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Perché gli adventure fanno schifo

E cosa possiamo fare per correre ai ripari

di Ron Gilbert
(Traduzione di Diduz)

Il lungo pezzo che segue è un memorandum-manifesto che Ron Gilbert scrisse nel 1989, quando la lavorazione di The Secret Of Monkey Island era appena entrata nel vivo. Lo stesso Ron lo ha reso pubblico sul suo sito-blog, Grumpygamer, premettendo che alcune cose andrebbero aggiornate e che forse non è più convinto di tutto ciò che qui è scritto. Tuttavia, io personalmente ritengo (come lui) che il testo abbia un enorme valore e che valga la pena di leggerlo.

Di tutte le diverse tipologie di giochi, mi piace particolarmente giocare gli adventure, o i giochi narrativi. Non c'è da sorprendersi che questa mia passione mi porti anche a progettarli. Mi piacciono i giochi il cui ritmo sia lento e in cui si sia ricompensati per la riflessione e l'immaginazione, piuttosto che per i propri riflessi rapidi. L'elemento che dà vita ad un adventure per me è la storia intorno al quale è tessuto. Nei casi migliori, è una forma di narrazione che sa essere coinvolgente come solo un prodotto interattivo può essere. La chiave qui sta in quel "nel migliore dei casi": succede raramente.
Uno dei tarli che più mi rode è la recente tendenza di definire i giochi basati sulla storia "film interattivi". Sono interattivi, ma non sono film. Il fatto che la gente voglia chiamarli "film" è un sintomo dell'impasse nella quale ci troviamo. Quello che abbiamo bisogno di fare è stabilire un genere al quale poter ascrivere i nostri lavori e che possa appartenerci. I film discendono dalle rappresentazioni teatrali, ma i legami si sono ormai persi e hanno trovato una loro dimensione. È necessario che la stessa cosa accada ai giochi narrativi.
Il desiderio di definirli "film interattivi" è dovuto ad un paio di fattori. Il primo è il marketing. Lo scopo di ogni marketing di mentalità ristretta è sempre quello di incasellare qualcosa in categorie per renderlo più riconoscibile. Queste persone sentono che la cosa che si avvicina più ai giochi narrativi siano i film. L'altro fattore che si cela dietro alla denominazione "Film Interattivi" è ciò che io chiamo "L'invida dell'Hollywood". Un gran numero di persone nell'ambiente vorrebbe segretamente (e a volte nemmeno tanto segretamente) lavorare nel cinema, non scrivere videogiochi. E piantatela! Se davvero volete fare dei film, andate ad una scuola di cinema e lasciate il game-design a quelli che vogliono fare i giochi!
I videogiochi narrativi non sono film, ma le due forme hanno molto in comune. Non sarebbe onesto ignorare del tutto i film: da essi possiamo ricavare molto per quanto riguarda la narrazione attraverso le immagini. Comunque, è importante rendersi conto del fatto che le differenze sono molte di più delle somiglianze. Dobbiamo scegliere cosa prendere in prestito e cosa creare da zero.
La differenza principale e più evidente è l'interazione. Un film non è interattivo. Ti siedi in sala e lo guardi. In un gioco narrativo, al giocatore è data la possibilità di esplorare la storia. Ma il giocatore non sempre fa ciò che il game-designer si aspetta e questo causa dei problemi. È difficile creare una trama coesa quando non hai idea di quale sarà la parte della storia che il giocatore incoccerà prima. Il problema richiede una particolare forma di narrazione, e questa nuova forma d'arte abbiamo solo cominciato a scoprirla.
C'è uno stato della mente chiamato "sospensione dell'incredulità": quando stai guardando un film o stai leggendo un buon libro, la tua mente può entrare in questo stato. Questo si verifica quando sei immerso a tal punto nella storia da non renderti più nemmeno conto di essere in un cinema, o di essere seduto sul divano a leggere. Quando la storia comincia a trascinarsi, o gli intrecci cominciano a collassare, la sospensione dell'incredulità si perde. Cominci presto a guardarti intorno nella sala, a notare le persone sedute davanti a te o l'insegna luminosa verde "Uscita". Io giudico un film in base al numero di volte in cui mi sono reso conto di essere al cinema.
La stessa cosa vale per i giochi narrativi (come pure per tutti gli altri giochi). A mano a mano che la storia si costruisce, siamo trascinati nel gioco e ci lasciamo il mondo reale alle spalle. Come progettisti, il nostro scopo è quello di mantenere la gente in quello stato mentale il più a lungo possibile. Ogni volta che il giocatore deve ricaricare la partita, o sbatte la testa sulla scrivania in preda alla frustrazione, la sospensione dell'incredulità la salutiamo col fazzoletto in mano. A quel punto probabilmente spegnerà il computer e andrà a guardare la tv, e a quel punto noi avremo fallito.
Ho messo a punto una serie di regole pratiche che minimizzeranno la perdita della sospensione dell'incredulità. Come per ogni serie di regole, ci sono sempre delle eccezioni. Nei miei design spero che, se queste regole non possono essere seguite, ciò si debba a ragioni artistiche e non alla mia pigrizia. In Maniac Mansion, qui e lì, ho violato tutte queste regole tranne una. Alcune sono state violate per scelta, altre per sciatteria. Se potessi riprogettare Maniac Mansion, tutte le violazioni sarebbero rimosse e ne risulterebbe un gioco migliore.
Qualcuno dice che queste regole rendono il gioco troppo facile. Non sono d'accordo. Ciò che rende i giochi difficili da giocare sono gli enigmi arbitrari e sconnessi. La maggior parte di questi si risolve per caso o con ripetitive sessioni passate a digitare "accendi la candela con il fiammifero", "accendi la carta con il fiammifero", "accendi il tappeto con il fiammifero", finché non succede qualcosa. Questa non è difficoltà, è masturbazione. Ho giocato ad un videogioco in cui si richiedeva al giocatore di gettare la carta di una gomma da masticare in una stanza per far aprire un trabocchetto (ho cambiato i nomi degli oggetti per la privacy dei colpevoli). Qual è il ragionamento? Non c'è. Mi hanno detto: "È un enigma complesso".
Ah sì? E allora beccatevi le Regole Pratiche di Ron:

  1. L'OBIETTIVO FINALE DEV'ESSER CHIARO
    Non c'è niente di male nel cambiare l'obiettivo nel corso del gioco, ma all'inizio il giocatore dovrebbe avere una visione chiara di ciò che sta cercando di ottenere. Poche cose sono frustranti come il bighellonare in giro chiedendoti che cosa dovresti fare e se tutto ciò che hai fatto ti condurrà a qualcosa. Le situazioni in cui si ignora ciò che succede possono essere divertenti e parte integrale del gioco, ma questa è una cosa rara e difficile da calibrare.
  2. I SOTTO-OBIETTIVI DEVONO ESSERE OVVI
    La maggior parte delle buone avventure grafiche sono spezzettate in molti sotto-obiettivi. Lasciare che i giocatori vengano a conoscenza almeno del primo di questi sotto-obiettivi è essenziale per coinvolgerli. Se lo scopo principale è salvare il principe, e il giocatore si trova intrappolato su un'isola all'inizio del gioco, bisogna far sì che un altro personaggio della storia gli comunichi il primo passo: abbandonare l'isola. Stiamo parlando semplicemente di una buona narrazione. Ben Kenobi praticamente predisponeva quasi tutto il viaggio di Luke nei primi venti minuti di Guerre Stellari. Questo ha permesso al pubblico di seguire i progressi del protagonista. Per qualcuno che non è abituato ai frequenti scervellamenti degli adventure, questo semplice indizio può significare la differenza tra il completamento del gioco e l'abbandono dello stesso gioco dopo un'oretta. È molto facile, quando si progetta, dimenticare ciò che il giocatore non sa della storia che stiamo raccontando.
  3. VIVI ED IMPARA
    Come regola, gli adventure si dovrebbero poter giocare dall'inizio alla fine senza "morire" e senza salvare il gioco per evitarlo, questo se il giocatore è molto attento e buon osservatore. Inserire in un gioco enigmi e situazioni che richiedano la morte del giocatore (per fargli imparare cosa evitare di fare la prossima volta) è cattivo design. Questo non significa che tutte le situazioni in cui si rischi la morte debbano essere eliminate. Il pericolo è parte integrante della drammaturgia, ma il giocatore, se è intelligente, dovrebbe avere la possibilità di sopravvivere a tale pericolo.
    Come esercizio, finite per intero un gioco narrativo e poi raccontatelo a qualcun altro, come se fosse una normale storia. Se trovate delle situazioni in cui il protagonista potrebbe non sapere un'informazione vitale (il personaggio che l'ha appresa è morto in una partita precedente), allora c'è un buco nel plot.
  4. ENIGMI AL CONTRARIO
    L'enigma al contrario forse è la cosa che più mi scoccia in un adventure. Anch'io ne ho creati un bel po'; come per tutte le pecche di design, è più facile lasciarli lì dove sono, piuttosto che riprogettarli. L'enigma al contrario si verifica quando la soluzione viene trovata prima del problema. Idealmente, il crepaccio dovrebbe essere trovato prima della corda che consente al giocatore di scendere giù per esso. Questo crea una sfida nella mente del giocatore. Sa che deve scendere per il crepaccio, ma non c'è un percorso che lo consenta. Adesso questo compito rimarrà nella mente del giocatore mentre continua l'esplorazione. Non appena avvista una corda, si accende una luce nella sua mente e l'enigma è risolto. Per un giocatore, quando il design funziona, non c'è niente di più appagante.
  5. HO DIMENTICATO DI PRENDERLO
    In realtà si riallaccia al punto precedente, ma è ancora peggio. Non pretendete mai che il giocatore raccolga un oggetto che servirà più avanti nel gioco, se non può tornare indietro a prenderlo quando gli dovesse servire. È molto frustrante rendersi conto che viene richiesto un oggetto apparentemente insignificante e che l'unica maniera per prenderlo sia ricominciare o ricaricare una partita salvata. Dal punto di vista del giocatore, non c'è stata evidentemente ragione di raccoglierlo la prima volta. Alcuni game-designer in realtà difendono questa pratica sostenendo che "gli avventurieri sanno di dover raccogliere qualsiasi cosa". Questa è una scappatoia. Se il barattolo d'acqua dev'essere usato sull'astronave e si può trovare solo sul pianeta, bisogna creare un uso per esso sul pianeta, che garantisca che venga raccolto. Se il tempo che intercorre tra i due usi è abbastanza lungo, potete quasi star certi che il giocatore si sarà addiruttura dimenticato di avere l'oggetto!
    Un'altra maniera per aggirare il problema è quella di dare al giocatore dei suggerimenti su ciò che avrebbe bisogno di prendere. Se gli alieni sul pianeta suggeriscono che il giocatore dovrebbe trovare dell'acqua prima di tornare sull'astronave, e il giocatore ignora il consiglio, in quel caso sarà lui stesso il responsabile della sua sconfitta.
  6. GLI ENIGMI DOVREBBERO FAR AVANZARE LA STORIA
    Non c'è nulla di più frustrante dell'essere chiamati a risolvere enigmi senza scopo uno dopo l'altro. Ogni enigma risolto dovrebbe portare il giocatore più vicino alla comprensione della storia e del gioco. Dovrebbe essere in qualche modo chiaro che la soluzione dell'enigma avvicinerà il giocatore alll'obiettivo più prossimo. Che perdita di tempo e di energie per il progettista e il giocatore se l'enigma serve solo a rallentare lo svolgersi del gioco!
  7. IL TEMPO REALE NON È DRAMMATURGICO
    Una delle chiavi più importanti della drammaturgia è il rispetto dei tempi. Chiunque abbia progettato un gioco narrativo sa che il giocatore difficilmente fa qualcosa al momento giusto o nel giusto ordine. Se lasciamo che il gioco vada avanti con un orologio interno indipendente dalle azioni del giocatore, è garantito che poche cose accadranno rispettando i tempi drammaturgici. Quando Indiana Jones rotolava sotto la porta di pietra che si stava chiudendo e afferrava il suo cappello appena in tempo, procurava un brivido e poi un applauso in tutto il pubblico. Se quella stessa scena fosse stata fatta in un normale adventure, il giocatore sarebbe stato ucciso le prime quattro volte nel tentativo di passare sotto la porta. Le successive sei volte non sarebbe riuscito a riprendere in tempo il cappello. È questo uno sviluppo drammaturgico degno di tal nome? Non proprio. La chiave sta nell'uso del tempo hollywoodiano, non del tempo reale. Date al giocatore un po' di respiro negli enigmi a tempo. Provate a monitorarne i tentativi. Se il giocatore è sulla strada giusta ed è lì lì per risolvere tutto, aspettate. Aspettate che riprenda il cappello, poi fate venir giù la porta. Il giocatore penserà di "avercela fatta per un pelo" e di conseguenza un numero maggiore di giocatori si emozionerà e si esalterà. Quando progetto enigmi a tempo, mi piace dividere il tempo in tre categorie. Il 10% dei giocatori risolverà l'engima così rapidamente e precisamente da finire in anticipo. Un altro 10% ci metterà troppo tempo e fallirà, il che ci lascia con un bell'80% di gente che ce la farà al momento giusto.
  8. RICOMPENSA INCREMENTALE
    Il giocatore deve sapere che sta ottenendo qualcosa. La maniera più rapida per spingere un giocatore ad arrendersi è lasciare che il gioco si trascini senza avanzare realmente. Questo vale in particolar modo per coloro che giocano le avventure grafiche per la prima volta. Nelle avventure grafiche la ricompensa spesso consiste nel vedere nuove aree del gioco. Nuova grafica e nuovi personaggi sono spesso tutto ciò che serve per non allontanare la gente dal gioco. Naturalmente, se stiamo cercando di raccontare una storia, in quel caso rivelare nuovi elementi del plot ed eventuali colpi di scena avrà un valore equivalente se non superiore.
  9. ENIGMI ARBITRARI
    Gli enigmi e le loro soluzioni devono avere senso. Non devono essere scontati, solo avere un senso. La reazione migliore dopo aver risolto un enigma tosto dovrebbe essere: "Ma naturalmente! Perché non ci ho pensato prima!" La peggiore, quella più frequente dopo aver letto la soluzione, è: "Non ci sarei mai arrivato!" Se la soluzione può essere raggiunta solo per tentativi o per pura fortuna, vuol dire che l'enigma è fatto male.
  10. RICOMPENSARE I TENTATIVI
    L'obiettivo di questi giochi è essere divertenti. Cercate di capire cosa sta cercando di fare il giocatore. Se è esattamente ciò che il gioco richiede, allora portate per mano il giocatore e lasciate che accada. Il fallimento più frequente di questo concetto si concretizza in quel meta-gioco che chiamo "cosa-sta-pensando-il-parser". Se c'è un oggetto sullo schermo che sembra una scatola [BOX nel testo originale, ndDiduz], ma il parser si aspetta che debba essere definita "cassetta delle lettere" [MAILBOX nel testo originale, ndDiduz], il giocatore perderà un sacco di tempo nel tentativo di far eseguire al gioco un compito che dovrebbe essere trasparente. Nei giochi gestiti via parser, la chiave sta nel fornire molti sinonimi per lo stesso oggetto. Se il gioco è un'avventura grafica, tenete sotto controllo le prossimità del personaggio gestito dal giocatore. Se il giocatore è in piedi davanti a qualcosa, ci sono molte possibilità che stia cercando di manipolarlo. Se date al giocatore il beneficio del dubbio, andrete molto probabilmente a colpo sicuro. In un'occasione, non ricordo quanto tempo ho trascorso a cercare di legare un filo all'estremità di un bastone. Alla fine mi sono arreso, non sapendo se stessi scrivendo male la frase o se proprio l'azione non fosse prevista nel design. Come poi capii, stavo scrivendo male la frase.
  11. EVENTI SCONNESSI
    Per dare un ritmo agli eventi, alcuni giochi rendono delle sezioni inaccessibili finché determinati altri eventi non si siano verificati. Non c'è nulla di male in questo, è quasi una necessità. Il problema arriva quando l'evento che sblocca la nuova sezione del mondo è sconnesso. Se il progettista vuole essere sicuro che sei oggetti siano stati raccolti prima che si apra una porta segreta, bisogna far sì che ci sia una ragione per la quale quei sei oggetti abbiano un legame con la porta. Se il giocatore ha raccolto solo cinque di questi oggetti e sta aspettando che la porta si apra (o, peggio ancora, sta cercando un modo di aprire la porta stessa!), l'azione di prendere la torcia elettrica non avrà alcun legame logico con l'apertura della porta.
  12. DATE AL GIOCATORE DELLE POSSIBILITA'
    Un sacco di giochi narrativi impiegano una tecnica che si potrebbe descrivere come "ingabbiamento del giocatore". Questo si verifica quando si richede al giocatore di risolvere un piccolo set di enigmi per avanzare alla sezione successiva del gioco, che gli presenterà un altro piccolo set di enigmi. Una volta che anche questi enigmi siano stati risolti, in un'apparentemente infinita serie di gabbie, il giocatore accederà alla sezione successiva. Questo si può rivelare particolarmente frustrante se il giocatore non è in grado di risolvere un particolare enigma. Le aree da esplorare tenderanno ad essere piccole, così l'unica attività consisterà nel bighellonare cercando quell'unica soluzione a quell'unico enigma.
    Provate ad immaginare questo tipo di enigma come una gabbia in cui il giocatore si trova intrappolato: l'unica maniera per uscirne è trovare la chiave. Una volta che la chiave viene trovata, il giocatore si trova in un'altra gabbia. Un maniera migliore per approcciare la progettazione di questo tipo di enigma è concepire il giocatore all'esterno delle gabbie e gli enigmi chiusi all'interno di esse! Con questo modello, il giocatore ha molte più opzioni per decidere cosa fare dopo. Ha un'ampia rosa di gabbie da aprire. Se la soluzione di un particolare enigma lo blocca, può scegliere di affrontarne un altro, incrementando in questo modo l'ammontare di attività utili.
    Naturalmente, sarà sempre necessario che ci siano degli enigmi che sblocchino delle aree del gioco, ma le aree dovrebbero dovrebbero essere abbastanza vaste ed interessanti di per loro. Un buon indicatore della "sindrome della gabbia" è la linearità del gioco. Se la trama segue un iter molto stretto, c'è una forte possibilità che nel tragitto il game-designer stia ingabbiando il giocatore. Non è facile liberare un gioco dalle gabbie, perché richiede una particolare attenzione alla trama, che il giocatore potrebbe vivere venendo da direzioni diverse. La maniera più facile è creare interazioni differenti per una data situazione a seconda dell'ordine che il giocatore sta seguendo.

CONCLUSIONE
Se potessi cambiare il mondo, ci sono un po' di cose che farei, e ad essere del tutto franco nessuna di esse avrebbe nulla a che fare con i computer ed i videogiochi. Ma dal momento che questo articolo parla di giochi...
La prima cosa che farei sarebbe liberarmi dei salvataggi. Se proprio ci devono essere dei salvataggi, io li farei usare solo quando sia necessario interrompere il gioco per riprenderlo magari il giorno dopo. I salvataggi non dovrebbero essere parte integrante dell'interazione: è una cosa che conduce ad un design sciatto. Prendetela come una sfida: pensate a come progettereste in modo diverso un gioco se non fossero consentiti salvataggi. Se avrete il piacere di guardare un non-giocatore che affronta un adventure, noterete che trattano i salvataggi in un modo molto diverso, rispetto ad un utente esperto. Alcuni cominciano ad usarli come un meccanismo di difesa dopo essere stati puniti dal gioco un po' di volte, il resto smette proprio di giocare.
La seconda cosa che cambierei sarebbe il prezzo. Spendendo tra i quaranta ed i cinquanta dollari, la gente si aspetta di ricevere in cambio moltissimo gioco. Questo però raramente porta a giochi enormi e profondi, ma piuttosto ad enigmi che allungano il brodo e labirinti vari. Ogniqualvolta che il progettista pensa che il gioco possa rivelarsi troppo corto, ci butta dentro uno o due enigmi in più, che tendono anche ad essere quelli pensati peggio e di più atroce risoluzione. Se potessi davvero fare come dico io, progetterei giochi da finire in quattro-cinque ore. I giochi avrebbero la stessa portata dei giochi che progetto al momento, semplicemente rimuoverei tutti quegli stupidi enigmi perditempo ed offrirei al giocatore un'esperienza intensa, che sarebbe molto più divertente e molto ma molto meno frustrante. I giochi sarebbero ancora una sfida, ma non a spese della pazienza del giocatore.
Se mai ci sarà un tipo di gioco che getti un ponte tra i videogiochi e la narrazione, molto probabilmente si tratterà dell'adventure. Si incentrerà meno sulla risoluzione degli enigmi e più sulla narrazione, è questa l'impronta del futuro. La cosa che non possiamo permetterci di dimenticare è che siamo qui per divertire, e che, per la maggior parte delle persone, il divertimento non consiste in notti e week-end colmi di frustrazione. L'Americano medio trascorre la maggior parte della giornata a sentirsi un fallito in ufficio, l'ultima cosa che vuole è tornare a casa e sentirsi un fallito mentre cerca di rilassarsi e divertirsi.