigmi classici, prima maniera, è stata già rimossa da GOG e tra poco sparirà anche da Steam. Affrettatevi a recuperarla, se vi sconfinfera. Mi ha sempre molto divertito nelle sue farneticazioni. La notizia comunque mi ha preoccupato, perché nel 2020 i nuovi proprietari degli asset Telltale, cioè l'LCG Entertainment in collaborazione con l'Athlon Games, l'avevano salvata dall'oblìo... e ora hanno annunciato di non avere in poche parole rinnovato la licenza con i fratelli Chapman, autori della webserie originale. Che qualcun altro abbia rilevato il gioco? Speriamo. Mannaggia.
La fine di Fig
Ricordate Fig? La piattaforma di crowdfunding fondata nel 2015 da Justin Bailey, ex-CFO della Double Fine? Tramite Fig fu sostenuto Psychonauts 2, insieme a diversi altri progetti. Fig ha chiuso i battenti ex abrupto il 28 maggio, tanto che persino la Double Fine, nella newsletter rivolta ai backer del gioco, si è detta presa in contropiede dalla decisione. Nessun problema per le ultime ricompense e la memoria storica, perché tutti gli aggiornamenti mai pubblicati negli anni sul progetto, insieme alle novità, si sono spostati sul sito ufficiale della Double Fine. Fig era nata con una precisa intenzione: dare la possibilità non solo di sostenere un progetto a fondo perduto, stile Kickstarter, ma anche di guadagnarci qualcosa, sottoscrivendo a scelta un effettivo investimento legale, con dividendi. Una scommessa nobile che evidentemente non è andata in porto (arenandosi a fine 2019), forse anche perché una buona parte degli studi indipendenti che l'avevano sponsorizzata mediaticamente hanno trovato una casa più tranquilla sotto la Microsoft: Tim Schafer e la Double Fine, Brian Fargo e la sua inXile, Feargus Urquhart e i suoi Obsidian. Fig è stata acquisita dalla piattaforma di investimenti Republic nel 2020, e mi auguro che quest'ultima abbia provveduto a liquidare le quote di investimento degli utenti più coraggiosi (frutto di un contratto vero e proprio, ripeto: non è il classico crowdfunding a fondo perduto, da mecenati). Come già vi avevo raccontato nel 2019, quando la Microsoft ha inglobato la Double Fine negli Xbox Game Studios, aveva garantito a Fig il denaro per liquidare gli investitori in Psychonauts 2 con una specie di rimborso: il 139% di ogni quota sottoscritta da 500$. L'operazione deve avere funzionato, perché non è scoppiato alcuno scandalo. Mi auguro che per gli altri giochi le cose vadano altrettanto lisce.
Denny Delk, la voce americana del mito LucasArts
Il canale Conversations With Curtis ha incontrato un veterano del doppiaggio videoludico americano, Denny Delk. Famoso soprattutto come voce del teschio Murray, da The Curse of Monkey Island a Return to Monkey Island, in realtà ha interpretato una miriade di personaggi nelle avventure grafiche lucasiane storiche, e in molti casi la sua voce è stata ascoltata anche dai giocatori italiani, nei titoli in cui il doppiaggio nostrano è mancato. Denny si è raccontato: riassumo volentieri.
Ha iniziato a recitare nei voice over pubblicitari, un tipo di ingaggio molto comune nella zona di San Francisco. Il suo mentore è stato Paul Frees (voce di Pico De Paperis, ndDiduz). Quando capì che aveva del talento, lo spronò: "Provaci, al massimo non ti vorranno!"
All'inizio era disorientante lavorare sui videogiochi, perché non esisteva un tariffario che li coprisse, né regole chiare. La cosa migliore per un attore che dà la voce ai videogiochi è legarsi a un personaggio particolare ricorrente, di una serie amata che viene ogni tanto ripresa, com'è successo a lui per Murray nei Monkey Island. È la migliore garanzia di ritorno monetario, anche perché i fan sono molto esigenti e si oppongono ai recasting!
Trovava uno spasso lavorare per le avventure grafiche: solo in Day of the Tentacle fu il Tentacolo Viola, il Tentacolo Verde, Hoagie, il Dottor Tentacolo e George Washington! Come si affrontano nello stesso contesto voci di personaggi molto diversi? Più sono caratterizzati meglio è, perché si distinguono naturalmente in partenza. Nella chiacchierata si mostrano clip di Indiana Jones and the Fate of Atlantis (dove Denny era Omar Al-Jabbar) e Sam & Max Hit the Road (i fratelli Kushman), come esempio della sua duttilità. Registra naturalmente le voci per ciascun personaggio separatamente, senza incrociarli, ma quello che trova più difficile dei videogiochi in realtà è registrare senza interagire mai coi colleghi. A volte chiede di mandargli in play le battute recitate dagli altri (o da se stesso, per gli altri personaggi), per reagire coerentemente in quella che dovrebbe essere una conversazione.
Con l'esempio della LucasArts e di altre case, i concorrenti capirono che non era il caso di occupare i cd-rom con voci improvvisate degli impiegati della compagnia (come fece nei primi tempi la Sierra), e si passò ai professionisti.
Normalmente un doppiatore non viene immediatamente riconosciuto, ma a lui capitò mentre stava comprando delle scarpe a San Francisco. Il commesso gli disse: "Sono certo di aver riconosciuto la sua voce." "Beh, può essere, faccio diverse pubblicità." "No, non è quello, mi faccia pensare". Dopo un po' gli fa: "Mi può dire: 'Seguimi tra i piloni e stammi dietro!'?" Era una frase che aveva recitato come istruttore in uno degli X-Wing! Negli anni ha realizzato che la sua popolarità lucasiana è salita talmente tanto che il figlio trentacinquenne di una loro amica di famiglia, capito chi lui fosse, si è presentato a casa loro con un cestino pieno di scatole di classici LucasArts, pregandolo di autografarle tutte!
Ora lavora dal suo studio in Texas, fornendo voci in streaming a New York come a Londra: il mestiere è davvero cambiato. Nonostante la comodità, è un'arte però che vive anche degli incontri fisici con le persone, questo aspetto gli manca un po'. La tecnologia adesso permette a chiunque di fare un buon lavoro montandolo o modificandolo con ProTools, che ha sicuramente ampliato le possibilità di smanettare sulle voci, rispetto alle registrazioni in studio dei suoi esordi.
Pensa di dovere la sua passione per la recitazione a sua madre: quando lui e suo fratello avevano cinque anni e li metteva a letto, leggeva loro le fiabe cambiando precisamente voce per tutti i personaggi! Sfruttando la passione per l'alta fedeltà del padre di un suo amico, si divertì da ragazzo a realizzare trasmissioni di 15 minuti, dove interpretevano più caratteri. Alla fine della sua famiglia è stato l'unico a non prendere medicina... però ha compensato leggendo guide per interventi oftalmici. Un medico gli disse anche: "Come legge bene, le va di guardare le immagini che accompagna con la voce, per capire meglio?" "Non ci penso nemmeno, sennò avrei fatto il medico!!!"
Non ha mai pensato di recitare di persona, perché cominciò a esibirsi al liceo come speaker radiofonico / dj. Ha provato a farlo anche dopo, ma veniva puntualmente licenziato (o sbattuto fuori, come gli capitava in classe!). Senso dell'umorismo sempre attivo, anche a sproposito. Da lì ha capito che la carriera freelance gli si addiceva di più.
Non andava mai alla LucasArts a registrare, c'era un piccolo studio nella contea di Marin, per questo non interagiva con i team dietro ai giochi, ma essenzialmente con Khris Brown, con la quale lavora ancora oggi. Quest'ultima dice sempre di dovergli la vita, perché fu lui ad accorgersi che aveva parcheggiato con una ruota che dava nel vuoto, sul precipizio di un'altura vicina al bucolico studio di registrazione!
Il suo contributo fu nodale nel caratterizzare Murray in Curse of Monkey Island: non sapevano bene come impostarlo, così lui suggerì di concentrarsi sulla sua frustrazione, sull'impossibilità di agire concretamente, visto che è un teschio senza corpo. Negli anni non è cambiato, anche se si è ritenuto "opportuno" ridurre via via l'accento newyorkese-yiddish che aveva all'inizio, e ora è più che altro un anziano bilioso. La LucasArts era un posto particolare, perché gli fu consentito di improvvisare. Prima si cercava comunque il take fedele al testo, poi davano agli attori la libertà di costruirci qualcosa.
A 73 anni si considera quasi in pensione, ma valuta sempre se ci sono offerte interessanti (come la riproposta di Murray in Return). Semplicemente non le insegue più e prende la vita come viene.
Non perdetevi il timecode 58:00, verso la fine, quando Danny improvvisa due pubblicità per il canale YT di Curtis, nei panni di Murray e del Tentacolo Viola!
Ex-Lucas sperimentano con prototipi
Tra le produzioni che scopriamo pubblicate nella loro interezza e i crowdfunding, esiste un'altra via, quella dei prototipi. Negli ultimi anni alcuni ex-autori della LucasArts si sono cimentati in propri esperimenti rimasti per ora senza seguito, eppure recuperabili in rete.
Solo negli ultimi giorni abbiamo per esempio scoperto che David Fox e Gary Winnick nel 2019 meditavano di aprire una linea editoriale "Comicactive", realizzando il prototipo di Nowhere Girl. Si tratta di un adattamento di un fumetto di Winnick, reso interattivo da Fox via Unity, con una bella regia sui quadri delle tavole, inframmezzati da sezioni punta & clicca (minimaliste), nelle quali si controlla la protagonista. In questi momenti i fondali sono a cura di Mark Ferrari, e c'è un ottimo sound design di Jared Emerson-Johnson e Julian Kwasneski, con un doppiaggio professionale. Il gameplay potrebbe essere più profondo, e ho qualche remora sull'integrazione delle animazioni di Winnick negli sfondi di Ferrari, ma l'ho trovato piuttosto divertente: la storia in stile Marvel ha uno humor surreale extra che mi ha fatto sorridere. Scorre bene. C'è una base interessante per un passatempo casual.
In autunno avevo provato su Steam SuperSecret (2021), interamente scritto e realizzato da Joe Pinney, un adepto della Lucasfilm Games di rado ricordato, ma che ha in silenzio attraversato molte realtà e titoli storici, dal primo Monkey (come tester) arrivando alla Telltale Games, come sceneggiatore e capo-progetto. Usando asset grafici e sonori a pagamento, Joe ha messo su questa stramba esperienza. Per un euro e mezzo si porta a casa il primo capitolo di una storia molto astratta e visionaria, in terza persona a controllo diretto, in un ambiente 3D. Il ragazzino che impersoniamo non ha nome e non sa esattamente perché si trovi prigioniero di una struttura ludica con personaggi alquanto folli che interagiscono con lui: il game design si basa su puzzle ambientali e meccanismi, da attivare tramite piattaforme. Ho trovato molto accorto l'uso degli asset già pronti, tanto da generare un'atmosfera personale, il che con queste premesse produttive pauperistiche non è poco. Curioso, ma davvero ci sarebbe bisogno di altri episodi per capire dove voglia andare a parare. Joe ha di recente fatto da consulente per la sceneggiatura di Return to Monkey Island.
Gobliiins 5: intermezzo affettuoso
Vogliate scusarmi, so che non ha nulla a che fare con LucasArts, suoi adepti e filiazioni, ma mi prendo qualche rigo per porre alla vostra attenzione il fresco punta & clicca Gobliiins 5 del mitico Pierre Ghilodes (che a proposito si pronuncia "jilòd", con la "j" del francese "jeu"). Come ricorderete, un anno fa fui tra i sostenitori del progetto in crowdfunding su Ulule, ma Pierre è andato poi anche su Kickstarter, per raccogliere la seconda metà del totale budget finale stra-indie di 14.000 euro circa. L'autore dei primi tre Goblins (1991-1993) e Woodruff and the Schnibble of Azimuth (1995) per la Coktel Vision, nonché del contestato Gobliiins 4 in 3D del 2009, è tornato a colpire. Caratterizzò anche lui gli anni Novanta delle avventure grafiche... e garantisco che ha ancora qualcosa da dire. L'ho raccontato sul forum di Oldgamesitalia.
Ron Gilbert su storie e videogiochi al Ludonarracon
A diversi mesi dalla pubblicazione di Return to Monkey Island, il nostro Ron Gilbert si sta prendendo una pausa dalle avventure, lavorando al suo mini-rpg action. Ha trovato il tempo per due chiacchiere in occasione dell'ultimo LudoNarraCon, la convention virtuale sulla narrazione nei videogiochi. Cos'ha detto?
La narrazione nei videogiochi è cambiata negli anni? Per lui meno di quanto si pensi. Rispetto al suo esordio "narrativo" con Maniac Mansion certo si è modificata l'interazione, e la tecnologia migliorata oggi arricchisce la narrazione con mezzi che prima non c'erano, come il doppiaggio, l'alta risoluzione e anche il 3D, se usato magari per trasmettere l'idea di esplorazione di un ambiente. Il raccontare comunque si rifà a consuetudini eterne, qualunque sia il mezzo, e i videogiochi non fanno eccezione.
Questo non significa che non ci siano aspettative diverse nei contenuti: quando ha iniziato lui, si tendeva all'umoristico senza pensarci troppo, ora un'esperienza recente che ha provato, South of the Circle, è un buon esempio di come ci sia ricettività anche per contenuti più seri e complessi (vi avrebbe inserito più interattività, però). Lui non riuscirebbe a impostare una storia totalmente seria: in Return to Monkey Island il sottotesto serio c'è, volutamente, ma non riuscirebbe ad andare al di là di quello: una volta ha anche provato a scrivere qualcosa di drammatico, ma si è rapidamente trasformata in una cosa comica, o al massimo intrisa di umorismo nero.
Lui ha sempre detto che Return to Monkey Island non era concepito per essere nostalgico (tanto che ha scartato la pixel art proprio per evitarlo), eppure è pur sempre un recupero di un marchio amato e che ha un posto importante nella sua carriera: contraddizione? Non è che Return non affronti la nostalgia, ma non la incarna: l'affronta come argomento. Non solo Guybrush stesso nella storia ci si confronta, ma "Boybrush", suo figlio, è per Ron una sorta di personificazione della questione: c'è un confronto con la propria infanzia. Quando ripensi a qualcosa che hai vissuto da ragazzino, è assai probabile che il tuo ricordo sia falsato, da lì la tematica del raccontare o ricordare in modo più o meno fedele. È il taglio nuovo che ha fatto pensare a lui e a Dave Grossman che ci fosse margine di manovra per presentare un altro Monkey Island non "tanto per". Non si preclude di lavorare ancora in futuro su Monkey Island, ma ci vorrebbe una motivazione altrettanto forte per proporre qualcosa di sentito, un approccio del tutto nuovo: "Guybrush, Elaine e LeChuck sono stati ormai fatti tante e tante volte, se avessi qualcosa di assolutamente interessante da proporre, penso che la farei, solo che ora come ora non so cosa sia."
Scrivere per un gioco senza doppiaggio è ben diverso dallo scrivere in funzione di una recitazione: durante la lavorazione di Return alcuni tester avevano notato sgrammaticature, eseguite però da lui e Dave di proposito, pensando a una lettura più naturale da parte degli attori. È bene non fossilizzarsi sull'idea di una voce, perché i provini possono farti cambiare idea sul taglio da dare a un personaggio. Nel caso di Return comunque il processo è stato parzialmente semplificato, perché sapevano già che Dominic Armato sarebbe stato Guybrush, e hanno scritto i suoi dialoghi già avendo bene in testa il suo modo di parlare. Dominic è stato anche tra gli attori che aveva più opinioni sull'aderenza o meno di una battuta alla personalità di Guybrush, e a volte gli hanno dato ragione, modificandola.
Cos'è cambiato tra l'epoca di The Secret of Monkey Island e Monkey Island 2: LeChuck's Revenge, e quella indie ma pur sempre moderna di Return? La riduzione del fattore "improvvisazione": alla Lucasfilm Games si interagiva con gli altri per tutto il giorno, ti veniva un'idea buffa a pranzo, chiacchierando, e la implementavi. Volenti o nolenti, oggi la maggiore complessità tecnica/produttiva obbliga a una maggiore pianificazione, magari per rispettare i tempi della pipeline grafica, o per chiudere il copione in funzione del doppiaggio. Per lui rimane ad ogni modo importante non definire tutto troppo in anticipo: "Ci sono designer che stilano documenti di 300 pagine prima di iniziare a lavorare, io diventerei matto. Faccio tipo tre pagine. Per me lavorare su un gioco significa trovare la via strada facendo." Anche per questo motivo ama gestire team piccoli, per fomentare la creatività e il contributo di tutti: nonostante il lavoro in remoto sia molto comodo per coinvolgere persone da tutte le parti del mondo, ammette che si perde la magia dell'interazione libera e casuale in uno studio.
Vede troppe avventure grafiche oggi che cercano di imitare l'impostazione di Monkey 1 e simili, verbi inclusi, gli piacerebbe che si provasse ad andare oltre: lui stesso ha fatto parte del club con Thimbleweed Park, ma in quel caso si trattava appunto al 100% di un gioco nostalgico, e la presenza di quell'interazione era alla base del patto con i sostenitori [ma l'utente medio di avventure grafiche è spesso un "sostenitore ideologico", secondo me, più che un cliente, ndDiduz]. Certo le modifiche spaventano, e nonostante ritenga Firewatch un'avventura grafica, sa che molti non sarebbero d'accordo. In ambito punta & clicca ha trovato innovativo l'approccio di Dropsy, oppure di Later Alligator, anche se si basa su minigiochi. Cita pure Storyteller, non tanto come genere, visto che è un puzzle game, ma perché mette comunque al centro l'idea di narrazione.
La cosa buona del mercato videoludico attuale, rispetto a quello di trent'anni fa, è la sua ormai gigantesca ampiezza: per Gilbert, se il mercato in generale è forte e in salute, cresce la possibilità di abitarne una nicchia come quella delle avventure grafiche, potendo fare affidamento su una percentuale di persone che garantiranno il senso dell'impresa. Non con numeri da tripla A, ovviamente.
La tendenza di ogni arte è quella di raggiungere una fase di stallo, in una comfort zone, bisognerebbe avere il coraggio e la forza di superarla per tornare davvero interessanti e stimolanti. E lui? Ama la rivoluzione o il comfort? "Amo fare quello che mi interessa, indipendentemente da quello che penso alla gente interessi". Fa l'esempio del piccolo gdr d'azione sul quale sta lavorando da un po': è una cosa proprio non-narrativa, e ora gli va bene così, anche per cambiare aria, dopotutto ama i titoli alla Nuclear Throne.
Cosa lascerà al mondo del videogiochi, di cosa è più fiero? Non gli piace pensare in modo così retorico, però è fiero di due cose, principalmente: dell'aver dato un contributo storico alla creazione del genere punta & clicca, e delle 20 milioni di copie vendute dei giochi Humongous, molto più di quanto abbiano mai venduto gli altri suoi lavori. Gli piace l'idea che tanti abbiano scoperto i videogiochi con quelle avventure per bambini, adora l'idea di unire le generazioni col gioco (concetto divenuto letteralmente contenuto della storia in Return).
Spudorate autopromozioni videoludiche
Seconda interruzione del flusso lucasdelirante, per due notizie riguardanti miei non-lucas deliri, ma sempre ludici. Ricordate la mini avventura testuale L'Audace Recupero della Pecora Pacuvia, che ho pubblicato per Commodore 64, Amiga, MS-DOS, Olivetti M10 e Windows a dicembre? Ebbene, ho ricevuto l'emozione di una recensione sull'ottavo numero del nuovo corso di Zzap! L'effetto che fa ritrovarsi su quelle pagine storiche è indescrivibile. In più, nel poco spazio dedicato a Pacuvia (ma commisurato al progetto!), la recensione copre diversi aspetti che mi stavano a cuore, mettendoli perfettamente a fuoco. In un numero che ospita un evento epocale come A Pig Quest, il mio 66 è un vero onore. E lo dico senza ironie.
Un paio di settimane fa ho ultimato e pubblicato la revisione della mia traduzione dell'immortale It Came From the Desert, versioni Amiga e MS-DOS. La prima versione della traduzione risaliva a 20 anni fa, pensate! Al di là di tutte le novità che vi spingo a leggere nella guida in PDF se siete interessati, ho incluso un estrattore di ADF (i file immagine dei floppy Amiga) dalla Cinemaware Anthology su Steam. Trovo importante sostenere la preservazione e la migliore emulazione legale di questo patrimonio. Ho inserito l'estrattore nel pacchetto, però l'ho anche caricato a parte su PC Gaming Wiki, oltre a segnalarlo sullo stesso Steam.
Bill Tiller si racconta a oltranza, scatenato
Sì, non potrei metterla diversamente, perché la "conversazione" di Bill Tiller sul canale YT "Conversations With Curtis" è diventata sostanzialmente un monologo di 3h e 45m!!! Il mitico grafico dei fondali di Curse of Monkey Island nonché creatore di A Vampyre Story è tornato su vicende che aveva già raccontato in altre occasioni (anche molto di recente): proprio per questa ragione mi concentro su alcuni concetti, sorvolando sulle inevitabili ripetizioni...
Bill spiega che la sua propensione per il disegno fu chiara sin dalla tenera età: a differenza degli altri bambini, disegnava spontaneamente già in prospettiva!
Elenca tutte le personalità del mondo dell'animazione americana che incrociò all'accademia CalArts, come insegnanti o coetanei compagni di corso: Joe Ranft (compianto), Chris Buck, Ash Brannon, Glen Keane, Brad Bird, Mike Giaimo, Pete Docter.
Ricorda che, quando arrivò alla LucasArts nel 1992, svolse le prime prove con Sean Turner, un grafico legato anche all'Industrial Light & Magic, attivo su Monkey Island 2 e Day of the Tentacle, in quelle settimane in lavorazione. Tiller rivela che peraltro fu proprio Turner a salvare la situazione riguardante lo stile dei personaggi di The Dig: Clark non li voleva cartoon, Bill pensava che cartoon sarebbero stati più facili da animare e più leggibili, e Sean suggerì di colorarli con un'ombreggiatura alla Chi ha incastrato Roger Rabbit, senza linea di contorno. Una via di mezzo.
Secondo lui, iniziò davvero ad attirare l'attenzione dei colleghi quando animò la morte del quarto astronauta, Toshi Olema, nella seconda versione di The Dig di Brian Moriarty, causata da una pioggia acida. Il personaggio fu poi segato dal gioco finito, nel rispetto della dinamica del terzetto del film Il tesoro della Sierra Madre, ispirazione del progetto. Intanto però tutti avevano capito che Bill sapeva il fatto suo.
Della lavorazione di quella versione di The Dig, Bill ricorda la sua invidia, quando seppe che Steven Spielberg aveva accompagnato di persona Moriarty e l'allora capo-grafico Bill Eaken a provare la giostra di E.T. in un parco a tema, facendo loro saltare l'intera fila!
Per Tiller The Dig si salvò perché Sean Clark, spalleggiato da lui in qualità di promosso capo-grafico durante la terza e ultima incarnazione dell'avventura, impose al team di dimenticarsi delle ansie da prestazione "per soddisfare Steven Spielberg", richiamandoli a dare semplicemente il massimo con un'avventura grafica: per tradizione alla Lucas le sapevano fare a prescindere, in fondo! Si respirava una rivalità interna tra la loro squadra e quella di Tim Schafer al lavoro su Full Throttle: invidiavano la libertà creativa di quegli altri, ma quelli invidiavano l'attenzione che il marketing riservava a The Dig, per il fattore Spielberg! Non che mancassero tensioni tra Clark e Tiller, il quale propose come interfaccia per The Dig un menu a scomparsa in stile Full Throttle, che però Sean non aveva alcuna intenzione di copiare, per principio. Sull'idea di creare i personaggi con attori in FMV però la spuntò Tiller, contrario.
E Bill aveva i suoi motivi per essere contrario all'uso delle riprese con attori, perché - nella pausa tra la seconda e terza versione di The Dig - era stato iniziatore della pratica alla LucasArts, a causa della sequenza che chiese di girare lavorando su Star Wars: Rebel Assault (l'aneddoto ve l'ho già riassunto qualche mese fa). Non era una soluzione adatta per tutte le stagioni, e a suo parere questa pericolosa illusione contribuì alla cancellazione di Indiana Jones and the Iron Phoenix: il suo amico Anson Jew aveva ideato uno stile art déco bellissimo per i personaggi, più grandi nonostante l'avventura fosse pensata in bassa risoluzione, ma uno dei (tanti) motivi per cui la produzione s'impantanò fu l'insistenza del direttore artistico Bill Stoneham sul realismo. Si pensò di creare i personaggi con attori ripresi dal vero, ma per Bill era assurdo anche solo pensare a una persona qualunque al posto di Harrison Ford. I test vennero male, si perse ulteriore tempo e il gioco già in difficoltà fu cancellato. Se non avesse avviato la valanga del FMV chissà cosa sarebbe accaduto...
Tiller suggerisce, ma senza certezze, basandosi solo su sue impressioni, che il mancato coinvolgimento di Ron Gilbert in The Curse of Monkey Island si dovesse al fatto che tra Ron e l'allora presidente della LucasArts Jack Sorensen non corresse buon sangue... a causa dell'accordo poco chiaro tra la LucasArts e la Humongous sull'uso dello SCUMM. Ad ogni modo, come ha detto altre volte, non riteneva sacrilego lavorare su un marchio senza il suo creatore, e si fece in quattro per ottenere la sua posizione nel team, così come aveva lottato per adattarsi a The Dig. Amando poi lo stile cartoon più di quello realistico, non vedeva l'ora di potersi scatenare!
Non c'erano i social all'epoca, ma sa bene che alcuni fan non hanno mai accettato lo stile esagerato di Curse, anche perché nella LucasArts stessa c'era chi era alquanto perplesso dalle scelte di Larry Ahern, che con Jonathan Ackley codiresse e scrisse il gioco. Per Bill, passando (finalmente!) al 640x480 dal vecchio 320x200, bisognava prendere una decisione su come gestire il maggiore livello di dettaglio: animare immagini come i primi piani pittorici di Ian McCaig per le versioni VGA di The Secret of Monkey Island sarebbe stato fuori questione, perché impraticabile a livello produttivo, per complessità e tempi. A prescindere dai gusti, non esistono per lui stili "oggettivamente brutti", ma soltanto scelte, che - ricorda - devono sempre pur tenere in conto pragmaticamente della logistica produttiva. Commentando le polemiche estetiche su Return to Monkey Island, capisce perfettamente la logica dietro alla tecnica d'animazione utilizzata, la più equilibrata nel garantire molti movimenti e scene, senza pesare su un budget indie. Il suo Vampyre Story aveva i personaggi in 3D e costò troppo, limitando la vastità e la lunghezza dell'esperienza.
Contrariamente a quello che ci si aspetterebbe da un fanatico dell'illustrazione bidimensionale 2D a mano libera come lui, Bill dice di amare il lavoro sul 3D: semplicemente non gli piace modellare, ma ama studiare illuminazione e texture. Anche per questo motivo conserva un ricordo bellissimo della lavorazione di Indiana Jones e la Macchina Infernale, dove s'intese alla grande con Hal Barwood. Non gli dispiace affatto lavorare sulle licenze, pure con rispetto maniacale: insistette per esempio per avere un modello di Indy più sporco, per interpretare meglio l'anima da avventuriero del personaggio. Ammette tuttavia che si avvicinò al 3D perché sognava di trasferire nelle tre dimensioni Monkey Island, come si vede dal celebre easter egg della Macchina infernale, farina del suo sacco.
Bill torna sull'idea che ebbe per il "suo" Monkey Island 4, peraltro non disprezzata dai capi: una storia sullo stile degli Incredibili (ante-litteram, era il 1999!), dove Guybrush con famiglia a carico e giorni di pirateria apparentemente alle spalle, accettava una missione per rivivere i giorni di gloria, senza dirlo a moglie (e figli). Quando però si decise di procedere davvero con un quarto Monkey e altri progetti in fasce di Clark e Mike Stemmle naufragarono, il management ritenne più opportuno affidare a loro un'avventura grafica, visto che avevano un curriculum in merito.
Nella difficoltà di farsi approvare un lavoro proprio, dopo per giunta la cancellazione del Full Throttle "Payback" che stava impostando con Ahern nei primi Duemila, Tiller decise di levare le tende. Oltretutto, per volere di George Lucas, la LucasArts aveva una regola: avrebbe posseduto qualunque tua proposta, anche se non si fosse mai realizzata. Il che rendeva consigliabile non aprirsi troppo, per non bruciare per sempre un'intuizione: tappandosi la bocca ha salvato così A Vampyre Story, perché l'idea e i personaggi gli erano venuti in mente proprio nell'ultimo periodo lucasiano.
A Vampyre Story, finanziato dalla Crimson Cow, ebbe un budget più ampio di Ghost Pirates of Vooju Island. Quest'ultimo fu scelto dall'altro editore DTP Anaconda fra tre proposte: un noir popolato di personaggi con volti di attori noti dell'epoca, una storia di fantascienza alla Flash Gordon e una storia di pirati. Tiller non nasconde che tenesse di più alle altre due proposte, trovandole una sfida nuova, ma per i trascorsi monkeyislandiani ovviamente i soldi furono scuciti per seguire la scia piratesca. Il successivo Duke Grabowski, ambientato nello stesso universo, era concepito invece come una serie episodica, ma il primo capitolo non ha mai riscosso tanto successo da proseguire la serie, vendendo sulle 25.000 copie (né aiutò che quasi mille persone l'avessero già, avendone sostenuto il Kickstarter). A Vampyre Story 2 era completo al 20-25% quando capì che la Crimson Cow non sarebbe stata più in grado di finanziarlo.
Al di là dei suoi progetti avventurieri, cosa ha fatto negli anni dopo la LucasArts? Ha lavorato come art director per la Midway su svariati titoli dal 2002 al 2006, poi sul casual Snuggle Truck (2011) e sull'FPS mobile Bounty Bots (2012), degli amici ex-lucasiani Munkyfun.
Le avventure grafiche comunque hanno un vantaggio rispetto agli altri generi: possono continuare a vendere stabilmente nel tempo. Non molla su A Vampyre Story 2, dato che il primo capitolo negli anni è arrivato comunque a 100.000 copie vendute. Mentre lavora sul demo di questo secondo atto (come vi avevo raccontato nello scorso aggiornamento), continua il suo percorso di artista: ha curato l'artwork del gioco da tavolo Shivers (per il quale ha scritto scenari anche Ahern!), sfidandosi a creare elementi in cartoncino pop-up. In cantiere ha un libro illustrato dal titolo "Monster Mary". In tutto questo, non smette mai di fornire i propri servigi grafici da freelance.
In chiusura, segnalo che è da qualche giorno online un altro monumentale video di Conversation With Curtis, questa volta con uno che non parla mai, Aric Wilmunder, il manutentore ufficiale dello SCUMM alla LucasArts. Quattro ore e mezza sono state troppe per le mie forze residue questo mese. Rimando, merita attenzione. Glielo devo poi da febbraio, ma me ne sono ricordato solo ora: Mirko Reggiani si è fatto tatuare Monkey Island, da fan indomito come io non potrei mai essere. Per la cronaca, il tatuatore è Alessandro Conti. ;-) Ciao, Dom
30-4-2023
Salve a tutti. Prima di cominciare, vorrei concedermi una brevissima autopromozione sfacciata: io ed Elisa siamo riusciti a pubblicare il secondo volume dei nostri libri-gioco per bambini, Brico Bear: Su e giù al Luna Park, seguito di Brico Bear: Missione Blackout! del 2021. Magari vi interessa se state meditando un acquisto del genere per bambini o bambine sui 6 anni. Okay, la pianto. Ora Lucasdelirium!
L'epocale Double Fine Psychodyssey
32 puntate, alcune di oltre un'ora: mi ci è voluto del tempo per terminare la visione della Double Fine Psychodyssey, il colossale documentario col quale i 2 Player Productions hanno raccontato non solo la lavorazione di Psychonauts 2 e del suo spin-off Psychonauts in the Rhombus of Ruin, ma soprattutto oltre sei anni di vita professionale ed emotiva di un gruppo di persone nella Double Fine di Tim Schafer. Da più parti si lo si sta considerando come il documentario definitivo sulla realizzazione di un videogioco: per quanto rimanga affezionato alla precedente Double Fine Adventure, che raccontò il celebre Kickstarter del 2012 e Broken Age, questo lavoro rappresenta qualcosa di diverso... e per certi versi è potente, senza gli sconti che pure erano stati fatti nell'occasione precedente. Per la mia analisi / riflessione su quanto ho visto, non sono riuscito a trovare un titolo migliore se non "La spietata odissea psichica della Double Fine": chiunque pensi ancora che questi documentari patrocinati da Tim esistano come assoluzione o ruffiana autopromozione, probabilmente non sarà mai arrivato fino alla fine di questa bomba.
Gary Winnick si racconta
L'ormai indefesso canale Conversations With Curtis ha intervistato il buon vecchio Gary Winnick, con Ron Gilbert iniziatore della tradizione lucasiana, con la creazione di Maniac Mansion. Toccando anche la rimpatriata del 2017 con Thimbleweed Park, Gary ha detto quanto segue.
A 12-13 anni decise che voleva disegnare fumetti. Al liceo disegnò per alcune fanzine, poi nel 1972, dopo il diploma, decise di partire alla volta di New York per sfondare nel mondo dei comics. Fece apprendistato con Neil Adams, poi però tornò in California, dove scoprii il mondo dei computer, comprando un Atari 800 (ma non riuscendo a programmarci!).
Proprio nei primi Ottanta l'Atari andava in cerca di veri grafici, quando si capì che i programmatori non potevano fare più tutto da soli, com'era successo fino a quel momento. Tramite un amico presentò il suo curriculum e iniziò a lavorare nell'industria, per esempio sulla conversione casalinga di Dig Dug. Rimase all'Atari solo per otto mesi, poi tramite l'amicizia con Charlie Kellner fece un colloquio alla neonata Lucasfilm Games. Primo impegno: creare gli alieni Jaggy per Rescue on Fractalus! di David Fox.
In seguito Gary lavorò sulla grafica statica di The Eidolon e Labyrinth, primo titolo su una licenza cinematografica Lucasfilm (ricordo che non potevano paradossalmente realizzare giochi di Star Wars e Indiana Jones in quel momento, perché le licenze videoludiche erano affittate a terze parti!).
L'amicizia con Ron Gilbert sbocciò immediatamente, quando quest'ultimo arrivò alla Lucasfilm Games per convertire Koronis Rift sul Commodore 64. Scoprirono di avere molto in comune e si divertivano soprattutto a guardare b-movie, in un'atmosfera di goliardìa quasi da dormitorio universitario. Fu allora che pensarono alla storia e all'ambientazione di Maniac Mansion, anche perché in quegli anni andava di moda l'horror umoristico (Gary ricorda la versione musical di La piccola bottega degli orrori con Rick Moranis). Qui Winnick ricostruisce tutta la genesi di Maniac, raccontata da me anche nella scheda del gioco.
Era davvero un'altra epoca: Gary ricorda Ron che andò fisicamente, in macchina, a portare i master dei floppy nel luogo in cui sarebbe avvenuta la duplicazione (della quale per la prima volta la Lucasfilm Games si occupò direttamente, Maniac fu il loro primo titolo autopubblicato negli Usa). Riflette pure sulla lentezza con la quale in quegli anni avevi un qualche feedback dai giocatori o dalla stampa, in assenza di internet.
Una delle cose più difficili da gestire in Maniac fu la possibilità di scegliere personaggi diversi con cui giocare, dalle capacità differenti, rapportandosi alla soluzione degli enigmi in modo diverso. Per quanto riguarda la grafica, ringrazia ancora Ron per aver creato un'utility che gli permetteva di disegnare i fondali sul C64 come preferisse, per poi automaticamente proporgli una compressione in un massimo di 256 caratteri di 8x8 pixel (disegnare direttamente tenendola presente sarebbe stato più difficile e... inibente!). I personaggi invece avevano teste enormi semplicemente perché pensò che, con la risoluzione così bassa (160x200 nel multicolor mode del C64, ndDiduz), fosse l'unica maniera di distinguerli correttamente e di leggere delle espressioni sui loro visi.
Per Loom fu lui a decidere per un look che ricordasse il lavoro di Eyvind Earle sulla Bella addormentata nel bosco della Disney, anche se poi fu Mark Ferrari (assunto da lui!) a dargli vita nei fondali, grazie alle sue capacità col dithering. Gary si occupò delle animazioni, ma alcune sequenze particolari, le cosiddette "special case animations", furono realizzate da Steve Purcell.
Intorno al timecode 40:00 Gary mostra le sue illustrazioni originali preparatorie per i personaggi e le location di Maniac!
Quando i Monkey vennero realizzati, a quel punto Winnick era diventato il direttore artistico dell'azienda, e non ci lavorò direttamente quasi per nulla. Tra l'altro era impegnato nella grafica e nel design dell'action per NES Defenders of Dynatron City (1992), che andò male, nonostante fosse stato pensato con una strategia promozionale "crossmediale" (si direbbe ora): un pilot animato per Fox Kids prodotto dalla JVC, un fumetto con la Marvel. Gli sarebbe piaciuto se fosse diventato una serie, come invece accadde in malo modo a Maniac Mansion, adattato in una goffa sitcom che col gioco aveva in comune solo il nome (nessuno si consultò con lui o Gilbert, né era scontato che lo facessero, perché la Lucasfilm gestiva i marchi come riteneva giusto e loro erano di fatto solo impiegati).
Curiosità: durante la post-produzione del film Indiana Jones e l'ultima crociata, il sound designer Ben Burtt aveva bisogno di registrare nuovamente il suono chiaro della frusta, ma lo specialista che la maneggiava non era disponibile. Steve Purcell salvò la situazione, perché per curiosità aveva imparato a usarla mentre realizzava le animazioni per l'avventura grafica!
Lasciò la LucasArts dopo il 1992, perché a quel punto "non era più divertente com'era un tempo" e il marketing aveva iniziato a dettare legge, mentre prima in sostanza gli autori dei giochi creavano quello che preferivano. Gli fu offerto un lavoro da direttore artistico presso la Spectrum Holobyte, per una cifra ben più alta di quella che gli davano alla Lucas, così accettò. L'ultima cosa che fece alla LucasArts fu il brainstorming per il soggetto di Day of the Tentacle, un gioco che trova bellissimo, anche se non ha molto a che vedere con lo spirito originale di Maniac.
In seguito ancora ha svolto lavori da freelance con la sua Light Source per Yahoo (contribuendo alla creazione grafica degli avatar che l'azienda voleva per i propri utenti) e ha cercato di avviare, senza successo, un gruppo di sviluppo chiamato Suddenly Social, insieme ai vecchi amici Noah Falstein e Chip Morningstar.
Thimbleweed Park nacque perché lui e Ron un giorno, mangiando insieme, recriminarono sul fatto che non si divertivano più come ai tempi di Maniac: "Perché allora non torniamo a divertirci?" Lanciarono il Kickstarter e attirò molta più attenzione e fondi del previsto. È contento del risultato e tuttora ne gode i proventi, che gli hanno permesso di dare più spazio alle sue attività preferite, l'illustrazione e i fumetti. Non ha rimpianti su Thimbleweed: siccome è stato un progetto indipendente, sono stati in grado di migliorarlo e di aggiungervi cose con delle patch senza dover dar conto di nulla a nessuno.
Non gioca molto, all'epoca di Thimblweed provò alcune avventure contemporanee, ma più che altro per capire quale fosse il tipo di proposta medio per un'avventura grafica in quel periodo, per capire la concorrenza.
Return to Monkey Island: Jennifer Sandercock e la sfida della produzione
Già producer, co-programmatrice (e co-dialoghista) di Thimbleweed Park, la prode Jennifer Sandercock si è occupata della più complessa produzione di Return to Monkey Island e ha spiegato in un panel alla GDC le strategie che ha adottato per consentire a tutti di portare a termine l'impresa. Riassumo.
Cosa rende per lei Return un "successo"? Il gioco è stato acclamato dalla critica, è stato consegnato con uno scarto di appena trenta giorni rispetto alla data pattuita, è costato poco più di quanto preventivato, e ha lasciato il team contento del lavoro svolto. È stato inoltre realizzato con un team di venticinque persone in totale segretezza, durante una pandemia e totalmente in remoto.
È importante notare che i suoi consigli si riferiscono a un titolo in 2D (il 3D può cambiare molte dinamiche) e a un'assenza di sperimentazione radicale del gameplay nel corso della produzione, perché le modalità di interazione erano state definite e decise prima di partire.
Dopo i primi tre mesi di pre-produzione, l'avventura era già giocabile interamente, con grafica provvisoria. Ogni elemento grafico ha ricevuto un massimo di tre passaggi per arrivare alla forma pubblicata.
Come mantenere un segreto tale? I membri potevano dire di lavorare con Ron Gilbert su un'avventura grafica, ma non di lavorare su un gioco di Gilbert e Dave Grossman, perché l'associazione sarebbe stata subito sospetta. Ogni loro consultazione di siti web specializzati doveva avvenire mentre non erano loggati. Ogni postazione di lavoro doveva essere protetta da una porta. È stato redatto da lei un documento per chiarire al team cosa fosse ritenuto segreto e cosa no.
Con quali mezzi hanno interagito? Zoom, Notion e Slack (qui senza usare thread, creando solo canali ogni volta che ce ne fosse bisogno, compresi canali ultra-provvisori per elementi transitori, tipo lo shader della giacca di Stan).
A ogni nuovo arrivato nel team veniva dato un template di Notion per capire subito le coordinate del progetto e quello che avrebbe dovuto fare. A un altro membro del team già attivo da almeno due mesi veniva chiesto di "fare gli onori di casa" con la nuova persona, rispondendo alle sue richieste. Fogli appositi contenevano informazioni personali di ciascuno sviluppatore, in maniera tale che tutti sapessero in quali ore gli altri fossero attivi e conoscessero almeno a grandi linee le loro personalità. Hanno organizzato anche incontri opzionali di mezz'ora per parlare di tutto fuorché del gioco, per conoscersi meglio.
Ogni lunedì successivo alle milestone (programmate per il venerdì) era automaticamente vacanza pagata per tutti: un modo di alleggerire lo stress accumulato negli sprint. Niente crunch: non bisognava domandare alcunché ai collaboratori al di fuori dei loro orari di lavoro, e non erano previsti premi per chi lavorasse al di fuori di quell'orario, onde non incentivare la pratica.
Il foglio "What-I-Did" ("Cosa-ho-fatto-oggi") doveva essere compilato da ogni membro del team alla fine della propria giornata lavorativa. Questo permetteva a Jennifer di capire a quale velocità procedessero determinate lavorazioni, eventualmente per ridistribuirle, e a tutti per avere in caso di necessità un'idea di come si stesse procedendo.
Una volta per ogni sprint era prevista 1 ora di gameplay in streaming, aperto a tutto il team. Una volta al mese uno di loro parlava a tutti più a fondo della sua area di specializzazione, per essere sicuro che gli altri capissero il suo metodo di lavoro e le relative tempistiche.
Le riunioni, questione spinosa. Vanno mantenute brevi, azzerando i tempi morti, selezionando accuratamente chi coinvolgere e quando lasciare andare le persone. Mantenere basso il numero delle riunioni, per non intralciare il ritmo di lavoro, ma non troppo basso da renderle poi troppo lunghe o inutili. Possono essere anche solo limitate all'audio se si parla di aggiornamenti rapidi su qualcosa, altrimenti è meglio un'interazione anche visiva. È fondamentale prendere appunti durante la riunione, per futuro riferimento.
Come e più delle riunioni, gli sprint vanno pianificati accuratamente, calcolando quante mansioni dare a ciascun membro e pesandone la durata (che varia a seconda della loro area di specializzazione: programmazione, grafica, etc.). Troppi sprint con troppe cose da fare per ciascuno portano solo allo stress: se si è nel dubbio, meglio assegnare poca roba e dare a ciascuno la piacevole sensazione di essere rimasto con del tempo libero per fare qualcosa dalla lista degli "extra" (anche quella già pronta). "In realtà, lo sviluppo di un videogioco è più una maratona".
Lo sviluppo era suddiviso in: sprint di 2 settimane - stage (composto da 2 sprint in 1 mese) - milestone (3 stage, cioè 6 sprint in 3 mesi).
Da producer, ascoltava le problematiche sollevate da qualcuno, però non cercava mai di reagire al momento: è necessario del tempo per pensare a come risolvere un problema, specialmente per verificare che la possibile soluzione non diventi una fregatura per qualcun altro.
I playtester registravano le proprie partite su Zoom, con pochissimi membri attivi, per non intimidirli. I video con i risultati dei playtest venivano poi discussi.
Ogni tanto organizzavano delle riunioni su "rischi & paure", per discutere tutti insieme di alcune preoccupazioni sul progetto, facili da perdere di vista quando ti concentri giorno dopo giorno sul particolare e non sul generale.
Tagliare contenuti? Fa sempre male prospettarlo, ma prima di farlo bisogna capire cosa comporterebbe evitare il taglio: quanto costerebbe? Quest'informazione concreta va passata al finanziatore, che eventualmente deciderà se l'esborso aggiuntivo valga la candela (a loro è successo: sono andati di poco oltre il budget perché volevano assumere un altro animatore per arricchire l'esperienza: la Devolver e la Lucasfilm Games hanno accettato). Non bisogna avere paura di tagliare, ma nemmeno di aggiungere. Esempio: inizialmente le tre sfide su Brrr Muda erano in una location unica per il Municipio. Quando è stato deciso di dividere il Municipio in quattro location diverse, i fondali si sono moltiplicati, ma in compenso la rapidità di programmazione ne ha guadagnato, perché il codice delle tre sfide non si intrecciava nella stessa location.
La gestione dei database è molto complessa (se siete interessati ai consigli pratici, vi consiglio di analizzare bene il video), ma qui posso riassumere che sono divisi in settori: stanze, inventario, skin dei personaggi, cutscene, asset per le animazioni, gruppi di animazioni, animazioni in Spine.
Return to Monkey Island: la rimpatriata musicale di Michael Land, Peter McConnell e Clint Bajakian
Sempre alla GDC, Michael Land, Peter McConnell e Clint Bajakian hanno tenuto un'altra conferenza sulle musiche di Return to Monkey Island. La colonna sonora è stato uno degli elementi meno discussi dell'avventura, per cui trovo particolarmente interessante la spiegazione del loro approccio nella rivisitazione di un passato comune. Riassumo.
Come si sono conosciuti? Clint e Michael al liceo nel 1976 (!), poi Michael è andato a Harvard nel 1980 ed è diventato amico di Peter. Hanno suonato da sempre tutti insieme, sono rimasti tanto amici e ancora amano andare a mangiare in ristoranti italiani!
Per lavorare su The Secret of Monkey Island, Michael rispose semplicemente a un annuncio letto su una rivista: sapeva che tipo di musica volevano, il reggae, e per fortuna aveva un minimo di esperienza in merito, avendo suonato con Josiah Kinlock, legato a Bob Marley. Il primo brano che scrisse fu, indovinate un po', proprio il mitico tema musicale, composto con una Roland MT-32.
Land non era entusiasta della riproduzione delle musiche in semplici loop in Monkey 1, così invitò Peter e Clint alla LucasArts e con il primo creò l'engine iMUSE, tenuto a rodaggio con Monkey Island 2: LeChuck's Revenge. Soprattutto in questo gioco si sbizzarrì a comporre un numero notevole di variazioni di entrata e uscita per i vari brani, in modo tale che il tappeto musicale potesse variare continuamente nel modo più fluido possibile, rispettando le battute.
Secondo Clint c'è un sottotesto di divertimento stupido nella serie di Monkey Island che dev'essere abbracciato da chi ci lavori: fa l'esempio del puzzle sul tema di LeChuck in Return, dove lui, Michael, Peter e Jared Emerson-Johnson hanno fornito i propri vocalizzi ai teschi canterini. Al di là di questo, l'esagerazione è una chiave per musicare i personaggi della saga, spesso stereotipi di qualcosa: Bajakian fa ascoltare la sua "Customs Ship", che prende in giro la grandeur del giudice Plank durante il controllo doganale in mare.
Return naturalmente non usa più l'iMUSE ma l'engine esterno FMOD, che permette la stessa gestione dell'audio interattiva. Jared si è occupato di programmarla nel gioco, ma per quanto riguarda la composizione Clint spiega come si siano regolati: assegnavano ogni macroarea a uno di loro tre. Il compositore le dava una caratterizzazione musicale e un brano fondante: tutti i sottobrani delle varie location ("depictions") erano della stessa identica lunghezza del brano principale per consentire di sfumare uno nell'altro agevolmente, e nascevano come variazioni su questo tema, musicalmente compatibili tra loro.
Peter si è occupato della produzione: le tre ore di musica sono state per la maggior parte registrate live a Nashville, con sfide logistiche causate dal Covid (lui, Michael e Clint non si sono mai incontrati di persona durante la lavorazione!), ma anche creative. Come accade spesso con le avventure grafiche, le richieste musicali si sono via via espanse, con sempre più dettagli da sottolineare narrativamente. Peter mostra i diagrammi che hanno preparato per ciascuna isola, poi un elenco degli strumenti musicali utilizzati (timecode 15:10, per chi se ne intende davvero ed è curioso). Era importante che lui, Clint e Michael componessero con in mente gli stessi strumenti, per rendere più solida l'omogeneità musicale del gioco.
Secondo Clint, alcuni strumenti trasmettono a prescindere una sensazione: il clavicembalo per esempio proietta chi ascolta automaticamente nel Seicento-Settecento, mentre gli ottoni sono ideali per le sottolineature drammatiche. I legni tendono ad avere il sopravvento sugli altri strumenti, e bisogna tenerne conto.
Peter spiega che le musiche di Return sono state composte costruendo sui temi di Michael, arricchiti da contaminazioni esterne. Nel suo caso, ha scelto citazioni di canti marinareschi, canzoni popolari e musica classica. Nei suoi brani si ascoltano citazioni o riarrangiamenti di cose come "Hullabaloo Belay" (riconoscete il "Guybrush's Floating Theme"?). Per il Municipio di Brrr Muda ha attinto al canto popolare norvegese Per Spellmann. Per Stan su Brrr Muda si cita Go Tell Aunt Rhody, ma perché? Perché la canzone popolare parla di una "vecchia oca grigia morta": in Monkey 2 Stan vendeva bare, e da allora quest'associazione con lo humor nero è rimasta nel tessuto musicale del personaggio. Quando Guybrush visita il giudice, scatta il Dies Irae. Nel palazzo della regina, sin da quando si sale, ci sono citazioni esplicite di Carl Stalling, il compositore dei Looney Tunes che rivisitò il Tannhäuser di Wagner in chiave comica (per il corto "What's Opera Doc?" di Chuck Jones, con Bugs Bunny e Taddeo).
Wagner aveva inoltre definito il concetto di "leitmotif", un tema ricorrente che racchiude il senso ultimo di quello che si vuole trasmettere: Peter e Michael hanno deciso che per Return il leitmotif sarebbe stato costituito da cinque note (per le cinque chiavi che ossessionano Guybrush): la sequenza è mi-si-sol-fa diesis-la diesis. Il suo trionfo è su Terror Island (anche al contrario), e domina in chiave apocalittica sul finale sottoterra. Giustapporre la serietà ai momenti ironici potenzia l'umorismo.
Clint a questo punto si lancia in una spiegazione molto specifica di come funzioni il suddetto sistema delle "depiction" su una struttura armonica comune, partendo dalle sue composizioni per l'Atto 2 sulla LeShip (7 brani che combinano il tema di LeChuck, il tema del cimitero di Monkey 2 - le prime otto battute di entrambi sono compatibili tra loro - più un pezzo originale). Alzo le mani: la mia ignoranza tecnica della musica non mi consente né di capire appieno il discorso né di riassumervelo efficacemente. Chi di voi però ne abbia le capacità, può ascoltare con attenzione il timecode 27:30-41:20 della conferenza. Bajakian si dice generalmente soddisfatto di come ha gestito quell'equilibrio tra tema e varianti, anche se a volte ammette che si sarebbe potuto spingere oltre con quest'ultime.
Land ha strutturato i 48 minuti di musiche per Melee in 22 variazioni sul vecchio tema della mappa da Monkey 1: 16 battute, la maggior parte in chiave di do. Il primo passaggio per arrivare alla nuova versione è stato liberarsi del la bemolle, per rinforzare l'effetto del si bemolle (spero di aver tradotto e interpretato correttamente!!!). Com'è cambiato il suo modo di comporre i loop in trent'anni? Ha imparato per esempio che è meglio usare un numero di note non sempre uguale per ogni battuta: la varietà che se ne ottiene è più compatibile con la ripetizione, pesa meno. Per questa sezione della conferenza, vale lo stesso discorso fatto per quella di Clint: andate oltre i miei incompetenti riassunti, se siete musicisti, e ascoltate la spiegazione direttamente (fino al timecode 52:00).
Non c'è stata spesso una netta separazione tra il lavoro di composizione e quello di orchestrazione, gli strumenti nodali per le singole composizioni erano già decisi dagli autori delle stesse.
I brani erano consegnati completi, con le tracce degli strumenti già mixate e non separate, se non per poche eccezioni, specialmente da parte di Peter (gli strumenti che commentano le apparizioni di Stan in effetti sono giustapposti al brano sottostante, a sua volta asciugato di qualche voce quando la sovrapposizione avviene).
Con il passaggio dal MIDI degli anni Novanta alle registrazioni dal vivo, si è perso il controllo più raffinato delle transizioni stile iMUSE? Per Michael sicuramente: una dissolvenza tra un brano e l'altro per lui non suona mai come l'inserimento pulito di una nota in tempo reale, proprio mentre un sintetizzatore esegue il pezzo (è una delle ragioni per cui Peter ha sentito il bisogno di articolare alcune sue tracce in più voci, per mitigare il problema). Peter comunque ridimensiona la perdita: un essere umano che suona dal vivo è una conquista, e compensa ampiamente l'assenza del controllo minuzioso sull'esecuzione. Clint immagina anche un approccio che sappia bilanciare strumentazione dal vivo e suoni sintetizzati per un matrimonio tra le due visioni.
Indiana Jones e il Quadrante del Destino in avvicinamento!
Sì, lo so, non bisogna farsi illusioni, ché poi si soffre. Però si vive pure una volta sola, quindi chi.se.ne.frega. Non sono rimasto proprio entusiasta del poster di Indiana Jones e il Quadrante del Destino (più che altro mi disturba il vuoto in alto a sinistra nella composizione), però il nuovo trailer per me tocca tutte le corde giuste. Ero rimasto affascinato nel precedente teaser dall'idea di vedere Indy accostato alla modernità, in chiave meno simbolica-apocalittica dell'atomica nel Teschio di cristallo. Continuo a ricevere soddisfazioni dal regista James Mangold, che azzarda un trailer di un Indiana Jones partendo addirittura da Sympathy for the Devil dei Rolling Stones. Spiazza. Spiazza bene. Il 28 giugno al cinema, per l'ultima volta con Harrison.
Calendario immediato
Non sono sicuro che questi titoli interessino a tutti come a me, ma attendo con molta curiosità l'uscita di alcune avventure narrative che tratterò qui su Lucasdelirium, perché sono tutte legate alla vecchia Telltale, in modi diversi. Ne ho scritto in passati aggiornamenti, ma ora abbiamo date d'uscita precise. Ricapitolando:
Il 23 maggio i Dramatic Labs di Kevin Bruner esordiranno ufficialmente con Star Trek: Resurgence, per le Xbox, PS4/5 e Windows, per ora solo attraverso l'Epic Games Store (l'Epic è partner del progetto, che gira con l'Unreal Engine). Permane una certa perplessità su un aspetto grafico un po' scarno, tuttavia il mondo di Star Trek si adatta benissimo alle "scelte terribili" di derivazione Telltale, dei quali Bruner fu confondatore e dai quali provengono gli autori. In attesa dello Star Wars Eclipse della Quantic Dream, più direttamente vicino al nostro mondo, ci terremo occupati con la saga spaziale rivale (che pur vanta fan vip come Ron Gilbert!). Si tratta di una storia unica, non episodica.
Dopo diversi slittamenti, il Night School Studio (da qualche tempo acquisito da Netflix) ha collocato l'uscita di Oxenfree II: Lost Signals il 12 luglio, per Windows, PS4/5 e Switch (curiosamente non per Xbox, forse il porting arriverà dopo). Il primo Oxenfree a inizio 2016 si guadagnò l'attenzione mia e di molti altri, e nel frattempo ulteriori ex-Telltale sono confluiti nel piccolo studio. Dopo il debole Afterparty (2019) bisogna rialzarsi. Mi è sempre piaciuto il loro taglio con visuale laterale, non-cinematografico.
Dovrebbe essere quasi contemporanea ("estate") la pubblicazione del primo episodio di The Expanse, tratto dall'omonimo universo creato da Daniel James Abraham e Ty Corey Franck, per i loro romanzi e per l'omonima (ricchissima) serie tv. Per me è la proposta che promette di più: da un lato segna il ritorno del marchio Telltale come publisher (sotto nuovi proprietari), dall'altro l'avventura narrativa è realizzata dai Deck Nine, dei quali ho molto apprezzato di recente Life Is Strange: True Colors. Gli episodi saranno già pronti alla pubblicazione del primo, l'uscita a puntate ravvicinate (si vocifera un paio di settimane) ha il solo motivo di mantenere alta l'attenzione sul titolo per più tempo, riscaldando la community. Piattaforme previste: Xbox Series S/X, Playstation 5 e Windows (anche qui tramite Epic Games Store, sempre per ragioni di partnership).
In chiusura, sono consapevole che anche Bill Tiller si è lasciato andare a una chiacchiera monumentale di 3h 45m (!!!) con il canale Conversations With Curtis, ma non ho avuto ancora tempo di affrontarla. Ho cercato però nei sottotitoli la parte relativa al seguito di A Vampyre Story, perché mi sembrava più urgente. Bill dice di avere completato i fondali di un demo di A Vampyre Story 2, ora altri grafici stanno lavorando sulle animazioni, realizzate con un sistema simile a quello dei Telltale: esistono animazioni generiche per diverse parti del corpo, combinabili insieme per far recitare i personaggi tramite uno script. Sta anche semplificando l'interfaccia, per registrare meno dialoghi e velocizzare l'interazione, riducendo la quantità smodata di hotspot che c'erano nel primo gioco. Speriamo che il demo, una volta completato, convinca qualche editore/finanziatore! Ciao, Dom
31-3-2023
E anche Lucasdelirium entra nella stagione del glicine, in un aggiornamento / risveglio dei sensi che comprende un'altra scheda nuova di zecca, due approfondimenti in zona emulazione, nonché il ritratto di una delle menti più geniali che abbiano fatto capolino nel mondo LucasArts! Cominciamo immantinente!
20 anni di Indiana Jones e la tomba dell'imperatore
Chi ha un'ottima memoria ricorderà che per meno di un anno, tra il 2003 e il 2004, qui su Lucasdelirium ci fu la scheda dell'action-adventure Indiana Jones e la tomba dell'imperatore, realizzato dai The Collective (poi Double Helix) per conto della LucasArts. Dopo la cancellazione di Sam & Max Freelance Police nel marzo 2004, mi offesi così tanto con la Lucas da impuntarmi sulle avventure grafiche e boicottare tutto il resto. Vent'anni fanno miracoli nel creare un equilibrio mentale meno infantile e più storiografico, ma non avevo nemmeno voglia di recuperare quella vecchia scheda, scritta da un altro me stesso. Nell'ultimo mese, pensando anche all'imminente film Indiana Jones e il quadrante del destino (in sala dal 28 giugno), ho rigiocato la Tomba dell'imperatore e ho creato una scheda nuova di zecca, da zero. Non sarà il mio amato Indiana Jones e la Macchina Infernale, e l'assenza della visione autoriale di Hal Barwood la patisco tantissimo, ma in molti trovano divertente questo titolo... e capisco il loro punto di vista. E se si parlasse solo delle sue musiche, meriterebbe un applauso a scena aperta.
Noi fan di Indiana Jones, a differenza di quelli di Star Wars, dobbiamo crearci le nostre ricorrenze: film a parte, sembra che la serie di Indy per Disney+ sia stata stroncata sul nascere. Solo l'insistenza del frustrato scrittore Rob McGregor ha per esempio fatto affiorare online il suo adattamento di Indiana Jones e il Bastone dei Re del 2009, un gioco semicancellato che vide la luce solo nelle sue edizioni "minori". E se vi state domandando che fine abbia fatto il misterioso gioco di Indiana Jones in lavorazione presso i Machine Games per conto della Bethesda, su licenza Lucasfilm Games, è dal suo annuncio nel gennaio 2021 con un teaser che non se ne sa nulla di concreto. A dicembre però Todd Howard ha giurato che non solo è ancora in lavorazione a porte chiuse, ma che stanno puntando a un'esperienza che non si può ascrivere a un solo genere. Adoro questo tipo di approccio e mi fa tanto piacere, mi fa sperare che abbiano capito il sottile equilibrio della serie, sono un tipo ottimista... però sarebbe bello sentir battere un colpo più netto, con qualcosa da vedere.
Continuiamo a parlare di Return to Monkey Island
Okay, in realtà questa la sa già chi mi segue su Facebook o Twitter, ma Calavera Cafè ha pubblicato su YouTube la seconda parte della nostra videoanalisi di Return to Monkey Island, registrata "in coalizione" con Cristiano "Gnupick" Caliendo e Gianluca (sig.) Santilio. So che questo approfondimento è stato gradito, e in particolare mi è piaciuto leggere che sia risultato interessante anche a chi NON ha gradito il gioco: perfetto così, non è una recensione. Non lo trovate liberatorio? Il bello è anzi forse che le stesse cose che abbiamo apprezzato noi possono essere lette in chiave negativa. È questo il senso di un'analisi, anche se la parola può suonare presuntuosa: sforzarsi di dare gli strumenti per capire qualcosa, e per decidere su quelle basi se cambiare idea oppure rimanere a maggior ragione dello stesso avviso! Registrammo tre puntate, ce n'è ancora una in cantiere, per completare il discorso.
Il sapore dei monitor CRT: umili consigli di sopravvivenza
Vent'anni fa, quando Lucasdelirium era aperto da poco, dedicai un articolo al "Dilemma della visualizzazione", cioè all'abisso tra la resa dell'ormai cosiddetta "pixel art" sui vecchi monitor CRT e sugli attuali schermi (LCD poi LED). Una decina d'anni or sono l'aggiornai, anche se andrebbe rivisto periodicamente e nel frattempo è inevitabilmente invecchiato ancora. Un preambolo per spiegarvi che rifletto sulla questione da una vita, e un recente evento mi spinge adesso a tornare sull'argomento. La nuova versione 2.7.0 da poco pubblicata di ScummVM si apre al supporto degli shader che sotto OpenGL simulano i tubi catodici CRT, a grande richiesta. Se la prospettiva è allettante per i nostalgici, esiste il rischio di tuffarsi in un vortice che insegue all'infinito l'immagine che fu, senza abbracciarla davvero mai. Potrei dirvi quali shader uso io per quell'effetto nei vari emulatori, ma la verità è che ognuno ha i suoi ricordi (spesso falsati) e le sue preferenze. Penso sia il momento adatto per azzardare consigli retti dal contesto storico: magari possono servirvi come bussola generale. Non mi concentro specificamente su ScummVM, perché non ho avuto tempo di testare a fondo il funzionamento dei suoi shader.
Prendete in considerazione l'idea di farne a meno. Non vi sto prendendo in giro. Rispetto a trent'anni fa, passiamo molto più tempo a guardare monitor, siano PC o smartphone: i nostri occhi si meritano la nitidezza cristallina dei LED attuali, ne hanno un bisogno disperato. Per me la cosa più importante è invece il rispetto delle proporzioni originali dell'immagine: è ormai diffuso il moderno ridimensionamento pixel-perfect, una vera conquista, che combinato alla vecchia correzione dell'aspect ratio (non sempre sufficiente da sola) restituisce appieno il 4:3 corretto di quei giochi, avendo la meglio dei più ostici pixel rettangolari. Il prezzo da pagare può essere una certa vignettatura nera a tutto schermo, a seconda della risoluzione di partenza del gioco e del vostro monitor, ma è un prezzo che almeno io pago volentieri per la fedeltà. Specialmente nel caso dei titoli dai 640x480 in su, il banale filtering bilineare è poi più che sufficiente a evitare l'eccesso di fredda nitidezza, e non fa rimpiangere troppo i CRT. Parere tutto mio, s'intende. Non siete convinti? Eh, vi capisco, anche a me a volte non piace accontentarmi. Seguitemi all'inferno!
Se il vostro scopo è ottenere l'immagine dei monitor CRT VGA, per giochi in 320x200 a 256 colori (l'epoca storica dei primi anni Novanta), tenete presente che le linee di scansione NON SI VEDEVANO!!! Il 320x200 infatti sulla VGA connessa a un monitor veniva visualizzato in double scan, in altre parole la risoluzione verticale era nei fatti di 400 pixel (ogni linea era mostrata due volte), per giunta compatti, mostrati a scansione progressiva e non interlacciata. Quello che vi serve è "solo" uno shader che simuli nel modo a voi più gradito possibile due cose fondamentali: 1) I "punti di fosforo", cioè quelle piccole unità che NON corrispondono ai pixel e che sui vecchi monitor e TV componevano l'immagine, tramite l'incontro dei raggi catodici con il fosforo dello schermo; 2) Una delle varie maschere ("rgb masks") nel tubo catodico, atte a filtrare i raggi per distriburli a ognuno di tali "puntini". Questa è l'essenza dell'immagine CRT, la sua natura. Lasciate perdere per la VGA l'inseguimento delle linee di scan e altri effetti extra: certo, ci furono alcuni PC che presentavano anche con la VGA un'uscita opzionale analogica per le TV e quel tipo di segnale PAL/NTSC, ma erano pochissimi e i risultati erano scadenti, e in ogni caso era una circostanza davvero rarissima.
Se invece volete visualizzare in stile CRT le risoluzioni 320x200 o giù/su di lì per giochi PC EGA o CGA, Amiga, Atari ST o C64, allora potrebbe avere senso usare gli shader più violenti e più pesanti per le schede video, cioè quelli che includono anche la simulazione delle linee di scansione, la curvatura degli schermi, i riflessi, i bagliori esagerati, i disturbi PAL/NTSC, la persistenza dei fosfori, gli schizzi di Coca Cola volata sullo schermo dopo un sorpasso a Lotus Esprit Turbo Challenge (scherzo)... e via discorrendo. Si rischia tuttavia uno sforzo visivo non indifferente, siete avvisati. Ricordate che usavamo quelle macchine più antiche con schermi 4:3 piccoli sui 14", oppure con televisori grandi ma a notevole distanza, per esempio in salotto o in soggiorno: una distanza almeno doppia rispetto a quella che manteniamo oggi seduti a una scrivania. Qualsiasi shader "estremo" scegliate, ricreate la stessa situazione allontanandovi dal monitor o riducendo le dimensioni della finestra di gioco!!! Non guardate a meno di un metro un'immagine in stile monitor EGA antico ingigantita a 20" e più! Fa schifo, danneggia la vista ed è pure un falso storico!
Mettetevi l'animo in pace: la resa di ogni CRT shader dipende dalla risoluzione di partenza del gioco, dalla risoluzione del vostro sistema reale, dalla grandezza del vostro monitor e dalla modalità di funzionamento dell'emulatore che usate. Uno shader che funziona bene su un monitor 1440p o 4K potrebbe dare problemi sul 1080p, e viceversa. Una combinazione ottimale per un gioco in 320x200 potrebbe rivelarsi inadatta a un altro in SVGA a 640x480 o 800x600. Lo stesso shader su ScummVM, Retroarch o DOSBox può dare risultati diversi in ciascuno dei tre! Sappiate che non troverete mai un unico shader che faccia al caso vostro in ogni situazione. I mezzi per ottenere l'esperienza ci sono tutti, ma sperare di saperli usare in un paio di click è utopia, l'idea che esista uno shader universale è illusione: per darvi un'idea, guardate questa monumentale eccellente guida, che dice in modo molto più approfondito alcune cose che vi ho già scritto, ma va molto oltre. Ebbene, quel trattato chilometrico copre SOLO l'emulazione del monitor Commodore 1084s connesso a un Amiga!!! Non ho altro da aggiungere.
Il DREAMM raggiunge la v.2.0
L'anno scorso vi avevo già parlato del DREAMM creato dall'ex-programmatore lucasiano Aaron Giles, che per ben sei anni è stato peraltro responsabile dell'emulatore di arcade MAME. Anche DREAMM è un emulatore, inizialmente finalizzato ad avviare le versioni PC di tutte le avventure LucasArts scritte in SCUMM, ma ora con la sua neonata versione 2.0 si allarga ai titoli 3D come Grim Fandango e Fuga da Monkey Island, e persino a non-avventure: Star Wars X-Wing, Star Wars Tie Fighter, Star Wars Rebel Assault 1 & 2, Star Wars Dark Forces e Afterlife.
Aaron è stato così gentile da accreditarmi tra i ringraziamenti della versione 2.0, anche se per ora non ha potuto accontentarmi: gli ho passato per testing le iso delle versioni italiane CTO di Grim e Fuga, che purtroppo DREAMM ancora non supporta, per colpa di un DRM extra molto cattivo sui dischi. Aaron non l'ha ancora preso di petto, mi ha detto che lo farà in una versione successiva del programma, ma nel frattempo vi comunico che DREAMM è già un'ottima maniera per far girare senza problemi di compatibilità sulle macchine moderne la versione italiana su GOG di Monkey Island 4! Direi non male, visto che la sua implementazione in ScummVM non procede spedita. Ad ogni modo, è arrivato il momento di far posto su Lucasdelirium a questo simpatico "terzo incomodo" tra ScummVM e DOSBox: in ogni scheda del sito relativa ai giochi supportati, nella sezione "Consigli tecnici", troverete adesso anche DREAMM, con un'eventuale breve considerazione finale sulle versioni di quello specifico titolo che è in grado di avviare.
Graham Annable, dalla LucasArts a Puzzle Agent, passando per la stop-motion
Graham Annable è uno dei miei miti personali, e so che anche qualcuno di voi lo ammira, per Puzzle Agent e Puzzle Agent 2. Al di là della sua carriera di grafico alla LucasArts e nel primo nucleo dei Telltale, Annable ha creato l'universo di Grickle (The Book of Grickle è uno dei miei libri a fumetti preferiti: amaro, surreale, geniale) ed è un artista di storyboard cinematografici ai massimi livelli, per la Laika: Coraline e la porta magica, Paranorman, Kubo e la spada magica, Mr. Link. Per loro ha anche codiretto un film in stop-motion, Boxtrolls, e continua a realizzare da solo cortometraggi incredibili. Incidentalmente, è il marito di Malena Annable, producer storica della Double Fine. L'ormai mitico canale Conversation With Curtis lo ha intervistato e non posso esimermi dal riassumere quello che ha avuto da dire.
Qual è stata la sua formazione? Ha frequentato lo Sheridan College nell'Ontario: dopo tre anni cominciò a lavorare al Phoenix Animation Studio su una serie tv. In realtà pensava di iscriversi a una facoltà di scienze, e d'altra parte in Canada, nella cittadina in cui era cresciuto, "o lavoravi nel campo dell'acciaio o giocavi a hockey", non era nemmeno sicuro che l'arte potesse essere un lavoro. Realizzò presto però che tutti i suoi libri, anche quelli di scienze che pure lo appassionavano, erano pieni di suoi disegni, gli era sempre venuto naturale disegnare sin da piccolo, amava soprattutto i Peanuts. Perché si è specializzato nell'animazione? Amava il cinema, amava disegnare, 1+1=2...
Il primo importante impegno cinematografico fu per In viaggio con Pippo: il Phoenix Animation Studio doveva occuparsi dell'intercalatura (cioè dei disegni aggiuntivi intermedi per la fluidità dell'animazione) e del clean-up delle animazioni realizzate in Francia. Un'esperienza formativa per la difficoltà della missione: "Non puoi bluffare con Pippo, tutti sanno com'è disegnato Pippo!"
In questo periodo visse un momento che solo a posteriori ha giudicato epocale, perché era troppo giovane per capirne la portata: fu selezionato per realizzare insieme ad altri colleghi lo storyboard di un cortometraggio inedito con Daffy Duck e Porky Pig, diretto da Chuck Jones in persona! Il corto non fu mai realizzato, ma lì capì comunque quanto amasse il settore che si era scelto.
Poco dopo questi eventi, un "amico di un amico" gli fece sapere che alla LucasArts cercavano animatori capaci: era difficile trovarne in quella zona della California, perché gli artisti non volevano lasciare Los Angeles, mentre per dei Canadesi poteva essere un'occasione per cambiare vita. Lo fece. Arrivò alla LucasArts nel 1994, sul finire della produzione di Full Throttle: il più era stato fatto, ma gli affidarono delle animazioni particolari e ostiche, come la vite che si allenta e fa saltare la ruota di Ben, o il fertilizzante che si rovescia sulla strada.
Il The Dig finalmente pubblicato fu però il suo primo vero impegno lucasiano: ricorda che animò tutte le scene della "tartaruga spaziale" (che fa una brutta fine) e alcune delle sequenze, come quella in cui nell'intro un giornalista si alza in silhouette e pone una domanda agli astronauti in partenza. Amava le cutscene, perché era il momento in cui potevano animare a mano libera e scannerizzare i disegni, mentre le animazioni in-game erano realizzate alla vecchia maniera col mouse, direttamente nei programmi di grafica (con la formazione che aveva avuto, non gli veniva molto naturale).
The Curse of Monkey Island, da lui e dai colleghi abituati all'animazione tradizionale, fu vissuto come una liberazione, perché a quel punto il processo era tutto gestito tramite scannerizzazione di disegni a mano, sprite inclusi. Come plus, alla LucasArts pochi si rendevano conto che quella tecnica necessita di una pianificazione accurata dei costi: quando capirono che il management non ne aveva idea, ne approfittarono per animare alcune sequenze come se stessero realizzando un vero cartoon per il cinema, non lesinando sulla quantità di disegni e la massima fludità!
Quando ci fu la transizione al 3D, meditò seriamente di tornare alle sue mire iniziali, quelle di lavorare nell'animazione a Vancouver. La LucasArts però capiva lo spaesamento degli artisti come lui, e fece di tutto per aiutarli a imparare software come Autocad, LightWave e qualsiasi altro programma ritenessero interessante. Alla fine capì che anche animare in 3D gli piaceva, però il passaggio contribuì a fargli venire la voglia, per compensazione, di avviare seriamente una carriera parallela di fumettista (non voleva perdere quella sua anima).
Fece di tutto per evitare di lavorare su giochi di Star Wars (non che odiasse quel mondo, però era un'atmosfera saturante nel contesto della LucasArts), così diede una mano per Outlaws e Afterlife, e rimpiange di non aver capito in tempo quanto fosse promettente Grim Fandango, altrimenti avrebbe insistito per entrare in squadra.
La vicenda di Sam & Max Freelance Police, la cui cancellazione segnò nel marzo 2004 la fine della LucasArts come sviluppatore di avventure, è per lui davvero dolceamara. Fu scelto come capo-animatore, e lo considera il progetto migliore al quale abbia mai lavorato lì, per la concordia del team, per i risultati, per il divertimento. Fu chiaro dall'inizio che rischiasse di essere segato, in sé non sarebbe stata una sorpresa vista la crescente insofferenza del management per quei giochi costosi ma meno remunerativi di Star Wars. Furono le tempistiche della tragedia a fare malissimo: a suo parere erano arrivati all'85% del completamento, a ogni milestone i boss si dimostravano ammirati per come stava venendo, avevano davvero quasi tagliato il traguardo e pensavano di "averla fatta franca". Quando però il management cambiò del tutto, bastò un'umiliante riunione di cinque minuti per spazzar via il lavoro di almeno due anni: ricorda la difficoltà di concepire l'idea che nessuno avrebbe mai visto quello che avevano realizzato.
La struttura episodica del cancellato Sam & Max Freelance Police ricordava l'approccio poi dei Telltale con la Sam & Max Season One (2006-2007), realizzata effettivamente da una buona parte dello stesso team. Secondo Annable aveva però due funzioni filosoficamente diverse: per Mike Stemmle alla Lucas l'episodico serviva per rendere più "pulp" e compatta la narrazione, mentre per i Telltale era proprio una scelta commerciale, dettata anche dalla volontà di implementare in corso d'opera il feedback dei giocatori. Di certo comunque, nonostante abbia poi lasciato i Telltale prima di vedere completata la stagione di Sam & Max, una differenza sostanziale per lui era la presenza creativamente più importante di Steve Purcell nel progetto Telltale: essendo una compagnia indie, ascoltare il suo parere esterno su ogni cosa era un gesto naturale, che non doveva passare per le forche caudine del legalese di una major come la LucasArts (anche se Stemmle, per come la vede lui, capiva benissimo Sam & Max ed era in grado di render loro giustizia perfettamente).
L'ultimo anno alla Lucas, tra il 2004 e il 2005, non riuscì a evitare di essere piazzato su un titolo di Star Wars: era Star Wars Episode III - Revenge of the Sith, il tie-in del film. Posizione delicata, perché era responsabile delle animazioni, ma erano tutte di stampo serio (registro che non era molto nelle sue corde) e soprattuto bisognava coordinarsi con i Collective, studio esterno coautore del gioco, evitando che il lavoro alla Lucas pestasse i piedi al loro, e viceversa. "Una roba politica".
Quando seguì i colleghi alla Telltale, nonostante fosse nominalmente un "direttore artistico", nel contesto indie di fatto si occupò di mille cose, non ultimi i contatti stessi per la licenza del Bone di Jeff Smith, per la produzione di Bone: Out From Boneville e Bone: the Great Cow Race. Smith era un fan dei suoi fumetti, così trovare un accordo fu velocissimo. Purtroppo non rimase molto alla Telltale, perché captò un'offerta che non riuscì a rifiutare: la possibilità di creare lo storyboard di Coraline e la porta magica per Henry Selick. Ringrazia ancora Kevin Bruner e Dan Connors, i fondatori dei Telltale, per aver capito che in cuor suo il cinema non era stato mai dimenticato ed era giunto il momento di rientrarvi.
Come nacque Puzzle Agent? Alla Laika, Henry Selick chiese agli artisti dello storyboard di montare e realizzare da sé i propri animatic, cioè il montaggio dei loro disegni per la pianificazione delle scene. Graham imparò a usare semplicemente l'iMovie del Mac, e capì che avrebbe potuto creare dei corti da solo in poco tempo. YouTube stava esplodendo e cominciò a piazzarli direttamente lì, senza passare per la trafila dei festival. Guadagnarono una popolarità inaspettata e i vecchi amici della Telltale tornarono alla carica: sin dai tempi di Dank il cavernicolo sulle prime versioni del sito Telltale, si era pensato di creare un gioco sul suo stile. Graham vide sua moglie giocare al Professor Layton sul DS ed ebbe l'idea di costruire su quella struttura semplice e diretta un mix molto libero dei fratelli Coen e di David Lynch, con un pizzico del noir alla Dashiell Hammett. Mise su un breve corto di presentazione e si partì.
Lavorò sulle animazioni del primo Puzzle Agent praticamente di notte, lontano dal suo lavoro alla Laika, consultandosi costantemente col team alla Telltale per i contenuti. È molto contento del risultato. Sembra un po' meno affezionato al secondo atto: fu realizzato ancora più in fretta, infilato tra un progetto e l'altro di una Telltale in crescita continua, e aveva il fardello di dover concludere una storia che era diventata sempre più complessa.
Il film Boxtrolls, la sua unica regia cinematografica, ha dato a lui e al coregista Tony Stacchi un sacco di soddisfazioni, non ultima la nomination all'Oscar. È stato surreale trovarsi invitati a tutti i rituali dell'Academy, a due passi da gente come Tom Cruise, Clint Eastwood, Jodie Foster, gente che ti sembra di conoscere da una vita solo perché in realtà li hai visti nei film. Poi però realizzi che in teoria potresti fare davvero conversazione, e lui ammette di aver colto l'occasione per due chiacchiere con Robert Duvall! Ma chi lavora dell'animazione, spiega Graham, non si sente mai davvero parte di quel mondo glamour, anche se lo sfiora in quelle occasioni.
Di tutte le forme artistiche che ha vissuto, quale preferisce? Non è tanto una questione di tecniche, quanto di dinamiche. A volte hai voglia di creare qualcosa da solo e cerchi il fumetto, l'autosufficienza. Altre volte sai che qualcosa di grande, come un gioco o un film, può essere frutto solo di una grande e speciale magia di gruppo, e adori farne parte.
Puzzle Agent 3 è possibile? Teoricamente sì, ha raggiunto un accordo legale tranquillo con la nuova Telltale: lui ha mantenuto l'intera proprietà del marchio, loro dei due giochi realizzati, che possono continuare a vendere. A questo punto sarebbe in teoria libero di cercare qualsiasi altro team per realizzarlo, avrebbe anche dei soggetti pronti per nuove avventure di Nelson. Chi vivrà vedrà.
Prossimi progetti? A luglio uscirà una sua graphic novel horror antologica, "Eerie Tales From the School of Screams", un'opera di ben 370 pagine che gli è costata cinque anni di lavoro e vanta una raccomandazione di Guillermo del Toro (eh sì, Graham ha lavorato anche sullo storyboard del Pinocchio che ha vinto la statuetta poche settimane fa!).
Terrible Toybox: movimenti di Ron Gilbert e Jennifer Sandercock
Cosa dobbiamo pensare del gdr con visuale alla Zelda (16 bit) che Ron Gilbert sta programmando da solo, condividendo su Mastodon i suoi progressi? È una cosa "seria"? Considerando che ha risposto a un fan di pensare a un completamento entro la fine del 2023, lo reputo un divertissement molto leggero, al momento peraltro costruito con una grafica di asset preconfezionati. Ron ha scritto di recente di avere anche chiesto a ChatGPT di proporgli idee per una nuova avventura grafica, trovando stimolanti le risposte (con le pinze), e questo ancora di più spinge a credere che il gdr non sia un importante nuovo capitolo della sua Terrible Toybox, ma soltanto una parentesi per svagarsi e programmare. Ricordo che anni fa, prima di Return to Monkey Island, Gilbert fantasticava su un gdr che si potesse finire scegliendo di non combattere mai: "Diventerebbe un'avventura grafica?" - era la sua domanda di allora. Potrebbe essere questo l'esperimento in cantiere. Di certo il progetto è così piccolo che non ha bisogno di una producer capace come Jennifer Sandercock, che alla GDC ha presentato le sue strategie produttive per Return e su Twitter ha confermato che è in cerca di lavoro. Mi sembrerebbe strano che, se fosse in cantiere qualcosa di grosso, Ron rinunciasse a membri del team ormai fondamentali (Jennifer fu pure coproducer nonché coprogrammatrice e codialoghista di Thimbleweed Park). Sembra che alla GDC anche il nostro amato terzetto di compositori, Michael Land-Peter McConnell-Clint Bajakian, abbia tenuto un panel sulla rivisitazione delle musiche monkeyislandiane per Return. Per ora non ci sono tuttavie testimonianze multimediali di questa conferenza.
Tim Schafer: un altro premio alla carriera e le belle parole di Dave Grossman
Tim Schafer deve avere ormai una nutrita collezione di premi alla carriera: nell'ultimo mese è stato inserito nella Hall of Fame dell'Academy of Interactive Arts and Science (e in quale compagnia!), avendo ricevuto un DICE Special Award. Tim ha parlato di presente e futuro con IGN (non c'è bisogno di tradurre, l'articolo è stato pubblicato in italiano da IGN Italia). Nel comunicato mi hanno colpito le parole affettuose di Greg Rice, ex suo vice alla Double Fine, e soprattutto di Dave Grossman, che condivise con lui il debutto di Day of the Tentacle, nonché l'apprendistato sui primi due Monkey Island. Estrapolo e traduco volentieri.
GREG: "Con la Double Fine, l'etichetta Double Fine Presents e la Day of the Devs, ha allontanato l'attenzione da se stesso e ha contribuito a costruire, coltivare e sostenere creatori incredibili, sia nello studio, sia nella più ampia comunità di sviluppatori". DAVE: "L'umorismo e l'irriverenza nella scrittura e nel design di Tim erano chiari già nei primi giochi che facemmo alla LucasArts, e hanno continuato a impreziosire il suo lavoro nei decenni, a prescindere dall'argomento. È più di una scelta stilistica, è proprio un modo di vedere il mondo. Alimenta i suoi giochi, ma lo vedi anche nel modo in cui gestisce il suo studio e ha costruito la sua carriera. [...] Voglio dire, chiunque sopravviva più di trent'anni come game designer professionale forse merita di essere in una Hall of Fame. Ma Tim non fa solo buoni giochi, fa buoni giochi che sono diversi dai buoni giochi altrui. Innova, esplora. Mentre altri sviluppatori cercano di migliorare a poco a poco successi consolidati, la Double Fine passa due settimane all'anno in una game jam per scovare nuovi tipi di divertimento."
Anche Zak McKracken riceve il trattamento Limited Run Games
Com'era prevedibile, anche Zak McKracken and the Alien Mindbenders, nell'anno che lo vedrà celebrare in autunno i suoi primi 35 anni, riceverà la sua edizione da collezione di Limited Run Games, ordinabile fino al 23 aprile. Non aggiungo altro a quello che ho già detto nei mesi scorsi su queste iniziative. Vi faccio comunque notare che in questo caso si ripropone, più o meno fedelmente nei gadget, una delle migliori scatole mai ideate all'epoca per un'avventura grafica: il finto quotidiano National Inquisitor illustrato da Steve Purcell rimane irresistibile e surreale. A proposito di Limited Run Games, qualcuno ha avvistato sull'Amazon americano le edizioni in semplici case delle versioni console di Return to Monkey Island. Sono vendute direttamente da LRG, che non ha una filiale europea (e lo sappiamo bene, viste le spese di dogana che toccano ai collezionisti nostrani!): per questa ragione non credo saranno disponibili da noi, ma è solo una sensazione.
Fine di questo primo aggiornamento di primavera! In chiusura vi segnalo al volo il bel trailer di Star Wars Jedi: Survivor. Ho letto diversi pareri positivi sul precedente capitolo della saga dedicata alla sopravvivenza di Cal Kestis, dopo che l'Ordine 66 ha reso assai ardua la vita dei cavalieri Jedi. Come Star Wars Jedi: Fallen Order, anche questo action-adventure, in uscita il 28 aprile, è stato realizzato da Respawn Entertainment per l'Electronic Arts. Alla prossima, Dom
25-2-2023
Mentre un febbraio un po' ambiguo e primaverile ci ha costretto a qualche scambio di giacca di troppo, mi sono dedicato al recupero di un titolo recente che dovevo prima o poi per forza coprire, per ripristinare una continuità di discorso, in previsione di uscite imminenti, da contestualizzare correttamente. Mi riferisco al genere delle avventure narrative, diverse dai punta & clicca a enigmi, in procinto di ripartire proprio quest'anno, a oltre quattro anni dalla chiusura della prima originale Telltale Games.
New Tales From the Borderlands, ripartenza a freddo per la tradizione Telltale
Avevo ormai capito che New Tales From the Borderlands, prosieguo della serie di avventure narrative episodiche Tales From the Borderlands (2014-2015) dei fu-Telltale, non sarebbe mai stato all'altezza del suo predecessore. Era uscito l'ottobre scorso e avevo lasciato momentaneamente correre: costava tanto (troppo) e non avevo alcuna urgenza di affrontarlo, ma al tempo stesso sapevo che, pur realizzato direttamente dalla Gearbox (patria di Borderlands), aveva avuto la collaborazione di alcuni ex-Telltale, coordinati dal loro originale confondatore Kevin Bruner tramite la sua Bruner House. Complice uno sconto deciso sotto Natale, ho colmato la lacuna e questo mese ho creato la per me comunque necessaria scheda. No, non è andata bene, concordo coi giudizi negativi, però valeva la pena di capire dove esattamente fossero i problemi, perché la natura molto leggera del sottogenere delle avventure narrative richiede una cura particolare in un reparto qui carente. Il mio giudizio sul lavoro di Bruner post-Telltale in realtà è però ancora sospeso, perché il suo team indipendente di sviluppo, i Dramatic Labs, non ha ancora debuttato col vero e proprio primo lavoro, cioè quel promettente Star Trek Resurgence (di autori diversi) previsto per aprile.
Onde evitare confusioni, perché dopo la chiusura nel 2018 della Telltale originale sono MOLTO facili, New Tales From the Borderlands NON ha alcun legame con la nuova Telltale: è realizzato come scrivevo dalla Gearbox ed è pubblicato dalla 2K Games, che ha anche acquisito dal primo fallimento Telltale la stagione precedente e ora la vende sugli store. La nuova Telltale posseduta dalla LCG Entertainment è poco più di un editore (con qualche figura artistica di riferimento e supervisione), che lavorerà di volta in volta con studi esterni, per proseguire quella tradizione. L'attesa naturalmente è per The Wolf Among Us 2, in uscita quest'anno e realizzato dagli ex-Telltale AdHoc Studio, ma è bene ricordare che il nuovo corso esordirà in estate, affidato invece ai Deck Nine Games, in The Expanse. Questa serie di avventure episodiche, le cui cinque puntate saranno pubblicate a cadenza quindicinale, è basata sull'universo creato da James S. A. Corey e trasposto nell'omonima serie televisiva di fantascienza (ho visto le prime due stagioni e l'ho trovata molto avvincente). A questo proposito, la Telltale e i Deck Nine hanno confezionato un nuovo gameplay trailer.
E finalmente... Double Fine Psychodyssey!
La Double Fine di Tim Schafer ha caricato sul suo canale YouTube le ben 32 (!!!) puntate della Double Fine Psychodyssey, cioè il promesso documentario sulla lavorazione di Psychonauts 2 (e dello spin-off Rhombus of Ruin), creato dai 2 Player Productions. Finora ho guardato i primi otto episodi e posso solo dirvi che si preannuncia come un'opera ciclopica, che fa impallidire persino la mia adorata Double Fine Adventure per la quale partorii i sottotitoli italiani, quando nella vita avevo evidentemente meno priorità! :-D Naturalmente ne riparleremo come si deve a visione ultimata (non so quando!), ma per ora vi segnalo una cosa: tre puntate (#1,#12 e #26) sono in realtà versioni rimontate e/o arricchite di materiale già presentato in altra forma negli anni scorsi. La prima è una versione unica e completa del documentario a sé stante The Color of the Sky in Your World, sulla nascita della Double Fine e la creazione del primo Psychonauts (fu pubblicato in tre tronconi durante la campagna di crowdfunding per Psychonauts 2). Le altre due sono i riassunti delle due "Amnesia Fortnight" svoltesi nell'azienda nei sei anni raccontati: ricordo che queste "due settimane di oblìo" sono quelle in cui Schafer sospende i lavori sui giochi in cantiere e spinge tutti a creare prototipi per le opere future.
Trent'anni di X-Wing e di trionfi dolceamari
Ricordando le mie difficoltà con giochi alla Wing Commander, non mi sono mai azzardato ad affrontare l'a quanto pare più impegnativo Star Wars X-Wing, di Larry Holland & Edward Kilham, pubblicato dalla LucasArts il 15 febbraio di 30 anni or sono. Il gioco è comunque considerato una pietra miliare assoluta dei simulatori di combattimento nello spazio, perciò se qualcuno di voi che ha fiducia nei propri riflessi e nella propria pazienza vuole festeggiare degnamente e avverte la lacuna, segnalo che si può sempre colmare su GOG o su Steam. Il 1993 fu un anno spartiacque per la storia della LucasArts: il successo stratosferico di X-Wing, bissato a novembre da quello del quasi-laser-game Star Wars Rebel Assault di Vince Lee (titolo apripista per l'era multimediale del cd-rom) cominciò a spostare l'attività dell'azienda su Star Wars, che in capo a pochi anni avrebbe avuto le meglio sulle nostre amate avventure grafiche. Ciò non toglie che in questi primi anni i titoli dedicati alla galassia lontana lontana erano assolutamente all'altezza del nome LucasArts.
Due progetti in crowdfunding all'insegna del punta & clicca
Vorrei segnalare due progetti su Kickstarter, riguardanti avventure punta & clicca di sviluppatori italiani. La prima segnalazione, non richiesta, è il sequel di The Hand of Glory di Stefano Rossitto, Roots in the Sky - The Hand of Glory, dove c'è anche lo zampino della Daring Touch e quindi di Cristiano "Gnupick" Caliendo (che saluto). In realtà è già finanziato, ma siamo alla stretta finale per gli stretch goal. C'è ancora qualche ora per contribuire. Mi ha invece contattato Fabio "Guga" Guggeri perché la sua avventura punta & clicca in lowres The Will of Arthur Flabbington è su Kickstarter per raccogliere soldi necessari al doppiaggio inglese, un necessario passo per una diffusione più sostenuta e professionale. In bocca al lupo a tutti!
Limited Run Games e le parole al vento
Mentre vi ricordo che c'è tempo ancora fino al 5 marzo per preordinare una copia fisica di Return of Monkey Island, vi segnalo pure che il gioco è stato aggiornato con 70 nuove carte-quiz sulla saga, scritte nientepopodimeno che da quell'adorabile matto di Marius "Majus" Winter: sembra che mettano a dura prova il monkeyislandiano che è in tutti i noi, non mi ci sono ancora cimentato. Ma parliamo di cose serie, ahimé. Lo scorso mese avevo discusso delle polemiche inerenti Limited Run Games e vi avevo detto che avevo pregato Craig Derrick della Lucasfilm Games via Twitter affinché almeno dilazionassero queste costose edizioni speciali, per chi magari non fosse collezionista con migliaia di euro/dollari da spendere, ma volesse scatole simili alle originali che gli/le mancano, senza soffrire ancora di più nell'usato. Tutto inutile: nemmeno il tempo di una settimana, ed ecco che LRG ha lanciato i preordini per le scatole di Maniac Mansion fino al 2 aprile! E dire che nello scorso aggiornamento avevo ipotizzato che coprissero Maniac e Zak McKracken "l'anno prossimo". A questo punto direi che SICURAMENTE entro l'anno non solo vedremo Zak (che peraltro va incontro al 35° anniversario, è pronta pure la scusa), ma a ridosso di Indiana Jones 5 al cinema (ammesso che riescano a resistere fino alla fine di giugno!) scommetto che salteranno fuori le Edizioni da Collezione di Last Crusade e Fate of Atlantis. Non so che dire, per me doveva andare diversamente. E non solo su quel fronte.
Il team di Limited Run Games è stato ospitato addirittura sul sito ufficiale della Lucasfilm per parlare di questa riedizione di Maniac. Se ricordate quello che ho scritto il mese scorso, immaginerete come abbia inchiodato con un'imprecazione, quando mi sono imbattuto in questo passaggio che ci tengo a tradurre, digrignando un po' i denti.
Maniac Mansion era disponibile per Commodore 64, Amiga e DOS, tra gli altri. Se mettete gli screenshot uno accanto all'altro, magari non sembrano tanto diversi, ma ci sono piccole sfumature da versione a versione, e i giocatori hanno emozioni legate a versioni specifiche, a seconda di quella che hanno giocato da ragazzini. Includiamo i backup di ogni possibile versione, in modo che si possa viverle tutte. Queste scatole diventano una sorta di archivio per ciascun gioco, con ogni versione contenuta sull'USB drive.
Tutto condivisibile fino all'ultima frase. Dare per scontato che la preservazione ufficiale e legale della storia videoludica, di TUTTE le versioni dei grandi classici, COINCIDA con un esborso di minimo 100 euro e soprattutto edizioni limitate (quale contraddizione in termini!) è una cosa che non accetterò mai come ovvia, logica e ragionevole. Perché non è nessuna delle tre cose, e la naturalezza con la quale ormai viene proposto e accolto il ragionamento m'immalinconisce non poco.
ScummVM raccontato dal di dentro
Il canale "Conversations With Curtis" ha intervistato il programmatore Eugene Sandulenko, il responsabile da tempo immemorabile dell'interprete ScummVM, l'app più amata dai giocatori di avventure grafiche. Ne è venuta fuori una conversazione molto interessante, dalla quale si evince proprio sia la crescente importanza di questo programma, sia la dedizione pazzesca alla causa ultima: rendere giochi antichi nativamente compatibili con le piattaforme contemporanee. Il discorso si fa a volte piuttosto tecnico, nel riassunto ho cercato di mantenere nei limiti del possibile (e della mia competenza!) una certa comprensibilità divulgativa.
Non ha avuto un PC suo prima dei 21 anni, prima aveva accesso a un sistema non suo e lì giocava essenzialmente avventure grafiche. Il resto del suo mondo videoludico, quand'era ragazzino, era rappresentato da un clone sovietico del Nintendo Game 'n' Watch di Topolino (con personaggi diversi!)... e degli occasionali arcade che vedeva giocare, ma ai quali lui stesso non giocava per mancanza di soldi.
Cominciò a sognare di programmare nel 1987, prima ancora di possede un PC suo, leggendo gli schemi di un chip su una rivista e facendo reverse engineering a mano su carta! Fortunatamente un amico di famiglia gli concesse di usare il sistema che avevano all'università, un clone del PDP. Aveva 13 anni. Partì col BASIC, poi seguì l'Assembly per i processori 8080 e infine il C, già sei mesi dopo. Il suo primo impegno fu in Russia come programmatore UNIX: era ancora minorenne, ma fu raccomandato da un insegnante che ne notò le capacità. Nei primi anni Novanta lì furono tra i primi a conoscere internet. Rimpiange di aver perso tutti i citati appunti a mano, dopo aver lasciato la Russia.
Il suo incontro con ScummVM avvenne nel 2003: aveva comprato Full Throttle e voleva giocarci su un sistema UNIX, così scoprì l'utility. Il gioco crashava per un problema con i font. Non resistette e propose una patch. Riprese a giocare e scoprì che le sequenze d'azione non erano implementate, perché nessuno aveva avuto tempo e forze per fare il reverse-engineering del motore INSANE per i filmati in streaming da disco. Si offrì di provarci, impiegò un mese e mezzo di lughe nottate. Aveva lavorato nella sua vita anche come esperto di sicurezza informatica e white hacker, aveva già una lunga esperienza di reverse engineering.
Eugene spiega la differenza tra un emulatore e un interprete come ScummVM, che lui definisce anche "re-implementazione" del codice originale. Nel mio articolo di due anni fa ho anticipato già quello che dice Sandulenko in questa parte dell'intervista.
L'implementazione di una nuova avventura nell'app può avvenire in tre maniere: 1) Il proprietario del titolo concede al team il codice sorgente, chiaro e facile da adattare alla macchina virtuale di ScummVM; 2) Avvii il gioco con un emulatore e studi cosa fa l'eseguibile (il file ".exe") con un disassemblatore: studi il codice macchina e il codice Assembly, e cerchi di ricrearlo in C, ma può essere un processo lentissimo, a seconda della complessità del gioco (disassemblare Blade Runner ha richiesto per esempio otto anni); 3) Ignori l'eseguibile e studi i file contenenti i dati e gli script di gameplay (lo stanno facendo per esempio per le avventure realizzate in Macromedia Director, in passato fu seguito quel processo per l'AGI e l'SCI della Sierra).
Implementare un gioco in ScummVM richiede un'enorme dedizione: capita spesso che uno degli sviluppatori si tiri indietro per stanchezza, prima di tagliare il traguardo. È sempre contento quando appare qualche volontario per raccogliere un progetto abbandonato: sta succedendo per esempio adesso con l'engine della Core Design per Curse of Enchantia.
Includere in ScummVM interpreti esterni diventa anche una sfida "politica": gli sviluppatori di Free SCI, che serviva a giocare i punta & clicca della Sierra, inizialmente non volevano confluire in ScummVM, almeno finché non li hanno convinti con una prova. In compenso è stato proprio uno di quei programmatori, quando fu il momento di adattare l'SCI32, a trovare un modo di gestire tutti i giochi più moderni con istruzioni a 32bit. Da queste fusioni di solito ci guadagnano tutti.
Una delle sfide per un interprete come ScummVM è supportare tutte le versioni uscite di un gioco (anche sulla stessa piattaforma: la Sierra era specialista nel mettere in circolazione versioni sempre diverse di un'avventura, accumulando bugfix).
Blade Runner è stato complesso perché non si basa su un codice unico che governa la logica di gioco, ma ci sono sostanzialmente dll separate per gestire ogni situazione e ogni personaggio (quasi un centinaio!). L'impresa di reverse engineering non poteva che durare tantissimo. Eugene non si stupisce della cattiva resa dell'Enhanced Edition criticata da tanti: gli sviluppatori di quella sono stati messi in condizione di rispettare una data di consegna precisa, il quarantennale del film, lavorando troppo di fretta. Purtroppo il publisher della Enhanced, i Night Dive Studios, aveva cercato di coinvolgere il team di ScummVM nell'impresa, c'era buona volontà da entrambe le parti, ma non si è riusciti a trovare un accordo commerciale che soddisfacesse tutti. I rapporti non sono certo migliorati dopo che i Night Dive hanno pubblicato la loro Enhanced usando i file dei sottotitoli creati per ScummVM, sostenendo di averli ricavati dal gioco stesso (ma non esistevano!). L'impegno su Blade Runner per ScummVM non è peraltro nemmeno terminato, perché stanno lavorando sullo sblocco di situazioni e asset presenti nei dati ma rimossi dal gioco pubblicato (una loro personale "Enhanced").
L'engine NGI per l'avventura grafica russa Full Pipe è stato un suo pallino personale: complesso come quello di Blade Runner, è stato il primo engine da decifrare sviluppato in C++, la cui virtualizzazione della memoria crea notevoli problemi in fase di reverse engineering. Ama quella misconosciuta avventura, basata sullo stile fuori di testa di un artista russo di nome Ivan Maximov: per Eugene è un po' come la saga di Goblins ("quelli però si facevano di LSD, lui ci dava giù con la vodka").
Per dichiarare completo il supporto di giochi in SCUMM manca solo l'implementazione del multiplayer nell'ultimo titolo sperimentale mai creato con il mitico engine di Ron Gilbert: lo strategico Moonbase Commander (2002) della Humongous. La campagna single player in realtà già funziona, ma il succo del gioco è nel multiplayer, così Eugene non ha intenzione di supportarlo ufficialmente finché il lavoro non sarà finito al 100%.
Una delle citate sfide future di ScummVM è il supporto ai titoli creati con il Macromedia Director. Su otto versioni dell'engine e dell'ambiente di sviluppo, al momento è pienamente operativo il supporto del MD fino alla versione 4, con un lavoro preliminare già compiuto sulle versioni 5-6. Grazie alla disponibilità di un ampio materiale di testing di ogni funzione, gentilmente offerta dallo sviluppatore originale del motore (John Henry Thompson), si procede a passo deciso, non troppo rapidamente ma senza intoppi.
E il supporto dei giochi creati in Flash, dismesso dall'Adobe nel 2021? Per ora non si sono lanciati nell'impresa, si occuperebbero prima dei titoli sviluppati in HyperTalk.
Stanno per raggiungere il traguardo dei 100 engine implementati in ScummVM! Prossimamente arriverà il supporto dei primi due Syberia (ma solo delle versioni Mac, che usano un motore diverso, quello che è stato implementato da un volontario), Escape From Hell, la saga di Might & Magic e The Immortal.
Cosa pensa del nuovo emulatore di giochi LucasArts, il DREAMM dell'ex-Lucas Aaron Giles? È appunto un emulatore di PC, una cosa diversa da ScummVM, ma hanno deciso di raccogliere un appello di Aaron: per preservare il più possibile le esperienze com'erano, sarà possibile dalla prossima versione di ScummVM usufruire dei menu originali di salvataggio, caricamento e/o settaggi vari. La versione 2.7 di ScummVM avrà inoltre un sistema opzionale per il riconoscimento automatico dei giochi già in cartella, senza richiedere configurazione.
Altre novità della prossima versione di ScummVM, già testabile, includono per la prima volta, a grandissima richiesta, la maggior parte degli shader per emulare i monitor CRT su schede video che supportano l'OpenGL. Sono gli stessi shader del multiemulatore Retroarch, quindi ce ne sarà per tutti i gusti!
Come si può contribuire a ScummVM? Col testing, oppure creando le icone per i singoli giochi (tra poco supportate nei menu), oppure creando contatti tra il team e i proprietari del codice sorgente di qualche titolo, oppure ancora semplicemente donando qualche soldino! Sono anche in cerca di uno sviluppatore a tempo pieno per le versioni iOS/Android di ScummVM, le più popolari dopo quelle Windows, ma sprovviste di un responsabile da dieci anni.
Brad Taylor ancora sullo SCUMM, tra LucasArts e Humongous
Già qualche mese fa il programmatore Brad P. Taylor, fondamentale nel codice dell'engine SCUMM e dei relativi tool nell'epoca d'oro, aveva raccontato qualcosa di se stesso e delle sue esperienze. È tornato a farlo più a fondo, anche lui canale Conversations With Curtis, in una lunghissima chiacchierata di due ore. Non ve la riassumo tutta, perché salto ciò che già disse in quell'altra circostanza, quindi se siete incuriositi potete integrare quello che c'è qui in basso col precedente riassunto.
Iniziò da ragazzino a programmare in BASIC, solo per un anno, prima di buttarsi direttamente sull'Assembly per la famiglia di processori 6502, come accadde a molti.
D'istinto tendeva già a preferire la programmazione dei tool per sviluppare i giochi alla creazione dei giochi stessi, ma ne creò lo stesso un paio e li piazzò sulle BBS. Sono ancora rintracciabili su archive.org: Beyond Columns e Fallout.
Il suo colloquio alla Lucasfilm Games, nel maggio 1990, lo rese molto teso. Era il suo primo vero colloquio, aveva 20 anni secchi e, anche se lo staff della Lucas aveva poco più della sua età, avevano molta più esperienza di lui e lo intimorivano. Aveva anche preparato una piccola demo con lo sprite di Indy che si arrampicava sul logo Lucasfilm Games, rippato dall'intro di Last Crusade, ma non vollero nemmeno vederlo e ci rimase un po' male.
Brad cita il tool DK, abbreviazione per "Decay", che serviva a ridurre i colori di schermate VGA per le macchine che ne gestivano meno di 256, per arrivare per esempio alla modalità a 32 colori di alcune versioni Amiga. Il tool è stato recentemente reso disponibile da Brad stesso su Github, se volete spiare dietro le quinte.
In materia di colori, gli fu assegnato anche il compito opposto, cioè quello di aggiornare tutti i tool SCUMM ai 256 colori della VGA, perché fino a quel momento erano legati alle specifiche dei 16 colori EGA.
Per Monkey Island 2 lo SCUMM necessitò di un possente ampliamento, quando vi venne integrato l'iMUSE per la gestione delle musiche interattive. C'era bisogno di una serie di comandi che sincronizzassero le animazioni alla musica, una comunicazione reciproca tra immagine e suono, mai provata prima alla Lucas (e quasi da nessuna parte altrove, se non alla Origin per Wing Commander). La scena della danza degli scheletri è un ottimo esempio di questi comandi a pieno regime.
L'accordo tra Ron e la LucasArts, alla fondazione della Humongous Entertainment, prevedeva come sapevamo che lui continuasse a sviluppare lo SCUMM anche per la LucasArts, in cambio della possibilità di usarlo nelle imminenti avventure per bambini che avevano in mente. Brad però confessa che, mentre loro passavano sempre alla Lucas ogni upgrade, la comunicazione inversa purtroppo non c'era...
L'inserimento di minigiochi nei titoli Humongous o in avventure LucasArts come Sam & Max Hit the Road venne non solo da esigenze artistiche, ma anche dalla pura capacità delle macchine, che erano finalmente in grado di poterli gestire a velocità decente. C'era un limite a quello che si poteva fare finché il massimo a disposizione era un 286.
Era comprensibile che la LucasArts avrebbe prima o poi mollato lo SCUMM per ambienti più sofisticati come il GRIME usato in Grim Fandango, perché il mercato stava andando in quella direzione. A dir il vero meditarono alla Humongous di creare qualcosa in 3D, ma il loro pubblico di riferimento di bambini probabilmente usava ancora i computer vecchi non aggiornati di mamma e papà, e sarebbe stato un azzardo commerciale puntare sull'uso di schede acceleratrici o processori troppo recenti. Ad ogni modo, l'RTS Moonbase Commander (2002) è significativo, perché rappresenta il massimo di quello che si sia mai potuto ottenere con lo SCUMM al termine del suo ciclo vitale, con tutte queste migliorie compreso il supporto del Direct3D.
Il passaggio dello SCUMM dal Dos al Windows non comportò solo la sfida della risoluzione 640x480 invece della 320x200 (già di per sé vessante per l'hardware), ma un cambio radicale di architettura: con il Dos erano abituati a costruire codice che interloquisse con le periferiche direttamente, mentre Windows diventava a quel punto un tramite tra il programma e l'hardware. Sicuramente puntare sull'alta risoluzione e Windows con la Humongous fu una bella scommessa: con i sistemi di fine 1993 si ottenevano all'incirca 10 fps (!!!) e decisero che si poteva rischiare. Le migliore architettura delle SuperVGA era VESA/Local Bus, e una velocità sostenuta per disegnare grafica in highres, a suo parere, non si è ottenuta fino all'arrivo del bus PCI.
Quando intorno al 2010 gli è stato chiesto dalla Nimbus Games di eseguire per conto dell'Atari il porting mobile dei titoli Humongous che avevano acquisito, non ha avuto problemi certo di hardware: anche il più debole smartphone Android era in grado ormai di gestire le risorse necessarie a quelle avventure. Il limite era semmai gestire la grandezza dei download: fu costretto a comprimere l'audio a 4-Bit e a rendere i giochi scaricabili a sezioni, per giunta inserendo il pay-wall dopo un prologo gratuito (una forzatura, ma il mercato mobile voleva questa formula). Il guaio era trovare i sorgenti dei titoli, perché l'Atari non li aveva archiviati o li aveva persi! Per questa ragione è riuscito a riprogrammare, andando a caccia del materiale nei backup privati suoi e dei colleghi, appena cinque-sei titoli della cinquantina che la Humongous realizzò!
Non aveva mai pensato di contattare gli autori di ScummVM a quel punto? L'Atari non voleva, perché aveva già causato un grosso problema legale, quando aveva commissionato a una ditta esterna un porting di alcuni titoli Humongous, e quella ditta aveva utilizzato ScummVM senza permesso e senza segnalarlo. Rimane comunque ammirato da ScummVM, anche se negli anni ha sempre avuto remore nel collaborare con loro, perché legalmente è ancora sottoposto alle clausole di riservatezza che ha firmato all'epoca.
Era un grande fan di Flash e di Adobe Air, e a suo parere la reazione dell'Adobe alla condanna di Steve Jobs per la lentezza avrebbe dovuto spronarli a risolvere il problema, non a darsi per vinti. Stesso discorso per le falle di sicurezza nel Flash: se furono notate, spiega Brad, era anche per via di una meritata diffusione capillare. Non è mai stato un fan delle animazioni vettoriali, ma trovava eccellente tutta l'infrastuttura del Flash e la sua portabilità. Ai tempi dello SCUMM alla Humongous avevano dovuto creare un sistema di layer molto simile a quello del Flash.
Ha giocato a Return to Monkey Island? Solo una ventina di minuti, sulla Switch di sua figlia (che poi lo rivoleva indietro). Gli piace il look del gioco e apprezza l'interfaccia, trova interessante il fatto che gli indizi compaiano già mentre stai facendo l'azione, ancora prima di cliccare.
Tra i giochi SCUMM ai quali ha lavorato direttamente o indirettamente quali preferisce? Day of the Tentacle per la LucasArts (era già alla Humongous ma usarono i suoi tool, e lo trova un'avventura splendida), e Putt-Putt Saves the Zoo e il citato Moonbase Commander alla Humongous.
Generi preferiti? I puzzle game, più che le avventure grafiche. Ma professionalmente, più che il game design, lo interessa la programmazione dei tool, in particolare tutto ciò che possa facilitare la realizzazione e l'implementazione delle animazioni.
Ed eccoci arrivati alla fine di questo aggiornamento. Per il mese prossimo ho in mente di aprire un'altra nuova scheda, destinata a un titolo ormai anziano, non eccezionale, ma che non merita di essere dimenticato. Di cosa starò parlando? Suspense... Ciao, Dom
29-1-2023
Gennaio è sempre il mese che non passa mai, se poi ci si mettono anche sindromi assortite di raffreddamento ad allungare la percezione del tempo, peggio ancora! In questo caso comunque non tutte le dilatazioni spazio-temporali son venute per nuocere, visto che si sono accumulate diverse news di cui parlare... e ho avuto il tempo di riattraversare un gioco "minore" che in realtà non era tale all'epoca e ancor meno col senno di poi!
The Cave compie 10 anni!
Anche se c'è uno zoccolo duro che non ha scritto e forse nemmeno pensato "È tornato Ron Gilbert" prima di installare Return to Monkey Island, il nostro Ron già da una decina d'anni era tornato alle avventure grafiche. Prima ancora di prendere di petto i propri trascorsi con Thimbleweed Park, fece un curioso esperimento in seno alla Double Fine del suo amico Tim Schafer. Parlo di The Cave, un apparente platform dal cuore di avventura grafica punta & clicca, multipersonaggio, surreale, satirico e molto, molto cattivo. Uscì nel gennaio 2013 dopo due anni di lavoro e fu accolto con molta freddezza, cosa sulla quale Gilbert è tornato più volte a recriminare, chiedendosi dove avesse sbagliato. Dopo 10 anni, continuo a essere discretamente certo dell'errore principale, ma continuo pure a godermi ogni giro che mi faccio in quel grottesco viaggio all'inferno del cinismo umano. Dopo aver rigiocato, ho rivisto la scheda, scremandola delle considerazioni più datate, espandendo alcuni discorsi, aggiornandone altri al post-Return, sostituendo tutti gli screenshot, ragionando sul funzionamento del gioco sui sistemi attuali. Ho anche inserito e commentato una foto di un piccolo gadget che comprai all'epoca, del quale non avevo mai parlato. Buona (ri)lettura, e ricordate che fino al 31 gennaio su Steam praticamente ve lo regalano per 4.40 euro!
Addio a Earl Boen, alias LeChuck (e non solo)
All'Epifania ci ha lasciato a 81 anni Earl Boen, celebre con le sue fattezze per aver interpretato lo scettico dr. Silberman nei primi tre Terminator, ma nel mondo videoludico specialissima voce di LeChuck: Boen è stato in lingua originale la nemesi di Guybrush sin da quando i personaggi hanno iniziato a parlare, in The Curse of Monkey Island (1997). Lì e nel successivo Fuga da Monkey Island (2000) i giocatori italiani non l'hanno sentito, perché qui sostituito dal centrato Pier Luigi Zollo (1943-2005), ma poi anche loro dovrebbero averlo apprezzato nella prima e nella seconda Special Edition della bilogia originale tra il 2009 e il 2010, da noi solo sottotitolate. Earl, che già voleva andare in pensione, si fece nello stesso periodo strappare dai Telltale la partecipazione a Tales of Monkey Island (in corso d'opera, perché nel primo atto di Tales LeChuck era stato interpretato da Adam Harrington). Gilbert e Khris Brown avevano pure provato a richiamarlo per Return to Monkey Island l'anno scorso, ma a quel punto avevano ricevuto un rifiuto più deciso, anche se pare che Boen abbia dato la sua benedizione al sostituto Jess Harnell, che ha chiaramente cercato di imitarlo. Una curiosità: avete con ogni probabilità sentito la voce di Boen in un altro gioco importantissimo, ma non l'avrete associata a LeChuck. Earl fu infatti il doppiatore del Macellaio nell'allucinante climax di Psychonauts (2005)!
Return to Monkey Island in formato fisico... e il dilemma di Limited Run Games
Come ho già annunciato via social, fino al 5 marzo sono aperti i preordini per le edizioni fisiche a tiratura limitata che Limited Run Games sta preparando per Return to Monkey Island. Non avendo molto il polso della situazione in quest'ambiente, sono rimasto forse ingenuamente stupito dal disprezzo quasi plebiscitario che ho visto aleggiare sui social, indirizzato proprio all'editore americano. L'evitamento dei loro prodotti, se non addirittura il boicottaggio, viene spesso evocato. La sostanza delle lamentele sta proprio nel modus operandi di LGR, che sta assumendo un monopolio su queste assai costose edizioni fisiche a tiratura limitata (a scapito di iam8bit o Fangamer), avviando mille progetti con preordini, per poi realizzare e spedire le scatole mesi e mesi dopo. Nel caso specifico delle edizioni di vecchi e nuovi titoli legati alla tradizione LucasArts, negli ultimi tempi ha avviato preordini quasi in parallelo: appena il mese scorso vi segnalai la scatola di Sam & Max Hit the Road, ma all'inizio di gennaio hanno lanciato anche Loom. Se a questo aggiungiamo che per i non-americani le spese di spedizione con rincaro doganale gonfiano non poco le cifre di partenza, ci sono collezionisti pure disinvolti che iniziano a frenare e protestare. Oltretutto, confermando una tendenza per me già evidente con la Monkey Island 30th Anniversary Anthology, spremono il limone in modo alquanto imbarazzante. Riguardo a Return, la spudorata mossa delle cinque chiavi diverse, una per ogni versione PC/Switch/PS5/Xbox/Upgrade-kit-per-l'Anthology, è un chiaro ricatto ai collezionisti estremi, i "completisti".
Ciò detto, ho comprato lo stesso la mia edizione scatolata PC (solo quella!). Sono forse impazzito?
A fantasy adventure returns.
Pre-orders for the LOOM PC Collector's Edition open on January 13th. Includes a manual, book of patterns, CD OST and audio drama and more!
Vedete, io non ho voglia di boicottare Limited Run Games in questo caso, perché... involontariamente non ho fatto altro da sempre! Sapete quante scatole di LRG ho a casa mia? Una. E sapete quante ne avevo pagate prima di acquistare Return? Zero. Non scherzo, di LRG ho solo la scatola di Sam & Max Save the World, regalatami dalla Skunkape come ringraziamento simbolico per la mia collaborazione alla revisione delle traduzioni: volevano ricompensarmi in qualche maniera, io non volevo e allora ho trovato questo escamotage, motivato dal fatto che avevano gentilmente messo il mio nome nei credits del manuale. Mi pareva una cosa carina, ma per dirla tutta: il mio nome dovrebbe esserci pure nel manuale di Sam & Max Beyond Time and Space, però mica ho comprato quell'altro scatolazzo. Come ho scritto tante volte, non riesco proprio a spendere tanti soldi per cose che già ho, per scatole nuove che dovrebbero affiancarsi alle vecchie, magari acquistate proprio all'epoca, per me dal valore affettivo che travalica quello di simili riproposte. Quando mi viene la tentazione penso che con oltre 100 euro potrei comprare una decina (e forse più ai saldi) di avventure grafiche contemporanee in digitale, per me nuove, sostenendo il genere com'è ora, invece di investire nel passato, la cui gloria peraltro non viene né accresciuta né sminuita dai soldi che incassa o perde LRG. Opinione personale, s'intende.
La ragione stupidissima per cui ho comprato Return da LRG è che si tratta di un gioco nuovo: mi piace avere un ricordo fisico dei titoli che tratto sul sito (senza completismi e senza darmi regole strette) e questa è un'occasione per averlo. Sostenendo il kickstarter di Thimbleweed Park mi forzai a investire 150 dollari per avere in regalo la scatola (dopo i 100 mi scatta il freno d'emergenza, per qualsiasi cosa), e quel precedente mi ha aiutato in questo caso: tra acquisto di Return su Steam mesi fa e questa scatola siamo poco sotto quella cifra. Non sono deluso dal delirio di onnipotenza e dalla crescita scomposta di Limited Run Games, semplicemente perché per lasciarla cadere dal piedistallo dovrei avercela messa prima. L'anno prossimo tireranno fuori scatole di Maniac e Zak? Probabile. Ho l'obbligo morale di comprarle, sennò non posso definirmi fan? Ma con lo stracacchione. LRG ha su di me il potere che io gli concedo di avere. La scatola di Save the World che ho mi sembra piuttosto buona, anche se campava di rendita sui gadget originali Telltale riprodotti. Valeva 80 dollari? Per me una cosa del genere dovrebbe costare la metà, ma non sentendomi abbonato allo stillicidio, posso forzare me stesso per un caso particolare come quello di Return. Confesso che ho difficoltà a giudicarli male per la spregiudicatezza delle cinque chiavi, perché tengo presente cifre da stipendi mensili / mutuo, richieste oggi per cose tipo Zak C64 in italiano, su Ebay. Mi si dirà che non è la stessa cosa e quelle sono scatole originali, ma non riesco a distrarmi dal valore assoluto di quei numeri. È partita da tempo una spirale inarrestabile intorno agli scatolati lucasiani, con un business semiamatoriale che prima o poi doveva innescare una concorrenza industriale. Mi sento estraneo a questo tipo di (lucas)delirio e l'osservo da fuori. Lo capisco ma non riesco a sentirmene parte.
Io non sono comunque contrario all'esistenza di queste iniziative, ma le comprendo più se mi metto nei panni di chi avesse saltato o non avesse la possibilità di ottenere le scatole originali d'epoca. Ne può comprare di nuove, riproduzioni semifedeli, che peraltro - salvo il rischio svarione - sono pure curate da personaggi come Laserschwert, un fan che aveva creato poster delle vecchie avventure Lucas e ora collabora con LRG. E per quanto costose non toccano comunque le cifre mostruose che appaiono nell'usato originale, previo un autocontrollo del cliente sulle furbate come quella delle chiavi colorate. Non mi rimangio per esempio quello che ho detto il mese scorso: l'Hit the Road targato LRG di cui parlai si presenta bene, ma ciò non ne rende ovvio l'acquisto per me, e ho già spiegato perché. Ho pensato allora di fare qualcosa di costruttivo, scrivendo su Twitter a Craig Derrick della Lucasfilm, suggerendogli di dilazionare più nel tempo queste uscite, per permettere ai meno disinvolti di recuperarle senza svenarsi. Gli ho anche suggerito un'altra cosa, che m'indigna assai di più, ne parlai già e purtroppo suscita meno chiamate alle armi: si sta diffondendo la pratica di includere SOLO in queste edizioni costose le versioni ufficiali più rare dei giochi, come le incarnazioni EGA (o Amiga) di Monkey 1 e Loom. E questo è male. Dovrebbero essere disponibili anche sugli store digitali. Possibile che nel 2023 dobbiamo andare di Archive.org e siti warez? Ho preferito sorvolare - perché in passato l'avevo già scritto - sul fatto che per esempio il libro sui Monkey presente nell'Anthology si sarebbe potuto anche vendere in pdf (o fisico separato per una cifra umana), per chi come me fosse stato interessato solo ai contenuti e non al collezionismo. Per intenderci, sullo stile di questo o quest'altro. Si preserva e si documenta per la storia, non per chi se lo può permettere. Scelgo più volentieri quest'altra battaglia, il cui legame col collezionismo è solo un pretesto commerciale.
Bill Tiller ricorda la LucasArts e sogna A Vampyre Story 2
Era da tempo che non sentivamo parlare di Bill Tiller, che è riapparso con una chiacchierata con il podcast Audio Boom. Non ha ancora rinunciato a realizzare un sequel del suo A Vampyre Story (2008) e in fondo io ne sono contento. Rimane per me l'opera autoriale migliore di questo talentuoso grafico che ha lasciato il suo segno indelebile su The Curse of Monkey Island (e non solo). Cosa ci ha raccontato?
Com'è nata la sua passione per disegnare? Naturalmente, perché sua madre disse: "Non vi comprerò giocattoli, ma solo libri o cose per disegnare!" Poi è cresciuto a dosi di fantascienza e cinema, con una particolare predilezione per Star Wars e il lore di Halloweeen.
La curiosità per i videogiochi è nata con Pong, comprato da suo nonno che voleva sempre stare al passo. In crociera poi scoprì Space Invaders, alla faccia dei Caraibi che avrebbe dovuto visitare (e in un certo senso avrebbe visitato davvero dopo!). In ambito home computer la svolta per lui fu l'Apple II... e la grafica lì sopra era difficile da creare, però sottopose i suoi amici ai suoi micidiali giochi amatoriali!
Poi al junior college, quando pensò seriamente di darsi alla grafica professionale, si tuffò nella capacità dell'Amiga, incredibili per l'epoca (usando VideoToaster e Deluxe Paint). E per fortuna che sapeva disegnare, perché nelle altre materie era una capra! Nei quattro anni al CalArts studiò sotto Chris Buck, regista poi di Frozen, e aveva come compagno di corso il mitico Pete Docter della Pixar! Amava la Disney. In quegli anni c'era già lo scontro tra 2D a mano libera e il futuro in fasce della CGI.
Peccato che alla LucasArts mancò il mitico Skywalker Ranch di sei mesi, perché avevano appena cambiato sede quando arrivò lui. Tutta l'esperienza tra Amiga e filosofia Disney lo aiutò a ottenere l'impiego, ma risentì comunque del trauma del passaggio da Amiga a DOS, senza supporto per il mouse nel sistema operativo! Il primo giorno era imbarazzatissimo, sia perché si era vestito elegante equivocando sulle dinamiche lavorative della per lui "prestigiosa" Lucas, sia perché gli fu chiesto di creare un rotoscoping da un video con Brian Moriarty nei panni di Boston Low, per la prima versione di The Dig, quando lui si aspettava di animare da zero.
Lo stupirono le richieste gore di Steven Spielberg, come una scena in cui si sarebbe dovuto cavare l'occhio da un mostro per utilizzarlo come lente luminosa di una torcia! Ad ogni modo, il subentrato Moriarty buttò tutto quello che era stato fatto per il The Dig precedente di Noah Falstein, a maggior ragione quando una mezza idea di riconfezionarlo come avventura grafica su Boba Fett fu respinta dal marketing (il personaggio era considerato "minore"). In generale il progetto di The Dig era vissuto con ansia, più con l'intenzione di "fare qualcosa di spettacolare" per essere all'altezza di Spielberg, e meno con l'idea prima o poi di chiudere e pubblicare un benedetto gioco! Anche se nel 1994 non approvò la fuga di Moriarty dal progetto, col senno di poi lo capisce perfettamente: abituato alle avventure testuali della Infocom e al più semplice Loom, Brian dovette gestire una produzione divenuta gigantesca, in un momento di transizione produttiva dell'intera industria verso veri e propri budget complessi.
[ERRATA CORRIGE del 1-2-2023] Bill racconta poi come fu il semivolontario artefice delle prime nuove riprese dal vero nell'universo di Star Wars dopo Il ritorno dello Jedi. Gli chiesero di modificare fotogramma per fotogramma scene dei film per Rebel Assault [era il primo capitolo, non il secondo, come avevo erroneamente scritto prima, ndDiduz]. Siccome trovava il lavoro noiosissimo, fece presente che avrebbero pure potuto girare qualcosa di nuovo ad hoc, per una scena coi piloti ambientata in un bar, coinvolgendo la Lucasfilm, con costumi e scenografie già pronte. Sulle prime la richiesta sconvolse i responsabili dell'altra divisione: George voleva essere l'unico a occuparsi delle scene di SW, così si diceva, ma - considerando pure un videogioco un'impresa "di serie B" - alla LucasArts fu concesso l'azzardo. Lucas però volle comunque visionare il girato, in una proiezione piena di personale importante, nella quale Tiller non fu nemmeno fatto entrare: "Ma come? L'idea l'ho avuta io!" Riuscirono poi comunque a parlare con Lucas dopo: disse loro che avrebbe risolto alcune inquadrature diversamente, ma capiva che c'erano limiti tecnici dovuti alla gestione successiva delle scene nel gioco, e diede loro il placet. [ndDiduz dopo l'errata corrige: curiosamente, come mi fa notare il lettore Paolo Bertoldi, questo aneddoto contraddice l'idea perpetuata negli anni che fosse stato Rebel Assault II a contenere le prime sequenze di Star Wars girate dopo Episodio VI].
Nei primi tempi giocava nella pausa pranzo a Monkey Island 2, e un giorno lo videro Tim Schafer e Dave Grossman, che gli raccontarono seduta stante qualche curiosità sulla lavorazione. Si era già innamorato di Monkey Island, quindi quando seppe che Larry Ahern e Jonathan Ackley ne stavano covando un altro, fece di tutto per farne parte.
Larry voleva per Curse uno stile estremo, sulla scia di Duckman. Jonathan preferiva i cartoon Disney. Tiller cercò di trovare una via di mezzo tra i due desiderata. Pesava comunque più il parere di Larry, perché era il direttore artistico. Lo stile che scelse per i fondali si basava sul far "recitare" gli ambienti e i loro elementi: un fortino sarebbe stato per esempio fiero, con un "petto gonfio", cioè una parte superiore bombata.
Durante la lavorazione di Curse, si sentivano piuttosto sicuri di poter creare un buon gioco, anche se c'era preoccupazione perché Ron Gilbert non era più alla LucasArts. Tiller la vedeva e la vede in modo diverso: non toglie nulla alla genialità della creazione di base, ma ciò non toglie che un franchise possa dare molto anche in mano a chi non ne sia il creatore ("Non è che Stan Lee abbia scritto tutte le storie migliori di Spider-Man"). Non immaginava il successo che il gioco avrebbe avuto: conferma che c'è ancora gente che, a pagamento e per migliaia di dollari, gli chiede di dipingere materiale di Monkey ispirato a Curse!
La chiave di un look grafico è per Bill in due elementi: luce e colore. Se sai gestire quelli, dai senso anche a materiale realizzato con un budget molto basso. Non ha ancora giocato a Return to Monkey Island, ma da quel poco che ha visto lo stile gli è piaciuto proprio in quegli elementi, e l'ha trovato funzionale a un budget ristretto: "In un'avventura grafica devi fare molti asset, e non puoi perderci troppo tempo". Ricorda per esempio che per Curse partivano da disegni a matita che poi coloravano in Photoshop, rendendo i ripensamenti sul colore e sulla luce più veloci da implementare. Per A Vampyre Story invece scelse di dipingere i fondali in Photoshop direttamente: il risultato era anche migliore, ma richiedeva più tempo e non è convinto che sia una buona idea.
Ghost Pirates of Vooju Island fu in realtà richiesto espressamente dall'editore DTP Anaconda come una copia spudorata di Monkey Island. Non gli andava di farla, così creò una storia con tre personaggi nello stesso tipo di universo piratesco - caraibico. Ricordava che Ahern e Tim Schafer avevano una volta alla Lucas discusso di una possibilità simile, cioè raccontare storie di altri personaggi, rimanendo però nel mondo di Monkey Island.
Sta lavorando sulla demo per gli editori di A Vampyre Story 2, che finalmente può gestire da solo, avendo riottenuto i diritti sul sequel dal publisher austriaco originale, la Crimson Cow. Ritiene che si siano fatti molti passi avanti tecnici ed è molto soddisfatto di come sta venendo. Nel frattempo il primo capitolo, che attualmente è solo sulla piattaforma Zoom, dovrebbe riapparire su Steam a breve: è stato rimosso per sua volontà, perché dava diversi problemi di funzionamento e non vuole più rimetterlo in vendita su uno store così importante senza averli risolti.
Aaron Giles ancora al lavoro sul DREAMM
Il programmatore ex-LucasArts Aaron Giles, poi una delle colonne del MAME, si era già raccontato qualche mese fa, in occasione dell'imminente rilascio della prima versione del suo emulatore DREAMM. Se ricordate, il DREAMM è pensato come via di mezzo tra lo ScummVM e DOSBox, un emulatore di PC di utilizzo user-friendly, preconfigurato ad hoc per ciascuna avventura storica della LucasArts in versione DOS. La versione 2 (estesa ora al Mac), attualmente in beta, si sta spingendo oltre, supportando addirittura giochi come Grim Fandango e Monkey Island 4. Specialmente nel caso dell'ultimo, il DREAMM2 in beta è MOLTO promettente, anche se entrambi i giochi hanno problemi con le nostre versioni italiane originali, che presentano DRM micidiali sui quali Aaron si sta dannando l'anima (usando le iso che gli ho passato io!). La sua emulazione "invisibile" dei vecchi Windows è notevole: credo che il progetto vada tenuto d'occhio a prescindere. Ad ogni modo, Aaron ha concesso un'altra bella intervista al canale Conversations With Curtis. Riassumo ciò che c'è di nuovo rispetto alla scorsa intervista.
Come iniziò a programmare? Amava gli arcade e l'Atari 2600 sin da piccolo, il papà era un programmatore di mainframe IBM, per gli ospedali. Gli promise che avrebbe comprato un computer solo se gli fosse stato utile per il lavoro. Così acquistò nel 1980 un Heathkit H89, costruendolo (!) in tre mesi: Aaron iniziò col BASIC, capendo subito che avrebbe potuto ottenere di più con l'Assembly (e quel computer non aveva nemmeno una modalità grafica: il papà pretendeva uno schermo da 80 colonne!).
Dopo fu la volta del PCJr, che Aaron spolpò dai 13 ai 18 anni, persino hackerando alcuni giochi per IBM PC che non erano compatibili con quel particolare modello (da cui poi sarebbe scaturito il popolarissimo negli USA Tandy 1000). Una delle prime cose che programmò fu un controllo di checksum per i listati pubblicati sulle riviste per PC.
La scoperta del Mac avvenne al college (dove però studiava fisica, non informatica, per "allargare i propri orizzonti"): il Mac a colori era appena arrivato e ce l'aveva la sua fidanzata di allora. Era il 1991-1992, e nel campus c'era già una connessione internet, cosa fantascientifica per l'epoca. Imparò a usare il QuickTime, appena proposto.
Inizialmente amava programmare gratis, ma quando si rese conto che i suoi programmi e i suoi tool stavano diventando popolari, chiese come compenso a chi li usasse di mandargli... una cartolina. Per posta. Ne ha ricevute e ne possiede ancora 6.000!
Il primo impegno alla LucasArts, il porting Mac di Star Wars Dark Forces, non fu una passeggiata: con sei mesi a disposizione, dovette lavorare coi grafici per riadattare un gioco nato per la VGA 320x200 alla risoluzione minima del Mac di 640x480, avendo anche meno RAM a disposizione degli 8Mb del DOS, perché il System della Apple ne mangiava un paio. Il suo lavoro fu anche nodale nel convertire l'iMUSE ai 16bit di audio interamente digitale.
S'impegnò moltissimo per spiegare a tutti i programmatori alla LucasArts (non solo attivi sulle avventure, ma su tutti i titoli) come aumentare l' "astrattismo" del codice ove fosse possibile: scorporare cioè il più possibile la logica di gioco dalla gestione dell'hardware, come peraltro lo SCUMM già faceva. Questo avrebbe reso i porting tra una macchina e l'altra sempre più veloci: e se poi la Lucas stroncò le conversioni Mac dopo il 1996, ciò si dovette più che altro ai costi di testing in rapporto alle vendite, perché i costi della conversione del codice in sé erano diventati irrisori, visto che con quella forma mentis si procedeva spediti.
Sa spiegare, anche se non ci ha mai lavorato, perché in Monkey Island 2 solo nella versione PC c'è lo scrolling verticale verso il basso, quando Guybrush guarda giù per la scogliera? Aaron suppone che quel movimento di camera particolare e all'epoca non standard fosse stato programmato "low-level" in Assembly, naturalmente diverso da macchina a macchina, e che gli autori degli altri porting non vi ci siano dedicati per ragioni diverse. Per quanto riguarda il Mac, uno scrolling fluido avrebbe significato muovere molti più pixel per via della risoluzione più alta, con processori non molto più veloci.
Il gioco di cui va più fiero è Outlaws, perché andò un po' oltre il suo tradizionale ruolo di programmatore di sistema, lavorando pure sul gameplay e il codice delle armi. Fu comunque un titolo epocale per la LucasArts, perché era il primo a richiedere obbligatoriamente Windows 95 e a non mantenere due piedi in una scarpa, con eseguibili per DOS e Windows 95 allo stesso tempo: avevano tutti paura della stabilità delle prime DirectX3, tanto che programmarono un sacco di alternative per Outlaws, per la visualizzazione della grafica e la riproduzione del suono. Il multiplayer a 16 giocatori lo ritiene uno dei fiori all'occhiello della sua carriera. Unico cruccio: la versione Mac fu cancellata.
Il gioco preferito della LucasArts? Day of the Tentacle: l'ha sempre trovato irresistibile, tanto che fu lui a insistere per programmarne una conversione Mac nemmeno prevista. Lo rigiocò fino alla fine per testarla, e chiuse dicendo: "Ne è valsa proprio la pena!"
Perché lasciare la LucasArts? Dopo aver finito Mysteries of the Sith, fu nel gruppo al quale fu mostrata una copia lavoro di La minaccia fantasma, ma rimase deluso perché tutta la suspense dell'evento fu abbattuta dalla richiesta che ebbero: guardarlo trovando ogni possibile spunto per ricavarne un gioco. Le produzioni stavano diventando sempre più grandi, e vedeva Star Wars come un marchio costrittivo. In quel periodo, scoprì l'emulazione, con i primi lavori della Digital Eclipse per Mac e la prima versione del MAME. Negli stessi anni era nato l'emulatore di Atari 2600, Stella, e la scintilla primigenia in lui si era riaccesa. Si offrì come coder Mac del MAME, però poco dopo scoprì che mancava nei giochi supportati uno dei suoi preferiti, Mappy. Lì capì bene cosa fosse l'emulazione: indagò e scoprì che girava con uno stesso misterioso processore usato per i cabinati di Super Pac-Man, che qualcuno aveva già emulato sul MAME, quindi adattò quel codice a Mappy. Sì, il suo futuro sarebbe stato nel mondo dell'emulazione, ma aveva bisogno di vederla non solo come un hobby ma anche come un lavoro, perciò scelse di passare alla Connectix per Virtual PC, che peraltro girava su Mac, suo primo amore. Gli dispiacque lasciare i colleghi alla LucasArts, ai quali voleva bene, ma voleva perseguire quello che realmente lo appassionava.
Ha il massimo rispetto per chi ha creato ScummVM, anche perché ha ben presente l'impegno su un interprete, spesso nato dal lavoro di puro reverse-engineering, nonostante il suo approccio sia differente. L'emulazione fonde l'esperienza della macchina originale con l'esperienza del gioco, mentre un interprete come ScummVM si concentra sul gioco.
Dopo la prima versione del DREAMM, visto che si era spinto a emulare un set di funzioni base di Windows 95 solo per allargarlo a The Curse of Monkey Island, ha pensato di spingere il programma al supporto di Monkey 4 e Grim. Siccome l'ambiente Windows è fatto di decine e decine di processi diversi, per mantenere l'emulazione leggera si è proposto di implementare solo i processi di sistema che i giochi chiamano in causa. Curse era molto semplice, ma già Grim adottava le Direct3D per il rendering, si spingeva a 16bit di colore, caricava librerie DLL dinamicamente... insomma, l'interazione tra il gioco e il sistema era più avanzata. Fortuna che in passato aveva programmato un emulatore di schede acceleratrici 3D Voodoo! Procede per gradi: implementa le prime cose che il gioco emulato "chiama", poi quando crasha vede quale processo è stato chiamato e da lui non ancora implementato. Lo implementa e riprova. E così via.
Forte è la tentazione di costruire qualcosa di più su questo basico emulatore "invisibile" di Windows che ha ora creato: ci sono tanti giochi di fine anni Novanta primi anni Duemila che sono restii a funzionare decentemente sui PC moderni. Sta meditando come prossimo obiettivo di concentrarsi sull'emulazione di Indiana Jones and the Infernal Machine [sì, ti prego Aaron, assolutamente sì!!!, ndDiduz]. Più complicato è, in questo nuovo ambiente, emulare i giochi Windows che usano l'interfaccia di Windows e le sue finestre... ha un posto nel cuore per il casual di Hal Barwood Indiana Jones and His Desktop Adventures, che all'epoca convertì proprio lui per Mac.
Saluti a ritmo di musica
In chiusura, volevo segnalarvi due cose, dando la precedenza a Jared Emerson-Johnson, geniale compositore per tanti titoli dei Telltale, che in delirio pandemico ha suonato e cantato da solo (automixandosi) un omaggio alla canzone americana del 1924. Il genere può risultare ripetitivo alle orecchie attuali... ma a piccole dosi lo trovo trascinante. Copertina a cura di Graham Annable, non so se mi spiego. Urge una quarta stagione di Sam & Max per far sfogare Jared come si deve. Dominic Armato, voce ufficiale di Guybrush dal 1997, ha chiacchierato ancora sulla sua carriera e sul suo ruolo più importante, questa volta col buon Paul Morgan Stetler (alias il Curtis di Phantasmagoria 2, diventato un curioso ed elegante influencer in zona retrogaming). Nulla di nuovo che non sappiamo già, se non che già da piccolo Dominic, oltre a recitare già dall'età di 6-7 anni con la voce per varie pubblicità, era un nerd videoludico non male: mi ha fatto ridere il suo racconto sulla foto che inviò a Nintendo Power per testimoniare di aver finito The Legend of Zelda sul NES, per scoprire che un altro ragazzino l'aveva battuto per soli tre giorni! Bello poi come racconti di essersi tuffato nelle reazioni social a Return, senza temerle, considerando questo il primo vero Monkey a essere uscito nell'era del commento istantaneo e della raggiungibilità immediata degli autori. Al mese prossimo! Ciao, Dom