Archivio News 2024
Torna all'Archivio generale
28-9-2024
Ora che la temperatura è tornata sufficientemente gestibile, tanto da spingerci a riattivare il forno per qualche sana pizza fatta in casa, anche Lucasdelirium boccheggia meno: accompagnato da un nuovo video, questo aggiornamento ha preso una strada molto tecnica suo malgrado. Cerco di evitare la prevalenza di questi discorsi, anche se mi piacciono molto, però una serie di coincidenze hanno spinto video e news in direzione più hardware. Se vi va, si parte!
La scheda EGA compie 40 anni... e la festeggio con un video!
Nell'ottobre del 1984 l'IBM presentava la scheda grafica EGA, cioè l'Enhanced Graphic Adapter: nell'anno in cui l'azienda tentò anche la carta fallimentare del PCjr (rilanciato però alla grande dalla Tandy negli USA), i 16 colori su schermo iniziarono lentamente a diffondersi anche nel mondo PC. In altre parole, i videogiochi DOS cominciavano ad avere un aspetto più decente. Le avventure lucasiane sono state legate a quelle cromìe da Maniac Mansion a The Secret of Monkey Island, prima che la VGA prendesse il sopravvento. In questo video di 12 minuti ho ricostruito storia e caratteristiche dell'EGA, provando anche a raccontare qualche dettaglio poco noto della sua reale palette di colori. Il suo look riconoscibile ha davvero segnato un'epoca, nonostante in quegli anni qui in Italia per molti di noi il gaming a 16bit viaggiasse sull'Amiga (quelle versioni erano tuttavia una filiazione degli originali EGA, perciò il discorso dovrebbe interessare anche i commodoriani). Buona visione!
The Secret of Monkey Island arriva sul Commodore 64, ma stavolta per davvero!
A volte la corsa al click, combinata alla micidiale indicizzazione dei motori di ricerca, può far danni. Lo scorso dicembre alcuni fan di The Secret of Monkey Island ne realizzarono una "rilettura" per il Commodore 64. Qui e lì si gridò al miracolo tecnico, che non era affatto: si trattava di un'esperienza che ammiccava esteticamente al gioco originale, per riconfezionarne le dinamiche di gameplay in chiave di avventura semigrafica o semitestuale, che dir si voglia. Realizzata con l'editor D42 Adventure System di Protovision, era lentissima da giocare, con grafica statica e... parecchio scomoda.
Ora, dov'è il danno? Se in questo momento cercate "Monkey Island" e "Commodore 64" otterrete link a quel gioco... e non a qualcosa di assai più grosso che bolle in pentola. Il programmatore di demo Andreas Larsson (detto Jackasser) e il grafico Joachim Ljunggren (detto The Sarge) stanno sul serio convertendo la storica avventura grafica per il Biscottone! Dopo l'annuncio del 31 agosto, all'inizio di settembre TheSarge ne ha pubblicato un altro work in progress, dove cominciano ad apparire gli sprite dei personaggi.
Update on our Monkey Island on the #c64 project.
— Joachim Ljunggren (The Sarge) (@j_ljunggren) September 7, 2024
64 rooms of a total of 80 ish rooms now pixeled and done. 469 objects pixeled and done.
Still much left to do. #commodore64 #retro #pixelart #monkeyisland #game pic.twitter.com/oCTx66KSZu
Come spiegato dagli interessati, si è partiti proprio dalla conversione della versione 4 dell'engine SCUMM, quella che muoveva le prime avventure di Guybrush in EGA (1990). TheSarge si sta occupando di convertire tutta la grafica in Multicolor 160x200, dall'originale in 320x200, mentre Jackasser sta affrontando il complesso codice, che si appoggerà a una distribuzione su cartuccia (virtuale o sperano reale, nel caso convincano la Lucasfilm ad avallare un'edizione fisica ufficiale!). La cartuccia è indispensabile perché la grafica di Monkey su C64 funzionerà in modalità bitmap pura, non nel character mode che muoveva Maniac Mansion o Zak McKracken su C64. Solo la modalità bitmap infatti può reggere il livello di dettaglio richiesto, ma pesa come minimo quattro volte di più del character mode (che invece consiste nel ridefinire i 256 font testuali a disposizione, trasformandoli in "mattonelle" di grafica). I caricamenti da floppy sarebbero improponibili, mentre invece le ultime cartucce arrivano a stipare 1Mb di dati e oltre, con trasferimento dati quasi istantaneo: spauracchio all'epoca, al massimo relegata nelle schermate di intro, oggi nella scena del retrodeveloping la grafica bitmap sta sbocciando tardivamente su C64 grazie a queste più sofisticate cartucce, come dimostra A Pig Quest, programmato dal guru Antonio Savona.
Andreas e Joachim sostengono che non sarà sacrificato nulla del gioco (risoluzione grafica a parte), proprio perché puntano il più possibile a usare gli script SCUMM originali. Contano persino di non obbligare all'uso delle rare espansioni di memoria REU, sulle quali si è invece appoggiato un altro miracolo come il porting di Sonic da Master System. Sulla carta sarebbe dura crederci, così come si potrebbero avere dubbi sulla riuscita dell'impresa, senza date certe di completamento. Se mi permetto però di parlarne con ottimismo, è perché Jackasser ha già realizzato per il C64 una "conversione impossibile" un paio d'anni fa. Il suo Eye of the Beholder per Commodore 64 ha riproposto il titolo Westwood integralmente, comprensivo di supporto per il mouse 1351 e un'opzionale modalità C128, per un'esecuzione più veloce e una mappa visualizzata sullo schermo secondario. Questo tipo non scherza: se c'è qualcuno in grado di infilare nello spazio angusto degli 8bit un titolo a 16bit come Monkey 1, quello è proprio lui.
Cominciamo tutti a correggere l'indicizzazione: è previsto un video a breve, e quando lo condivideremo sui social ricordiamoci di condividere QUESTO progetto, non l'altro... il folle VERO porting C64 di Monkey 1 è reale, gente.
Lossless Scaling aiuta anche i lucasdeliranti
Si fa un gran parlare da qualche mese a questa parte di Lossless Scaling, un tool dal ridicolo prezzo di nemmeno 7 euro, ma molto intrigante. È stato inizialmente pensato solo per scalare l'immagine senza perdita di qualità (come indica il suo nome, dopotutto), poi si è espanso alla generazione di frame intermedi, raddoppiando, triplicando o quadruplicando i fotogrammi al secondo di una qualsiasi applicazione. È una sorta di versione generica (e quindi meno precisa) del DLSS Nvidia e dell'FSR AMD. In parole povere, se non lo sapete già, consentono di renderizzare un gioco alla risoluzione e agli FPS che il vostro PC è effettivamente in grado di garantire, per poi scalare e interpolare il tutto per avvicinarlo a performance che col vostro hardware potete solo sognarvi in modalità "liscia". Io per esempio con un'ormai vecchia Geforce RTX 2070 ho giocato la versione PC di The Last of Us a 1440p a 60fps quasi costanti col DLSS, perché in realtà era renderizzato a 1366x768, poi scalato alla mia risoluzione nativa (senza il DLSS i 60fps non sarebbero stati un'opzione per me, avrei dovuto ridurre di molto i dettagli e la qualità della grafica). E questo senza la generazione dei fotogrammi intermedi, non supportata dalla mia scheda.
Ora, queste sono tecnologie che devono essere integrate specificamente nel gioco in questione, quindi se un titolo non le supporta o è uscito molto prima che esistessero, non possono aiutarvi. Qui entra in gioco Lossless Scaling, che fa le stesse cose "esternamente" e persino con schede più antiche sprovviste di quelle tecnologie! Rientrando in zona pura Lucasdelirium, con LS sono riuscito a portare The Cave (2013) e Costume Quest (2011) della Double Fine a 60fps: teoricamente i PC odierni potrebbero benissimo farli girare anche meglio di così senza aiuti, però come forse ricorderete sono "lockati" a 30. Il che significa che, volendo esagerare, con LS potreste pure spingerli a 90 o 120fps, se il vostro monitor li regge. Utilissimo per vecchi giochi che non sono stati aggiornati, ma anche per prodotti appena usciti. Ho provato per esempio a lockare a 30fps la recente remaster di Sam & Max: The Devil's Playhouse della Skunkape, per poi portarla a 60fps con Lossless Scaling. S'intuiva il trucco guardando qualche incertezza del cursore, però il resto della grafica filava come nei veri 60 nativi, con la differenza che la ventola della scheda grafica non partiva nemmeno, nonostante LS la occupi in parte per generare i fotogrammi extra.
Naturalmente il rovescio della medaglia è che, non essendo Lossless Scaling integrato nei veri e propri giochi, non sempre "inventa" correttamente i fotogrammi aggiuntivi, e può non essere affidabile nella veloce responsività reale richiesta nei titoli action molto veloci e nelle competizioni, specie in modalità x3 e x4 (non sono esperto, però posso dirvi che non tutti sono d'accordo in merito). Come consiglio generale, disturbi e strappi (stile video in streaming) si riducono o spariscono se partite da una base di almeno 30fps costanti, non meno e non troppo ballerini. Lossless Scaling è anche molto utile per gli emulatori, quando dovete gestire titoli PAL a 50hz a 50fps, perché portarli a 100fps li rende più amichevoli con le schede e i monitor attuali, consentendo di avvicinarsi almeno all'antica originale fluidità dei CRT. Ricordatevi solo di: 1)Avviare LS prima di avviare il gioco, settandolo come vi aggrada e lasciandolo aperto; 2)Avviare il gioco in finestra o finestra senza bordi; 3)Attivare o disattivare LS premendo CTRL+ALT+S.
Non fa sempre miracoli, non è perfetto al 100%, ma è un programmino che sa sorprendere.
Fine della corsa settembrina. In chiusura vi segnalo che la Skunkape Games, dopo la pubblicazione della remaster di Sam & Max: The Devil's Playhouse, si sta guardando attorno per altri "restauri" della Telltale Games: in quest'intervista ammettono un interesse per Tales of Monkey Island (2009), ma non sembrano ancora certi di affrontare il percorso legale più complesso per avviare i lavori (tra Lucasfilm/Disney e Telltale). I fan comunque hanno parlato... e il messaggio è arrivato. Vedremo.
Ciao,
Dom
8-9-2024
Velocissima segnalazione: la mia scheda della remaster di Sam & Max: The Devil's Playhouse è online. Buona lettura!
31-8-2024
L'invecchiamento e il riscaldamento globale sono due brutte bestie quando uniscono le forze: il caldo torrido perdurante quest'anno mi ha messo a dura prova, al punto da rendere temibile (e fonte di lagne) persino la semplice salita verso il portone di casa. Non mi ha risparmiato nemmeno durante le ferie. Ma andiamo a cominciare l'aggiornamento, in questo caso... scorporato.
È disponibile la remaster di Sam & Max: The Devil's Playhouse
La Skunkape Games ha pubblicato il 14 agosto la remaster di Sam & Max: The Devil's Playhouse, chiusura del trittico di avventure grafiche dedicato dai fu-Telltale al duetto creato da Steve Purcell. La mia scheda per il remake però non c'è ancora: l'uscita in mezzo alle mie ferie non mi ha consentito di ripercorrere il gioco con l'adeguata calma, quindi ho preferito pubblicare questo aggiornamento di news, differendo almeno di una settimana la mia scheda dedicata al remake. Vi avviserò per tempo via social (o via RSS) quando sarà pronta: tenendo presente che a questo giro non c'è una traduzione italiana ufficiale dei sottotitoli (che non era mai esistita), né mi sembra sia facilmente possibile applicare la traduzione non ufficiale dell'originale, immagino che questo leggero ritardo pesi a pochi.
Nel frattempo un'altra fatica degli ex-Telltale ha compiuto 15 anni: si tratta del sottovalutato Tales of Monkey Island, e qualcuno in rete scommette che il prossimo rifacimento Skunkape potrebbe essere proprio la quinta avventura di Guybrush. Sarebbe bello, però la Skunkape non potrebbe agire in indipendenza come coi Sam & Max (che possiede), perché Tales appartiene invece legalmente all'LCG Entertainment, che nel 2019 ha rilevato diversi giochi Telltale e ha riaperto il loro sito. Non riesco a immaginare però una ragione per la quale un eventuale accordo dovrebbe incontrare intoppi.
Indiana Jones e l'Antico Cerchio arriva a dicembre!
In quel della Gamescom, abbiamo saputo che l'action-adventure Indiana Jones e l'Antico Cerchio dei MachineGames, pubblicato da Bethesda, ha una data d'uscita ufficiale: 9 dicembre, per Windows, Xbox Series X/S e Game Pass. Il colpo di scena è che il gioco, inizialmente presentato come un'esclusiva assoluta Microsoft, approderà anche su Playstation 5 a distanza di sei mesi, nella primavera del 2025. La notizia sembra avere disorientato le tifoserie, ma per quanto mi riguarda va bene così: le esclusive ormai sono da tanti anni scelte commerciali. In epoca 8-16 bit, tra gli anni Ottanta e Novanta, l'identità tecnica e quindi estetica di una macchina era nettamente diversa da quella di un'altra: un titolo poteva davvero caratterizzare un hardware, ma ora - al netto di battaglie al photo finish tra GPU e CPU più o meno performanti, su filo dei fotogrammi al secondo o di effetti particolari - un gioco può essere potenzialmente uguale su tutte le macchine della stessa generazione. E più siamo meglio è: perché porre limiti a Indiana, che aspettava un gioco tripla-A come questo da vent'anni?
Ecco il nuovo trailer, presentato da Troy Baker, che interpreta Indiana in performance capture (dandogli anche la voce nella versione originale).
Tra parentesi, non è la prima volta che la Microsoft consente un porting di un suo titolo per la concorrenza: ricordate cosa accadde tre anni fa, quando Psychonauts 2 è uscito anche su PS4 (con compatibilità PS5)? Certo, lì la Double Fine doveva tener fede agli impegni presi per la campagna Kickstarter, ma era evidente che all'occorrenza la MS sapeva essere flessibile, e l'ha dimostrato di recente con altre proposte.
Diversi giornalisti sono stati ammessi alla presentazione di un demo di gameplay, che hanno descritto in diverse sedi. Come già sapevamo, il titolo è un action-adventure in prima persona (con stacchi sulla terza in caso di acrobazie particolari), dove Indy deve risolvere enigmi ambientali, esplorare ambienti e avere la meglio dei nazisti, con possibilità di stealth e una dinamica per le scazzottate studiata ad hoc. In più adesso sappiamo che la macchina fotografica avrà una funzione di documentazione indispensabile per risolvere alcuni enigmi, così come il diario ci permetterà di seguire le fasi del mistero (e qui tutti pensiamo al Diario del Graal e al Dialogo perduto di Platone, ammettiamolo). Nonostante il gioco presenti uno svolgimento lineare fortemente narrativo, alcuni capitoli daranno a chi gioca una maggiore libertà, consentendo attività secondarie, propedeutiche a una crescita delle capacità del protagonista, seguendo il nostro stile preferito di gioco. La maggior parte della stampa ha apprezzato quello che ha visto.
Si sono aperti i costosi preordini: l'edizione Premium (100 euro) e la fisica Collector's Edition (190 euro) includono, oltre ai soliti bonus cosmetici digitali, l'accesso a un appena annunciato DLC narrativo che arriverà più avanti ("L'ordine dei giganti"), nonché la possibilità di cominciare a giocare con tre giorni di anticipo, dal 6. Sono ormai così abituato a seguire produzioni indie, che mi coglie un anacronistico turbamento già di fronte ai 70 euro richiesti per la versione Standard. Di solito attendo che i tripla-A scendano di prezzo, ma qui dovrò prendere decisioni complesse, in nome del prof. Jones e di Lucasdelirium!
Un'ultima nota sulla questione doppiaggio in italiano: anche su Steam continua a essere garantito, i primi trailer lo hanno sempre presentato, siamo in territorio grandi produzioni Microsoft... insomma, nemmeno l'avrei messo mai in dubbio. Qualcuno aveva anche riconosciuto Alessandro D'Errico come voce di Indy, se ricordate. Qualche giorno fa su Reddit tuttavia un anonimo doppiatore nostrano coinvolto nella versione italiana ha sostenuto che tutti i doppiaggi stranieri sarebbero in forse. Il contratto proposto dalla Zenimax Media / Bethesda chiederebbe infatti a chi lo firmi di accettare che la propria voce possa poi essere rielaborata tramite IA anche in altri progetti, dietro compenso ma senza più permesso. Sempre a detta dell'anonimo attore, che ha poi rimosso il post, ci sarebbe stata una rivolta trasversale nel settore, e anche i cast tedeschi, francesi e spagnoli avrebbero incrociato le braccia, ritenendo inaccettabile la cessione sempiterna e a scatola chiusa della propria voce. Non sappiamo se è vero, però è plausibilissimo. L'espansione dell'IA, in diversi settori, sta superando la velocità della sua regolamentazione e della sua gestione etica: la recitazione nei videogiochi non è stata ancora coperta dalle nuove regole imposte dagli scioperi che hanno paralizzato Hollywood l'anno scorso, anche per questo motivo. E il tempo stringe (è partito negli USA a luglio un altro sciopero proprio per queste ragioni). Mi intristisce però ancora di più l'atteggiamento di una certa utenza sui social: pur di avere versioni in italiano, sono diversi quelli che ritengono perfettamente legittimo ricorrere all'IA, anche per le traduzioni stesse, siano o meno limitate ai sottotitoli. Torneremo di certo a discutere dell'argomento.
Peter McConnell torchiato da Daniel Albu, dolcemente
Scrivo "dolcemente" perché la chiacchierata del canale Tech Talk with Daniel con Peter McConnell dura "solo" 2 ore, a differenza di quella monumentale di quasi 5 con Clint Bajakian. Peter ha di recente completato l'album folk Better Place (dove canta) ed è uno con meno parole: divaga meno, ma questo non significa che tra LucasArts, Double Fine e altre esperienze il nostro compositore non abbia di che parlare. Riassumiamo!
- Quand'era bambino, in Svizzera nei primi anni Sessanta con i genitori, perché suo padre studiava teologia da quelle parti, si trovò fortunatamente a un tiro di schioppo da una clinica specializzata in otorinolaringoiatria: aveva infatti un problema grave che gli impediva di parlare. Dopo che fu operato, cominciò d'istinto a cantare ("Mia madre dice che andavo su Mozart!"). Da allora, la musica è diventata la sua vita e il suo conforto. Suo padre aveva uno dei primi riproduttore di nastri magnetici, con registrazioni appunto di Mozart e dei Sons of the Pioneers di Roy Rogers. Aveva tre-quattro anni quando li ascoltava: era bilingue e aveva i piedi in due culture. E ascoltava letteralmente quelle due culture.
- Cercò di convincere se stesso di voler seguire una carriera nella scienza, da fisico, ma all'università realizzò che la sua passione per il violino e il banjo (questo suggestionato dalla visione di Un tranquillo weekend di paura, a 13 anni!) lo stava spingendo in un'altra direzione, da intraprendere a testa bassa. Si prese un periodo di pausa per decidere, durante il quale si mise alla prova suonando e cantando con sua cugina nella metropolitana di Boston, uno spazio per il quale il comune rilasciava una regolare licenza. Era il 1980, e la reazione rapita di una signora alla loro esecuzione di pezzi storici di Paul Simon gli fece capire che quella era la sua strada: la signora fece passare treni su treni, senza salirci, rimase finché loro non si stancarono e li ringraziò.
- Sempre a Harvard cominciò a studiare musica seriamente, con una propensione per musica classica, folk e rock 'n' roll. L'ultimo anno fu suo compagno di stanza Michael Land, col quale poi ebbe il primo lavoro, alla Lexicon. In seguito Land fu assunto alla Lucasfilm Games / LucasArts, e decise di contattare lui e Bajakian: avrebbero voluto fondare una band, ma Michael aveva altre idee: un sistema musicale interattivo sul quale stava lavorando, l'iMUSE per Monkey Island 2.
- Peter ricorda che la prima cosa che ascoltò, una volta arrivato allo Skywalker Ranch nel 1991, fu il tema di LeChuck, suonato ad accompagnare lo sprite di un LeChuck che si muoveva sullo schermo: era musica sintetizzata AdLib, primitiva così come le immagini, ma già era chiaro che c'era del potenziale per seguire l'evoluzione di un medium. "Hai presente quando qualcuno dice: l'avreste mai immaginato un giorno di comporre musica per un'orchestra di 70 elementi per un videogioco? L'avremmo immaginato eccome, capimmo allora che saremmo arrivati lì."
- Alla Lucasfilm Games presentò un curriculum e un brano demo, in stile "surf", dove aveva mixato le tracce degli strumenti che aveva suonato da solo. Vorreste ascoltarlo? L'avete fatto e non lo sapete: lo potenziò nel Bone Wagon di Grim Fandango!
- L'esperienza tecnica maturata alla Lexicon rese più semplice la sfida dell'iMUSE, che sintetizza così: "Far sì che la musica si adattasse a quello che accadeva nel gioco, in un modo musicalmente soddisfacente." Peter ricorda che storicamente fu Wing Commander (1990) a proporre una colonna sonora che si adattava a ciò che accadeva sullo schermo, solo che lo faceva ex abrupto, spezzando anche le misure, drasticamente e non rispettando una logica musicale. Lui e Land puntavano a un "conduttore d'orchestra virtuale", in grado di accelerare o rallentare l'esecuzione, di trovare il punto giusto per passare da un brano all'altro in modo piacevole all'ascolto.
- Come ottennero l'effetto? Ogni brano MIDI aveva dei "flag" che segnalavano i punti corretti per interrompere l'esecuzione in corso di un brano, per poter saltare a un altro o a un'altra sezione dello stesso pezzo. I criteri del salto erano regolati da "hook", "agganci" a situazioni del gioco. Gli stessi hook controllavano i canali MIDI, spegnendone alcuni all'occorrenza. Anche se giocarono e rigiocarono allo sfinimento per testare tutto, hanno sempre avuto dei tool proprietari per far scattare queste condizioni al di fuori del gameplay, allo scopo di testare rapidamente l'effetto di alcune transizioni musicali, e per avere un'idea veloce dello stato generale della composizione. Il nome "iMUSE" fu una decisione... politica: le routine erano nate come nuovi driver. Nella loro prima versione questi "driver" occupavano un floppy intero, cosa che non piaceva davvero a nessuno. Promuovendo però il driver a "sistema", con un suo nome e un suo logo, lui e Michael avrebbero avuto speranze di fare accettare la sua innovazione, per quanto pesante risultasse... Trovarono il nome una sera a cena in un ristorante messicano, Chevy's, scervellandosi: a memoria, Land propose "muse" e lui ebbe l'idea della "i" iniziale per "interactive" (con anni di anticipo su Steve Jobs!).
- Ringrazia il Cielo di non aver dovuto comporre per il PC Speaker, già al tramonto quando lui entrò nel mondo dei videogiochi. La Roland MT-32 fu una piccola rivoluzione: esistevano già le wavetable basate sui campionamenti degli strumenti e dei suoni interi, ma richiedevano memorie di massa corpose. Per l'MT-32 la Roland optò per un approccio ibrido: ogni strumento veniva campionato solo nell'attacco, mentre il resto del suono doveva essere sintetizzato in tempo reale. La libreria di suoni preregistrati era così più snella e un "flauto" poteva almeno dare l'illusione credibile di essere un flauto: con i sintetizzatori totali come l'AdLib ci voleva invece uno sforzo di fantasia per riconoscere strumenti tradizionali, in una sonorità assai particolare (che ha una sua identità, a patto che non la si voglia paragonare a una strumentazione reale!). Tuttora ritiene il suono della MT-32 molto caratterizzato, simile a quello del leggendario Roland D-50: lo preferisce quasi al campionamento completo più tradizionale delle Sound Canvas in standard General Midi.
- Contributi che ricorda per Monkey 2: i pezzi di Booty Island ("C'è tanto jazz, sono io, chiaramente"), il Floating Theme e il tema di Stan, rielaborazione del canto popolare Go Tell Aunt Rhody. Il tema di Largo fu una reale collaborazione tra lui e Land, "alla Lennon-McCarthy". Contributo a Fate of Atlantis: l'inseguimento sul cammello, pezzo molto amato da Hal Barwood. Contributi a Sam & Max Hit the Road, quasi tutta farina di Clint: il brano per Doug l'uomo talpa, riarrangiato per la bonus track nella versione cd-rom, poi il Vortice del Mistero, parte del tema musicale e probabilmente alcuni dei micidiali motivetti per gli autogrill.
- Smentisce ciò che aveva detto Clint nell'altra intervista: le urla di Largo in Monkey 2, primo effetto sonoro digitale per Sound Blaster in un'avventura lucasiana, non sono sue ma proprio di Bajakian! Peter non ha dubbi, perché riconosce la sua voce e ricorda bene che tra le risate dovettero "pulire" la registrazione da alcune scurrilità che Clint aveva improvvisato...
- In compenso Peter ammette (e dimostra, all'inizio dell'intervista) di essere un ottimo imitatore di Yoda, tanto che usarono la sua voce in Super Star Wars: The Empire Strikes Back (1993) per SNES!
- Quando Vince Lee creò il sistema INSANE per la riproduzione di audio e video in streaming dal cd-rom, capirono che era cominciata una rivoluzione: la bassa qualità contava relativamente, si stava aprendo un nuovo mondo. Peter ritiene Vince un grandissimo tecnico: modellò l'INSANE sulla riproduzione ottimale dell'audio, dando meno importanza ai glitch video, sostenendo che i problemi sonori pesino percettivamente più di quelli visivi.
- Keith Karloff, il leader dei Gone Jackals che fornirono le loro canzoni per Full Throttle, gestiva anche un club musicale di acid jazz a San Francisco, l'Up and Down. Come si arrivò a loro? Jack Sorensen, presidente della LucasArts, si era assicurato il catalogo dei Velvet Underground: sarebbe stato un onore assoluto averli nel gioco, ma fu imbarazzante realizzare, dopo le prime prove con le immagini... che il loro stile non si adattava all'atmosfera! Schafer rilanciò coi Soundgarden, ma il tentativo di coinvolgerli cozzò con la dirigenza della A&M Records, non interessata all'accordo. Chiamare in causa una rockstar rinomata si sarebbe di certo rivelato pesante sul piano economico. Peter decise allora di lanciare una voce nella zona di San Francisco: la LucasArts cercava biker band. Ricevettero una tonnellata di cassette, ma Keith fu l'unico a consegnare il demo di persona, a bordo di un chopper! Per essere certo di non esserne influenzato, McConnell rimischiò tutte le cassette che ascoltava in macchina, ma il loro demo fu l'unico a conquistarlo nei primi cinque secondi ("È dura ammetterlo, ma coi demo funziona così: se nei primi cinque secondi chi li ascolta non trova subito quello che sta cercando, li butta via"). Ricorda uno scherzo che Karloff gli fece, mentre registravano alcuni pezzi solo strumentali delle canzoni. Gli domandò: "Ma questo non sarà un gioco violento? Io ho figli!" Peter balbettò e rispose: "Beh, ecco, a un certo punto combatti contro altri motociclisti a colpi di catene..." E Karloff: "Ah allora okay, io l'ho fatto." Scherzi a parte, McConnell pensa che il gioco non sarebbe stato lo stesso senza i Gone Jackals e senza la loro sincera purezza rock, lontana dalle logiche commerciali.
- L'approccio alla composizione cambiò con l'arrivo del sonoro digitalizzato e di un vero sound design: prima la musica doveva fare la maggior parte del lavoro sul fronte audio ("era come andare all'opera!"), ora si poteva ragionare al di là dell'obbligo dei loop delle vecchie avventure. Per questa ragione in Full Throttle e soprattutto Grim Fandango alcuni brani vengono riprodotti una sola volta e poi lasciano spazio al sonoro d'ambiente. I loop stessi non sono più "duri", non ripartono sempre dall'inizio del brano, ma anche da sezioni intermedie.
- Ricicla mai i suoi pezzi tra un gioco e l'altro? Escludendo ovviamente i sequel, dove la riproposta dei temi principali e più amati non è solo naturale ma fa anche parte dell'esperienza di un seguito, cerca di evitarlo: bisogna fare molta attenzione, perché di solito non possiede legalmente la musica che compone, quindi autocitarsi potrebbe essere una violazione di copyright altrui. Quando compone lascia passare di solito 24-48 ore per darsi il tempo di ricostruire da dove possa essergli venuta una certa ispirazione: se si rende conto di aver copiato inavvertitamente qualcosa, di non averla modificata a sufficienza, getta via tutto. Sono cose che capitano, il plagio è un rischio sempre dietro l'angolo, spesso in buona fede, per istinto, non per copia volontaria.
Bene, si chiude questo giro agostano. Ricordandovi che tra qualche giorno integrerò questo aggiornamento con la scheda del remake di The Devil's Playhouse, vi segnalo con piacere che sul sito ufficiale della Lucasfilm si è deciso di ricordare l'innovativo Loom. Fa sempre bene!
Ciao,
Dom
27-7-2024
Non è andata come speravo il mese scorso: il caldo mostruoso è arrivato e ha avviato gli usuali studi stagionali sulle collocazioni ottimali dei ventilatori. Questo aggiornamento è un po' particolare, perché si accompagna anche a un video: la concomitanza delle due cose è casuale, chiudere video e scrittura allo stesso tempo è sfiancante, ce l'ho fatta solo perché il video è molto breve. ;-)
Che cos'è un'avventura grafica?
Me lo sono chiesto più volte, dato che ho visto nei decenni appassionati non sempre in accordo, con qualche alterco più o meno accalorato: interfacce, scelte di design, contrasto tra il vecchio e il nuovo, sono tutte questioni che tengono occupate le menti più nerdiche legate alle avventure grafiche. C'è l'utenza più tradizionalista, preoccupata che l'anima di questi giochi possa perdersi, e ci sono i possibilisti, che non si precludono a priori nulla. Il mio nuovo video "Cos'è un'avventura grafica?" in realtà vorrebbe parlare a tutti, perché cerca di capire quanto si possa allargare lo sguardo per cogliere proprio la sostanza di queste esprienze, prima ancora di riflettere su determinate direzioni di game design. Come video rappresenta un esperimento diverso dai precedenti: è molto breve (7 minuti) ed è recitato fuori campo a partire da un preciso testo scritto, non raccontato a braccio a partire da una scaletta. Come sempre, mi auspico che non venga preso come Verbo (o pretesa di Verbo), quanto come piccola bussola per decidere dove dirigere la mente e i propri gusti!
35 anni di Indiana Jones and the Last Crusade, mentre La macchina infernale viene amato ancora
Nel luglio del 1989 David Fox, Noah Falstein e Ron Gilbert completarono a tempo di record Indiana Jones and the Last Crusade - The Graphic Adventure, adattamento dal design funambolico e ricco dell'Ultima crociata di Spielberg con Harrison Ford. Non ho nulla da aggiungere alla mia corposa scheda, anche se qualche mese fa ho riflettuto sulle dinamiche di un adattamento di questo tipo, citando anche Indy 3, nel mio video su Hook.
Il lucasdelirante Leonardo nel frattempo mi ha fatto notare che la community ha creato un installer per sbloccare Indiana Jones e la Macchina Infernale (1999), consentendo al gioco di ospitare mod, livelli aggiuntivi o ricostruzione di livelli cancellati. Uno dei primi nuovi livelli creati dagli utenti è stato esplorato in questo video (è una versione ritoccata del primo reale capitolo del titolo originale). Mi lascia giusto perplesso che si creino nuovi "livelli" per un titolo che è così articolato sulla sceneggiatura precisa che Hal Barwood elaborò: non è un action puro, è un action-adventure, e creare prosiegui non ufficiali senza un progetto narrativo complesso mi suona strano, onestamente. Mi fa comunque sempre piacere che si mostri amore per un titolo che era ed è qualcosa di più di un "simil-Tomb Raider": l'infaticabile youtuber Daniel Albu ha già in programma il 5 agosto di rigiocare una parte dell'avventura in compagnia proprio di Hal.
20 anni di Telltale (più o meno) e The Wolf Among Us 2 procede
Giuro che non ho idea di quale team stia lavorando su The Wolf Among Us 2, in produzione dal 2019 presso la neo-Telltale, nata dalle ceneri della precedente, dopo il fallimento del settembre 2018. Ad ogni modo, per i 20 anni dall'originale fondazione sono stati pubblicati due nuovi screen di questo soffertissimo sequel dell'amato The Wolf Among Us, quindi non siamo autorizzati a mostrare troppo scetticismo!
Ricordo come faccio spesso che questa "Telltale" in realtà non è altri che l'LCG Entertainment, un'azienda che, slegata dall'originale, ha rilevato gli asset della vecchia azienda e ne usa il marchio per promuovere nuove produzioni su quella scia, come The Expanse, nonché per riproporre il vecchio catalogo telltalico, lì dove sono riusciti a ottenere nuove licenze. Mi sembra l'occasione perfetta per proporvi uno schema in PDF che ho compilato, per tenere sotto controllo quali titoli della vecchia Telltale sono tornati disponibili ufficialmente online e quali invece sono sospesi in un limbo.
L'emulatore DREAMM alla boa della versione 3.0
L'ex-lucas Aaron Giles, in passato anche tra i responsabili del MAME, ha pubblicato la versione 3 del suo emulatore DREAMM. Il programma si è da un paio d'anni affiancato a ScummVM e DOSBox come metodo per rivivere i titoli LucasArts. Con la versione 3 il software supporta praticamente tutti i titoli (adventure e non) della Lucasfilm Games / LucasArts fino alla fine degli anni Novanta, action di Star Wars compresi. L'autoconfigurazione e semplicità d'uso sono il suo punto di forza, specialmente per l'emulazione dei primi titoli per Windows 95 e le stravecchie schede 3D, difficili da avviare senza impostare macchine virtuali.
Le nuove schede che ho aperto sul sito per le Desktop Adventures e per Mortimer and the Riddles of the Medallion sono state psicologicamente "sponsorizzate" dall'alacre lavoro di Aaron, che mi ha reso possibile giocare questi titoli senza patemi. DREAMM non è indispensabile, ma rimane interessante, prezioso nelle citate specifiche situazioni, e in generale rappresenta un'alternativa all'interprete ScummVM (che non è un emulatore, sottolineo) e agli emulatori generici come DOSBox, che vanno regolati con una maggiore competenza storica delle macchine antiche.
Tra le diverse novità, la versione 3 presenta più opzioni di configurazione per ciascun titolo, supporta i soundfont per le colonne sonore General Midi, è in grado di rippare le tracce audio di alcuni giochi su cd-rom e presenta inoltre un'opzionale emulazione di tubo catodico CRT (molto sottile, la sconsiglio a chi non abbia almeno un monitor 1440p).
Tim Schafer, tra passato e presente dello sviluppo
Sul canale YouTube Second Wind, per il podcast Dev Heads, si è discusso con Tim Schafer di varie questioni legate al mondo dello sviluppo dei videogiochi. Con una carriera iniziata nel 1989 alla Lucasfilm Games / LucasArts, poi proseguita nella sua Double Fine, Tim ha avuto diverse cose da dire: qualche concetto da parte sua non è nuovo, ma questo è un buon bignami del suo pensiero. Prima del riassunto, vi comunico che Limited Run Games ha appena annunciato un'edizione fisica in Blu-ray del potente documentario Psychodyssey, e per l'occasione ne è stato pubblicato a sorpresa un toccante episodio extra di ben 90 minuti (!!!), un vero e proprio post-mortem di tutta l'esperienza del team su Psychonauts 2, intitolato "We Wrote It Down". Nessuna novità sui giochi in lavorazione, però ce ne sono diversi e uno è proprio di Tim, a quanto pare un'idea parecchio sperimentale. Ritornando al podcast...
- Trucco per sopravvivere nel mondo dei videogiochi? Non invecchiare troppo rapidamente! Chi gli chiede consigli si sente intimidito davanti a lui, ma Tim giura che è il contrario: ha più paura lui a parlare con chi è più giovane e sviluppa videogiochi, temendo di rimanere indietro, ancorato al passato, dando consigli legati a un mondo che non esiste più. È facile considerare il canone del videogioco un'esperienza per te illuminante (per lui è il mondo dell'Atari 2600, per esempio), ma se vuoi tenerti aggiornato e lavorare in questo campo, devi sempre ricordare che potrebbe avere meno importanza per un'altra persona, magari più giovane.
- Oggi è più facile fare videogiochi rispetto a quando cominciò lui nel 1989, ma è assai più difficile farsi notare nell'oceano di uscite (la sua vetrina Day of the Devs è nata per quel motivo).
- La trasparenza garantita delle videocamere sempre accese dei 2 Player Productions, nei documentari Double Fine Adventure e Psychodyssey, è servita ad abbattere quella parete che da ragazzo vedeva tra chi giocava e chi realizzava i giochi, anche se esporre le persone in carne e ossa alla rete e ai social, quando ci sono state polemiche, è stato un boomerang e ha causato stress a molti. Le cose sono migliorate con la pubblicazione della Psychodyssey, avvenuta DOPO l'uscita di Psychonauts 2: non solo per la maggiore tranquillità del team nel farsi riprendere e nel commentare, ma anche perché le aspettative o le impressioni che si formano con video del genere possono compromettere inesorabilmente l'esperienza. Se sai cos'è stato tagliato o cos'è successo nella lavorazione, è impossibile non tenerne conto giocando, quando nella norma certe cose non le dovresti nemmeno sapere: l'empatìa con gli sviluppatori ha il suo prezzo, ma se scatta è una cosa preziosa.
- Cose che per lui sono cambiate in oltre trent'anni: 1) Il rapporto col pubblico, molto più ravvicinato, con feedback immediati; 2) Il solidificarsi di generi e sottogeneri con regole ideali da rispettare (prima si era più flessibili); 3) Un maggiore riconoscimento per chi lavora nell'ambiente.
- Esistono due tipi di crunch mode (la pratica tossica di lavorare a oltranza su un gioco fino a rimetterci la salute e la vita privata, ndDiduz): quello imposto dall'alto, dal publisher, per ragioni economiche e di tempistiche, e quello che ti imponi da solo, per passione, ossessione per il dettaglio e la qualità. È una brutta bestia difficile da evitare, in entrambi i casi: lui alla Double Fine ci combatte ancora. La sopportazione del crunch mode dipende molto dal grado di autonomia che hai nelle tue ore piccole. Il maggiore scoglio è capire come premere quel tuo interruttore della mente, passando dalla modalità creativa a quella pragmatica, dalla combattività per le tue idee al realismo delle esigenze impellenti, per arrivare a pubblicare qualcosa.
- La Double Fine si può considerare uno studio AA o AAA? Considererebbe Brutal Legend l'unico gioco vicino alla concezione di "tripla-A" che abbiano mai fatto, ma si trattava comunque più di "ragionare da tripla-A", così come hanno sempre cercato di fare anche per i giochi meno vasti, dopotutto. Il team ora rimane composto da non più di settanta persone e lui personalmente non va matto per le esperienze di gioco troppo lunghe stile "season pass". Quando i contratti con i publisher poi erano meno vantaggiosi e più stretti, quanto più alto era il budget, tanto più i finanziatori volevano assicurarsi di possedere legalmente ogni marchio: la Double Fine è sempre riuscita a mantenere le sue proprietà intellettuali, ma costava meno fatica farlo e meno contrattazioni puntando su titoli corti come Costume Quest e Stacking, più economici.
- La cosa più difficile del presentare un progetto a un finanziatore / editore è riuscire a "estrarlo" dalla tua testa, renderlo oggettivamente comprensibile a chiunque non abbia seguito il processo mentale che hai mandato avanti tu da solo, o con i tuoi collaboratori. Il problema è quando accettano l'idea di base, ma pensano di poterne cambiare aspetti che per loro sono secondari: un publisher gli chiese se fosse stato possibile cambiare l'heavy metal con il country o il rap per Brutal Legend, o metterci tutti i generi musicali! Su quello decise di non fare compromessi, però accettò che non si enfatizzasse la componente RTS del gioco, per ragioni di marketing, esponendosi però ai giocatori delusi o scocciati da quell'aspetto, inatteso in un action open-world. Pensò che in fondo sarebbe stato bello per i giocatori essere sorpresi da un gameplay diverso: capì che non a tutti piacciono le sorprese di questo tipo...
- Domanda privata: come vede la sua fama e il suo lavoro Lily, la figlia di Tim apparsa spesso nei video della Double Fine e ora sedicenne? Generalmente in modo positivo, però sente che c'è stata un'ulteriore piccola svolta ultimamente, quando le ha concesso di fare una festa nella (rinnovata) sede della Double Fine, e gli amici di lei le hanno detto: "Figo il posto di tuo padre!" "Ho guadagnato punti!"
Ron Gilbert su enigmi e game design
Ron Gilbert è impegnatissimo nell'ultimo periodo: si è trasferito in Nuova Zelanda e sta sempre lavorando sul suo action-rpg "alla Zelda 16bit", di cui vi ho già parlato. Il podcast Nice Games Club ha pensato di intervistarlo sulle dinamiche tra narrazione ed enigmi, visto che ci ha trascorso gran parte della sua vita, da Maniac Mansion all'ultimo Return to Monkey Island.
- Per quanto lo riguarda, enigmi e storia sono intrecciati indissolubilmente: gli enigmi devono aiutare la narrazione, rallentare il giocatore dandogli attività divertenti, e devono informare il giocatore sul mondo, sul personaggio e sulla storia. Solo rispettando uno di questi tre obiettivi un puzzle sembrerà naturale e non forzato. Queste sono almeno le sue regole per il tipo di avventura grafica che ha sempre progettato. Ad ogni modo nel suo prossimo rpg d'azione i combattimenti hanno la stessa funzione. Lui parte da un enigma e lo scompone in sottoenigmi, ma capita che nel processo di design un enigma possa portare persino a una modifica del racconto: lo ritiene un processo naturale e preferisce non progettare in anticipo troppo, lasciandosi guidare da quello che vien fuori quando cominci ad approfondire un'idea.
- L'avventura grafica, almeno quella classica che lui frequenta, non ha "meccaniche" come gli altri generi videoludici, la sua meccanica è la storia [vedi il mio video di questo mese, ndDiduz].
- Il sistema di suggerimenti dev'essere possibilmente parte del mondo di gioco, per evitare che ci gioca non abbandoni l'esperienza, per navigare in rete alla ricerca di una soluzione. Un minimo di frustrazione può avere il suo posto in un altro genere, per esempio in un picchiaduro, ma in un'avventura grafica sarebbe il caso di assicurarsi che il giocatore sappia tutto ciò che deve per superare una situazione, senza andare di trial & error.
- È normale che alcune esperienze abbiano oggi una durata inferiore rispetto ai tempi d'oro, per adattarsi a chi era giocatore allora e continua a esserlo pur da adulto, ma con molto meno tempo a disposizione.
- Per uno sviluppatore di lungo corso come lui, l'esperienza è un'arma a doppio taglio: sai cosa evitare, però non ti butti e non sperimenti. "Vorrei avere la possibilità di diventare più stupido: amo Vampire Survivors, ma non l'avrei mai fatto perché avrei pensato che le cose che fa non avrebbero funzionato!" Per questo crede che sia meglio lavorare con chi ha meno esperienza di lui, quell'inesperienza può compensare la pigrizia della sua esperienza.
- Difficile decidere davvero quanto un enigma sia difficile o facile, prima dei playtest. Il playtesting serve a confermare se la tua strategia di design ha funzionato, ma devi resistere alla tentazione di semplificare tutto, se vedi che il playtester si blocca: dovresti agire solo se realizzi che l'ostacolo che hai creato è disonesto.
- Il finale nei giochi narrativi è spesso più facile del resto, perché vuoi evitare assolutamente la noia in quel momento, sul climax, e perché vuoi premiare chi ha giocato, lasciando che faccia qualcosa che ormai ha introiettato (un esempio è il bis della bambola voodoo in Monkey 2).
- Il marketing è importante per segnalare quale tipo di sfida il giocatore si troverà davanti: ci si può pentire di un errore di comunicazione in quel senso.
- Continua a pensare che l'avventura grafica classica, almeno come la concepisce lui, debba essere umoristica, per via delle forzature logiche che un certo tipo di design chiede a un giocatore (in situazioni che, nella vita reale, risolveresti in modo meno contorto). Per questa ragione probabilmente per una narrazione seria è preferibile un game design più semplice, meno impegnativo da risolvere, per salvaguardare questa credibilità drammatica. Detto ciò, pensa che non sarebbe mai in grado di raccontare senza umorismo, quindi il discorso lo riguarda relativamente. Al massimo si rivede nel registro alla Ghostbusters: una storia fondamentalmente seria, con questioni gravi in ballo, raccontata con umorismo, nel modo in cui i personaggi agiscono e reagiscono ad avvenimenti anche potenzialmente drammatici.
In chiusura, volevo fare un saluto agli amici del canale Mangia Avventura (che una volta mi hanno ospitato, per delirare sulla LucasArts). Hanno da poco pubblicato una videorecensione di The Secret of Monkey Island e un let's play di The Fish Files: si tratta di un'avventura cartoon per Gameboy Color realizzata nel 2001 dal team italiano 7th Sense per la Microids. Era un omaggio allo spirito folle di Day of the Tentacle e spremeva dall'8bit Nintendo una grafica a miglialia di colori!
Ciao,
Dom
29-6-2024
Mentre andiamo tardivamente alla ricerca di scarpe più fresche ed estive, incrociando le dita per non essere sottoposti alle ripetute graticole dei 40 gradi delle estati passate, il lavoro lucasdelirante prosegue con un giro di news che ha preso forza nell'ultima settimana, come spesso accade. Iniziamo però da una segnalazione più personale e doverosa. :-)
La fine di un viaggio, anzi di un ritorno
Come ho già segnalato su Facebook, gli amici di Calavera Cafè hanno completato il montaggio della terza e ultima parte della nostra videoanalisi di Return to Monkey Island. Le tre parti furono in realtà registrate in contemporanea all'inizio dell'ottobre 2022, anche se poi Cristiano, montando l'ultimo atto, mi ha chiesto una mia foto più fresca e mi sono immolato con un autoritratto in compagnia delle scatole della saga (quella recente di Return compresa).
Sono stato molto felice di leggere un'accoglienza calorosa a quello che rimane un esperimento: costruire una lettura dei contenuti e delle dinamiche narrative di un gioco, invece di proporre una più classica recensione. Se ricordate, feci una cosa del genere compilando una soluzione sui generis di Broken Age. Naturalmente un video arriva emotivamente di più, e in questo caso la posta emotiva era piuttosto alta, non solo per me e Gianluca "Sig." Santilio, ma soprattutto per Cristiano "Gnupick" Caliendo, che come sapete - oltre a occuparsi di avventure grafiche come studioso e designer da una ventina d'anni - è stato anche coautore della versione italiana di Return, insieme a Carlo De Rensis. Ci conosciamo da un secolo, ed è stato un vero piacere condividere con loro un momento particolare del nostro hobby avventuriero.
Sam & Max: The Devil's Playhouse Remastered, la Skunkape chiude la pratica a Ferragosto
E finalmente la Skunkape Games, composta da ex-Telltale, ha annunciato la data d'uscita di Sam & Max: The Devil's Playhouse Remastered: la terza e ultima stagione dedicata ai personaggi di Steve Purcell tornerà in forma smagliante il 14 agosto in digitale, per Windows (via Steam e GOG), PS4, Xbox One e Switch. Come forse sapete, considero la versione originale del 2010 forse il risultato più alto dei fu-Telltale, lì alla loro vera ultima avventura grafica a enigmi: dotata di grande freschezza coreografica, game design davvero creativo e una genialità narrativa spiazzante, presenta un finale tra i migliori nella storia del genere, a mio parere.
La Remastered promette l'usuale trattamento già apprezzato in Sam & Max Save the World e Sam & Max Beyond Time and Space: texture riesportate in qualità più alta, più risoluzioni disponibili, linea di contorno cartoon, illuminazione del tutto rivista, sincronizzazione labiale, qualche sequenza in più, recupero di dettagli tralasciati all'epoca per limiti tecnici, correzione dei bug originali, rimasterizzazione totale dell'audio per doppiaggio e musiche. In più, siccome la terza stagione non aveva un controllo punta & clicca classico, questo è stato reintrodotto opzionalmente. Nel 2010 poi il potere extra di Max, il Nutri-Specs, fu implementato solo nella versione Playstation 3, ed è stato adesso recuperato e collocato in tutte le versioni.
Tutto bene, quindi? Non proprio, almeno per il pubblico italiano: non è infatti prevista una localizzazione nella nostra lingua. La Skunkape non produce localizzazioni diverse da quelle disponibili all'epoca (e come ricorderete contribuii a una veloce revisione nel caso delle due precedenti remaster). Se le prime due stagioni furono commercializzate con i sottotitoli in italiano, The Devil's Playhouse ha visto invece negli anni solo una traduzione amatoriale molto buona. C'è da sperare che in futuro si riesca ad adattare quel lavorone almeno all'edizione Windows della Remastered, però - se accadrà - immagino che ci sarà da aspettare.
Indiana Jones tra cerchi e fenici
Una curiosa coincidenza questo mese ha riportato Indiana Jones tra le news videoludiche mondiali, per nuovo materiale e per un test antichissimo riaffiorato a sorpresa.
Durante l'ultimo Xbox Showcase (dove mancava ancora la Double Fine: cosa starà combinando la squadra di Tim?) la Bethesda ha mostrato un nuovo video (anche in lingua originale) dell'action adventure Indiana Jones e l'antico cerchio dei Machine Games, ribadito in uscita entro la fine dell'anno per Windows e Xbox Series X/S, anche su Game Pass. In realtà non mostra quasi nulla di gameplay, in compenso in cinque minuti presenta una scena non interattiva intrigante per l'atmosfera "jonesesca" ma a mio modesto parere un po' troppo lunga e spoilerante.
Contemporaneamente il direttore del gameplay e il direttore di produzione dei Machine Games, cioè Jerk Gustafsson e John Jennings, sono stati ospiti del podcast ufficiale Xbox. Cos'hanno detto? Sono felici di poter finalmente condividere col pubblico il gioco, ormai nelle fasi finali della lavorazione, dopo aver lavorato a porte chiuse per anni. L'idea di usare il mito del Grande Cerchio è stata di Todd Howard, ed era perfetta per un'avventura di Indy, imponendo già naturalmente i viaggi in giro per il mondo, obbligatori per le sue avventure. Era importante anche trovare un percorso interiore per il personaggio, al di là del mistero in sé: la storia segue lo stile in particolare di due film, I predatori dell'arca perduta e L'ultima crociata. Voss non è l'unico antagonista di Indiana, ma è il più intellettuale: il suo secondo è Victor Gantz, più brutale. Sia dal punto di vista del gameplay, sia dal punto di vista creativo, è stata una sfida nuova per loro: Indiana non è un supereroe come il BJ dei Wolfenstein (ci sarà meno azione di quanta ce ne sia in quei titoli) e non si poteva inventare senza regole, tanto che hanno lavorato a stretto contatto con la Lucasfilm per avere accesso a tutto il materiale possibile sul prof. Jones, confrontandosi con chi ha lavorato sul marchio per anni. È il caso di sottolineare che Troy Baker e il resto del cast non hanno semplicemente doppiato i loro personaggi, ma li hanno anche incarnati in performance capture, e d'altronde Baker affronta Indy così, dopo aver dato tanto con Joel in The Last of Us.
Riguardo al materiale antico, parliamo invece di Indiana Jones and the Iron Phoenix, avventura punta & clicca della LucasArts cancellata intorno al 1994: se non ricordate di cosa si tratti, rileggete appunto la mia scheda. Ora, sapevamo che quando la produzione si trovò in difficoltà per la creazione della grafica, si sperimentò con il Full Motion Video che tanto andava in voga in quel periodo: riprese di un cast in carne e ossa su bluescreen. Nella chiacchierata di Daniel Albu col tecnico grafico Mike Levine (che riassumo più in basso), quest'ultimo ha condiviso a sorpresa un paio di inquadrature di quel test (timecode 1:38:05 in poi), al quale parteciparono Bill Stoneham, Ralph Gerth, Garry Gaber e Dave Grossman come sceneggiatore. Levine spiega anche perché non si seguì più quella strada: si considerava improponibile un altro attore al posto di Harrison Ford per Indiana Jones in quella fascia d'età, così George Lucas avrebbe acconsentito solo se avesse trovato la tecnologia all'altezza proprio di Ford! Purtroppo George, interessato all'esperimento perché più vicino al cinema (Lucas non ha mai avuto dimestichezza con i videogiochi, nonostante li patrocinasse), rimase molto freddo davanti alla resa tecnicamente cruda: "Questa roba non è pronta per Harrison". In compenso Levine spiega che il test non fu inutile: servì a mettere a punto il metodo di lavoro usato poi nei filmati di Rebel Assault II (1996) e Jedi Knight (1997).
Daniel Albu chiacchiera con Mike Levine e Darragh O'Farrell
Dopo un mese di stop lucasiano, il bravissimo youtuber e - va detto - a questo punto giornalista ad honorem Daniel Albu ha messo sotto torchio in due delle sue conversazioni-fiume Mike Levine, tester e tecnico grafico alla LucasArts dal 1991 al 1998, poi il direttore del doppiaggio e del casting Darragh O'Farrell, alla Lucas dal 1995 fino al momento della sua chiusura nel 2013. A parte le riprese sperimentali di Indy citate prima, che ho stralciato nella news precedente, vi scrivo in poche parole le cose che mi sono rimaste più impresse delle quasi sette ore (!!!) di chiacchiera totale. Cominciamo con Mike.
Mike Levine racconta di essere entrato alla Lucasfilm Games nel maggio 1991, nel reparto testing, cambiando del tutto direzione esistenziale, visto che aveva studiato da giornalista. Era più consolaro che pcista, quando fu messo di fronte a Monkey 2 era disorientato, e non c'era una grande disponibilità a seguire passo passo i nuovi arrivati, anche se ricorda con simpatia il capo-tester James Purple Hampton. Divenne tecnico grafico per Sam & Max Hit the Road (1993): Jesse Clark, che aveva ricoperto quella funzione in Day of the Tentacle, voleva passare ad animare e gli lasciò il posto, che consisteva nel lavorare fondali e animazioni per poterli implementare nell'avventura. La svolta della sua vita: Steve Purcell alla scrivania vicina, un mondo che gli si apriva, la spola tra l'edificio B della sede LucasArts, dove lavoravano i grafici, all'A Building, dove si recava per consegnare fisicamente sui floppy i file ai programmatori.
Poco dopo s'interessò sempre di più delle lavorazioni grafiche e soprattutto video: il multimedia era alle porte e a 23 anni riuscì a farsi strada come l'esperto di riprese e montaggio video non lineare, decisamente non banale nella prima metà degli anni Novanta. Divenne il montatore di riferimento per i video promozionali, fortemente spalleggiato dall'allora direttrice del dipartimento grafico, Collette Michaud. Iniziò presto però a dire anche la sua sui tool che dovevano aiutare e implementare il suo lavoro nei primi giochi in FMV, e nacque un piccolo dipartimento di specialisti di effetti visivi alla LucasArts.
Utilizzando sempre il Mac in quel periodo (Photoshop e After Effects non esistevano su PC), sfoderò una certa creatività per trovare soluzioni: i nuovi animatori classici a mano libera volevano usare la carta per le animazioni delle sequenze di The Dig, così creò un sistema per consentir loro di riprendere e scannerizzare i fogli alle loro postazioni. Diede anche una mano per il compositing e gli effetti di diverse sequenze del gioco (al timecode 2:15:00 mostra alcuni storyboard delle cutscene). Quando per The Curse of Monkey Island (1997) si decise di realizzare a mano libera anche le animazioni in-game, si fece poco popolare alfiere di un software esterno, perché in quel periodo i tool di terze parti stavano diventando abbordabili e cominciavano a essere migliori di quelli storici sviluppati internamente... ormai vetusti (anche se avevano creato un GPaint per sostituire il leggendario Deluxe Paint, quando si passò dalla risoluzione 320x200 alla 640x480). Per quanto riguarda le sue mansioni, considera Flipbook una rivoluzione, e non rimpiange le lunghe sessioni di DeBabelizer lanciate per eseguire procedure di batch su migliaia di fotogrammi (spesso per ridurre a 256 colori le palette molto più estese dei filmati).
Jedi Knight fu un passo delicato di cui andavano molto fieri: la prima storia originale articolata di Star Wars con riprese dal vero, dai tempi del Ritorno dello Jedi, con personaggi formati, interpretati da qualcuno! Ci fu grande sinergia con l'Industrial Light & Magic, e la produzione delle sequenze video e degli effetti inaugurò l'uso estensivo del bluescreen. Furono anche il primo team in assoluto che si chiese come elaborare l'effetto delle spade laser in postproduzione digitale. Lasciò la LucasArts nel 1998, giudicando Randy Komisar il migliore presidente incontrato, tra i cinque che si avvicendarono in sette anni! Komisar fu il primo a ritenere opportuna una grande festa aziendale per l'uscita di un titolo: accadde per Full Throttle.
Dopo la LucasArts tornò nella sua East Coast, cavalcando con le sue successive aziende prima il boom dei contenuti in Flash, poi tentando la rimpatriata con Insecticide (2007): accadde prima che lo stesso concetto di "indie" esistesse... e prima che esistessero ambienti di sviluppo economici e a portata di tutti come Unity, da lì le vicissitudini produttive. Attualmente si è lasciato alle spalle sia le produzioni per l'Augmented Reality (HoloGrid: Monster Battle, realizzato con creature ideate da Phil Tippett!), sia quelle per la VR come Sam & Max: This Time It's Virtual (2021): era ottimista verso la VR, ma a suo parere le mancano ancora la comodità per un utilizzo continuo e soprattutto una vera killer application. Attualmente è il capo-progetto di Planet Mojo, un curioso "ecosistema" di giochi casual interconnessi (al quale partecipano vecchi amici della Lucas, come si può leggere in basso nella pagina: Gerth, Rice, Kwasneski).
Darragh O'Farrell arrivò alla LucasArts nell'estate del 1995, ad appena 24 anni: emigrante dall'Irlanda a 19 anni, aveva avuto negli USA in precedenza solo un'esperienza in una piccola casa di animazione. Bastò a catapultarlo in prima linea, pur così giovane, nel nascente reparto voci lucasiano gestito da Tamlynn Niglio (Barra da signorina): dopo un brevissimo riscaldamento sul doppiaggio per la versione cd-rom di Star Wars: Tie Fighter, si trovò a dirigere casting e voci di The Dig, per giunta con la comanda dal capo-progetto Sean Clark di scritturare un vip! Per conoscenze indirette, riuscì a coinvolgere Robert Patrick nei panni di Boston Low: giovane com'era, Darragh fu intimidito anche solo nel vederlo arrivare, duro come non mai al bordo di un chopper. Fortunatamente Robert non rimase troppo perplesso sentendosi dirigere da un ragazzino, anche perché Darragh lo aiutò a capire il contesto di alcune scene mostrandogli il gioco avviato sul suo laptop! O'Farrell ricorda che in quel periodo era ancora difficilissimo organizzare decentemente lo script per il doppiaggio, dato che veniva generato in automatico dai file SCUMM, con le battute esportate una dietro l'altra senz'alcuna logica.
Darragh rivela che l'altro finalista per la voce di Guybrush in The Curse of Monkey Island era un attore veterano specializzato in cartoon e giochi, Bob Bergen. Non fu immediato trovare il coraggio per scegliere il nostro Dominic Armato, che aveva 20 anni e quasi nessuna esperienza, ma che mostrava un entusiasmo contagioso ed era un sincero fan di Monkey Island. "Fu uno di quei casi in cui scegli col cuore invece che con la testa".
Grim Fandango fu un'esperienza particolare: il cast era supervario per nazionalità, accenti genuini ed esperienze. Tony Plana per Manny aveva difficoltà per esempio a recitare le battute di risposta al comando "esamina", però diede vita a delle sessioni rarissime in questi contesti: le scene con Mercedes furono registrate con Tony e la doppiatrice Maria Canals nello stesso gabbiotto, un'occasione preziosa per ottenere una naturalezza particolare nei botta & risposta. Raphael Sbarge invece, doppiatore dell'ape operaia sindacalista, era un attore normale e non riusciva ad arringare la folla senza ruotare il corpo: per coprire tutti i suoi spostamenti, lo circondò con tre microfoni! Furono necessari due mesi per completare le voci originali di Grim.
Al di là del cachet improponibile, pensa che sarebbe stato difficile a prescindere scritturare Harrison Ford per doppiare Indiana Jones nei videogiochi: tutti sapevano che Ford voleva saggiare l'affidabilità qualitativa di un progetto prima di prendervi parte, e che allo stesso tempo non si riteneva proprio in grado di valutare un videogioco. Un attore in grado di imitare voci celebri si trova sempre, il problema è capire come calibrare la performance: l'imitazione obbliga un po' a caricare i toni, ma l'esagerazione può generare una caricatura. Richiede molta attenzione da parte dell'attore e del direttore del doppiaggio. "È un compito ingrato".
A dir il vero aveva già pensato di lasciare la LucasArts molto prima della sua chiusura nell'aprile 2013: quando però seppe che Star Wars: The Force Unleashed (2008) si sarebbe aperto alla performance capture, campo che lo interessava molto, ritirò le dimissioni. Ci furono nel corso degli ultimi anni altri progetti interessanti mai decollati, per esempio una sorta di avventura investigativa ideata da David Nottingham, su tre detective in un mondo futuristico distopico, dove la storia era stata scritta a partire dall'improvvisazione degli stessi attori: fu lieto di partecipare a questo esperimento.
Capì che la Disney avrebbe chiuso la LucasArts quando a fine 2012, dopo l'acquisizione, ebbe la possibilità di guardare un gigantesco annuario finanziario della major, con tutte le sue attività: in centinaia e centinaia di pagine con investimenti in tutti i campi (che comprendevano persino navi da crociera!), i videogiochi occupavano lo spazio infinitesimale di pochi paragrafi. "Pensai: capolinea, ci chiudono sicuro". NdDiduz: in effetti la Disney era in difficoltà con la produzione diretta di videogiochi sin dal 2008, quando i Disney Interactive Studios cominciarono ad avere i primi problemi finanziari. La major è uscita definitivamente dal coinvolgimento diretto nel mercato videoludico nel 2016, chiudendo gli Studios e organizzando solo le licenze a terze parti (la nuova "Lucasfilm Games" ha proprio quella funzione).
Breve ma fondamentale il periodo di Darragh alla Telltale Games a partire dal 2013: gli chiesero infatti di gestire la transizione legale dell'azienda verso l'assunzione di attori e attrici "union", cioè appartenenti al sindacato SAG-Aftra. C'erano scartoffie da compilare e conoscenze da smuovere: lo scopo era cominciare a scritturare qualche vip, a partire da Michael Madsen nella Walking Dead Season Two.
Ultimamente ha avuto una rimpatriata con Peter McConnell, autore delle musiche del punta & clicca indie Voodoo Detective, del quale ha curato casting e direzione del doppiaggio.
Interessante la sua opinione sull'IA: basandosi sulla sua esperienza, non sono i grandi studi a volerla usare per il doppiaggio dei giochi, anzi c'è un grande interesse di marketing nel fare leva magari pure su interpreti prestigiosi. Sono piuttosto i piccoli studi indipendenti con un basso budget a essere tentati da voci ricreate con l'Intelligenza Artificiale. "Ma si può chiedere all'IA di rendere una vera emozione drammatica? Ne dubito."
In chiusura, vi segnalo che Gary Winnick ha messo in vendita delle sue concept art originali per The Secret of Monkey Island. Il suo stile non fu utilizzato nel gioco, al quale partecipò solo trasversalmente come direttore del dipartimento grafico, però potrebbe essere un'occasione per i più collezionisti tra di voi...
Ciao,
Dom
30-5-2024
Mentre aumentano le passeggiate in ridenti parchetti, tra cani in libera uscita e assalti dell'infanzia a scivoli ed altalene, Lucasdelirium lavora indefesso per un giro di news senza nuove schede, ma con il sunto di un'intervista a una professionista più vicina a noi di quanto abbiamo forse realizzato nei decenni...
Il nuovo gioco di Ron Gilbert
Chiunque segua Ron Gilbert su Mastodon o sul sito della Terrible Toybox, si sarà accorto da qualche settimana che il suo action-gdr in pixel art, descritto come un incrocio tra "i classici Zelda, Diablo e Thimbleweed Park" è diventato qualcosa di più di un volo pindarico, accarezzato da anni, accantonato momentaneamente per Return to Monkey Island tra il 2020 e il 2022. Era dal 2018 che sporadicamente Gilbert sperimentava con vari prototipi, ma solo ora sappiamo che, con l'assunzione di un grafico (non rivelato) e della quest designer Elissa Black, la produzione è proprio decollata. Si tratta evidentemente di un titolo super-indie autofinanziato e autopubblicato, in uscita secondo Ron "a fine 2024 (o primi del 2025, dopotutto parliamo dello sviluppo di videogiochi)". Come fece illo tempore in merito ai migliori puzzle da avventura grafica, ha chiesto mesi fa ai fan esempi delle migliori quest incontrate in un gdr.
Non è la prima volta che Gilbert si cimenta con il gdr d'azione, visto che firmò Deathspank alla HotHead nel 2010, oltre a essersi dichiarato più volte "dipendente da World of Warcraft". A giudicare dal look, il gioco ancora senza titolo pare abbracciare più il taglio 16bit di pietre miliari come Zelda: A Link to the Past (1991), però l'appellarsi a Diablo sottointende la generazione procedurale dei dungeon o di parte del terreno di gioco. Rimane nella descrizione un mistero: cosa c'entra a questo punto Thimbleweed Park, che è un'avventura grafica punta & clicca in tutti i sensi? Non vedo nessi con il game design, per quel poco che sappiamo, però intravedo nessi narrativi: quando Ron ha pubblicato uno screenshot con dei clown, non solo ho pensato subito a Ransome, ma ho improvvisamente realizzato che l'avatar finora mostrato ricorda moltissimo Delores. Conoscendo Gilbert, vedo all'orizzonte il consueto tilt metanarrativo... e a questo punto metavideoludico, visto che al mix di universi si aggiungerebbe la comunicazione tra generi diversi. Nel 2018 scrisse di un gioco ideale, A Little Something, dove si sarebbe potuto affrontare un gdr di questo tipo evitando di combattere, però con delle conseguenze sul mondo di gioco (lui citò come esempio incompleto di quest'idea Undertale). Aggiungo inoltre che tempo fa, non ricordo purtroppo in quale occasione, Ron disse di aver avuto una grande idea per un Thimbleweed Park 2, che però "avrebbe fatto arrabbiare tutti".
Il libro su Monkey Island in edicola, qualche precisazione
Ve l'avevo già segnalato nello scorso aggiornamento, ma poi sono riuscito a recuperare il 14° volume della collana "Videogiochi Leggendari" della spagnola RBA, dedicato alla saga di Monkey Island e scritto dal giornalista Yago Lago Álvarez (traduzione italiana di Grazia Coppola). Mi è piaciuto. Innanzitutto ho apprezzato la capacità dell'autore di maneggiare una materia lunga trent'anni in sole 140 pagine, senza perdersi in digressioni, ma nemmeno perdendo elementi importanti di contesto e di analisi. Non è semplice evitare di parlarsi addosso quando si maneggia qualcosa che si ama: l'unico appunto è forse che, a differenza del libro di Nicolas Deneschau di cui vi ho parlato qualche aggiornamento fa (del quale manca una versione italiana al momento), Álvarez pecca all'opposto in freddezza. Ma un approccio più giornalistico ci sta, perché con i titoli più amati spesso la pancia prevale sulla ragione, com'è inevitabile.
Oltretutto, ricordando quanto avevo detto nel mio video sulle epoche videoludiche, mi è piaciuta molto la distribuzione dei sei capitoli di Monkey Island in tre periodi storici, come se la natura di quei giochi e lo stato dell'industria in quegli anni si influenzassero a vicenda. L'ho sempre pensato, niente esiste in una bolla. Ottima anche la cronologia che ricorda al lettore cosa accadesse nel resto del mondo dei videogiochi, mentre venivano pubblicati i vari Monkey.
Immaginando che prima o poi il volumetto passerà tra le mani di molti appassionati, vorrei scrivere qui in basso alcune precisazioni: nulla di eclatante, però mi sembra il caso, a maggior ragione per rendere più solido il rimanente 99,9% del lavoro!
- A pg.8 si dice che The Secret of Monkey Island in fondo "non inventò nulla di nuovo". Concettualmente è vero, però non va dimenticato che quel gioco e l'appena precedente Loom ebbero un approccio non banale alla razionalizzazione del livello di difficoltà di un'avventura grafica, ponendosi problemi che altri sviluppatori nemmeno si ponevano. Sono innovazioni meno urlate, sottotraccia, però nodali: era la tanto decantata oggi accessibilità, ante-litteram.
- A pg.21 si dice che Ron Gilbert aveva iniziato a programmare Maniac Mansion in "linguaggio macchina", prima di creare l'engine SCUMM. Immagino l'autore intendesse Assembly, poi compilato in linguaggio macchina: non è la stessa cosa.
- Quando a pg.35 si parla della genesi dei duelli a insulti, si dà l'idea che Gilbert li avesse pensati direttamente così: che io ricordi era partito con l'idea di renderli arcade, ma era stato spronato da Noah Falstein a trovare una soluzione migliore che non ricordasse troppo il Pirates! (1987) di Sid Meier.
- A pg.42 si parla del famoso test di dithering di Mark Ferrari, un "autoritratto realizzato in un weekend": Mark invece ha sempre descritto un tramonto, del tutto simile a quello sul molo di Monkey 1 (visibile solo in EGA).
- A pg.43 si parla del Paula dell'Amiga come del "chip sonoro Motorola", però fu realizzato in realtà dalla MOS Technology (come tutto l'Original Chip Set dell'Amiga): era la CPU 68000 a essere targata Motorola. Nella stessa pagina si attribuisce al Mega Drive una tavolozza limitata ai 64 colori, ma la tavolozza completa della macchina SEGA era di 512.
- Parlando a pg.54 di Monkey Island 2, si attribuisce la direzione dei fondali a Steve Purcell e quella delle animazioni a Sean Turner. Non ho mai letto conferme di questi ruoli di supervisione, peraltro non denunciati nei credits. Anzi, secondo Larry Ahern, il problema all'epoca era proprio l'"ognuno per sé".
A pg.55 si dice che la versione PC fu distribuita su 6 floppy: ni, perché i floppy erano 5 da 3.5" oppure 6 da 5.25" (quisquilie, ma ci sono tanti collezionisti in giro, questi piccoli dettagli possono causare equivoci). Nella stessa pagina si dice che la versione Amiga uscì "un paio d'anni dopo": passarono in realtà sei mesi.
- A pg.94, quando si cita la cancellazione di Sam & Max Freelance Police, si scrive che vennero "pubblicate recensioni del gioco cancellato, poiché le versioni di prova erano state già inviate a varie riviste". No, magari! Vennero pubblicate delle anteprime, basate su nuovi screenshot inviati dalla LucasArts: nessuno ha mai giocato quella fantomatica avventura al di fuori di chi ci lavorò. Non era ancora in condizioni di essere passata alla stampa, e se così fosse stato, una di quelle copie sarebbe affiorata in rete in questi vent'anni. Matematico.
- A pg.100 c'è un po' di confusione sulla cronologia dei Telltale: i titoli su CSI arrivarono dopo l'annuncio delle stagioni di Sam & Max nel 2005, non prima. L'autore ignora i Bone.
- A pg.101 l'autore attribuisce a Dave Grossman la decisione di ottenere dalla LucasArts la licenza per realizzare Tales of Monkey Island (2009) alla Telltale. Assolutamente no! Come lo stesso ha raccontato più volte e nel documentario su Return di NOCLIP, furono i suoi capi Dan Connors e Kevin Bruner a siglare l'accordo a sua insaputa, mettendolo di fronte al fatto compiuto. Per questa ragione si trovò in imbarazzo, nella difficoltà di coinvolgere Gilbert come avrebbe voluto. Si riservò così il ruolo di garante del progetto, in effetti scritto e diretto da Mike Stemmle e Mark Darin, scelti e sostenuti da lui a moderata distanza. Dave ebbe una sua importanza nel bellissimo Tales, certo, ma meno di quanta gliene venga attribuita... e più di quanto lui stesso avrebbe voluto averne, mi è sembrato di leggere tra le righe.
- A pg.120 si dice che Gilbert abbia lavorato su Return to Monkey Island dopo la cancellazione di un suo gdr non andato in porto. Non è mai stato cestinato, l'aveva semplicemente parcheggiato per fare Return e difatti ora l'ha ripreso in mano (vedi news precedente).
- A pg.131 si dà praticamente per scontato un futuro remake di Maniac Mansion, in versione riveduta e corretta: a me il botta & risposta sull'allora Twitter, avvenuto due anni fa tra Craig Derrick della Lucasfilm, Ron Gilbert e David Fox, sembrò semplicemente un fantasticare in libertà, come se non ricordo male fu pure ammesso pochi giorni dopo. Con la Lucasfilm/Disney di mezzo, mi sembra quantomai improbabile che si annuncino in quella maniera progetti veri e nemmeno avviati, sui social. E Gilbert è appunto in tutt'altre faccende affaccendato.
Grandi imprese dei fan #1: Grim Fandango Remastered... Remastered!
Ricapitolazione storica. Quando a inizio 2015 fu pubblicata la Grim Fandango Remastered della Double Fine di Tim Schafer, la mitica avventura grafica del 1998 si presentò rimasterizzata nell'audio, nei controlli e nei personaggi, dotati di texture in alta risoluzione e immersi in effetti di luce migliorati. Gli ambienti in cui Manny Calavera e soci si muovevano erano rimasti però sgranati, semplicemente scalati ma non rielaborati. Gli originali fondali di Grim erano infatti render esportati in 640x480 da Softimage 3D, un software di modellazione 3D risalente a decenni fa: per ottenerne nuove versioni in HD, si sarebbe dovuto riaprili in Softimage e riesportarli in più alta risoluzione. Come spesso accade, i file originali erano andati però persi, ergo la Double Fine avrebbe dovuto rimodellare da zero le ambientazioni dell'intero titolo, una spesa improba per una remaster.
Quasi dieci anni dopo gli algoritmi di IA consentono scaling automatici "intelligenti" di livello molto più che accettabile, così il fan Hexagon ha pensato di dar loro in pasto quei vetusti fondali in 640x480 a 16bit di colore, ricavandone versioni automaticamente scalate in HD e arricchite in risoluzione 2560x1920 a 32bit. Il risultato? Adesso gli ambienti mostrano la stessa qualità dei personaggi, rendendo la remaster di Grim praticamente completa! Un lavoro rispettoso, visto che Hexagon non ha spinto l'IA a "inventare" il resto delle schermate per forzarle sui 16:9, preferendo un risultato ottimale nell'originale 4:3, lasciando le cornici della Remastered. L'unico problema è che non è stato ancora eseguito uno scaling via IA dei filmati, perciò non solo le sequenze rimangono com'erano, ma anche alcune animazioni in-game appaiono compresse, perché sono di fatto dei filmati. Poco male, non escludo che anche questi problemi si risolvano. Ora alla Double Fine non rimarrebbe che accogliere il lavoro di Hexagon ufficialmente, magari quando sarà più rifinito e stabile: questo è un territorio in cui l'IA è davvero d'aiuto, personalmente sono del parere che le persone debbano sempre mettersi alla prova su materiale nuovo, guardando avanti. Sia chiaro: di certo un lavoro manuale e umano avrebbe più carisma e meno freddezza, il dibattito etico sull'uso dell'IA non è per me chiuso, però sono pragmatico. Nel caso specifico non vedo una via alternativa a risolvere il problema, nei mezzi e nei tempi a disposizione, si parli dei fan o della Double Fine.
Vi informo, previa verifica: la mia patch che corregge il lip-sync sul doppiaggio italiano, e che permette volendo di giocare in inglese con sottotitoli in italiano, è compatibile con questa mod di Hexagon.
Grandi imprese dei fan #2: i Puzzle Agent in italiano!
Il fan Wolfgare è uno di quei lucasdeliranti indefessi di cui abbiamo bisogno. Dopo aver anni or sono tradotto in italiano i Deathspank di Ron Gilbert, ha ora dedicato le sue attenzioni traduttorie amatoriali a Puzzle Agent e Puzzle Agent 2 dei fu-Telltale. Ha reso disponibili le due patch su OGI, realizzate in tre mesi di impegno alacre: non ho ancora avuto modo di provarle, però trovo già notevole che Wolfgare si sia impegnato anche sulle traduzioni di alcuni elementi grafici, più che mai necessari per due titoli che propongono prove enigmistiche, per le quali una comprensione totale delle premesse è indispensabile. Bravo, Wolf!
A proposito del mondo del geniale illustratore, fumettista, regista e animatore Graham Annable (anche lui ex-LucasArts), da qualche mese è uscita la sua ultima fatica, la graphic novel "Eerie Tales from the School of Screams". Il suo horror comico-surreale può generare dipendenza.
La viva voce di Chester, alias Khris Brown
In tutti questi anni mi ero reso conto che c'era una persona in grado di attraversare trent'anni di storia lucasiana e oltre, collaborando continuativamente con la maggior parte degli ex della casa (ma non solo con loro), da allora fino ad oggi. Quella persona è Khris Brown, che cominciò al supporto prodotto della Lucasfilm Games, transitando poi nel reparto doppiaggio, muovendo i primi passi in quella che è diventata la sua specializzazione e per la quale è ormai una personalità nel settore. Se leggete il suo curriculum ludico e allargate magari lo sguardo a quello cinematografico, capirete quello che intendo. Il bello è che la conoscete anche voi: ricordate quando Guybrush si perdeva nella giungla di Dinky in Monkey 2 e poteva chiamare l'hint line Lucas? Ricordate che rispondeva una certa Chester? Era proprio una caricatura di Khris!
Daniel Albu non ha potuto evitare di chiacchierare con lei quasi quattro ore, ed ecco il mio doveroso riassunto!
- Il suo primo impatto con l'informatica è stato da programmatrice BASIC, ma aveva dieci anni! Alle elementari ebbe la fortuna di avere accesso a un laboratorio grazie a delle donazioni, perché era in una classe speciale: mise le mani su un Commodore PET e un Timex Sinclair. Crescendo non pensò però di perseguire la suggestione in chiave professionale, perché all'università scelse scienze ambientali e letteratura inglese. Rimase tuttavia una nerd militante: giocò persino Habitat della Lucasfilm Games all'epoca, quando giocare online non era certo immediato.
- Entrò alla Lucasfilm Games nell'agosto 1990: con alle spalle solo l'organizzazione di campagne ambientali, aveva 19 anni e aveva bisogno di 300 dollari quell'estate, durante i suoi studi universitari, così accettò un breve stage pagato, come specialista del supporto prodotto. In altre parole, doveva aiutare per telefono i clienti. Dopo due settimane David Fox comprese che ne capiva sul serio e le offrì un posto vero. Tuttora pensa di dovergli tanto.
- Dopo qualche mese, divenne la responsabile del dipartimento di quel "supporto prodotto" e una delle prime cose che fece fu chiedere altre assunzioni. Si occupavano in cinque di rispondere sia per gli aiuti di gameplay, sia per gli aiuti tecnici: lo stress stava salendo. Era un punto d'onore per loro attraversare interamente ogni gioco e conoscerlo a fondo: ricorda una collega, Tabitha Tosti, alla quale bastava una sola run per gestire ogni richiesta a occhi chiusi. A 20 anni, dopo che il presidente Steve Arnold se ne andò, ebbe un alterco con il nuovo management, perché si pretese che la hint line diventasse a pagamento (1 dollaro al minuto), quando per lei era dovuta al cliente: "Ma ero e sono un'idealista, ora posso capire che fosse pragmatismo. Mi comporto come se vivessi nel XVI secolo, la versione romantica-ottocentesca del XVI secolo, però. Grazie David Fox, per non avermi fatto licenziare!"
- Cosa la colpì della Lucasfilm Games? L'integrità, un bilanciamento unico tra professionalità e libertà di essere sé stessi e di lasciarsi anche andare, senza che i due aspetti si escludessero a vicenda. C'erano "anime belle", come il presidente Steve Arnold, David, Aric Wilmunder e Noah Falstein, gente con cui può rivedersi oggi dopo decenni, senza che sembri strano. Ci ripensa specialmente adesso, nel periodo di licenziamenti a raffica che il settore sta vivendo.
- Cercava sempre di mantenere un atteggiamento positivo nel lavoro: chi giocava aveva scelto un loro titolo, quindi era parte della famiglia. Ricorda di aver fornito assistenza a Max Spielberg, figlio di Steven, quando aveva quattro anni! L'ha poi reincontrato di recente per un evento alla Ubisoft e ha resistito alla tentazione di ricordargli quella conversazione. Ricorda anche un utente che si era impantanato in Loom, non lo capiva e cominciò persino a insultarla con minacce: "Nessuno si comporta così perché si è bloccato con Loom. Gli dissi: non so cosa sta succedendo nella sua vita, ma l'aiuterò lo stesso." In generale comunque seguivano corsi per imparare a trattare col pubblico, e avevano delle risposte pronte per chiudere la conversazione con chi fosse diventato violento o avesse adottato un linguaggio da bettola. Altre volte qualcuno pretendeva di essere guidato per il gioco intero, e bisognava trovare un modo di spiegare che la telefonata non poteva durare ore! Gestivano anche le richieste via posta (posta FISICA) ed era bellissimo trovare nelle buste, oltre alle richieste, alcuni disegni legati ai videogiochi, fanart ante-litteram: significava molto, nell'epoca pre-internet (pochi erano gli utenti sulle BBS), per creativi come Ron Gilbert e Steve Purcell.
- Non è così convinta del fatto che quell'epoca fosse "più gentile", come sostiene qualcuno. Gente affettuosa e gente sgradevole c'è sempre stata, magari oggi chi è sgradevole si comporta così anche per cercare seguaci, ha bisogno dell'engagement. Ad ogni modo, non c'è conflittualità per lei che non si possa stemperare, se non risolvere, con un ascolto vero del prossimo. Si rende conto che è una visione ottimista.
- Il breve passaggio al testing per Monkey Island 2 fu quasi naturale: con l'esperienza maturata nel supporto prodotto, c'era interesse nel sentire la sua opinione, perché capiva meglio di altri le possibili reazioni di chi giocava. Fare da tramite per assicurarsi che le intenzioni dei designer arrivino a giocatori e giocatrici continua a essere tuttora fondamentale, quando dà la sua opinione sui copioni per i quali esegue il casting e dirige il doppiaggio. Non si tratta di imporre la propria visione, solo di segnalare all'artista come le sue intenzioni potrebbero essere ricevute: se è quello a cui mirava, perfetto. In caso contrario, una persona creativa flessibile sa anteporre l'efficacia della comunicazione al suo ego, e modificare il suo lavoro. Si scusa per non aver ritenuto il puzzle della "monkey wrench" improponibile per un pubblico non-americano: ora ci si porrebbe il problema delle differenze linguistiche e culturali, è un motivo per apprezzare il progresso.
- Non ricorda come nacque l'idea di inserirla nei panni di "Chester" su Dinky Island, in Monkey 2, però le sembra che la sua caricatura fu eseguita da Larry Ahern in una delle "serate del disegno" che ogni tanto si tenevano per scherzo col team. Non è stata lei a doppiare il personaggio nella Special Edition di Monkey 2, dov'è stato trasformato peraltro in un uomo, con sua grande delusione.
- Oltre che per il supporto prodotto, in Day of the Tentacle è scherzosamente accreditata per il catering. Erano gli anni in cui lei, Tim Schafer e Dave Grossman ponevano le basi di un'amicizia che dura tuttora. Lei ha sempre amato darsi alla pasticceria: i suoi snack, specialmente quelli consumati in qualche nottata di lavoro, furono molto ben accetti!
- Scoprì la sua vocazione nella gestione del doppiaggio, assistendo il team per il casting delle voci di Sam & Max Hit the Road (1993), che montò anche di persona. I provini e tutto il materiale per gli uffici di casting (con alcuni di essi lavora ancora oggi!) viaggiavano fisicamente tramite corriere, si sceglievano attori e attrici ascoltando musicassette: un altro mondo. Anche se era un grande passo tecnico, per loro artisticamente importante, non era in cima alle priorità in materia di budget, eppure incrociarono artisti poi diventati importanti: Bill Farmer, scelto per Sam, è tuttora la voce ufficiale di Pippo per la Disney. Trovare lo spirito giusto per la voce di Max fu più difficile, ma con Nick Jameson poi è nata una collaborazione pluridecennale: l'ultima volta l'ha diretto ancora come Loboto e Coach Oleander in Psychonauts 2 (2021)!
- "It's a cup full of lava", "È una coppa piena di lava" è una frase di Indiana Jones and the Fate of Atlantis, che ricavò montando venti take diversi dello stremato attore Doug Lee che interpretava Indy: col senno di poi, ha capito che le frasi più brevi sono le più difficili da recitare per chi è al leggìo. Attori e attrici hanno un bisogno disperato di un contesto per far funzionare roba emotivamente insignificante come "È una porta"!
- Ritiene di dovere letteralmente la vita a Denny Delk, il doppiatore di Murray, Hoagie, Tentacolo Viola & Verde e tanti altri personaggi delle avventure LucasArts: una volta registrarono in uno studio su una collina, e lei non si era accorta che in retromarcia stava sostanzialmente precipitando giù per un dirupo, con una ruota quasi fuori dal margine della strada! Delk, che era nel parcheggio nello stesso momento, si fiondò fuori dalla propria auto e corse a sedersi sul suo cofano per compensare il peso, ordinandole di venire avanti con la massima concentrazione!
- È sempre importante rintracciare per un videogioco la persona che ha doppiato un personaggio nella sua eventuale forma originale, in un film o in una serie: per esempio fu più semplice registrare i lunghi briefing dell'ammiraglio Ackbar nella versione cd di X-Wing, grazie alla disponibilità di Erik Bauersfeld, che l'aveva interpretato nel Ritorno dello Jedi ed era ancora attivo.
- Il suo debutto da direttrice del doppiaggio in Star Wars Tie Fighter (1994) fu nodale: non era soltanto importante dare il meglio, voleva anche essere all'altezza del mito di Star Wars, che sin da bambina, quando aveva sette anni e aveva visto al cinema Guerre stellari, l'aveva sostenuta psicologicamente in un momento difficile (sente sua la massima di Kenobi: mai cedere all'odio). Da piccola peraltro, da fan, si fece spedire un disco dove il sound designer Ben Burtt parlava degli effetti sonori che davano vita a Star Wars. Guerre stellari e suono: da bambina non lo sapeva, ma la sua carriera era già tutta lì.
- Full Throttle fu indimenticabile per vari motivi. Era il primo assolo da capo-progetto per Tim Schafer, tutti capivano che era una storia diversa e non troppo umoristica, più ambiziosa. Dopo decenni di lavoro con lui, Khris pensa che tutti i personaggi di Tim abbiano un fondo di dolcezza, anche quando si atteggiano a duri: una volta capito quello, furono in grado di individuare tra i provini il compianto Roy Conrad per Ben, perché si erano impantanati a cercare imitazioni di Clint Eastwood. Mark Hamill in sala di registrazione (per Ripburger e Todd) fu un'altra esperienza: pur fan di Star Wars, Khris trova che l'Hamill doppiatore sia di una bravura incredibile, che abbia una sua identità alternativa, tanto che - per deformazione professionale - ormai lo collega più al mondo del doppiaggio, specialmente pensando al suo Joker nella serie animata di Batman dei Novanta. Era già in quel settore quando fece il provino per Ripburger, giura che lo presero proprio perché era spettacolare, non per l'aura di Luke Skywalker. Pensa che, quando devi dirigere qualcuno, è importante non farsi influenzare da un'eventuale adorazione da fan che puoi avere per la persona: l'entusiasmo non ti renderebbe onesto nel comunicare le necessità o le correzioni da fare a una battuta. Lei mantiene un muro tra le sue due anime, direttrice del doppiaggio e fan, a maggior ragione lo fece al cospetto di George Lucas e Liam Neeson, quando - alla Skywalker Sound dal 1998, dopo il periodo alla LucasArts - si occupò del doppiaggio di alcune scene della Minaccia Fantasma (che come fan dice di aver avuto difficoltà ad accettare). Ammette tuttavia di aver abbattuto quel muro un paio di volte.
- Una volta accadde con Tim Curry, che registrava Doviculus in Brutal Legend. A fine sessione gli disse: "Frank 'n' Further mi fece sentire protetta, mi ha dato una casa, grazie." Khris aggiunge che il Rocky Horror Picture Show, visto a dodici anni, le fece lo stesso effetto di Annie Lennox nel video di Sweet Dreams: "Quando sei una tipa piccola, bizzarra, gay e non binaria, e vedi qualcuno gender-fluid che ti dice che puoi pomiciare con chi vuoi, e tu nel 1982, nel mondo di Farrah Fawcett e del football, pensi che non dovresti nemmeno esistere, rimani a bocca aperta, anche se Frank'n'Further è un personaggio un po'... problematico!"
- La qualità del doppiaggio e del suono nei titoli su cd-rom della LucasArts, se paragonata agli iniziali risultati più amatoriali della Sierra, si deve per Brown al legame che avevano con l'esperienza Lucasfilm: in aiuti concreti, ma anche nell'approccio generale e rigoroso in ciascun settore. Fu Tamlynn Barra, la prima direttrice del doppiaggio lucasiana, a regolare molto in alto l'asticella delle performance al leggìo: nessuna voce improvvisata con impiegati della Lucas scelti a caso, solo attori e attrici professionisti. Nel loro dipartimento [e non solo nel loro, ndDiduz] sono passate persone che hanno fatto carriera nel cinema, come la montatrice del suono Coya Elliott, di recente nomination all'Oscar per Soul della Pixar. Coya per esempio, quando era alle prime armi, montò la voce di Dominic Armato per Guybrush in The Curse of Monkey Island, molto facile da pulire per l'estrema precisione di Dom nel separare ogni diverso approccio a una singola battuta, di seguito e senza balbettii.
- Le voci di Outlaws li portarono a riflettere su quanto western ci fosse già in Star Wars: fu bello confrontarsi con quelle radici culturali, nella loro forma più pura e classica.
- Psychonauts (2005) fu un'impresa resa fattibile dall'ottimismo, dal senso dell'umorismo e dalla tenacia creativa di Tim Schafer: Khris realizzò come, usciti dalla LucasArts, senza un nome forte diventasse molto difficile assumere attori e attrici. Non aiutava poi che il gioco fosse così strambo: le agenzie non lo capivano, la Double Fine era appena nata, aveva la sede in un garage fatiscente e non era garanzia di nulla. Ebbero persino una falsa partenza, registrando la voce di un vero bambino per Raz: il risultato era grottesco al di là delle intenzioni, avevano sbagliato l'approccio! In generale poi è difficile ottenere un cast di rilievo per i videogiochi: l'ambiente paga relativamente meno rispetto a quanto si può guadagnare con altri impegni in tv, pubblicità o cinema, così i manager oppongono resistenza. Dopo sono cambiate molte cose: rimangono indimentiabili per lei le esperienze in sala di registrazione per la Double Fine, con Jack Black (sempre caloroso e generoso), Elijah Wood (una macchina da guerra nel capire al volo il registro delle battute) e Ozzy Osbourne per Brutal Legend (un altro di quei momenti in cui ha faticato nel contenere la fan dietro alla direttrice del doppiaggio!).
- È meglio scritturare qualcuno che abbia avuto esperienze di vita vicine al personaggio? "Sì, senz'altro, non dovremmo nemmeno discuterne!"
- Ricordo buffo: le risate con il team danese dietro a Hitman: Blood Money (2016). Oltre a dirigere il doppiaggio, Khris li fece girare per la California. Ride ancora alla loro serissima domanda prima di arrivare: "Dobbiamo portare le armi?" Che idea avevano di Los Angeles? Ricordo fiero: essere stata la cofondatrice del Narrative Talent Group alla Ubisoft, una decina d'anni fa.
- Anche se ha curato il casting di Thimbleweed Park e Return to Monkey Island, ha lasciato spazio a Ron Gilbert nella direzione di attori e attrici: ritiene che ci sappia fare.
- Durante l'intervista Khris autocensura le sue parolacce, diversamente da come si comportò dieci anni or sono del documentario Double Fine Adventure. Albu le domanda scherzosamente come mai, ma la risposta è interessante: quando cominciò a frequentare le sale di registrazione da ventenne, si sentiva fuori posto sia per la giovane età sia perché donna, quindi scelse la strada più facile e banale per sopravvivere in un mondo maschile, cioè comportarsi sguaiatamente. I tempi però sono così cambiati, che da diversi anni non sente più la necessità di fingere di essere chi non è, né trova che quell'approccio aggressivo aiuti più di tanto chi dirige. È un sollievo essersi liberata della maschera.
- Nonostante tra i Novanta e i Duemila la combinazione di due ambienti come una software house e uno studio di registrazione non fosse accogliente per una donna (e nemmeno la LucasArts facesse del tutto eccezione), rimane tuttora grata a tre persone: Michael Land, Peter McConnell e Clint Bajakian, che nemmeno percepivano la distanza. Clint in particolare, vedendola un giorno sfiduciata, la portò in un negozio di hi-fi per selezionare un sistema che non riteneva nemmeno di essere in grado di scegliere (ma di cui aveva bisogno per lavorare sulle voci). Lei gli disse: "Okay, compriamo quello che secondo te è il migliore". Clint le rispose: "No, compriamo quello che SECONDO TE è il migliore: ora ci sediamo qui e ce li sentiamo tutti." Khris scelse e scoprì poi (specialmente dal prezzo sui 5.000/7.000 dollari!) di aver in effetti scelto il prodotto migliore. Capì che aveva l'orecchio che temeva di non avere, tutto grazie alla mano tesa di un collega che ne sapeva più di lei, ma non era né il suo diretto superiore, né aveva interesse a sostituirsi alle sue decisioni. Grata è dir poco.
Fine dell'aggiornamento. In chiusura, vi segnalo velocemente che la Devolver ha reso disponibili alcuni gadget ufficiali di Return to Monkey Island, che nel frattempo è stato inserito anche nell'abbonamento all'Apple Arcade.
Salvo sorprese, al prossimo giro saremo già in estate, godiamoci le ultime settimane di temperature decenti!
Ciao,
Dom
30-4-2024
Combattendo con raffreddori devastanti causati da ingannevoli e scorretti accenni d'estate poco dopo negati, ho deciso di puntare piuttosto in alto, approfittando di un imminente quasi-quarantennale, per parlare di origini. Nel vero senso della parola, i primi passi di una tradizione che ci ha portato fin qui.
Rescue on Fractalus!, ovvero l'inizio di tutto 40 anni or sono
Nel maggio di 40 anni fa, il piccolo gruppo che due anni prima George Lucas aveva piazzato ad autogestirsi, la Lucasfilm Games, presentava alla stampa i suoi primi due giochi. Finanziati dall'Atari per la loro linea 8-bit (400/800/5200), erano prodotti d'avanguardia sul piano tecnico e sperimentali nell'approccio ludico. È arrivato il momento, qui su Lucasdelirium, di parlare finalmente di Rescue on Fractalus!, esordio del nostro amato David Fox, prima ancora che inaugurasse le avventure nell'azienda con Labyrinth, firmando successivamente l'immortale Zak McKracken and the Alien Mindbenders. Cos'era Rescue? Un simulatore di volo molto arcade in salsa sci-fi? Anche, ma per me è soprattutto uno straordinario esempio di contaminazione, tra la grammatica ancora in fasce dei videogiochi e lo spirito d'intrattenimento cinematografico. E rimane che io sappia l'unico caso in cui George in persona abbia contribuito a uno dei giochi della divisione, peraltro con almeno un'idea davvero splendida. C'è l'ingenuità del mezzo in Rescue!, insieme però a una stupefacente voglia di guardare avanti.
Ed è stato bellissimo, dopo tanto tempo, tornare su Lucasdelirium a ragionare sulla generazione di hardware a 8bit.
Monkey Island è finito sul serio?
Mentre il sito The Legend of Monkey Island ha recuperato il simpatico e incompiuto adattamento a fumetti firmato Paco Vink di Monkey 1, la Lucasfilm ha continuato a esternare rispetto per il proprio passato videoludico. Com'era accaduto il mese scorso col pezzo su Fate of Atlantis, questa volta il blog della compagnia ha dedicato un ricordo a Monkey Island. L'articolista Kelly Knox scrive a un certo punto: "Un totale di sei giochi della serie sarebbero stati pubblicati nei decenni, portando la storia di Monkey Island al termine con Return to Monkey Island nel 2022." Faccio notare che subito dopo si cita l'espansione di Sea of Thieves del 2023 come una nuova apparizione di Guybrush evidentemente giudicata al di là di un percorso chiuso.
Onestamente, alla fine di Return, ho pensato che fosse successo proprio questo, cioè che la saga di Monkey Island, così come la conosciamo, dal punto di vista di Guybrush, sia terminata con il lavoro di Ron Gilbert, che con Return ha chiuso un cerchio. Il Guybrush sulla panchina ha chiuso la pratica di un percorso durato trent'anni, interrompendo una curiosa sorta di attesa "eterna" (che ha avuto effetti psicologici persino su chi NON attendeva il "Monkey di Ron Gilbert"). Qualsiasi cosa venga fatta dopo con quel mondo, non potrà più muoversi sullo stesso solco, ma dovrà allargare gli orizzonti, azzardando qualcosa di diverso: un'Elaine protagonista, una famiglia Threepwood controllabile in parallelo (stile Day of the Tentacle) o appunto altri esperimenti tipo quello di Sea of Thieves? Il tempo lo dirà. Di certo, Monkey Island è un marchio che ha un valore commerciale che non conviene mettere in panchina: questa inconfutabile realtà non va d'accordo con l'idea di "addìo", quindi non alzerei un polverone per quelle parole.
Nel frattempo il lucasdelirante Adelmo mi ricorda che è appena arrivato in edicola il libro dedicato a Monkey Island edito dalla RBA Italia, numero 14 nella loro collana sui "Videogiochi Leggendari". L'autore è il giornalista spagnolo Yago Lago Álvarez (così come spagnola è tutta la collana). Non l'ho comprato al momento, per cui mi limito a segnalarvi la sua pubblicazione.
The Wolf Among Us 2 è ancora vivo!
Tra l'accoglienza tiepida a The Expanse e la riduzione della forza lavoro (già esigua), immagino che la nuova Telltale Games (in realtà LCG Entertainment) non se la passi benissimo. È dalla fine del 2019 che attendiamo il sequel dell'avventura narrativa-investigativa The Wolf Among Us, basata sul fumetto Fables di Bill Willingham, ed è legittimo temere il "development hell" o la cancellazione. Il 18 aprile però hanno battuto un colpo con quattro nuove schermate dalla "build attuale". Bene così, si procede lo stesso, lento pede, ma non si demorde.
Elaine Marley dice la sua!
La bravissima youtuber Cressup ha messo a segno un bel colpo, un'intervista con la doppiatrice originale ufficiale di Elaine, Alexandra Boyd. Attiva dalla metà degli anni Ottanta, ha legato il suo nome all'(ex-)Governatrice Marley in The Curse of Monkey Island (1997), Tales of Monkey Island (2009), The Secret of Monkey Island Special Edition (2009), Monkey Island 2 Special Edition - LeChuck's Revenge (2010) e infine Return to Monkey Island (2022), saltando solo il quarto capitolo. Dominic Armato, classe 1976 e coeteano della maggior parte dei fan di Monkey, fan sincero lui stesso, è l'eccezione che conferma la regola: età, carriera ed esperienza di Alexandra sono più in linea col mondo del doppiaggio professionale anglosassone dei videogiochi. L'Elaine di Alexandra ha avuto testi via via più elaborati da recitare per il suo personaggio, ed è proprio il caso finalmente di sapere chi sia, dalla sua viva voce! È stata anche sul set di Titanic, dopotutto.
- Si ritiene fortunata, perché nella sua carriera ha incocciato due opere, la saga di Monkey Island e Titanic, che sono di fatto eterne e hanno stuoli di fan. "Un amico mi ha detto: tu lo sai che fan sta per 'fanatici', vero? [ride] Lo so, ma finché si parla di Titanic e Monkey Island... c'è gente che adora cose peggiori!"
- Sostenne il provino per Elaine in The Curse of Monkey Island quando abitava a Los Angeles. Prima di tornare nella sua Londra ha vissuto infatti negli USA per una decina d'anni, mantenendosi con voci per le pubblicità: sa imitare l'accento americano, ma spesso le chiedevano di assecondare il suo naturale britannico, cosa accaduta anche per Elaine. A partire dalle Special Edition del 2009-2010, ha quasi sempre registrato rimanendo in Inghilterra, in studi londinesi.
- Non conosceva Monkey Island prima dell'audizione: le passarono un cd-rom con uno degli altri due titoli precedenti, ma... "Già 25 anni fa ero troppo vecchia per imparare a giocare!" In realtà la parte di Elaine in Curse era molto breve (stima che la registrazione richiese all'incirca un'oretta), però ciò non significa che anni dopo non sia rimasta molto delusa dal sapere che per Fuga da Monkey Island (2000) le fosse stata preferita un'altra persona [Charity James, ndDiduz], senza nemmeno provare a contattarla: "Immagino che poi mi richiamarono perché ci fu una rivolta. Ok, diciamo una minirivolta!" [in italiano non ci accorgemmo della differenza, perché Grazia Verasani doppiò Elaine sia in Curse sia in Fuga, ndDiduz]
- Elaine le viene molto naturale: "Praticamente è una versione amplificata di me stessa. E poi ero una rossa naturale, prima di abbracciare il grigio!"
- Non ha mai incontrato Dominic Armato in vita sua! Ma è abituata: nel mondo dei videogiochi e dell'animazione è normale. Lei di solito compensa l'assenza dell'interazione col resto del cast fornendo a prescindere due-tre intonazioni diverse della stessa battuta. Non ha mai incontrato nemmeno gli autori dei giochi, perché per la LucasArts interagiva col direttore del doppiaggio Darragh O'Farrell. Unica eccezione è stata Return, perché ha registrato le sue battute direttamente per Ron Gilbert, parlando con lui in remoto. La cosa assurda è che Alexandra ha registrato le battute di nuovo negli Usa, e lo studio era proprio a Seattle. In una pausa ha realizzato che lei e Ron si trovavano letteralmente a una-due miglia di distanza!
- Non è stato immediato rintracciarla per Return. Quando dopo il 2008 ha lasciato la soap opera Coronation Street, che l'aveva resa piuttosto popolare in patria, ha realizzato che le parti per donne cinquantenni scarseggiavano, com'è noto. Da tempo voleva darsi alla scrittura e alla regia, quindi ha mollato la vecchia carriera e i suoi agenti. Fortunatamente il team del gioco l'ha rintracciata nell'altra sua veste, attraverso i social e una semplice email.
- Ha apprezzato molto che Elaine fosse diventata più matura in Return e meno bellicosa, la caratterizzazione si è evoluta un po', e inoltre ha trovato così più naturale interpretarla con la voce che ha adesso (e che chiaramente non è la stessa del 1997). Non ha mai improvvisato in questo tipo di lavoro, non sempre è il caso di farlo: "Con Shakespeare e Monkey Island non s'improvvisa!" Ma a parte gli scherzi, il voice over richiede precisione e aderenza al testo, un testo che peraltro nel caso dei Monkey è sempre stato abbastanza curato da lasciare poco spazio ai dubbi sul registro da mantenere.
- Non è tornata a stretto giro per il Legend of Monkey Island (2023) in Sea of Thieves, semplicemente perché le sue richieste economiche (in linea con le regole sindacali progressive) non sono state accettate. Il budget era molto basso però voleva un trattamento congruo a quella che per lei rimane una "sospensione dalla pensione", perché come ha spiegato non sta recitando più. "Non voglio che pensiate che io non tenga al personaggio, ma devo tenere anche a me stessa. Non è una questione di soldi, parlo dell'importanza che loro danno a quello che tu dai al personaggio". Quando sei un'attrice attiva ma non sei una star - è la sostanza del discorso - accetti comunque, perché temi di non essere più contattata. A una certa età il discorso cambia.
- A questo proposito, ha diretto il documentario Ship of Dreams: Titanic Movie Diaries (2023) proprio per raccontare di quegli attori e quelle attrici "non-star" che, come lei, presero parte per diverse settimane (due mesi nel suo caso) al monumentale Titanic di James Cameron. Inizialmente non ottenne un ruolo nel film ("Un agente mi chiese: perché ti interessa se non parli nemmeno? Ma in piena carriera prendi tutto!"), però il provino scritto da lei colpì Cameron, che la chiamò per un'altra piccola apparizione. Girò diverse scene poi tagliate, ma è rimasta in quella in cui Jack entra nella sala da pranzo in prima classe: lei sulla sinistra lo guarda stupita / schifata (1:06-1:12 e 1:30-1:35 di questa scena). Fu un set pazzesco: la ricostruzione era tanto fedele che calarsi nei panni di quei fantasmi del passato veniva proprio naturale. Ricorda un ciak in cui sul set erano tutti in costume, a parte l'operatore di macchina! Una vera realtà alternativa. DiCaprio comunque non sembrava affatto professionale, non faceva che scherzare! Però era un'aura che calzava perfettamente sul personaggio. Kate Winslet era l'opposto, studiava ossessivamente. Non conferma la fama di burbero di Cameron, anzi. Il suo documentario dovrebbe essere diffuso via streaming in estate o poco dopo, incrociando le dita.
- Ha fondato con Carla Orlù l'associazione Artemisia's Daughters, in omaggio alla pittrice Artemisia Gentileschi, spesso scambiata per Caravaggio. Lo scopo è fornire alle donne una piattaforma per esprimersi creativamente nell'audiovisivo, per dar loro le possibilità che spesso non hanno ("Anche la possibilità di fallire!").
- Consigli per chi intraprende una carriera artistica? "Createvi le vostre opportunità!"
Prima di chiudere, vi segnalo che è stato diffuso il trailer di Star Wars Outlaws di Massive Entertainment edito da Ubisoft, open world d'azione in uscita il 30 agosto 2024 per PS5, Xbox Series X/S e Windows. Mi rendo conto che non sto seguendo questi giochi qui su Lucasdelirium, però ve li segnalo ugualmente perché mi piace che, dopo una fase iniziale più concentrata sul multiplayer, la Lucasfilm Games si stia occupando anche di esperienze più narrative ambientate nel mondo di Star Wars (vedasi Jedi Fallen Order e Jedi Survivor). Continuo a pensare che creare un legame tra chi gioca e i personaggi di una storia sia uno dei motivi principali per cui siamo ancora qui.
Ciao,
Dom
30-3-2024
Feroci intemperie fanno saltare i piani pasquali, causando intralcianti frane su percorsi ferroviari già non troppo efficienti di per loro. Mi appresto perciò a pianificare evasioni alternative, non prima di avervi fatto gli auguri con un aggiornamento... casual, non troppo impegnativo!
Indiana Jones, Luke Skywalker e il casual gaming di Hal Barwood
Era da tempo che volevo dedicare una scheda sul sito a Indiana Jones and His Desktop Adventures (1996) e Yoda Stories (1997), esperimenti di casual gaming del nostro Hal Barwood. Concepite come applicazioni in finestra, alternative più carismatiche al Campo Minato di Windows, sono action-adventure che tuttora faticano a trovare una loro dimensione (oggi per ragioni diverse da allora). Ciò non toglie che per me sia stato interessante attraversarli un po' di volte ed elaborare qualche considerazione. L'emulatore DREAMM di Aaron Giles le supporta, il che mi ha spronato a chiudere la pratica in sospeso, altrimenti mi sarebbe toccato l'esasperante allestimento di una macchina virtuale...
Il mio videosbraco su Hook
A metà mese ho pubblicato il terzo video della storia di Lucasdelirium, un'analisi dell'avventura grafica Hook, per affinità di contenuti e impostazione molto spesso paragonata ai classici Lucasfilm Games / LucasArts, e da molti della mia generazione (ma non da me) giocata negli stessi anni Novanta. Io infatti l'ho vissuta per la prima volta solo adesso, dopo un'opportuna revisione del film di Steven Spielberg del quale è il tie-in. Queste suggestioni mi hanno spinto a creare un percorso multimediale, con i primi dieci minuti dedicati al lungometraggio, e i successivi venti all'analisi del videogioco della Ocean Software. L'ultima ventina di minuti è uno sfizio geek che mi sono voluto levare: amo curiosare nelle tecniche di programmazione, però sono anche consapevole che gli approfondimenti tecnici non sono graditi a tutti, così li ho relegati in una sezione finale separata, facoltativa per chi si voglia fermare dopo una mezz'oretta. Ho clamorosamente disatteso il mio proposito di tornare a video di durata più umana, sui 20-30 minuti. Così non va: se voglio proseguire in questa "espansione multimediale" del sito, dovrò trovare una strada più percorribile e meno stancante.
Se non avete ancora visto il video, perché non siete su Facebook e non vi è arrivato l'avviso... buona visione!
Limited Run Games consegna Return e fa ammenda per Loom
Alfine è arrivato a me e molti altri lo scatolato PC di Return to Monkey Island da Limited Run Games (qui sotto embeddo un video non mio). Devo dire che il risultato mi piace e ha rispettato i contenuti del preordine. Ho apprezzato tutti i gadget, al di fuori della furbesca chiave colorata, che nelle intenzioni andava affiancata alle altre di diverso colore, nelle confezioni delle altre versioni: lascio queste forme di sadomasochistiche perversioni ai collezionisti hardcore. Apprezzabile la presenza di dvd-rom dedicati per Linux e Mac. L'irresistibile pesce palla viene dato per morto in capo a un paio d'anni, per disidratazione sicura del suo materiale. Fino ad allora, ammirerò la sua lotta con l'aria sul mio scaffale, anche perché lui e i troppi cartoni rendono difficile la chiusura della scatola, che per fortuna è piena.
Il resto dei gadget (album, lettera, depliant, spilla) dà vita perfettamente ai temi principali della storia e dell'esperienza, però a maggior ragione pesa l'assenza dell'usuale estratto delle "Memorie di Guybrush Threepwood" sul retro della confezione. C'erano sempre state, anche per l'edizione speciale di Tales (non sullo scatolo-scrigno, lì erano sul dvd-case). L'azione del raccontare è più importante in Return che negli altri capitoli, ci sarebbe stato materiale abbondante persino per un semplice copia & incolla: potrei pure immaginare che proprio per questa rottura spudorata della quarta parete non si sia voluto essere ridondanti... ma anche concedendo un'attenuante, il testo sul retro rimane troppo generico e senza ironia.
Alcuni utenti si sono lamentati di scatole danneggiate: la mia ha in effetti un paio di raschi bianchi sui bordi, ma sono troppo piccoli per farmeli classificare come "danni". L'etichetta "PC" è attaccata con mira discutibile: più che irritarmi mi fa sorridere, perché mi ricorda l'artigianalità CTO, né escluderei che sia stato fatto apposta. La presenza di un misterioso doppione fallato del gioco nella cartella "Windows(2)", sulla chiavetta USB, è un mistero insondabile: il gioco funzionante è in "Windows", ma allora perché non cancellare quell'altra inutile directory? Ad ogni modo, non posso dirmi deluso se non per quell'assenza delle Memorie sul retro.
A proposito di misteri LRG, il mese scorso vi avevo raccontato della rabbia degli utenti che non hanno trovato nelle loro edizioni di Loom tutte le versioni del gioco. A quanto pare, scrivendo all'assistenza LRG, l'acquirente avrà accesso a un megazip di circa 9Gb con tutto il materiale promesso. Meglio così, ma mi chiedo: possibile che questi 9Gb non entrassero nei drive USB già consegnati? Non sono un acquirente di questi altri prodotti, ma immagino che anche per la LRG di Zak McKracken, in via di consegna, varrà lo stesso discorso. A quanto ho capito, sui supporti di Zak ci sono soltanto le versioni Enhanced EGA e FM-Towns (cioè quelle in vendita su GOG), ma se fossi un cliente chiederei subito lo zippone che mi spetta.
Chissà quando e se questi archivi verranno resi disponibili digitalmente negli store online...
Curiosità su Psychonauts 2
Nonostante il documentario Double Fine Psychodyssey sia uno spietato capolavoro sul piano umano, il dietro le quinte sulle effettive scelte creative per l'ottimo Psychonauts 2 della Double Fine di Tim Schafer era rimasto un po' sguarnito. Quando a febbraio ho ottenuto finalmente il pdf del monumentale art book, mi sono reso conto che al suo interno c'era un discreto numero di curiosità che potevano essere inserite in un'apposita sezione nella scheda. Certo, sono un po' limitate all'aspetto grafico, però le scelte estetiche di un gioco così sono per forza di cose legate ad altri ragionamenti di sceneggiatura e gameplay, quindi possono comunque far capire qualcosa della poetica dietro al percorso intrapreso.
Se avete già giocato o non temete gli spoiler, ne ho riassunte alcune.
Rapide varie & eventuali
- Nell'ultimo mese ha fatto discutere la pubblicazione di Star Wars: Dark Forces - Remaster, una versione riveduta e corretta di un classico FPS del 1995, per inciso uno dei più bei videogiochi di Star Wars che abbia mai giocato, fiore all'occhiello della LucasArts dell'epoca d'oro. Dovrebbe avere una scheda su questo sito: da quanti anni me lo riprometto? Le polemiche non sono tanto indirizzate al lavoro di restauro dei Night Dive Studios, quanto all'alto prezzo per avere accesso a diverse migliorie che già offre gratuitamente il non ufficiale The Force Engine. A dirla tutta, i Night Dive hanno però anche aumentato il frame rate delle sequenze precalcolate (ridisegnandole), nonché aggiunto una galleria di extra sulla lavorazione (incluso un livello demo poi cestinato), grazie all'accesso esclusivo agli archivi Lucasfilm. Qualcosa in più insomma c'è, ma sono d'accordo: se si possiede già l'originale, non sembra sufficiente per giustificare il biglietto d'entrata di 30 euro. Tuttavia, se non lo si fosse mai acquistato, potrebbe avere senso, anche perché su GOG e Steam l'originale è incluso nel prezzo.
- Ron Gilbert è affezionatissimo ai punta & clicca per bambini prodotti in dieci anni dalla sua Humongous Entertainment: se leggendo il mio speciale vi incuriosiscono e li volete comprare in blocco per pochi euro, per completezza, questo Humble Bundle è la vostra occasione!
- Pare che l'Adult Swim Games stia per rimuovere dalla vendita Headlander di Lee Petty, per via dei tagli fiscali operati dalla casa madre Warner Bros (avrete sentito dei film cestinati come Batgirl e Coyote vs. Acme, probabilmente). Nel caso non l'abbiate e la mia scheda vi abbia incuriosito, lo potete recuperare ancora per poco tempo su GOG o Steam.
- Ogni tanto la Lucasfilm celebra qualche vecchia gloria videoludica della LucasArts sul blog del sito ufficiale: questa volta è toccato a Indiana Jones and the Fate of Atlantis. Niente di che, ma il pensiero conta, conta eccome.
- La bella rivista Retro Computer, dopo il numero 0 di qualche mese fa, è definitivamente partita, a cadenza bimestrale. Hanno accolto un mio errata corrige su una modalità grafica dell'Amiga, spero che accoglieranno il prossimo, perché nel numero in edicola The Curse of Monkey Island viene erroneamente attribuito a Tim Schafer. A dirla tutta comunque Retro Computer non esiste in funzione degli articoli sul software: rimane veramente molto comodo, pratico e stimolante per riflettere sull'hardware del passato, con firme competenti come Carlo Santagostino, Luciano Costarelli, Fabio Massa e Francesco Sblendorio.
Fine dell'aggiornamento pasquale, cosa ci attenderà nel cuore della primavera?
Sapremo qualcosa in più della remaster di Sam & Max: The Devil's Playhouse (che ha fatto capolino alla GDC)... o magari avremo una data d'uscita per Indiana Jones e l'Antico Cerchio?
Ciao,
Dom
27-2-2024
Mentre la "cattiva" stagione ci disorienta e ci costringe ad alternare vestiari d'ogni tipo, sperando di pianificare bene il modo in cui usciamo di casa al mattino, Lucasdelirium compensa garantendo fenomeni regolari: questo mese piovono documentari, libri e un'intervista colossale davvero ricca di curiosità. Cominciamo subito, chiudendo con i preamboli!
Ritornare a Monkey Island, un documentario di NoClip
Una ventina di giorni fa è stato pubblicato "Returning to Monkey Island", il documentario di un'ora e mezza che il canale Noclip ha dedicato alla creazione di Return to Monkey Island di Ron Gilbert e Dave Grossman, a un anno e mezzo di distanza dalla pubblicazione dell'epocale punta & clicca. Chiariamo subito che non se ne ricava alcuna nuova informazione, ma che è un buon modo per avere in 90 minuti un "Bignami" di tutto ciò che è stato detto dagli autori del gioco in questo periodo, raccolto in un solo luogo, il che non è disprezzabile. Fa inoltre una grossa differenza vedere e ascoltare interviste allestite professionalmente in casa di Ron e Dave, al posto delle solite compresse e sgranate chiamate su Zoom. Il film racchiude sia le informazioni sulla sua particolare e segretissima lavorazione, sia sullo spirito col quale è stato realizzato e sul messaggio (interattivo!) che voleva lanciare a chi gioca. Confermerà le idee di chi in questo gioco ha creduto, non farà cambiare idea a chi lo giudica deludente se non insultante. Ho apprezzato il punto di vista amighista di alcuni passaggi: comprensibile per il direttore artistico Rex Crowle, inglese, ma più sorprendente per l'autore del documentario Danny O'Dwyer, americano, che ha usato persino musiche e gameplay della versione Amiga di The Secret of Monkey Island e Monkey Island 2: LeChuck's Revenge [ERRATA CORRIGE: Joe Slap mi fa notare che Danny è irlandese, anche se ormai vive negli USA da tempo: avrei dovuto notare l'accento!]. Da commodoriano ho apprezzato molto, anche se proprio per questo sono rimasto un po' stupito dell'errore sui "256 colori della versione Commodore", perché furono solo 32 per schermata (la LucasArts non ha mai supportato la linea AGA degli Amiga 1200 e 4000, purtroppo).
Mi ha colpito il fulcro del ragionamento, il trascorrere del tempo ma soprattutto il ricordare le cose in modo diverso da com'erano, sostituite dall'idea che ce ne siamo fatti, un concetto tema della storia e contemporaneamente fondamento del rapporto degli autori e dei fan con la saga. Chiave perfetta. Gilbert spiega che la Disney gli ha lasciato tutta la libertà creativa di cui avevano bisogno: gli unici interventi che siano andati oltre i suggerimenti hanno riguardato il rischio di infrangere copyright altrui (com'era successo per il Cotton Fioc gigante, la macchina del grog in stile Coca-Cola e il "Charles Atlas emaciato" nel primo Monkey, i primi problemi legali che Ron ricorda di avere affrontato).
È ironico conoscere la ragione per la quale Crowle aveva creato il "suo" Guybrush nel 2009, mandato sponte sua a Ron Gilbert, non immaginando certo che una dozzina d'anni dopo sarebbe stato il direttore artistico di Return. Non gli era piaciuto lo stile della Special Edition (2009) e rielaborò in chiave surrealista i suoi ricordi della pixel art (e torna quindi l'idea dei ricordi filtrati). Proprio lui si è trovato a subire gli strali di chi ha detestato le sue scelte per Return: Crowle ammette che, se non avesse avuto la sicurezza di essere approvato e spalleggiato da due dei padri storici della serie, lui e il resto del team grafico avrebbero pensato di aver sbagliato tutto, sotto il peso delle critiche feroci che ci sono state.
Nel video (timecode 52:22), Gilbert ricorda un'altra idea che aveva avuto per un possibile nuovo Monkey nei primi anni Duemila: si ambientava 3.000 anni nel futuro, su una Terra in piena glaciazione, dove alcuni pirati conoscevano il mito di Guybrush, rimasto congelato da allora, e andavano a cercarlo per liberarlo. Un progetto che non decollò mai, però gli piaceva l'idea di collocare i pirati nei mari del nord, così è nata l'isola di Brrr Muda in Return.
I segreti di Monkey Island secondo Nicolas Deneschau
Periodicamente qualcuno mi suggerisce di realizzare una versione lineare di Lucasdelirium sotto forma di libro, ma io nicchio sempre, per varie ragioni. Nel frattempo, il francese Nicolas Deneschau ha finalmente pubblicato la versione inglese del suo libro "The Secrets of Monkey Island", originariamente uscito solo nel natìo francese nel 2019. Ho acquistato e letto la versione Kindle (nettamente più economica di quella fisica) e devo dire che è un bel lavoro. È ciò che più si avvicina all'ipotetico "libro di Lucasdelirium", ma naturalmente focalizzato su Monkey Island, con le altre avventure trattate da Nicolas in modo non esaustivo in appendice. Nicolas però non disdegna di intrecciare la storia della saga con quella della Lucasfilm Games / LucasArts, quindi il discorso è piuttosto organico, in crescendo e piacevole. Gli ho inviato la segnalazione di una dozzina di imprecisioni che ho notato nel testo, ma non sono così nerd da distruggere un lavoro per una ragione del genere, quindi non ve le cito nemmeno. Anzi, sul fronte delle curiosità, ho inserito già in varie schede sei-sette minime cose che non avevo notato e non conoscevo. Mi è piaciuto che abbia creato un capitolo aggiuntivo per Return to Monkey Island (sembra involontariamente una sorta di riassunto del documentario di NoClip), senza però modificare più di tanto la vecchia edizione del libro pubblicata nel 2019. Voleva che il libro testimoniasse anche lo stato d'animo pre-Return. Giusto.
Mi è dispiaciuto che mancasse ogni riferimento a Tami Borowick e Bret Barrett parlando di Monkey Island 2. Se la vostra reazione è stata ancora quella di "E chi sarebbero?", vuol dire che Nicolas è sintonizzato sui fan più di me, ma non demordo: la narrazione del "puro trio" Gilbert-Schafer-Grossman, vera per il primo Monkey ma non per il secondo, è molto diffusa. Anche per Tales of Monkey Island il ruolo di Mark Darin è stato un po' sminuito, attribuendo la direzione del progetto a Grossman e Mike Stemmle: Dave selezionò Mark e Mike come capi-progetto, cercando di fare da "supervisore / garante" generale, perché lo imbarazzava lavorare su un Monkey senza Gilbert. Deneschau, da indomito fan lucasiano, tende ogni tanto a ridimensionare la Sierra su alcune svolte epocali (supporto estensivo delle schede sonore, puntatore multifunzione), incarnando un punto di vista più europeo che universale: siccome la Sierra da noi è sempre stata meno popolare della LucasArts, capita che alcune tempistiche vengano invertite.
"I segreti di Monkey Island" non dice nulla di sostanziale che non troviate qui su Lucasdelirium, però lo dice in modo diverso. Consente lo sgancio dalla lettura digitale, per immergersi in una lettura classica e lineare, più divulgativa. Come tale, da un lato rischia di legarsi per troppo tempo a versioni dei fatti che vengono ogni tanto ritrattate dai giustamente smemorati autori (sono trascorsi trent'anni, dopotutto): correggere al volo alcune cose è più semplice con un sito internet. Dall'altro un sito è giocoforza più dispersivo e dà solo gli strumenti per la definizione di un percorso, mentre un volume propone un percorso mentale ed emotivo netto. Questo ha un valore... e il percorso di Nicolas ha una sua identità.
Segnali dagli amici
Vorrei segnalare due notizie riguardanti persone che conosco e stimo.
Se amate la musica di Michael Land e cercate un'intervista video più compatta di quella che ha concesso a Daniel Albu il mese scorso (e che ho riassunto nel passato aggiornamento), gli amici del Mangia Avventure lo hanno intervistato per un'oretta di sorridente chiacchierata. Saluto Michele Priami, Mauro Machera e Matteo Garza!
È alle battute finali il Kickstarter per l'opera seconda dei Footprints Games, cioè Pizza Spy, la loro nuova avventura grafica dopo Detective Gallo. Conoscendo i gusti di Maurizio e Francesco De Angelis, nella demo (in alpha) ho visto subito echi del dinamismo di Full Throttle, ma anche una sperimentazione piuttosto moderna negli approcci agli enigmi (con opzione diretta o furtiva). Si prendono in giro gli stereotipi dello spionaggio in chiave culinaria, perché l'eroe Ace Cook agisce per sventare... minacce gastronomiche!
Limited Run Games ci fa incrociare le dita
Se come me avete preordinato quasi un anno fa l'edizione scatolata da collezione di Return to Monkey Island da Limited Run Games, dovreste aver ricevuto la conferma della spedizione. Incrociamo le dita, perché LRG continua a non essere esente da svarioni: qualcuno ha notato che il boxato di Loom, che ha cominciato a raggiungere gli acquirenti nelle ultime settimane, presenta sull'USB drive soltanto una versione dell'avventura di Brian Moriarty, peraltro un accrocchio tra le versioni DOS Cd-Rom e FM-Towns. Qualcosa di molto lontano dalla promessa di tutte le versioni esistenti, in primis quella originale EGA impreziosita dagli originali fondali di Mark Ferrari, quella ritenuta da Moriarty il canone. Oltretutto, il lavoro di restauro del materiale cartaceo ad opera del fan Laserschwert non è stato più utilizzato (anche se non era stato esplicitamente promesso): l'interessato lo ha reso disponibile a tutti.
Ora, intendiamoci, non credo che chi compra uno scatolato del genere lo faccia per giocare: immagino voglia apprezzarne i contenuti fisici, la riproduzione della copertina, il libro miniato con gli incantesimi e via discorrendo. Io per esempio non ho comprato alcuno scatolato dei vecchi titoli da LRG, ritenendo più di valore i miei originali. A conti fatti immagino che per gli acquirenti sarà un danno relativo, però non solo rimane un tradimento del preordine, ma dimostra quanto l'idea del "preservare il passato" fosse uno specchio per le allodole. Ho discusso l'anno scorso di Limited Run Games in questa e quest'altra occasione, non vorrei ripetermi, però sono perplesso quando leggo di utenti delusi perché giudicavano la presenza di tutte le versioni un'attrattiva particolare di un'edizione del genere. No, vi prego, no, in ginocchio. Ancora, per sempre, a gran voce, ribadisco: collezionismo e preservazione non c'entrano un tubo. Per me TUTTE le edizioni di questi classici dovrebbero essere disponibili su store digitali, a basso prezzo, da sole o come extra delle remastered. Punto. Non ritengo accettabile collocare l'asticella per l'accesso legale a queste versioni su 100 dollari e più. La divulgazione e la storia sono di tutti, non dei più danarosi.
Clint Bajakian parla e non lo ferma nessuno
Devo dire che una delle ultime chiacchierate del fan Daniel Albu per il suo canale Tech Talk, quella con Clint Bajakian, parte del leggendario terzetto musicale della LucasArts insieme a Michael Land e Peter McConnell, è stata anche una delle migliori. Clint si è rivelato una straordinaria fonte di aneddoti e riflessioni inedite, diversamente da quanto accade a volte in queste circostanze. Daniel ha faticato a contenerlo, in ben quattro ore e quaranta (!!!) di conversazione. Non è stato semplice nemmeno costruire il riassunto che leggerete qui in basso, perché ho deciso di riorganizzare in ordine quasi cronologico quello che ha detto: Bajakian ha l'entusiastica tendenza a saltare da un argomento all'altro per pura associazione mentale. Godetevela, io me la sono goduta più del solito.
- I suoi genitori avevano uno Steinway degli anni Venti in salotto, del bisnonno. Cominciò così, poi da bambino imparò a suonare il flicorno baritono in una banda locale: erano gli anni Settanta, lo suonava insieme a un altro ragazzino... ed era Steve Carell, suo grande amico: sì, l'attore! Ricorda che, nel bicentenario dell'assedio di Boston del 1775, suonarono insieme per il presidente Gerald Ford in visita. Al liceo credeva di avere ormai la musica alle spalle, finché non la riscoprì suonando sulla chitarra l'immancabile Smoke on the Water dei Deep Purple. Doveva imparare a suonare la chitarra, e un compagno lì presente, tale Michael Land (!), lo spronò. L'università in arti liberali non stava andando da nessuna parte, capiva che la musica era ormai il suo destino, così comunicò ai genitori di voler mollare tutto per il conservatorio del New England. Punto. Era il 1982. Lavorò come un matto per farsi ammettere, poi si laureò dopo cinque anni invece dei canonici quattro, perché era assetato di corsi secondari, era entusiasta di tutto. Poi in Michigan prese un master in composizione. Chiuse tutto nel 1991, quando visitò Michael in California e...
- Clint cominciò a lavorare a progetto per la LucasArts nel maggio del 1991. Conosceva già Peter McConnell, perché Land era un comune amico, e si erano già incontrati nel 1980. La LucasArts fu per Bajakian il primo lavoro pagato, da musicista e compositore: la prima riunione che ricorda fu con Hal Barwood per Indiana Jones and the Fate of Atlantis... cominciava già collaborando con una persona che era un regista e conosceva Steven Spielberg! Wow! "Concepiva la narrazione in modo strutturale": per dei compositori era un approccio perfetto, si capivano.
- Divenne un dipendente lucas solo nel gennaio del 1993: fino a quel periodo stava lavorando in remoto dal Michigan (non senza le tempistiche ardue con i modem di allora). Ricorda come tornò in California, perché fu un'esperienza assurda: il tempo era così brutto, nevicava così tanto, che decise di dirigersi a ovest passando in macchina per il sud, per il Texas. Impiegò talmente tanto per arrivare, che bussò sfinito alla porta di McConnell alle 4:30 del mattino. Dello stesso mattino in cui doveva iniziare a lavorare. Si fece un whisky per riscaldarsi, andò a dormire ospite di Peter, dopodiché furono svegliati poche ore dopo da un terremoto micidiale. Immaginate le condizioni di Clint nel suo primo giorno da dipendente alla LucasArts. Era contentissimo di incontrare di nuovo tutti per restare, ma era in condizioni penose! Indimenticabile.
- Land chiamò lui e McConnell quando capì che le schede sonore avevano aperto un vero mondo musicale per i videogiochi su PC (nonostante Land avesse creato una tecnica per spremere il massimo anche dal semplice PC Speaker, che poteva emettere un suono per volta, ma che suonato con sufficiente rapidità poteva dare la sensazione di gestire più canali).
- L'approccio stilistico a Monkey Island 2: LeChuck's Revenge era relativamente semplice, perché Land aveva creato quel particolare originale sottogenere di "reggae piratesco" per il primo capitolo, si trattava di giocare con quelle regole. Nella divisione delle isole, ricorda di aver ricevuto Phatt Island (e gli pare di ricordare che McConnell coprì Booty): per ciascuno gestire la propria isola implicava una responsabilità artistica del "sapore" musicale che l'isola dovesse avere, ed era anche un buon modo per non far pesare i cambi di stile tra loro tre. L'obiettivo non era solo comporre brani come si farebbe per un film: la musica doveva essere letteralmente suonata in funzione delle idee che venivano a chi giocava. Nelle aree "hub", come l'area principale di Woodtick o il molo di Phatt Island, cercavano un suono minimalista, quasi astratto: è importante che i brani più ascoltati dal giocatore non abbiano una melodia troppo riconoscibile, perché verrebbe a noia.
- La comodità dell'iMUSE concepito da Land e McConnell si doveva al fatto che era stato programmato da musicisti per i musicisti: un approccio che Clint trovò subito naturale e che al resto del mondo dei videogiochi si sarebbe esteso solo dopo una quindicina d'anni. Si componeva sul Macintosh con il sequencer Performer della Mark of the Unicorn, interfacciato con uno script interattivo gestito dal vecchio HyperCard, necessario per generare dei "messaggi" che poi sarebbero stati interpretati dal motore del gioco. Una costruzione intelligente ma artigianale, che crashava però almeno venti volte al giorno. Si facevano le ore piccole, ma l'entusiasmo non veniva mai meno. Lui personalmente trovava la gestione morbida delle transizioni, tra una location e un'altra molto diversa, una delle più grandi sfide musicali della sua vita: lo è rimasta nei dieci anni poi trascorsi alla Sony, perché è sempre stato uno degli elementi sottovalutati. "Tutti, ma proprio tutti, ci chiedevamo sempre come si facesse un videogioco, per ogni videogioco, perché non volevi mai ripeterti".
- Si domandarono se convenisse comporre le musiche direttamente per il suono AdLib/Soundblaster OPL2/OPL3, in sintesi FM a due o quattro canali, invece che per la Roland MT-32, che era la soluzione qualitativamente migliore ma enormemente meno diffusa nelle case dei giocatori. Alla fine optarono per la massima qualità: la sintesi FM pura suonava alle loro orecchie così brutta da distrarli dalla composizione, così delegarono gli arrangiamenti AdLib/Soundblaster a Robin Goldstein, che fece un ottimo lavoro di "downgrade" e adattamento.
- A volte lui, Land e McConnell collaboravano senza soluzione di continuità, specialmente nel caso del primo progetto, che contrariamente a quanto si pensa fu appunto per due-tre mesi Indiana Jones and the Fate of Atlantis, non Monkey Island 2, anche se alla fine il primo fu posticipato al 1992 e uscì dopo. Per Day of the Tentacle per esempio la melodia principale del tema arriva da Peter, ma la colonna sonora completa dell'introduzione fu scritta da Clint, costruendola su quella melodia. Land prese il futuro, lui il passato e McConnell il presente, però riascoltando la colonna sonora di DOTT l'anno scorso si sono resi conto che i contributi di Clint sono molti di più: non era una sorpresa, perché dopo il 1993 il dipartimento audio della LucasArts era in crescita, l'iMUSE era in corso di perfezionamento, così Peter e Michael erano impegnati più di lui su altri fronti, delegandogli molti dei brani.
- Col senno di poi Clint ringrazia il cielo che il primo confronto con la musica di John Williams avvenne con gli adattamenti MIDI per Star Wars X-Wing (1993) e Star Wars TIE Fighter (1994): se in quel periodo avessero avuto la tecnologia per affrontare l'orchestra di Indiana Jones e la tomba dell'imperatore (2003), non sarebbero stati pronti. Williams è maestro nell'esaltare l'orchestra, una cosa molto sottile e difficile, che puoi gestire solo con un'esperienza più solida.
- Clint ricorda la svolta della Sound Blaster, che poteva gestire sonoro digitalizzato in hardware: il primo effetto digitale mai registrato da loro fu l'urlo di Largo LaGrande quando viene colpito dall'ago della bambola voodoo in Monkey Island 2: LeChuck's Revenge. Per la cronaca, l'urlo è di Peter, così come di Peter era il verso del Tentacolo Viola che beveva la mistura nell'intro di Day of the Tentacle. In realtà, prima di Full Throttle che lo responsabilizzò in quel senso, avevano un approccio amatoriale agli effetti sonori: la maggior parte dei rumori veniva da archivi professionali di effetti preregistrati, spesso scelti in autonomia dai programmatori come Ron Baldwin.
- Fu autore della maggior parte della colonna sonora di Sam & Max Hit the Road e la ricorda come uno degli impegni più divertenti: l'idea era amplificare il gusto kitsch di un certo jazz usato in tv tra gli anni Settanta e Ottanta, per esempio in "Le strade di San Francisco". L'assurdità del gioco poi lo autorizzò a estendere alla musica l'autoironia, l'enfasi del pacchiano, l'esagerazione che erano gli elementi fondamentali dello humor lucasiano nelle avventure, quella stessa atmosfera che si respirava alla LucasArts ogni giorno, con i colleghi e amici. La goliardìa la faceva da padrone, portandoli persino una volta a trasformare un open space provvisorio in un campo da hockey! Certo c'erano scadenze da rispettare, ma secondo Clint a volte i responsabili di produzione mettevano loro una fretta ingiustificata, millantando date d'uscita che nessun altro reparto al lavoro su un titolo avrebbe potuto rispettare. Questa cultura allegra era così importante che, a mano a mano che il dipartimento audio cresceva, la personalità degli assunti era giudicata da loro tre più importante della massima competenza sonora o musicale.
- Il passaggio dalla sintesi all'audio digitale registrato, sempre più gettonato dopo l'arrivo dello spazio garantito dal cd-rom, per lui fu epocale prima che per i colleghi: gli venne affidato il ruolo di sound designer del terzetto, dovendo di fatto impararlo da zero. Fortunatamente, la LucasArts era una costola della Lucasfilm, quindi leggende come Ben Burtt e Gary Rydstrom erano a portata di mano. Imitare il loro talento, traducendolo nei giochi di Star Wars, costruendo su quei rumori così iconici e creativi, fu una sfida. Per lui il sound design è un' "arte concettuale" non meno della musica, bisogna pensare per struttura, studiare: ricorda quando Rydstrom fece portare diversi rettili allo Skywalker Ranch, per registrarne i versi, lavorando su Jurassic Park. Solo pranzare con Rydstrom era per loro una masterclass, sentendolo parlare del suo lavoro. Si poteva applicare quella forma mentis così raffinata al mondo dei videogiochi, ancora in fasce se paragonato al cinema?
- Il momento in cui capirono davvero come funzionava lo stile di Williams alla LucasArts fu lavorando su Star Wars Rebel Assault (1993): c'era lo streaming di audio digitale dal cd-rom, ma non avevano sintetizzatori all'altezza del compito, così presero direttamente in licenza le musiche vere e proprie dei film. Rimontandole, separando tracce e strumenti, impararono nei minimi dettagli come la musica di Williams fosse "gestuale", seguisse ogni azione, anche la più breve. Oltretutto, lavorando sull'audio di Rebel Assault, capì una grande verità: c'è il momento in cui devi ammettere che il caso può aiutare. Vince Lee, il capo-progetto, aveva registrato il tema di Star Wars nel modo più rozzo, inserendo un'uscita per le cuffie nella LINE IN di una scheda audio: i livelli audio erano distorti, così Clint, dopo che il prototipo del gioco fu approvato dalla dirigenza, si offrì di ri-registrarlo in modo più professionale e decente. In poche parole, non riuscì a replicare la particolare "esplosione" di suono ottenuta con quella registrazione sulla carta "fatta male". Sventolò bandiera bianca: "Vince, sai che c'è? Teniamo la tua!"
- Chicca ulteriore: la voce di Darth Vader nella versione originale di Rebel Assault è proprio di Clint, lavorata con le dritte avute da Rydstrom! Clint la sa imitare benissimo, andate al timecode 2:21:00! Fu così bravo che Howard Roffman del dipartimento marketing della Lucasfilm gli chiese poi di registrare un monologo di Vader per un evento. Howard gli raccontò che George Lucas, dopo averlo ascoltato, ignorando che si trattasse di Bajakian, si lamentò: "Ma quanto abbiamo pagato James Earl Jones per questa cosa?!?" Clint ci prese gusto e nei giochi di Star Wars si spinse a interpretare Jabba e anche ruoli secondari: siccome la LucasArts doveva lavorare solo con attori e attrici iscritti al sindacato SAG-Aftra, in quanto parte della Lucasfilm, la direttrice del doppiaggio Tamlynn Barra lo spinse a iscriversi al sindacato. Non se n'è mai pentito, perché ottenne una paga extra seguendo regole ferree!
- Perché Michael, Peter e Clint andavano così d'accordo? Perché conoscevano l'uno lo stile dell'altro così bene, che l'assegnazione dei brani era sempre a colpo sicuro, seguendo le sensibilità e le preferenze dei singoli. Accadde anche quando cominciarono a dividersi i progetti: bastarono pochi minuti per capire che il jazz/swing di Grim Fandango era materia di Peter, che l'imitazione di Ennio Morricone in Outlaws era terreno di caccia di Clint, e che la sperimentazione visionaria di The Dig calzava per esempio come un guanto al gusto e alla ricerca di Michael.
- Tra il 1994 e il 1995 i tre compositori decisero appunto di dividersi i progetti nettamente: Peter incontrò Tim Schafer con Full Throttle e scoccò la scintilla creativa ("Tim si appoggia a Peter come Steven Spielberg si appoggia a John Williams"). A Michael andò The Dig. Lui lavorò come un mulo, perché riarrangiò in MIDI e iMUSE le musiche di Williams per Star Wars Dark Forces (1995), occupandosi allo stesso tempo del sound design di tutti e tre i titoli! Proprio durante il lavoro su Full Throttle ebbe un'epifania: lo streaming audio digitale, finalmente disponibile, avvicinava il suo lavoro a quello di Rydstrom della Skywalker Sound. Gary gli aveva raccontato che negli Star Wars, per enfatizzare il suono delle esplosioni delle astronavi, lo mixarono in modo subliminale col rumore del legno che si spezzava. Clint allora, per rendere più significativo l'avviamento della moto di Ben, registrò di persona un chopper, poi lo mixò con il ruggito di un leone! Sentì le potenzialità creative liberarsi, non si fermo più: nel finale, quando Ripburger vuole la testa di Ben, inserì una grattata di marcia per sottolinearne la rabbia e la decisione, senza che nessuno gliel'avesse chiesto. Era nato il vero sound design creativo nei videogiochi.
Michael aveva regolato la sfida musicale ad alti livelli per The Dig, così s'impegnò per incontrarlo col suono: rumore del vento mixato con sussurri, suoni di torce ad acetilene lavorati col riverbero per i jetpack, mix di suoni di repertorio con la sua stessa voce o con effetti sintetizzati ad hoc... una costante comunicazione subconscia con chi giocava. - Outlaws (1997) fu un'esperienza pazzesca. Studiò tutte le colonne sonore di Ennio Morricone, rimanendo affascinato dal suo eclettismo ("Musica orchestrale classica e all'improvviso strumenti folk: cosa c'entra quel banjo? Cosa c'entra quello scacciapensieri?"). Gli comunicarono che la musica sarebbe stata riprodotta da normali tracce audio e presto Bajakian realizzò: "In pratica dovevo fare un album! Ma se l'avessi fatto con i sintetizzatori in MIDI avrebbe fatto schifo". A quel punto la decisione. Esecuzione live, produzione musicale completa, concepimento per un ascolto classico mai sperimentato da lui prima alla LucasArts: pezzi che cominciavano e finivano linearmente. Si prospettò un lavoro mastodontico, che sarebbe stato impossibile senza la collaborazione del produttore musicale Hans Christian Reumschuessel, che organizzò le registrazioni e suonò di persona il violoncello. Clint coprì le chitarre, le fischiettate e i cori, coinvolgendo per le voci Peter e Michael (per risparmiare qualcosa!). Per il resto, era necessario trovare e assumere musicisti di livello. Tuttora Bajakian considera la colonna sonora di Outlaws la migliore che abbia mai fatto e quella che gli è più cara: ricevette il compito poco dopo che suo padre morì in un incidente, ci mise tutto se stesso e sperimentò una libertà creativa senza precedenti. Per la traccia del "Fuorilegge Sanchez" accettò l'ispirazione di uno dei programmatori, Mark Crowley, una melodia che aveva improvvisato con la chitarra. Nella stessa traccia, il flamenco prende vita letteralmente, perché coinvolsero una ballerina apposta per registrarne i passi sul legno, nel finale! Riceve ancora complimenti per quei pezzi, e tutto questo contribuisce a rendere quel lavoro per lui inarrivabile, indipendentemente dalle soddisfazioni incontrate dopo nella sua carriera. Brano preferito? "Anna's Theme".
- The Curse of Monkey Island, oltre a cementare il suo rapporto con il "discepolo" Julian Kwasneski (cogestore poi della mitica Bay Area Sound, ndDiduz) pose un problema peculiare: il sonoro d'ambiente sul quale lavorarono loro andava per forza mixato con le musiche di Land, perché c'era un limite agli streaming audio paralleli che potevano essere riprodotti allo stesso momento. Questo obbligò lui e Julian a lavorare a stretto contatto con Michael per armonizzarli. Per il resto, ci fu la soddisfazione di poter applicare al "vecchio" mondo di Monkey Island tutto ciò che avevano imparato negli ultimi anni, la loro compiuta identità di sound designer.
- Per Grim Fandango, ormai da responsabile del reparto sound design, si assegnò il noioso processing delle voci (echi e affini): un compito meccanico e ripetitivo, però voleva fare in modo da liberare la creatività degli altri, e pensa tuttora che un "capo" debba venire incontro a chi dipende da lui anche da questo punto di vista.
- Hal Barwood gli fece capire chiaramente che non voleva una colonna sonora continua per Indiana Jones e la macchina infernale (1999), solo parentesi brevi. Nessun problema per lui, anzi: ogni breve brano divenne un'istantanea di un momento del gioco, un bell'esercizio. Anche se le musiche furono realizzate con sintetizzatori, a quel punto la qualità dei campionamenti era già migliorata moltissimo.
- La storia delle musiche di Fuga da Monkey Island (2000) è particolare: in origine si sarebbe dovuto riformare il terzetto storico Land-McConnell-Bajakian, con Michael in qualità di compositore supervisore. Clint si rese però conto che continuava pericolosamente a procrastinare l'inizio dei lavori, c'era qualcosa di strano. Peter e Michael un giorno gli comunicarono che: 1) Lasciavano la LucasArts per creare una start-up; 2) Lui sarebbe diventato il capo del dipartimento audio; 3) Lui sarebbe stato il compositore responsabile di Fuga. Non la prese benissimo, non aveva alcuna voglia di diventare un manager. Resistette pochi giorni prima di rassegnare anche lui le dimissioni, decidendo di fondare la C.B. Productions (poi Bay Area Sound) e di gestire Monkey 4 come primo lavoro da autonomo, mettendo sotto contratto Peter e Michael (oltre che il quasi omonimo Michael Lande e Anna Karney, ndDiduz).
- La macchina infernale, lo realizzò dopo, era stato un primo passo propedeutico per affrontare il maggiore impegno di Indiana Jones e la tomba dell'imperatore (2003), che fu assegnato alla sua azienda: voleva assolutamente che un'orchestra completa eseguisse la colonna sonora, per sposare finalmente in toto l'anima vera di John Williams, ma in teoria non ci sarebbe stato budget sufficiente per consentirlo. Pagò le esecuzioni con una buona parte della sua paga per il progetto: fu un sacrificio pericoloso sul piano economico, perché ormai era indipendente e aveva bisogno dei soldi, ma voleva scommettere sul farsi un nome al di là dell'atmosfera protettiva della LucasArts. Funzionò, perché quell'anno le musiche della Tomba dell'imperatore vinsero diversi riconoscimenti. Fu però pragmatico: per non rimanere del tutto al verde, assegnò all'orchestra solo i pezzi delle sequenze d'azione (oltre che una manciata di scene fondamentali). Si era infatti reso conto che i brani più lenti e d'atmosfera erano gestibili coi sintetizzatori, ma quelli più veloci suonavano troppo meccanici senza l'esecuzione di veri strumentisti.
- Che lavoro ha svolto esattamente nel 2015 sul Grim Fandango Remastered della Double Fine? Per ragioni di budget, McConnell aveva intenzione di far eseguire a un'orchestra solo alcuni brani selezionati ai quali teneva di più, ma gli dispiaceva lasciare tutto il resto della musica con la qualità dei campionamenti dei sintetizzatori del 1998. Chiese allora a Clint di aiutarlo a "ripassare" i MIDI originali in sintetizzatori contemporanei, scegliendo i sample migliori, per migliorarne la resa. Il lavoro è stato svolto nei nuovi studi di Bajakian, i Pyramind, dove insegna anche come docente.
- Riguardo alle due ultime rimpatriate del terzetto, col livello dello Psicoré di Psychonauts 2 e Return to Monkey Island. La prima è stato un omaggio di Peter alla loro comune passione per il rock psichedelico di fine anni Sessanta: la divertentissima sessione allo Skywalker Ranch ha visto anche una dose di improvvisazione totale. Era invece in macchina quando ha ricevuto, ancora da Peter, l'assurda notizia che Ron Gilbert e Dave Grossman stavano per avviare un nuovo Monkey Island e volevano "rimettere insieme la banda", volevano loro tre alle musiche: era uno scherzo? Per Return hanno lasciato la direzione artistica a Michael, come sembrava loro giusto, ma la produzione musicale è stata tutta a cura di McConnell, e non è stata facile: volevano registrare strumentazione live nel periodo a cavallo del Covid, con un budget limitato. Tenevano in particolar modo a legni e percussioni dal vivo, per il resto si sono affidati ai sintetizzatori (anche se Clint non ha resistito a sostituire la chitarra sintetizzata con la sua, almeno nei brani di sua competenza!). Gli piacerebbe moltissimo comporre per un altro Monkey Island.
- Colonna sonora del passato che gli piacerebbe registrare dal vero? Quella di Day of the Tentacle: metterebbe su un'orchestra di massimo quindici elementi, come quelle che lavoravano per i cartoon storici degli anni Quaranta, tipo Disney, Warner e simili. Sarebbe divertente.
- Cos'è cambiato nel mondo dei videogiochi dagli anni Novanta a oggi, riguardo al suo ruolo di compositore e sound designer? Il riconoscimento del loro lavoro. Gli capitava all'epoca di leggere recensioni e di non trovare riferimenti all'aspetto sonoro dei titoli sui quali lavoravano: "Secondo me ai redattori glielo proibivano proprio, dev'essere così!" Ora è tutto cambiato in meglio, i giocatori per primi riconoscono l'importanza della musica, conoscono i nomi dei compositori, come Austin Wintory per Journey, un titolo spartiacque per Bajakian, perché ha messo in primo piano l'importanza della colonna sonora nell'esperienza generale.
- Per lui è stata epocale la colonna sonora di Medal of Honor (1999), a cura di Michael Giacchino: l'Electronic Arts capì che spendere soldi sull'esecuzione di una vera orchestra aumentava il valore del gioco e la sua qualità percepita. Oggi non è così difficile che per l'audio di un tripla-A ci sia un budget sui 2 milioni di dollari. E le importantissime transizioni sono gestite da middleware come FMOD e Wwise. La tecnologia si è stabilizzata, però si è alzata la posta sulla sua implementazione, che diventa atto creativo più che mai: se davvero in Overwatch ascoltassi allo stesso tempo TUTTO l'audio che può essere generato dalle situazioni di gameplay, sarebbe un caos cacofonico. Musica ed effetti vengono ora armonizzati seguendo una logica strutturale, artistica, che la moderna figura del "tech sound designer" garantisce.
- Cosa sta facendo in questo periodo? Sta componendo per un gioco indie umoristico gestionale, intitolato Ale Abbey, dove bisogna gestire la produzione di birra in un'abazzia medioevale: sta cercando di creare musica che plausibilmente si sarebbe potuta suonare in quell'epoca (le musiche sono sintetizzate, con piccoli inserti live). Allo stesso tempo crea l'audio per le applicazioni di Penumbra, destinate alla riabilitazione di diverse patologie. Oggigiorno trascorre metà dell'anno in Turchia, dove con sua moglie ha una casa, e l'altra metà a San Francisco. Non disdegna nemmeno l'Europa (colpo di scena: parte della colonna sonora di Return è stata composta da lui a Roma, dalle parti della Fontana di Trevi!).
Gran finale con questi bellissimi dietro le quinte di Clint, vero?
Alla prossima gente!
Ciao,
Dom
28-1-2024
Anno nuovo vita nuova? Dopo le illusioni natalizie vi siete già scontrati con l'attuazione dei buoni propositi, tipo chiamare l'idraulico per aggiustare un rubinetto mezzo rotto? Gennaio è sempre in salita, però negli ultimi dieci giorni l'aggiornamento di Lucasdelirium ha ricevuto un notevole incentivo emotivo grazie a una presentazione ufficiale che attendevamo da tre anni ormai. Signore e signori, il prof. Jones sta finalmente tornando sui nostri monitor!
Il doveroso ritorno dell'Indiana Jones videoludico
nell'Antico Cerchio
Sì, dannazione, finalmente! Tre anni fa ci fu annunciato con un teaser, ma il 18 gennaio è stato ufficialmente presentato Indiana Jones e l'Antico Cerchio (Indiana Jones and the Great Circle), il videogioco ideato da Todd Howard, sviluppato dagli svedesi MachineGames e pubblicato dalla Bethesda, naturalmente su licenza della Lucasfilm Games. Ci sono di mezzo i soldi della Microsoft, ergo la prima doccia fredda ha riguardato il numero ristretto di piattaforme sulle quali uscirà, più avanti già nel 2024: Windows e Xbox Series X/S, naturalmente anche per gli abbonati al Game Pass. Più che agli utenti Linux, che sono sicuro troveranno acrobatiche maniere per ovviare all'assenza di una versione nativa, pesa a tutti come un macigno (rotolante) l'assenza di un'incarnazione Playstation 5, o di un'altra magari per la prossima Switch. Peccato: da fan del personaggio, da fan che reputa questo un momento importante, avrei preferito un abbraccio e non un'esclusiva. Indy e la Playstation non si sono mai capiti: La macchina infernale fu cancellato su PSOne, La tomba dell'imperatore nacque sulla prima Xbox e aveva problemi su PS2, mentre proprio a quest'ultima console fu riservata la versione depotenziata del (già depotenziato) Bastone dei re, concentrato sull'interazione della Wii. Si vede che è proprio destino.
Ci siamo tolti il dente, vediamo cosa ci aspetta, perché dopo tre anni la nebbia finalmente si è alzata!
- Che tipo di gioco è L'antico cerchio? I social e i motori di ricerca si sono impennati con una polemica ruotante sul dilemma: un titolo in prima persona per Indiana Jones? Come hanno osato? In effetti il prof. Jones è un personaggio così iconico da attirare tutti i riflettori, un mattatore che a chi gioca piace ammirare in azione. Ricordo che Hal Barwood, per me il papà videoludico di Indy, quando fu il momento di passare al 3D con La macchina infernale, escluse l'uso del Jedi Engine dell'FPS Star Wars Jedi Knight così com'era senza modifiche, proprio perché riteneva giusto che il protagonista si vedesse. Capisco il ragionamento di Hal e di tutti quelli che hanno storto il naso di fronte alla scelta, però... vi è mai capitato di avere bisogno di un ricambio d'aria dalla consuetudine, per respirare curiosità?
La prima cosa che ho pensato alla conferma del (già trapelato) gameplay in prima persona è stata: andiamo incontro a un gioco diverso dalla norma jonesiana degli ultimi vent'anni. So bene che nella descrizione alla quale abbiamo assistito si è parlato di elementi comuni anche a Macchina infernale e Tomba dell'imperatore (anzi, la scena delle mitragliate aeree sembra la versione moderna tripla A di un livello di quest'ultimo), però rimane il fatto che una prima persona deve per forza di cose influenzare l'interazione: in questo caso, per la prima volta in due decenni, prevedo una componente platform assai ridotta se non azzerata. E non è poco.
Una volta che mi si promettono enigmi (anche facoltativi), esplorazione e scontri ragionati anche stealth e addirittura foto da scattare... sento che il DNA del personaggio rimane. E per quanto riguarda il carisma iconico, i Machinegames hanno fatto in modo di staccare sulla terza persona cinematograficamente, quando vedere Indiana ha più senso e ha più impatto. Potrebbe bastare. Non credo che la soggettiva sia l'unico modo di "farci essere Indiana Jones", come ci viene venduta quest'esperienza, perché La macchina infernale mi dava comunque quella sensazione, lì dove Fate of Atlantis ci faceva più invece vivere una storia. Però in un sol colpo questa prima persona dà un'identità ludica particolare al Cerchio, e lo distanzia dagli Uncharted che hanno ereditato l'atmosfera del marchio: non so se questa mossa funzionerà, però di certo campata in aria non è. Non credo all'idea che sia in prima solo perché i Machinegames hanno un'esperienza su fps, focalizzata tecnicamente su quella visuale: certo conta anche questo, però l'idea non è partita da loro, per cui da Howard vedo più un pensare fuori dagli schemi che una forzatura. Con il massimo rispetto per Barwood, sono curioso. - Di cosa parla L'antico cerchio? Ecco, qui sarei più disposto ad ascoltare le lamentele di Hal su un franchise che si è incantato come un disco: per Barwood bisognava liberarsi dei nazisti (come fece lui con La macchina infernale, scegliendo l'Armata Rossa come antagonista), cercare nuove atmosfere, "spostare" il personaggio dai suoi luoghi comuni. Tra l'ultimo film Il quadrante del destino e questo gioco, Indy sta un po' tirando i remi in barca e sembra un po' parlarsi addosso. Queste sono mie pure impressioni, ragiono a partire da una presentazione di un quarto d'ora, non sto giocando, e di certo i risvolti più interessanti della trama non ce li spoilerano adesso. La premessa vede nel 1937 un Indiana post-Predatori un po' irrequieto (rimproverato da Marcus, forse per aver lasciato Marion?), stimolato a risolvere un mistero: un intruso nel museo dell'università ruba un oggetto apparentemente insignificante. Incrociando la sua strada con la giovane italiana Gina Lombardi, che ha un interesse personale verso l'intrigo, Indy attraverserà Stanze Vaticane, Egitto, templi di Sukhothai e vette dell'Himalaya. In un'obbligatoria corsa contro il tempo, impersonato dall'elegante nazista Emmerich Voss. La rarefazione dei videogiochi dedicati a Indiana, e in generale delle opere (cinema e tv compresi), sta portando la saga a essere più autocelebrativa e autoreferenziale. È un po' un peccato secondo me, ma proprio per questo è sempre importante ripartire con un lavoro solido: se lo sarà, nulla vieterà in futuro di recuperare magari un'aura esotica stile Tempio maledetto. Riguardo al tema della vicenda, l' "antico cerchio" del titolo sarebbe il "cerchio massimo", un concetto geometrico che però, applicato alla Terra, ha portato nei secoli a ipotizzare una connessione ideale (e magica) tra monumenti collocati lungo il suo tracciato.
- Come ci appare L'antico cerchio? Tecnicamente si tratta del primo videogioco current gen di Indy da 21 anni a questa parte, questo è certo. Il bastone dei re del 2009 fu un avanzo per Wii-PS2-PSP-DS di una cancellata versione "ammiraglia" per Xbox 360 / PS3, con il porting Wii riconfezionato dal marketing come centrale, in extremis e per non buttare via tutto. Di fatto quindi l'ultimo gioco competitivo con la concorrenza ad alto budget, dal punto di vista audiovisivo, è stato La tomba dell'imperatore dei Collective... e uscì nel 2003!!! Mamma mia. Vent'anni per il mondo dei videogiochi pesano di più che negli altri media. Questo nuovo Indy gira con la settima, ultima versione del mitico id Tech della Id Software, ormai di proprietà di Bethesda: chi gioca da più di trent'anni potrebbe trovare commovente l'idea che il prof. Jones torni con l'evoluzione di quel motore che nel 1993 rivoluzionò l'ambiente in Doom. I Machinegames hanno già usato l'id Tech 5 e 6 per i loro Wolfenstein negli ultimi dieci anni, perciò immagino ci sguazzino senza problemi.
Il dettaglio sembra garantito, però devo dire che i modelli dei personaggi mi hanno lasciato un po' freddo: rispetto alla naturalezza della figura umana che ho apprezzato nel remake di The Last of Us e anche nell'ormai non di primo pelo Detroit della Quantic Dream, sento un certo rimasuglio di rigidità. Il fotorealismo poi rischia sempre l'uncanny valley quando usi l'aspetto di attori reali. Questa è la prima volta che Harrison Ford ha acconsentito all'uso delle sue inequivocabili sembianze per tutto il gioco (cicatrice sul mento compresa!): la cosa ha risvolti simbolici non da poco, perché un attore continuerà a vivere sotto forma di videogioco, e credo sia un'incarnazione della tecnologia più romantica dell'AI. Il rovescio della medaglia è che ogni minima differenza con l'Harrison reale mi pesa e mi distrae. Il protagonista gli assomiglia tantissimo, ma per quel poco che non ci riesce mi disturba leggermente. Forse la prima persona mi farà appiedare con più dolcezza? - Sul fronte audio, parliamo di un tripla-A targato Bethesda e Microsoft, quindi ci sono musiche eseguite da una vera orchestra e composte da Gordy Haab, già allenato a canalizzare il suo John Williams interiore con Star Wars Jedi Fallen Order e Star Wars Jedi Survivor. Il doppiaggio originale punta in alto con una vera star: i più conosceranno Troy Baker perché ha doppiato e interpretato in performance capture Joel in The Last of Us, però qui su Lucasdelirium l'abbiamo incontrato con gli assai diversi Rhys di Tales from the Borderlands e Bruce Wayne nei Batman della Telltale. Ora potrà mettere in curriculum anche l'imitazione di Harrison Ford! In italiano pare lo sostituisca Alessandro D'Errico. Gina è invece la nostra Alessandra Mastronardi: non sono sicuro che lo sia anche nella versione italiana, ma lo è proprio in originale, persino graficamente! L'attrice, che si è allontanata già da un po' di tempo dalla Garbatella dei Cesaroni, è apparsa al fianco di Nicolas Cage in Il talento di Mr.C e il suo ingaggio conferma una tendenza recente dell'audiovisivo americano: in ruoli caratterizzati con una precisa nazionalità, si preferisce scritturare attori o attrici davvero del posto, preferendo accenti naturali e un'identità culturale non simulata. Stesso discorso vale infatti per il tedesco Marios Gavrilis (Voss), sostituito qui da noi da Maurizio Merluzzo.
- Un gioco così è la pietra tombale sull'Indiana Jones delle avventure grafiche? Direi di no, più che altro perché la pietra tombale su quella versione di Indy è stata posta un quarto di secolo fa! Al limite per la Lucasfilm Games si sarebbe trattato al contrario di riesumare quella tradizione. Con un marchio così importante è però difficile che si scelga una strada indie, l'unica che possa giustificare il genere del punta & clicca oggi, com'è successo per Return to Monkey Island. Indiana Jones è una proprietà intellettuale assai più corposa del nostro Guybrush, ed è normale che si provi almeno a farlo giocare nell'arena dei grandi numeri, anche se i suoi non saranno mai grandi come quelli del fratello maggiore Star Wars. Detto questo, mi rivolgo a chi come me non smetterà mai di amare Indiana Jones and the Fate of Atlantis: la premessa del Cerchio, dove un oggetto apparentemente insignificante affiora nell'università-museo di Indy, mi ha subito riportato alla mente l'incontro con Klaus Kerner / Mr. Smith all'inizio di Fate. E mi sembra che Marcus mancasse all'appello dei videogiochi proprio da allora. Per quanto riguarda la giocabilità, ho poi pensato che la componente stealth, assente in tutti i giochi in 3D del prof. Jones, era stata introdotta e utilizzata, seppur in modo elementare, proprio in Indiana Jones and the Last Crusade - The Graphic Adventure e Atlantis. Penso ci aiuterà pensare in funzione del personaggio e non del genere videoludico scelto nel corso degli anni per proporcelo: non a caso gli autori di quei punta & clicca "piegarono" per lui la loro forma mentis, introducendo le sequenze action e la possibilità di morire.
E comunque: Indy dei videogiochi sta tornando! Se non vogliamo gioire, almeno sorridiamo!
Michael Land racconta la sua musica a Daniel Albu
Mancava ancora una come sempre corposa conversazione (quasi tre ore!) del fan Daniel Albu con il mitico Michael Land, compositore del leggendario tema di Monkey Island e non solo. Come nacquero quei pezzi storici e l'engine iMUSE? Quale colonna sonora sente più sua? Riassumo la lunga chiacchierata.
- Il suo primo impatto con la musica risale al regalo di una pianola elettronica quando non aveva nemmeno cinque anni. I suoi primi ricordi musicali sono legati a sua madre che col pianoforte eseguiva una Marcia Funebre di Chopin. Frequentò lezioni di piano anche lui, dai 5 ai 12 anni, ma paradossalmente iniziò a suonarlo con convinzione solo quando smise di seguirle.
- Durante un campo estivo però fu folgorato da una band di ragazzi più grandi, e in particolare dal suono del basso elettrico. A 13-14 anni decise che sarebbe stato il suo strumento d'elezione e vi si dedicò anima e corpo, fan dei Grateful Dead. Poi fu la volta della musica elettronica, all'epoca ancora analogica, passione per lui sbocciata durante la frequentazione del Mills College, mecca per gli interessati. Non ritiene però che lì si facesse propriamente "musica": "Più era difficile da ascoltare, più era d'avanguardia!", scherza. Voleva qualcosa di più controllabile, quindi imparò anche l'informatica costruendo un sintetizzatore. Da lì arrivò il lavoro alla Lexicon in Massachusetts, però presto sentì la nostalgia della California.
- Lavorare a distanza da consulente con la Lexicon non era proponibile, così spronato da sua madre cercò sul giornale annunci di lavoro: alla Lucasfilm Games avevano bisogno di qualcuno che s'intendesse di musica, suono e programmazione su processori x86. "Sono io questo!" Si presentò, fece diversi colloqui, tra cui quelli con David Fox e Noah Falstein: siccome fino a quel momento Dave Warhol si era occupato di musiche, sound design basico e codice dei driver audio, ma stava per interrompere la sua collaborazione, cercavano chi lo rimpiazzasse. A disposizione!
- Unico problema era il suo demo tape: conteneva composizioni sperimentali, in linea con la sua ricerca in quegli ultimi anni, però non mostrava una persona in grado di creare accompagnamenti più canonici, in stile musiche "da film". Falstein gli chiese se fosse in grado di creare una sorta di marcia nazista, qualcosa di più tradizionale. Era un test e lo eseguì a grande velocità: divenne il tema di Secret Weapons of the Luftwaffe! Col senno di poi, secondo Land per una marcia c'erano un po' troppi dei suoi adorati cambi di chiave, ma non fa niente: era la primavera del 1990 e Michael entrò in squadra. Il suo primo ufficio era in edificio distante dello Skywalker Ranch, vicino a un ruscello, "Incredibilmente idilliaco".
- Il suo primo lavoro da dipendente fu proprio The Secret of Monkey Island, a partire dal mitico tema musicale! "In pratica partii dalla cima, dopo potevo solo scendere!" [ma non è vero Michael, dai! ndDiduz]. Per quel gioco usò i driver audio scritti da Warhol: si componeva con la Roland MT-32, per poi ricavarne un downgrade per l'AdLib e una difficilissima versione per il PC Speaker, una vera sfida date le sue capacità sonore ridottissime. I contributi della Earwax Productions consistettero nel tema dello SCUMM Bar (di Barney Jones), il pezzo per organo nella chiesa (Andy Newell) e i temi dei Fettuccini e della Voodoo Lady (Jones e Newell insieme). Patrick Mundy, come abbiamo saputo di recente, scrisse i pezzi per le mappe di Melee e Monkey, con un piccolo contributo di Land. Il tema musicale di Monkey nacque a casa di Michael e non alla Lucasfilm, mentre smanettava per diletto con un DX7 e ricordava un'esperienza passata da tastierista per un'esibizione della band di Josiah Teddy Kinlock, ex collaboratore di Bob Marley. Riecheggiandola, si rese conto che la sua improvvisazione in quel momento era "davvero figa", "perfetta per quel gioco di pirati lì". Ne presentò a Ron Gilbert una versione abbozzata, fu approvata, e da lì trascorse due settimane sull'MT-32 per rifinirla e trovare un modo di chiudere il brano. Un mito nato in un quarto d'ora, in poche parole!
- "La creatività alla Lucasfilm Games non dovevi giustificarla, era parte della strategia aziendale. Se l'aspettavano." Questo creava un'atmosfera tanto rilassata, da generare situazioni che oggi lasciano a bocca aperta, come la genesi del tema di LeChuck. Michael era allo Skywalker Ranch, sapeva di dover comporre un tema per l'antagonista di Monkey Island, ma prima di mettersi al lavoro si disse: "Okay, ma prima vado a pisciare". Avete già indovinato: il tema gli arrivò in testa all'improvviso, davanti all'orinale!
- L'iMUSE nacque da una necessità: fino a quel momento la musica nelle avventure lucas era gestita solo tramite quattro comandi, cioè "start", "stop", "dissolvenza", "loop". Decisamente non all'altezza della ricchezza narrativa che Michael percepiva in quei giochi, perciò pensò che nuovi driver e un nuovo engine musicale potessero fornire "orizzontalità" (variazioni continue al cambio di location) e "verticalità" (più strati di sonorità a seconda di ciò che accadeva nel gioco). Nel gennaio 1991 realizzò che non sarebbe mai riuscito a finire l'ambiente iMUSE in tempo per Monkey Island 2, men che mai a comporne da solo anche l'intera colonna sonora, così coinvolse il compagno di college nonché collega alla Lexicon Peter McConnell, come lui programmatore oltre che compositore. Peter creò l'interfaccia per gestire l'iMUSE, battezzata "Cotton fioc" (Q-Tip) in onore della Earwax ("cerume"), mentre lui programmò l'engine vero e proprio. Anche così però la data d'uscita dell'autunno si avvicinava troppo velocemente, così fu necessario recuperare pure il compagno di liceo Clint Bajakian, col quale tutti e due avevano suonato, e coinvolgerlo nel lavoro matto e disperatissimo. L'iMUSE prevedeva che fossero i programmatori del gioco a interfacciarsi con i brani MIDI, che contenevano punti diversi di entrata e uscita (fino a 150 per la sola cittadina di Woodtick!) e l'opzione di disattivare alcune melodie. Il sistema era ancora in rodaggio e basilare, con messaggi diretti da mandare al processo di codifica dei MIDI, così Michael e Peter spesso studiavano le singole scene coi programmatori. Fortunatamente la RAM non era un problema, perché su PC i file midi erano già molto compatti.
- Questo botta e risposta fu così estenuante, per loro e per i programmatori, che per i giochi successivi Michael e Peter idearono un layer intermedio tra l'iMUSE e gli engine dei giochi veri e propri, come lo SCUMM. Questo layer poteva essere più facilmente gestito dai programmatori stessi senza conoscere i dettagli musicali, seguendo una logica basilare di stati (cose che potevano ripetersi all'infinito) e sequenze (cose che avevano una durata definita, emergendo e poi scomparendo nuovamente negli "stati"). Engine come l'odierno FMOD funzionano seguendo gli stessi principi.
- Il paradosso è che, di questa poetica crociata per la soppressione del silenzio nei videogiochi, non tutti i giocatori colsero la portata: già dall'incontro iniziale con Largo si nota che ci sono due brani, uno si colloca sull'altro quando l'aggressione entra nel vivo. Si accorse che molti giocatori non facevano una piega: un lavoraccio e non lo notavano! Ma tutto sommato era un buon segno: se i giocatori non notavano quel complicatissimo sistema musicale, vuol dire che l'integrazione era riuscita in modo così organico da servire al meglio l'esperienza.
- La divisione del lavoro per Monkey 2 fu grossomodo legata alle isole, come hanno sempre fatto con la saga o con altri titoli in generale (ragionando per aree): ciò detto, chi di loro era responsabile di un'isola, "ospitava" il contributo degli altri se una determinata situazione si adattava meglio allo stile compositivo dell'amico. I due brani che compongono la scena di Largo per esempio furono scritti uno da lui e l'altro da Peter, sposandosi bene. Onestamente, dopo trent'anni, a volte non ricorda proprio chi compose cosa: la loro era un'armonia perfetta.
- Perché la Lucasfilm addirittura brevettò l'iMUSE? Perché poco tempo prima, dopo aver creato il morphing, l'Industrial Light & Magic lo vide usato ovunque: da allora fu deciso che ogni innovazione tecnica all'interno dei dipartimenti Lucasfilm sarebbe stata brevettata.
- Come mai alla riedizione in cd di Monkey Island 1 del 1992 non si applicò l'iMUSE di Monkey 2? Sarebbe stato un lavoro improbo, perché il primo capitolo era costruito sui vecchi driver audio elementari, sarebbe stato necessario riprogrammarlo quasi da zero, oltre che comporre un'altra montagna di brani: investimento ingiustificato per quello che era di fatto un porting. Fu deciso allora di puntare sull'audio dalle tracce cd, arricchendo le location senza musica con sonoro d'ambiente. Quale sintetizzatore fu usato per le tracce audio? Ascoltando, Land esclude che si tratti dell'MT-32, ricorda poi che passarono i brani all'Earwax Productions, che li lavorò nei suoi sintetizzatori, aggiungendo anche qualche variante gustosa al tema di LeChuck.
- A partire da Indiana Jones and the Fate of Atlantis, siccome era diventato responsabile del dipartimento audio, i suoi colleghi composero almeno "due volte" più di lui, quindi fece piuttosto poco sui titoli successivi. Per Indy 4 ricorda il pezzo delle Azzorre e la "Lava Room". Comunque non ritiene che imitare John Williams fosse stato particolarmente difficile in quel caso, perché a suo dire circa il 10% della colonna sonora di Fate of Atlantis era debitrice del suo tocco, per il resto si erano dati molta libertà. Diverso fu il caso della difficilissima colonna sonora di Star Wars X-Wing, dove con Bajakian riarrangiarono in MIDI e letteralmente scorporarono le partiture di Williams per adattarle all'iMUSE, studiando decine e decine di varianti per le situazioni possibili nei combattimenti. Faticosissimo e - in quel caso sì - un lavoro concepito per essere mimetico. Stesso discorso valeva per il lavoro di Clint sull'FPS Star Wars Dark Forces. L'aspetto comodo con l'iMUSE applicato ai giochi d'azione era la relativa maggiore facilità con cui si potevano programmare le transizioni nei brani MIDI, perché più alto è il ritmo, più in linea generale era facile trovare il tempo giusto per interromperlo. Con le musiche più contemplative in un'avventura grafica era richiesta più pazienza.
- Per Day of the Tentacle e Sam & Max Hit the Road vale il solito discorso: impegnato a gestire il dipartimento, del primo coprì più che altro la sezione nel futuro - se ricorda bene - e per quanto riguarda il secondo la memoria è tanto offuscata da fargli propendere per un contributo quasi nullo [dal momento che altrove anche McConnell ha minimizzato il suo contributo a Hit the Road, se ne deduce che il grosso di quelle musiche fu a firma Bajakian, ndDiduz].
- È accreditato come "sound advice" per Star Wars Rebel Assault, ma è un gioco di parole: "sound" in quel caso è un aggettivo. Non quindi "assistenza per l'audio", bensì "solido consiglio"! Il programmatore Vince Lee lo voleva infatti ringraziare perché fu Michael, assistendo a un demo dell'engine INSANE per la decodifica dei filmati dai cd-rom, a suggerire che potevano essere interattivi, stile laser-game. Il gioco nacque da questa idea, Lee non pensava di diventare game designer o capo-progetto.
- Full Throttle portò l'iMUSE nell'era della musica digitalizzata, letta in streaming dai file sul cd-rom: siccome controllare brani registrati era ben diverso che controllare i vecchi MIDI... decisero di usare comunque i MIDI! In definitiva in Full Throttle e The Dig i giochi avviavano comunque dei brani MIDI senza musica, contenenti solo le notazioni su "stati" e "sequenze" di cui sopra, in modo da temporizzare correttamente le entrate e le uscite nei brani digitali di uguale durata, basandosi sugli stessi tool dell'epoca MIDI. Funzionò e permise di non perdere la modalità di lavoro che tutti alla LucasArts avevano imparato a gestire bene col MIDI.
- Considera la colonna sonora che compose per The Dig (direttamente per la versione finale di Sean Clark, anche se scrisse la musica di un promo per quella di Moriarty) il suo lavoro più personale. "Solitudine e isolamento", i concetti che la musica evoca, gli appartengono. Per alcune registrazioni utilizzò lo studio di un amico attrezzato apposta per esaltare il riverbero dei suoni, ma soprattutto - siccome avevano firmato un accordo con l'Angel Records per la pubblicazione delle colonne sonore - sfruttò l'accesso al loro catalogo per esplorare le ouverture di Wagner. Cercò tutte le sezioni in cui gli archi risuonassero a lungo, scorporò le singole note, usandole come "tappeto" su altri suoni eseguiti da lui stesso col sintetizzatore, mentre sotto c'erano transizioni di archi wagneriani anche appartenenti a composizioni ed esecuzioni diverse. Una delle fonti d'ispirazione fu però il pezzo "Mysterious Mountain" di Alan Hovhaness. Furono necessarie sette settimane per rimontare i brani in funzione del cd della Angel Records, perché l'approccio con la musica interattiva è diverso: entri in una location, parti in grande, scendi e vai di loop più in sordina. Nell'ascolto passivo della colonna sonora, devi crescere a poco a poco, poi devi chiudere il brano. Quasi il contrario!
- La colonna sonora di The Curse of Monkey Island fu liberatoria, perché la saga finalmente usava musica registrata: utilizzò due sintetizzatori E4, selezionò a uno a uno i campionamenti migliori, ma coinvolse anche strumenti dal vivo: la fisarmonica di Peter Soave (per lui un dio dello strumento) o il banjo di Peter McConnell. Quando sai che c'è il doppiaggio, l'approccio alla composizione deve cambiare nelle sezioni che sai già saranno fittamente dialogate: "il parlato occupa una parte dello spazio semantico della musica", spiega Land, quindi è meglio evitare in quei momenti melodie troppo chiare. Non è facile da prevedere, perché il doppiaggio viene registrato quasi all'ultimo momento, perciò devi incrociare le dita e sperare di aver colto l'equilibrio giusto (alla disperata, si può lavorare di mix). La canzone fu un'idea di Jonathan Ackley, però fu Michael a scrivere il ritornello "A pirate I was meant to be, trim the sails and roam the sea!", perché nel "rap piratesco" di Jonathan mancava.
- Dopo la LucasArts, cercò di avviare una startup con McConnell, mai decollata sul serio. Scrisse un unico brano d'ambiente molto lungo per Sim City 4 nel 2003. Per quanto riguarda Tales of Monkey Island (2009) fu assai piacevole tornare su Monkey dopo tanto tempo, anche se, per via dei limiti di spazio del servizio WiiWare, gli chiesero di lavorare di nuovo in puro General Midi sintetizzato! La versione Windows utilizzò versioni registrate di quei brani, non curate da lui ma che comunque apprezzò nella resa. Sulle prime si sentiva un po' arrugginito, ma per il quinto episodio sentì d'essere tornato in piena forma.
- Non ha lavorato sulle riorchestrazioni delle Special Edition, ma ritiene che - per quei giochi che nacquero in MIDI - la coerenza equilibrata di un sintetizzatore faccia parte della loro identità sonora. Indipendentemente dalla bravura di chi esegue quei pezzi dal vivo oggi, ciascun elemento dell'orchestra o della band rischia di imporsi o all'opposto di sparire rispetto agli altri, è normale che possa accadere. Un sintetizzatore suonato da uno spartito MIDI fornisce un'omogeneità che lui lega per sempre a quelle colonne sonore. Detto ciò, il passaggio dal MIDI alla musica registrata è stata la svolta epocale indiscutibile nel suo settore. E adora sentire che la gente "possiede" le sue composizioni rieseguendole in mille maniere, come se avessero vita propria. Lo vive con un senso di gratitudine.
- La rimpatriata con Clint e Peter per il Sensorio dello Psicoré, livello/mente di Psychonauts 2, è stata organizzata da Peter, in nome dei vecchi tempi: una registrazione splendida allo Skywalker Ranch, in relax totale. È stato ancora Peter a organizzare la colonna sonora di Return to Monkey Island, ma lui e Clint non ci hanno pensato due volte: erano trent'anni che non lavoravano con Ron Gilbert e Dave Grossman, come si poteva rifiutare? Si sono divisi le isole come al solito (lui ha preso Mêlée), però mantenendosi aperti a contributi degli altri (per esempio la bottega della Voodoo Lady è stata coperta da Clint). Ci hanno tenuto tuttavia a comporre a sei mani i pezzi nell'intro con Boybrush, per dividersi equamente l'impatto iniziale.
- Il suo metodo di lavoro dipende dalla visione degli elementi di gioco: se non si può giocare almeno una versione preliminare del titolo, chiede almeno di vedere la più alta quantità di materiale visivo disponibile, anche screenshot. Non compone se non vede il mondo di gioco. Inoltre, trova molto importante rigiocare una versione del gioco più vicina alla pubblicazione: solo allora coglie problemi di bilanciamento logico/narrativo, o di intensità dei brani, imperfezioni o contrasti che, lavorando a volte su sezioni separate, non cogli. In ogni caso, per lui la buona musica di accompagnamento non dev'essere manipolatoria, pur evocando emozioni: "La musica può essere molto manipolativa: se segui cliché, che poi sono cliché perché funzionano, la gente può avvertire il luogo comune. Dovresti cercare una voce originale, che però anche sia in grado di veicolare emozioni. È facile fare gli originali, è facile caricare sulle emozioni, ma è difficile essere originali trasmettendo la giusta dose di emozione." E come si mantiene viva l'ispirazione? "Mantenendo la musica sempre viva nella tua testa"... ma le date di consegna aiutano!
- Cosa c'è per lui in futuro? Spera di tornare nella disposizione d'animo per comporre, vorrebbe darsi alla musica pura.
Ron Gilbert riflette su Monkey Island 2
In realtà quest'intervista del canale OneShortEye a Ron Gilbert risale a sei mesi fa, ma ho continuato a dimenticare di vederla fino ad ora, forse a causa del profluvio di interviste a ex-Lucas in quest'ultimo periodo, forse perché l'argomento Monkey Island ha tenuto sin troppo banco nell'ultimo anno... e stanca anche i più duri!
Quest'intervista è legata però a un post di Ron che a caldo vi segnalai, dove aveva pubblicato un pezzo di codice SCUMM di Monkey Island 2: LeChuck's Revenge: nell'intervista si parlava degli speedrunner che avevano affrontato Monkey 2 e avevano trovato difficile accelerare nello scontro finale con LeChuck, a causa delle sue apparizioni randomiche nei tunnel. Gilbert allora per rinfrescarsi la memoria aveva cercato la routine che le gestiva. A prescindere da questo, in soli 26 minuti sono espressi rapidi concetti che mi sembra interessante non perdere.
- Rivedendolo ora, Ron pensa che lo scontro finale con LeChuck di Monkey 2 si potesse progettare meglio. Apprezza ancora molto l'idea di base, cioè la creazione di una bambola voodoo, come la si era fatta per Largo nel primo atto. Con l'esperienza maturata in trent'anni, pensa però che l'implementazione si potesse gestire con più cura, dando un feedback maggiore a chi gioca e rendendo alcune azioni importanti meno casuali. [Considerando che il finale fu relativamente improvvisato, per me ne uscirono molto bene, ndDiduz]
- Come aveva detto Mike Stemmle in un'altra intervista poco tempo fa, anche Gilbert pensa che gli enigmi con elementi randomici (tipo l'individuazione del relitto della Sea Monkey) abbiano uno scopo ben preciso: costringere il giocatore a capire il senso del puzzle e a non staccare dal flusso narrativo, perché non può risolvere il problema solo per dritte meccaniche lette o ascoltate da qualcuno, o per pura esclusione. È uno degli strumenti che hai per impedire all'utenza di risolvere gli enigmi per "brute force", cioè con l'"usa tutto con tutto", la tomba del genere.
- Ispirazioni per lo humor di Monkey Island? Due dei suoi film preferiti, cioè i culti Monty Python e il Sacro Graal (1975) di Terry Jones e Terry Gilliam, e Mezzogiorno e mezzo di fuoco (1974) di Mel Brooks.
- Serie o film che incarni lo spirito di Monkey Island? Secondo lui la recente e adesso chiusa Our Flag Means Death (2022-2023, Dive / HBO), ideata da David Jenkins.
40 anni di Macintosh... con le avventure LucasArts? Breve storia di un amore intermittente
L'avrete letto un po' ovunque: il 24 gennaio il Macintosh ha compiuto 40 anni. La rivoluzione della sua interfaccia grafica via mouse, nonché del suo look sofisticato, iniziò infatti nel 1984, e mi sono sempre chiesto quanti lucasdeliranti abbiano conosciuto o giocato qui in Italia le avventure Lucasfilm su quei sistemi. Immagino pochi, perché la scarsa popolarità del Mac come macchina da gioco qui da noi non ha mai portato versioni localizzate in italiano. Oltretutto, i porting effettivi per il Mac iniziarono solo nell'agosto 1990, con Indiana Jones and the Last Crusade - The Graphic Adventure. La serie di computer era stata ignorata finché non si diffusero i Macintosh II a colori, tanto che Zak McKracken per esempio non ha mai visto una versione Mac, mentre il seminale Maniac Mansion vide la luce solo sul leggendario 8 bit Apple II (ma la versione originale per Commodore 64 surclassava quella).
C'erano inoltre scogli tecnici da superare per i porting: la minima risoluzione del Mac era 512x384, non esisteva il 320x200 standard degli altri sistemi, ergo fu necessario creare routine di scaling e anche scrolling aggiuntivo per compensare le differenze. Gli autori di ScummVM sono riusciti solo di recente a riprodurre le particolari interfacce Mac ad alta risoluzione per Indy 3 e Loom. Gli alfieri di quelle conversioni alla LucasArts furono Eric Johnston prima e Aaron Giles poi: quest'ultimo in particolare, che entrò in tempo per convertire Full Throttle e The Dig, impose sponte sua nel 1995, per principio, i porting Mac "retroattivi" di Day of the Tentacle e Sam & Max Hit the Road, saltati da una dirigenza che non li aveva messi nemmeno in programma. Giles abbracciò il passaggio dai processori Motorola della serie 68000 ai PowerPC, offrendo persino un rudimentale antialiasing all'utenza dotata dei modelli più moderni e performanti. L'assenza di una wavetable hardware per la riproduzione dei brani MIDI fu tamponata con la creazione di sintetizzatori software compatibili General MIDI.
L'impegno di Aaron, che comunque ci delizia ancora oggi con l'emulatore lucasiano DREAMM, purtroppo non fece cambiare idea ai capi: The Curse of Monkey Island e Grim Fandango furono pubblicati solo per Windows (anche se oggi un maccista può benissimo avviarli via ScummVM). Parziale eccezione fu Fuga da Monkey Island: i diritti dell'oggi inavviabile conversione Mac furono venduti alla Aspyr, che ne appaltò la programmazione alla Westlake Interactive. In tutti i casi una localizzazione italiana è sempre mancata, queste edizioni si sono diffuse in Italia solo per importazione parallela, con l'unica eccezione dell'esperimento di Fate of Atlantis su cd-rom a cura della CTO: scatola e manualistica in italiano, gioco sempre e solo in inglese.
Oggigiorno, la stragrande maggioranza dei nuovi titoli che tratto su Lucasdelirium viene pubblicata su "PC" in senso lato, cioè Windows-Mac-Linux (salvo per infauste esclusive, ehm). Alcune cose con gli anni migliorano: ci credereste?
Bene, fine dell'aggiornamento breve ma intenso. Per ultimo, vi segnalo che è possibile votare per un set LEGO a tiratura limitata raffigurante una scena che ricordiamo tutti bene...
Cominciamo a pulire la frusta e a portare in tintoria giacca e fedora!
Ciao,
Dom