Viene naturale identificare il tocco di Ron Gilbert solo con lo humor nero, demenziale e sarcastico, che abbondava allora come abbonda ora, ma chi rimase colpito dalla qualità onirica e allucinatoria del crescendo finale di Monkey Island 2 la ritroverà nei meandri della Caverna: è uno dei tanti non-luoghi cari all'autore, hub dell'immaginario collettivo ma anche delle vite, dei sogni e dei ricordi delle sue creature. Quasi per caso o per sfida, Gilbert incarna qui quella volontà, sempre poi più diffusa nelle produzioni indipendenti, di elevare l'esperienza interattiva ad allegoria: The Cave per lui rappresenta un passo avanti in quella consapevolezza, che darà negli anni sucessivi una nuova prospettiva persino a Guybrush, con Return to Monkey Island (2022). Ciò che nei lavori precedenti poteva apparire una provocazione o un gioco fine a sé stesso, diventa ora un messaggio etico, che evita la pedanteria correggendo il dramma con le gag.
La Caverna, Dio spiritoso e coscienza interiore inflessibile, è il rito di passaggio che aspetta l'essere umano in tutte le epoche e in tutti i contesti, ben rappresentati dai sette eterogenei protagonisti: c'è per ognuno un'illusoria scorciatoia alla difficile strada principale dell'autoaffermazione, che dovrebbe passare per il gestire un equilibrio tra il proprio ego e la convivenza col prossimo. Qualche utente ha persino identificato i sette con i vizi capitali. Anche senza forzare la mano, la tragicomica ineluttabilità delle loro azioni basta e avanza a renderle figure pietose, dalle quali il giocatore proprio in quanto tale non può distogliere lo sguardo. Poco importa che gli unici dialoghi siano proferiti dalla Caverna e da qualche personaggio secondario: forse causato dal budget e dalla loro intercambiabilità nel gameplay, il mutismo di questi anti-eroi li rende comunque ancora più disperati, nell'ottica di un ragionamento che già articolai. L'apice Ron lo raggiunge qui nel finale, quando [SPOILER fino allo screenshot],
rende possibile salvare i personaggi restituendo al custode i tre oggetti del desiderio: bisogna insistere tre volte prima che accetti e bisogna pensare di poterlo fare, con cartelli che per giunta suggeriscono il contrario. Splendida metafora che vive nell'interazione: se mettere da parte l'ego è difficile per i fallaci protagonisti, a maggior ragione lo è per il giocatore, che per "vincere" dovrebbe rinunciare allo scopo del gioco! Usare un'esperienza ludica per raccontarne i limiti: il contestato non-finale di Return è già qui, ma in realtà il discorso in The Cave è persino più sottile (e paradossalmente più a rischio di non essere notato o - peggio ancora - sottovalutato).
Prima e dopo l'uscita di The Cave il dibattito degli appassionati, alimentato dalla pubblicazione patrocinata dalla Sega, non fece che vertere su un tormentone: era o non era un'avventura grafica? Storicizzando a tutti i costi, lo si potrebbe definire un Goblins (il primo per l'inventario limitato a un oggetto per volta, il secondo per la maggiore libertà), con i controlli di un The Lost Vikings, però privo della componente action. Al di là delle classificazioni, io direi piuttosto che rimane un test di resistenza del genere adventure: un'occasione di inquadrarne meccaniche, limiti e potenzialità dimenticate sotto le abitudini. Approfittando della centralità dell'esplorazione, Gilbert ci lascia infatti interagire con enigmi e hotspot facendoci muovere direttamente i personaggi, che devono farsi strada saltando, correndo, usando scale o corde, e ricorrendo a una propria specifica abilità. Tutto ciò non rende automaticamente The Cave un platform, anche se lo sembra. Non ci sono nemici, i salti sono semplificati, le morti non sono punizioni ma comunicazione di azioni erronee, alle quali segue un'immediata resurrezione a breve distanza.
Credo che un genere si riconosca dalla sfida che propone, non dall'interfaccia, e qui la sfida del platform è assente: la trappola di DeathSpank, la cui componente hack 'n' slash aveva fagocitato quella adventure, viene evitata. A riprova e quasi a scopo dimostrativo, su Windows, Mac e Linux è facoltativa un'interfaccia punta & clicca, senza che il design necessiti di alterazioni! La ricerca di The Cave è accomunabile a quella di Stacking, coerentemente di casa Double Fine: muoversi dal punto A al punto B in un adventure è diventato con il passare degli anni sempre più inutile, perché sulla strada non succede più nulla. Ai tempi di King's Quest bisognava guardare dove si andava per non cadere o per evitare minacce, ora nel genere contemporaneo si spostano i protagonisti giusto da un hotspot all'altro.
Personalmente eliminerei il ciondolare tout-court, ma Gilbert sceglie invece una via di mezzo, questa modifica cosmetica e atmosferica del platform: nel tragitto si rimane svegli a gestire la coreografia dei movimenti, cogliendo l'occasione per vivere meglio l'ambiente. È uno stratagemma non universale ed efficace solo per l'ambientazione di The Cave, mentre ritengo che le trovate di Lee Petty in Stacking avessero la potenzialità per rinfrescare il genere intero, se solo non lo si fosse troppo spesso liquidato come semplice puzzle game.
Il secondo apparente schiaffo di Ron agli avventurieri è l'implementazione di una modalità multiplayer, a parte alcuni tentativi (Uru) considerata incompatibile col genere. Rivoluzione cosmetica anche in questo caso: gli enigmi intuitivi e quasi sempre intriganti cucinati da Ron, Jean-Paul LeBreton e dall'animatore David Gardner richiedono sì la frequente interazione dei tre personaggi selezionati, con lo scenario e con gli oggetti, ma mai il loro agire contemporaneo (quando è necessario è possibile "parcheggiarli" a compiere un'azione), anche perché si possono trovare in aree ben lontane. Alternarsi al controllo dei tre tapini con uno o due amici non è mai obbligatorio: ognuno può controllare chiunque in qualsiasi momento, uscire e rientrare nella partita quando gli pare. In altre parole, potreste giocare così anche Day of the Tentacle o le parti in tandem di Fate of Atlantis, allungando il mouse a un amico o a un partner. Più che una modalità, è uno sprone esplicito a coinvolgere qualcuno in un genere che la tradizione ha trasformato in solitario, ma che un tempo condividevamo più spesso con gli amici.
Al di là dell'evoluzione incompleta, la sperimentazione sblocca però un approccio più ampio all'idea di enigma, che prende in alcune storie dei sette brutti ceffi diverse forme, dall'uso dell'inventario tipico del punta e clicca (vedi la storia dei gemelli), a contaminazioni varie: l'esplorazione a base di interruttori nella vicenda dell'archeologa sposta per un attimo la bilancia sul puzzle-platform, mentre le centrate prove "Zen" del monaco scherzano proprio sulle convenzioni dell'interazione videoludica. I paradossi temporali della viaggiatrice ci ricordano invece che l'idea alla base di Day of the Tentacle fu proprio di Gilbert. Immancabili le citazioni dai classici lucas passati, come un distributore di Grog o Chuck la pianta, che però non bastano all'uscita a sbloccare la diffidenza di quel fandom verso un titolo che invece ne eredita con estrema intelligenza la direzione creativa. C'è un minimo riciclo di alcuni elementi (fusibili, hot dog), ma si ferma prima di diventare fastidioso.
Purtroppo all'uscita The Cave viene accolto tiepidamente, con grande delusione di Ron, che tuttora parla con amarezza dell'esperienza, non spiegandosi bene questa freddezza. Ho già detto la mia sulle qualità narrative, poetiche e atmosferiche del titolo, e anche della sua ironia nel gameplay, però rimango dopo tanti anni abbastanza certo del punto debole del gioco: la gestione della rigiocabilità. Ron voleva rivisitare la struttura di Maniac Mansion, ma non l'ha fatto fino in fondo. Certamente l'utilità di ciascun personaggio è stata migliorata: ognuno ha un potere specifico e sblocca un'intera area della caverna personalizzata, quindi mancano elementi inutili come Jeff o i doppioni come Syd e Razor. Il problema è che, qualunque trio si scelga, s'incontrano tre aree della Caverna comuni a tutte le combinazioni: anche in Maniac gran parte del gioco non cambiava, ma eravamo in un'epoca di tutt'altra vastità e complessità. Difficilmente si cominciava una seconda partita a Maniac subito dopo la prima, che poteva protrarsi settimane se non mesi, quando non all'infinito perché ci si bloccava.
Un giro nella Cave dura poche ore e viene naturale ripartire subito con altri protagonisti, però enigmi e situazioni comuni sono ancora vividi nella memoria, e metà della partita (se non di più, perché i personaggi sono sette e non sei!!!) diventa una timbrata di cartellino che raffredda la stessa ironia che ci aveva appena divertito. Si può mitigare il difetto, associando al secondo e al terzo giro due personaggi nuovi a uno già usato, magari addirittura distanziando di qualche mese ogni giro o ossessionandosi con i soliti trofei. Forse si sarebbe dovuto correre il rischio di rendere facoltative le tre aree obbligatorie, associandole a tre ulteriori personaggi: ciascuna partita sarebbe durata molto meno, ma avrebbe mantenuto più freschezza.
Se The Cave a conti fatti è un titolo meno sperimentale di quanto Ron sperasse, condannarlo all'oblìo sarebbe un delitto per qualsiasi serio appassionato lucasiano. Il gioco si sforza di immergere un cuore antico nel gusto contemporaneo, strapazza il genere rispettandolo, alza le ambizioni tematiche, diverte e rischia. È questo che voglio da un autore: la forza di rimanere fedele ai propri principi, rispettando il proprio passato ma sfidando la tentazione di vivere di rendita.
Non è da sottovalutare quanto le autorialità singole della Double Fine abbiano affiancato e potenziato quella di Ron. Al design grafico hanno contribuito persone come Mark Hamer, nell'entourage di Tim Schafer sin da Grim Fandango (così come Chris Schultz), o Levi Ryken, autore del suggestivo prototipo dell'AF Black Lake. Animazioni e ambienti vedono all'opera una fusione dei team di Costume Quest e Stacking, con risultati eccellenti. Gli animatori e i grafici hanno infuso nei modelli una personalità ben distinta, che affiora persino nelle animazioni di solito standard: gli otto personaggi camminano, corrono, saltano, scalano e cadono rispettando in pieno la propria personalità e il proprio atteggiamento. È una qualità propria della Double Fine creare una solida sinergia tra i reparti artistici di un titolo, e in questo caso deve aver aiutato che uno degli animatori, David Gardner, sia anche co-designer del gameplay (un accavallamento di mansioni piuttosto raro nelle produzioni moderne).
The Cave abbraccia una visuale antica per necessità narrativa e non soltanto estetica. Effetti di luce e livello poligonale possono ricordare Trine, però metà dell'atmosfera viene dal fascino del colossale piano sequenza. Claustrofobico: l'ideale macchina da presa non "stacca" praticamente mai. La Caverna non è divisa in livelli percettibili, ma è un enorme ambiente unico e comunicante, caricato in streaming! La visione di Gilbert, perseguita anche in DeathSpank, non potrebbe essere più lontana dalla convergenza visiva di cinema e videogiochi. Non ci sono livelli, non ci sono scene: c'è un mondo. In ogni partita è sempre possibile intravedere o avvicinarsi all'entrata di una sezione non visitabile con i personaggi scelti, perché tutta la Caverna è sempre lì, pulsante e in attesa. Persino quando si passa da un personaggio all'altro, una rapida carrellata sposta l'inquadratura, senza dissolvenze o stacchi, con rarissime eccezioni. A quel punto finanche un'elementare dissolvenza al nero verso la fine assume un significato emotivo forte. Il riflessivo barbuto direttore artistico Andy Wood (che nella prima Amnesia Fortnight propose The White Birch) può andar fiero del lavoro svolto.
Brian Min, da tempo sound designer alla Double Fine, si era avvicinato alle note durante Stacking, quando con Peter McConnell aveva selezionato i brani di musica classica che il secondo aveva eseguito. Nell'Amnesia Fortnight aveva cominciato a muovere i primi passi nelle colonne sonore di suo pugno, e The Cave rappresenta il suo primo lavoro in un titolo pubblicato: non è da sottovalutare, perché Min sceglie un registro piuttosto serio e raramente ironico, giocando a carte scoperte con l'amarezza del messaggio. Si sente l'influenza della sua mansione principale, perché le melodie multigenere, dedicate a ognuno dei protagonisti, sono un tessuto atmosferico che si miscela ai suoni a volte in un modo quasi subliminale. Gli effetti sonori sono affidati ai suoi colleghi, attenti a diversificare persino il rumore dei passi, che in alcuni casi strappa il sorriso, come per i piedoni nudi del bifolco. La cupezza e l'indecifrabilità di alcuni rumori meccanici, in echi sinistri, svolge il compito di allucinato contrappunto disturbante allo humor.
The Cave porta così tanto il marchio di Ron Gilbert, che in rete all'uscita si diffonde una leggenda metropolitana (sfatabile solo leggendo i credits): la perfetta strafottente voce fuori campo della Caverna non appartiene a Ron! È di Stephen Stanton, che i lucasdeliranti dovrebbero già idolatrare in quanto doppiatore di Sasha Nein nella saga di Psychonauts. La recitazione della manciata di battute sue e di altri attori, scritte da Gilbert e dal buon Chris Remo, fu diretta da Khris Brown.
Revisione: 1/2023
Brandon Dillon, tra un anno creatore dell'incredibile Hack 'n' Slash, fa un gran lavoro per rendere lo streaming della caverna adattabile alla più grande uscita multipiattaforma della storia Double Fine fino a questo momento. Il resto della squadra ha però seri problemi a gestire contemporaneamente Windows, Mac, PS3, Xbox 360 e Wii-U per la pubblicazione solo in digitale a fine gennaio 2013, dopo due anni di lavoro. I testi in italiano sono assicurati in tutte queste versioni, a partire da quella su Steam e senza DRM su GOG (dove il gioco è sbarcato tardissimo dieci anni dopo, nel luglio 2023!). Su Windows possono portar guai i joypad che non siano quello del 360 o uno compatibile, con pesante calo del framerate. Ancora su computer non è possibile giocare in due con una sola tastiera: con la scarsità dei comandi e l'assenza di prove veramente action, obbligare al joypad il secondo giocatore mi è sempre parso eccessivo. Su tutte le versioni c'è stata poi una discreta quantità di bug nello script, che generavano alcuni vicoli ciechi nel gioco (spariti con le patch successive) nonché qualche errore nella registrazione degli achievement su Steam. L'edizione Mac ha sofferto di un porting non ottimizzato e la promessa versione Linux è arrivata con un ritardo di una ventina di giorni. La maggior parte di queste problematiche furono risolte nelle settimane dai vari aggiornamenti, per cui le elenco solo per ricordare le difficoltà del lancio.
Inciampi a parte, è piacevole la resa di The Cave su configurazioni anche anziane al momento dell'uscita: su un Quad-Core con ATI HD4850 da 512Mb giocai tranquillamente in 1680x1050 al massimo dettaglio. I requisiti Windows/Mac/Linux su Steam/GOG parlano comunque di CPU Core 2 Duo / Athlon 64 2Ghz, 1Gb RAM, 256Mb di RAM video. Su Wii-U lo schermo del pad era utilizzato solo per passare da un personaggio all'altro, ma non si poteva giocare in remoto.
Nel 2023 fortunatamente il gioco è ancora stabile sotto Windows 10, dove può essere sparato al massimo dettaglio senza timore di performance sofferenti sulle potenti macchine attuali. Non potrebbe comunque accadere, perché purtroppo è rimasto negli anni ancorato ai 30fps, senza possibilità nativa di alzare il frame rate su PC almeno a 60. L'ampia quantità di risoluzioni e refresh non ha un nesso con gli fps interni, lockati a 30. Siccome la grafica in ambito indie regge ancora con una certa dignità, suggerisco di lottare. Dal 2024 è possibile raggiungere i 60fps (e più!) esternamente tramite tool Lossless Scaling: avviatelo con la generazione di frame LSFG 2.3 x2, poi avviate il gioco, regolate la risoluzione su quella nativa del vostro monitor e attivate la modalità finestra, poi CTRL+ALT+S per portarlo a tutto schermo con LS, che si occuperà di generare i fotogrammi intermedi. Con o senza LS, con schede e monitor dotati di adaptive sync, vi consiglio di disattivare il vsync dalle opzioni (e al massimo di attivare quello di LS). Un eventuale aggiornamento si potrebbe anche ridurre il leggero lag dei controlli: c'è un achievement che prevede l'assenza totali di morti in un'unica run, ed è troppo facile sbagliare un salto.
Direzione del progetto e soggetto: Ron Gilbert
Design: Jean-Paul LeBreton (sup.), Ron Gilbert, David Gardner
Testi: Ron Gilbert e Chris Remo
Produzione: Matt Hansen (Double Fine), Matthew Hickman (Sega)
Direzione artistica: Andy Wood
Ideazione grafica: Derek Brand, Levi Ryken, Mark Hamer, Paul Sullivan
Modellazione ambienti: Freddie Lee, Jane Ng, Jeremy Natividad, Geoff Soulis, Kjeld Pedersen, Rhandy Cruz
Modelli dei personaggi: David Russell
Texture: Kristen Russell
Animatori: Elliott Roberts (sup.), David Gardner, Ruel Pascual, David Russell, Chris Schultz
Animazioni degli effetti: Lydya Choy, Jeremy Mitchell, Panya Inversin
Grafica tecnica e illuminazione: Tyler Hurd, Adrian Melian
Programmazione: Chad Dawson (sup. gen.), Brandon Dillon (sistema), Ben Peck, Bert Chang, Anthony Garcia (gioco), Oliver Franzke, David Farrell (motore), Paul Du Bois, Duncan Boehle, Pete Demoreuille, Edward Rudd (piattaforme)
Musiche: Brian Min
Sound design: Camden Stoddard (sup.), Paul O'Rourke, Brian Correia
Direzione e produzione del doppiaggio: Khris Brown
Voci: Stephen Stanton (la Caverna, il negoziante), Lex Lang (Maestro Zen, Re, altoparlante), Johnny Hawkes (pappagallo, scienziato guardiano), Grey DeLisle (computer, principessa, cacciatrice di mostri), David Kaye (mago, indovinapeso, uomo della roulette), Robin Atkin Downes (padre dei gemelli, Xavetar, minatore), April Stewart (madre dei gemelli), Dan Hagen (guardia di sicurezza, Linvingston, eremita)
Testing (Sega): Dan Buchman, Junior Sison
Mansioni aggiuntive: Daniel Krall (dipinti della caverna), Patrick Hackett, Anna Kipnis, Kee Chi, Pat Bergschneider (codice)
iOS (2013)
Approfittando dell'opzionale controllo punta & clicca nelle versioni PC di base, The Cave si presenta su iPhone e iPad nell'ottobre 2013. Non ha mai avuto la fama di essere molto comodo da giocare nella sua incarnazione touch, ma almeno su iOS il problema non si pone più: la Double Fine l'ha rimosso nello store perché non ha ritenuto che le vendite da quelle parti giustificassero l'investimento in un necessario aggiornamento di compatibilità con i sistemi più recenti. Era multilingua. Richiedeva l'iOS 6.1.
OUYA (2013)
Nei primi giorni del dicembre 2013 la Double Fine si dimostra già sostenitrice dello sfortunato progetto della Ouya, la console "alternativa" basata su Android e prodotta in crowdfunding. Non ho trovato notizie sulla qualità della performance e sui controlli (diretti, grazie al joypad), ma suppongo sia la stessa di quella Android su macchine di potenza equivalente. Dovrebbe essere stato pubblicato multilingua. Sparito dalla circolazione, insieme a tutto il software dell'OUYA.
Android (2013)
A ridosso del Natale 2013, la versione Android di The Cave è l'ultimo porting a esser reso disponibile per il gioco di Ron. Ferocemente criticato per i controlli touch, è tuttora acquistabile sul Play Store, con la stessa traduzione in italiano ufficiale. Richiede Android 2.3 e 1Gb di RAM.
The Cave non ha mai avuto un'edizione fisica, né è stato mai recuperato in edizioni da collezione a tiratura limitata. La Double Fine tuttavia nel 2013 produsse delle simpatiche statuine dei sette protagonisti, in confezioni a sorpresa, acquistabili direttamente dal loro shop. Comprai subito la mia, ansioso di verificare quale personaggio il caso mi avesse assegnato: mi toccò la supercinica scienziata! Ricordo il mio disdoro quando, estraendo la statuina, ne causai la caduta, che decapitò senza pietà la disgraziata. Devo alla mia compagna un restauro a base di supercolla, che rende meno imbarazzante mostrarvela.