IL FUTURO
by Diduz
Quasi un anno fa ho scritto un articolo dedicato agli ultimi cinque turbolenti anni della LucasArts. Oggi, quando gli ex-Lucas cominciano a far parlare di sé (Double Fine in primis, seguita dai promettenti TellTale e dagli Autumn Moon) ed è trascorso un anno dall'insediamento del nuovo presidente Lucas Jim Ward, con questo nuovo articolo provo a fare un nuovo punto sullo stato attuale dell'eredità lucasiana: vi invito a seguirmi nei miei ragionamenti, senza pregiudizi e con il consueto sano spirito indagatorio. ;-)
Ma un'avventura grafica la Lucas non la può proprio fare?
No. E non solo perché i celebri designer di avventure hanno lasciato la casa.
Ragioniamo senza nostalgia (è difficile, lo so, ma proviamoci).
Da anni molti danno per spacciato il genere delle avventure grafiche, di fatto ancora oggi continuano ad uscire moltissimi titoli. Di recente un'intervista a Tim Schafer (che ha confermato la teoria pessimistica su sollecitazione dell'intervistatore) ha risvegliato le polemiche. Dov'è la verità? Nel mezzo, come spesso accade. Le avventure grafiche sono morte nel mercato mainstream, nel "giro grosso" del mercato videoludico. Diamo un po' di numeri. Il prezzo di vendita di un videogioco è ripartito come segue:
Il 20% se ne va in tasse (almeno in Italia, in altri paesi spesso la percentuale è inferiore)
Di ciò che rimane, il 60% va al negoziante e il rimanente 40% viene ripartito tra distributore nazionale e proprietario del copyright (cioè l'editore - in inglese "publisher" - e/o lo sviluppatore - in inglese "developer").
Ora, lo sviluppatore molto spesso è stipendiato dall'editore, quindi la percentuale del titolare del copyright finisce tutta all'editore, almeno finché l'editore non viene risarcito della somma data come stipendio allo sviluppatore. Raggiunta la cifra, a quel punto anche lo sviluppatore comincia a vedere qualche soldino dalla vendita del titolo, in percentuali che non superano mai comunque la metà della cifra intascata fino a quel momento dall'editore. Confusi? Facciamo un esempio pratico, che ci servirà anche concretamente per ricollegarci al tema principale di questo paragrafo.
La versione PC dello sparatutto Star Wars Battlefront, uscito a settembre del 2004, sviluppatore Pandemic Studios, editore LucasArts, viene venduta in Italia a 49 euro.
Il 20% va allo Stato, lasciandoci con la cifra di 39,2.
Di questi 39,2 il 60% (cioè 23,52) va al negoziante, la cifra rimanente (15,68) è divisa tra l'Activision Italia e la LucasArts, secondo accordi che non ci è ovviamente dato sapere, ma che possiamo ipoteticamente considerare fifty-fifty.
Concludendo, possiamo teoricamente dire che la LucasArts si becca 7,84 euro per ogni copia di Star Wars Battlefront venduta in Italia. Il gioco ha venduto in tutto il mondo 3.500.000 copie: riducendo realisticamente il ricavo medio mondiale per copia a 6 euro, la casa di George si è portata a casa la bellezza di quasi 21.000.000 di euro, pari a oltre 26.000.000 di dollari.
Il costo di un videogioco per il mercato mainstream varia da un minimo di 5/6 milioni di dollari per arrivare ad un massimo di 12 milioni e più, marketing compreso. Immaginando che Star Wars Battlefront sia costato la cifra minima (ma non ci scommetterei), il ricavo netto della Lucas si assesta su circa quindici milioni di dollari. Mica male, direi. Il resto della cifra se lo saranno cuccato per metà la LucasArts e per l'altra metà i Pandemic, una volta che la Lucas ha recuperato i soldi che ha dato loro per lo sviluppo del gioco. Ma non è tutto: se a questo aggiungete che la LucasArts negli Usa e in Canada si autodistribuisce, la cifra finita nel salvadanaio lucasiano è ancora più grossa!
Quest'esercizio, come ho detto, non si basa su dati sicuri, ma si avvicina alle cifre reali seguendo la ripartizione confermata da più fonti (Ron Gilbert e Tony Warriner, uno dei co-fondatori della Revolution, la casa di Broken Sword).
Sacche di resistenza
Veniamo alle dolenti note. Un adventure può arrivare oggi, nel 2005, a vendere 3.500.000 di copie? I due Syberia hanno sfiorato il milione di copie vendute insieme, il che significa che un adventure di successo non può sperare di superare le 400.000 copie a prezzo pieno. Syberia però è l'eccezione, non la regola. L'ultima avventura dei Frogwares, Le Avventure di Sherlock Holmes - L'Orecchino D'Argento, è riuscita di poco a superare le 50.000 copie a prezzo pieno, nonostante il prestigioso nome nel titolo! Al giorno d'oggi, nel mercato delle avventure, è considerata una previsione "ottimistica" la vendita di 100.000 copie. Come vedete, siamo su altro pianeta.
Con questi chiari di luna, può un adventure costare la cifra minima di un gioco mainstream? Ponendoci l'obiettivo ottimista delle 100.000 copie per un costo di cinque milioni di dollari, ed immaginando un prezzo al pubblico di 49 euro (rarissimo ormai nel mercato degli adventure, che spesso viaggia sui 20-30 euro), il titolo sarebbe comunque in perdita netta di oltre tre milioni di dollari!!!!
Tagliando corto, uno sviluppatore che voglia produrre un'avventura grafica vecchio stile per quello che è a tutti gli effetti un mercato di nicchia non deve spendere più di 750.000 euro, cioè 1.000.000 di dollari, cifra suggerita da Bill Tiller parlando di A Vampyre Story. Anche così c'è un margine di rischio enorme, e per giunta quella cifra ragiona su aspettative e costo della vita americane: se case come l'ucraina Frogwares, gli spagnoli Pendulo (Runaway) o i cechi Future Games (The Black Mirror) campano con poche copie e prezzi di copertina sui 20 euro, è solo perché chi lavora per loro si accontenta di cifre basse e riescono ad arrivare a costi di produzione assestabili sulla metà di quella cifra (375.000 euro), se non meno!
METODI PRODUTTIVI
Ron Gilbert ha da poco rivelato il costo del primo Monkey: 135.000 dollari del 1989, che sono all'incirca 212.000 dollari attuali, cioè 177.000 euro. Secondo i nostri calcoli di poc'anzi e tenendo in conto gli alti prezzi di vendita dell'epoca, sarebbero bastate 30.000 copie per pareggiare i costi di sviluppo della prima avventura di Guybrush Threepwood. Fate conto che stiamo parlando del paleolitico.
Ricreare le stesse condizioni nel mercato attuale, che viaggia su milioni di copie e che prevede obbligatoriamente tonnellate di animazioni e doppiaggio completo dei dialoghi, è un'impresa ardua. Gli sviluppatori di adventure si trovano di fronte a tre soluzioni produttive.
- CLASSICA
Quella appena descritta. Il publisher / editore paga il developer / sviluppatore in base ad un demo o ad una vera e propria commissione. Ormai per gli adventure è sempre più rara, se non per produzioni a bassissimo budget (tipo il recente Ritorno all'Isola Misteriosa). - SEMI-INDIPENDENTE
Diffusissima. Il gruppo lavora al gioco intero a prescindere dalla presenza di un finanziamento, nei ritagli di tempo dei membri del team (che si guadagnano da vivere in altre maniere, se non sono disponibili stipendi). Se non si vede un soldo bucato, ci si spinge comunque fino al completamento al 90% dell'opera, quando il gioco manca solo del doppiaggio, di varie rifiniture e del testing. Il team cerca costantemente (continuando a lavorare ad oltranza) distributori locali per ogni paese oppure dei publisher medi che coprano solo alcune parti del globo. A queste figure non si chiede quindi il finanziamento totale, ma solo l'acquisto dei diritti di distribuzione e la copertura delle ultime fasi della lavorazione. Se poi il rapporto tra sviluppatore e publisher diventa solido, per un gioco successivo o per un eventuale sequel si potrà adottare il metodo CLASSICO. - INDIPENDENTE
Lo sviluppatore realizza, pubblica e distribuisce da sé il gioco, lavorando gratis o su finanziamenti privati.
Come lavorano gli ex-Lucas?
I TellTale seguono la terza via, puntando ad autodistribuire on-line miniavventure: in questo modo, seguendo i calcoli che ho su elencato, si trovano a pagare solo le tasse e a mettersi in tasca tutto il resto, senza dare soldi agli intermediari. In aggiunta a questo, hanno scelto di lavorare su licenze già conosciute di fumetti e telefilm, risparmiando di fatto sulla promozione, che è già in parte avviata. Il rischio è che l'assenza di distribuzione fisica tagli fuori definitivamente l'acquirente occasionale e che quindi releghi ulteriormente il genere in una nicchia. Nulla è detto e nulla è già scritto, comunque.
Gli Autumn Moon Entertainment, dopo aver tentato di farsi finanziare col metodo classico dalla tedesca Bad Brain (che invece secondo me s'aspettava la seconda soluzione) stanno avendo invece mille difficoltà con A Vampyre Story. Persino due case europee che facevano delle avventure a budget relativamente alto la propria bandiera hanno avuto grossi guai: la Microids ha chiuso la sua divisione interna, i Revolution l'hanno dovuta smaltire moltissimo.
Superfluo dire che la strategia della Double Fine di Schafer si spiegava da sola: cambiare genere cercando di non perdere la vena narrativa che faceva grandi le avventure. E anche così Psychonauts non solo ha avuto tremende difficoltà produttive, ma sta andando maluccio nelle vendite, confermando l'idea che il metodo di finanziamento CLASSICO è difficilmente conciliabile oggi con la creatività, la sperimentazione, i generi di nicchia e - ahimè - lo humor.
Ma allora che vuoi fare? Dare ragione alla LucasArts?
La LucasArts degli anni Ottanta era un'etichetta indipendente, ora è una major. Se si vuole mantenere un numero di dipendenti utile per produrre blockbuster, non si può lasciare una parte di loro a lavorare su giochi che - nella migliore delle ipotesi - vendano un terzo di un titolo di fascia alta, se non meno (ma al momento dell'uscita Grim Fandango non arrivò nemmeno a 400.000, fermandosi su 250.000!!!!).
Il ridimensionamento del gruppo di sviluppo interno risponde purtroppo ad una realtà nuova di "major videoludica", che la LucasArts ha tentato per molto tempo di ignorare, finché non vi si è scontrata nel modo peggiore possibile. Un tempo per realizzare un Maniac Mansion o un King's Quest servivano cinque-sei persone, ora per un prodotto come Monkey Island 4 ne servono una sessantina. Gestire cinque progetti contemporaneamente significava coordinare una trentina di persone, ora implica gestire un megastudio di trecento persone. La fase di preproduzione dei giochi si è ampliata parecchio nella durata, costringendo la casa a stipendiare per diversi mesi gli impiegati inattivi. Finché questi erano una decina si poteva fare, ma quando cominciano ad essere cinquanta o cento....sono guai. Per una casa che punta all'alto budget e agli alti ricavi, gestire e supervisionare il lavoro di gruppi indipendenti esterni messi sotto contratto gioco per gioco è più facile che governare una moltitudine di impiegati interni. Ci riescono solo in Giappone, ma parliamo di una realtà che ha poco in comune con quella occidentale.
Ma allora - mi direte - li stai giustificando per aver cancellato Sam & Max Freelance Police e Full Throttle Hell On Wheels? Assolutamente no, ma alla luce di queste considerazioni la riproposta di marchi come quelli, a tanti anni di distanza e in un mercato così diverso, è una mossa molto più azzardata di quanto sembri: forse non avrebbero nemmeno dovuto metterli in cantiere. Quale sarebbe il target del progetto? Gli appassionati? Cioè gli acquirenti di avventure grafiche? No, perché la LucasArts non ha intenzione (e non può) produrre più giochi a basso budget ed è chiaramente una follia commerciale spendere cinque milioni di dollari in un adventure, a meno che non si parli di Myst, che però è più una religione che un'avventura grafica. ;-)
E riproporli in un'altra veste, cambiando genere? Sulla carta, un'ottima idea per giustificare un budget più ampio, in pratica un possibile suicidio (come ha dimostrato la debacle del defunto Full Throttle 2), perché i creativi si trovano nel delirante paradosso di cambiare volto ad un marchio in favore di un target generalista, cercando contemporaneamente di assecondare i gusti di una minoranza di appassionati avventurieri, CHE NON CORRISPONDONO PERO' AL TARGET DEL PROGETTO! Assurdo? Non necessariamente: di certo è un triplo salto mortale. La Lucas ha fatto marcia indietro con Full Throttle, la Vivendi Universal (ex-Sierra) è andata avanti con Leisure Suit Larry Magna Cum Laude, scontrandosi con lo stesso paradosso ed uscendone in maniera dubbia: i vecchi fan di Larry non si sono riconosciuti nel gioco, i giovani e/o ignari acquirenti magari l'hanno anche trovato simpatico, ma chissà se avevano davvero bisogno dei compromessi ironici (come un protagonista orrendo): nella saga originale avevano un senso, ma
possono suonare gratuiti in un'incarnazione più commerciale e "libidinosa".
Crisi d'identità. L'assecondiamo?
Dal 2000 ad oggi, la LucasArts si è trovata ad un bivio e solo recentemente sembra aver deciso quale strada prendere: meno Star Wars e migliore, più Indiana Jones, più titoli originali (ma diversi da quelli del passato).
La cosa è stata ulteriormente definita da alcune dichiarazioni del vice-presidente (responsabile dello sviluppo) Peter Hirschmann.
Il nostro boss, George Lucas, ci ha dato una direttiva. Ci ha ordinato di rischiare. Di creare marchi nuovi. Vuole che creiamo nuovi personaggi, nuove storie, nuovi giochi. Che creiamo nuovi mondi e nuovi universi. È decisamente parte del nostro mandato. Ed è anche parte del nostro DNA. Alcuni dei nostri giochi più belli e più di successo non erano legati a Star Wars, erano titoli originali. Grim Fandango, Sam & Max, erano esplosivi. Anche tornando ai tempi dello SCUMM, la LucasArts era imbattibile nella tecnologia, nella capacità narrativa, nella cura artigianale. Vogliamo rifarci a quell'eredità. Non faremo di nuovo avventure grafiche in senso stretto. Ci abbiamo provato un paio di anni fa, ma la cosa non è andata in porto, perché stavamo cercando di rivivere il passato, invece di imparare da esso. Si tratta di abbracciare ciò che nel passato funzionava ed applicarlo al futuro. Ciò che vogliamo fare è raccontare storie nuove e creare nuovi personaggi, e magari diventare imbattibili nel gameplay e nelle tecnologie che offriremo.
Quindi decisamente vogliamo offrire titoli originali e creare nuovi marchi. "Mercenari", che è uscito all'inizio dell'anno, è un ottimo esempio di tutto questo. Non ha nulla a che fare con Star Wars. È un mondo molto realistico ed è uno dei nostri titoli più di successo negli ultimi tempi. Vogliamo continuare su quella strada ed espandere la nostra scuderia di titoli originali. Vedrete nuovi marchi prima di quanto possiate pensare. Abbiamo un team di sviluppo interno il cui unico scopo è sviluppare marchi originali e strutture di gioco originali. È stato loro vietato di pensare a Star Wars o a Indy. Abbiamo già visto dei frutti favolosi di questo lavoro e presto avvieremo i lavori su un paio di quelle idee. Mi piacerebbe vedere un altro "Mercenari", mi piacerebbe vedere qualcosa del nostro passato tornare. Ci sono molte storie delle quali possiamo nutrirci.
"Qualcosa del nostro passato tornare". E se un giorno volessero ritentare di riproporre i vecchi marchi in nuovi giochi, anche di genere diverso? Ho provato a fare questo gioco perverso, se volete unirvi potete farlo sul forum.
- Maniac Mansion. La saga, composta da Maniac Mansion e Day Of The Tentacle, non è a mio parere adattabile a nessun altro genere che non sia l'adventure classico. La location fissa e la manipolazione degli oggetti sono assolutamente legate all'essenza stessa dell'avventura grafica. Considerando anche che dalla pubblicazione dell'ultimo episodio sono passati ben dodici anni, direi che il marchio di Maniac Mansion ha di fronte a sé due opzioni: dimenticatoio o proseguimento avventuresco previa vendita dei diritti a terze parti. La struttura narrativa si presta ai sequel, ma l'ambientazione claustrofobica non aiuterebbe chi si dovesse prendere l'impegno.
- Zak McKracken. Anche se, con la sua enorme area di gioco, l'ambientazione di Zak potrebbe al limite essere ripresa in un gdr e prestarsi a nuove folli storie, persino la LucasArts dei tempi d'oro ritenne di non dover dare un seguito alla sua creatura. Se i dodici anni di silenzio di Maniac sono tanti, i diciassette di Zak sono un'era geologica. I fan farebbero meglio a sperare nei seguiti freeware amatoriali. :-(
- Indiana Jones. Condivisibile è il sostenere che l'action-adventure si presti meglio di un adventure puro a raccontare le gesta di Indy. Action-adventure come Indiana Jones e la Macchina Infernale (1999) e Indiana Jones e la Tomba dell'Imperatore (2003) però non sono convincenti portavoce di tale tesi, risultando solo delle prese in giro: arcade mascherati da action-adventure. Dopo il recente annuncio di un nuovo gioco di Indiana previsto per il 2007 con la supervisione dello stesso Lucas e sviluppato dalla divisione interna, ci sono buone probabilità che la LucasArts riesca a fare tesoro delle esperienze positive e negative di questi due giochi, regalandoci un Indy che per lo meno non faccia rimpiangere troppo Indy 4: è stata sottolineata l'intenzione di ritrovare l'essenza di Indiana, secondo loro stessi persa negli ultimi tempi. Farebbero meglio a guardarsi Psychonauts e Beyond Good & Evil della Ubisoft per capire come si può narrare in maniera convincente pur mantenendosi in un contesto arcade.
- Loom. Nel caso della creatura di Brian Moriarty, il seguito era addirittura previsto (considerando il finale), ma come sappiamo Loom non vendette mai abbastanza da giustificarne il proseguimento. Peccato, perché l'interazione semplificata tramite le note musicali potrebbe facilmente adattarsi ad un gioco 3D di esplorazione. Un'eventuale componente action tuttavia striderebbe di certo con la natura pacifica del titolo. Ad ogni modo, anche Loom appartiene al passato, IMHO.
- Monkey Island. E qui vi voglio. Con i suoi combattimenti ad insulti, con l'area non sterminata ma vasta del suo arcipelago di isole, con le sue quest, con la creazione ripetuta di ciurme messe insieme alla bell'e meglio (veri e propri "party"), Monkey potrebbe con successo reincarnarsi in un gdr a turni esplorativo, con la mole di dialoghi ed intrecci di un Star Wars Knights Of The Old Republic. L'ho detta. Adesso non visiterete più il mio sito. Prima di mandarmi a quel paese, però, pensateci: si potrebbe guidare Elaine, si potrebbero acquistare cose da Stan, inserire nel party Wally....
Per quanto riguarda la via avventuriera, chi volesse acquistare dalla LucasArts i diritti della saga, potrebbe benissimo contattare Ron Gilbert e metter su il "vero Monkey 3" che non abbiamo mai visto, ma, se mai la LucasArts decidesse di vendere i suoi vecchi franchise, dubito che cederebbero Monkey Island. Rispetto a tutti quelli che stiamo elencando, il marchio è stato rivisitato più volte ed è stato conseguentemente ribadito. L'ultima sortita di Guybrush risale a cinque anni fa: sono molti, ma sono comunque meno di quelli delle altre saghe. Hmmmm..... - Sam & Max. Il cane ed il coniglio meritano un discorso a parte, perché non appartengono alla LucasArts, che li ha sempre usati sotto licenza di Steve Purcell. Insomma, di fatto sono liberi di diventare qualsiasi tipo di gioco lo sviluppatore di turno voglia farne. Il loro caso è comunque bizzarro, perché, dal punto di vista narrativo, Sam & Max si prestano ad innumerevoli seguiti più di ogni altro marchio Lucas, dato che le loro storie non si basano praticamente su nessuna continuity di sorta. Ma dopo la cancellazione di Freelance Police, la LucasArts ha perso la ghiotta occasione. Bah. Comunque Steve, quando la licenza concessa alla casa di George è scaduta, ha concesso il cane ed il coniglio ai TellTale, quindi mi spingerei ottimisticamente a dire che sono QUASI salvi. [Più che salvi, rinati! NdDiduz2010]
- Full Throttle. Sinceramente, andando controcorrente, credo che la strada intrapresa e poi abbandonata dalla LucasArts con Hell On Wheels non fosse sbagliata. Già il primo episodio insisteva molto (secondo alcuni anche troppo) sulle sequenze arcade, probabilmente era un embrione di quello che Schafer avrebbe poi fatto dieci anni dopo con Psychonauts. La metamorfosi in action-adventure era abbastanza naturale. Quello che poi è successo penso sia dipeso da problemi di design ed organizzazione dello sviluppo in sé, non dallo scarso valore dell'idea originale. Rimane solo in dubbio l'opportunità di un sequel per una storia che a me sembrava conclusa.
- The Dig. No, qui non c'è saga e non c'è possibile rivisitazione. È un oggetto unico nel suo genere, e la vicenda è straconclusa.
- Grim Fandango. Il mondo che Schafer creò è e rimane solido, si presterebbe in teoria a diverse rivisitazioni, magari cambiando anche protagonisti. Peccato che il primo episodio sia stato giocato da pochi, rendendo quindi inutile ogni possibile ragionamento sulla possibilità di una ripresa di questo franchise.
Il neopresidente Jim Ward sembra aver compreso bene quali sono stati i limiti della Lucas in questi ultimi anni: cattiva gestione organizzativa e finanziaria, troppi giochi in lavorazione senza una vera riflessione alla base dei progetti, macchina del marketing ingolfata e malfunzionante. A giudicare dalle nuove assunzioni nel gruppo dirigente precedute da un colpo di spugna, le cose potrebbero tornare a posto, ma non come ai vecchi tempi.
Spero di non avervi annoiato troppo e di avervi fornito dei buoni spunti di dibattito.
Un salutone,
Dom